lunedì 2 marzo 2009

Per riflettere un pò ......

Coscienza e conflitto nel diritto
di Sergio Sabetta

Che cosa è la coscienza?
Essa è la consapevolezza di essere consapevoli, ossia la consapevolezza di sé (Kandel), è quindi la capacità di prestare attenzione e di riflettere sulle proprie esperienze nel contesto del nostro vissuto oltre che a focalizzare la nostra attenzione sugli eventi a noi cruciali tagliando l’evento estraneo.
Vi è quindi una unitarietà o unificazione di tutte le nostre esperienze che fa sì che vi sia una loro soggettività (Searle e Nagel ), il diritto assume pertanto la funzione di limitazione organizzativa economica della complessità del soggettivo.
La complessità derivante dal soggettivo determina ansia se concepita inconsciamente come minaccia, solo nel momento in cui ne acquista coscienza il soggetto può attivare i meccanismi di difesa, se tuttavia lo stimolo è elaborato dalla fantasia l’ansia acquista maggiore intensità. In questo scenario il diritto come ripetitività preordinata, ossia consuetudine dell’agire umano acquista una valenza non solo economica di riduzione dell’incertezza negli scambi di beni materiali e servizi, ma anche dell’ansia da conflitto nell’interagire dei rapporti umani.
Gli stati di ansia a cui seguono forme depressive sono disordini dell’emozione scatenati da fattori ambientali, Freud ha osservato che un normale stato di ansia permette di aumentare l’attenzione verso minacce potenziali dando luogo a risposte adattive, l’ansia è quindi fisiologica all’uomo sia in termini istintivi, genetici, che appresa con l’esperienza, tuttavia diventa patologica quando non è più correlata ad una minaccia, ma viene associata nella mente a comportamenti o stimoli neutri. La consuetudine nel ridurre perciò la conflittualità potenziale non riduce solo le occasioni di conflitto ma anche gli stati di ansia, favorendo il controllo delle emozioni negative nei rapporti sociali, questo comporta un rafforzamento della sensazione di sicurezza e quindi di benessere.
Come osservato da Galtung il conflitto presenta tre dimensioni : quella comportamentale relativa alle azioni compiute e osservate dalle parti, quella cognitiva legata agli atteggiamenti e alle percezioni delle parti, quella più propriamente legata al problema effettivo o materiale del conflitto; le tre dimensioni sono interdipendenti si che ogni azione ridefinisce il rapporto negoziale ed il conflitto stesso.
I fattori scatenanti il conflitto possono riguardare fattori individuali, quali valori, atteggiamenti, personalità e giudizi, fattori situazionali, quali grado di interdipendenza, differenze di status, sovrapposizioni o ambiguità di responsabilità e necessità di consenso, o fattori organizzativi, quali quelli da “posizione”, obiettivi, risorse, autorità multipla e da procedure (Tosi – Pilati ).
Comunque nasca il conflitto è un processo, un divenire che ha un antecedente, una percezione e manifestazione, un dopo che può essere risolutivo o premessa per scontri più violenti (Tosi – Pilati), il risultato è un insieme di emozioni che permangono nella coscienza del sé e generano nuovi sentimenti, si crea una storia del vissuto che influenza il divenire sia nell’ampliare la conoscenza che nel creare possibili futuri rancori.
La procedura è un metodo sia per ridurre il potenziale conflittuale fra le parti, contenendo lo spazio per la negoziazione fra gli individui, sia per ridurre l’arbitrio del decisore sul divenire del processo e sulla sua costruzione, secondo la matrice procedimentale romano-canonica per cui all’oralità subentrò la forma scritta, il giudice venne vincolato da precise norme, mentre il processo era diviso in fasi nettamente distinte da ben individuati atti, la rigidità normativa accentuata dalla evoluzione storica politico – amministrativa, quale espressione dell’autocrazia imperiale e teologale, da qui la necessità nella cultura commerciale politica latina dell’interpretazione esasperata della parola, fino ad arrivare alla relatività del sofismo nella disperata ricerca del recupero di uno spazio di elasticità o libertà di azione, contrapposta all’esasperante rigidità militare della norma stessa.
Tuttavia la procedimentalizzazione di per sé non può eliminare il conflitto, il quale diventa negativo nel preciso momento in cui si radicalizza senza soluzione, anche a causa di una sua mancata gestione, come da più parti sostenuto una certa conflittualità a bassa intensità è fisiologica a qualsiasi organizzazione biologica o sociale che sia, infatti è l’intensità, causata anche dalla mancanza di meccanismi di coordinamento e integrazione, che porta a trasformare un confronto in conflitto e guerra (Tosi – Pilati).
Se la conoscenza è il principio creativo della realtà nell’essere umano (Bergson), un trascendere l’atto di conoscenza stessa dell’oggetto dell’evento personalizzandolo (Husserl), tanto da diventare la struttura relazionale che caratterizza l’esistenza umana fino a diventare un progetto del mondo (Heidegger), la comunicazione ne diventa elemento fondamentale per la formazione della conoscenza e quindi della coscienza di sé, questa tuttavia può essere anche dubbio, senso di indeterminazione che preme verso una determinazione, un sistema di significati propri di una formazione sociale (Dewey).
La coscienza del singolo, ognuna diversa, diventa anche elemento ordinatore del caos attraverso la conflittualità/confronto a bassa intensità; l’equilibrio rotto dall’agire della moltitudine viene rimodulato in un equilibrio provvisorio, dall’ordine al disordine, ma anche all’auto-organizzazione (Rubi).
______________
Bibliografia
A. R. Damasio, Emozione e coscienza, Adelphi 2005;
J. E. Le Doux, Il cervello emotivo alle origini delle emozioni, Baldini & Castoldi 2003;
J. R. Searle, La mente, Cortina 2005;
E. R. Kandel, Alla ricerca della memoria, Codice ed. 2007;
J. Galtung, Pace con mezzi pacifici, Esperia 1996;
J. M. Rubi, La lunga mano della seconda legge, Le Scienze, 68/73, 485, gennaio 2009;
H. L. Tosi – M. Pilati, Comportamento organizzativo, Egea 2008;
A. Abbagnano, Storia della filosofia, vol. III, Utet 1974;
P. Bairati, Storia della filosofia ed esperienza in Dewey, Rivista di filosofia, LXI, 1970, 48-70.

Per riflettere un pò ......

Coscienza e conflitto nel diritto
di Sergio Sabetta

Che cosa è la coscienza?
Essa è la consapevolezza di essere consapevoli, ossia la consapevolezza di sé (Kandel), è quindi la capacità di prestare attenzione e di riflettere sulle proprie esperienze nel contesto del nostro vissuto oltre che a focalizzare la nostra attenzione sugli eventi a noi cruciali tagliando l’evento estraneo.
Vi è quindi una unitarietà o unificazione di tutte le nostre esperienze che fa sì che vi sia una loro soggettività (Searle e Nagel ), il diritto assume pertanto la funzione di limitazione organizzativa economica della complessità del soggettivo.
La complessità derivante dal soggettivo determina ansia se concepita inconsciamente come minaccia, solo nel momento in cui ne acquista coscienza il soggetto può attivare i meccanismi di difesa, se tuttavia lo stimolo è elaborato dalla fantasia l’ansia acquista maggiore intensità. In questo scenario il diritto come ripetitività preordinata, ossia consuetudine dell’agire umano acquista una valenza non solo economica di riduzione dell’incertezza negli scambi di beni materiali e servizi, ma anche dell’ansia da conflitto nell’interagire dei rapporti umani.
Gli stati di ansia a cui seguono forme depressive sono disordini dell’emozione scatenati da fattori ambientali, Freud ha osservato che un normale stato di ansia permette di aumentare l’attenzione verso minacce potenziali dando luogo a risposte adattive, l’ansia è quindi fisiologica all’uomo sia in termini istintivi, genetici, che appresa con l’esperienza, tuttavia diventa patologica quando non è più correlata ad una minaccia, ma viene associata nella mente a comportamenti o stimoli neutri. La consuetudine nel ridurre perciò la conflittualità potenziale non riduce solo le occasioni di conflitto ma anche gli stati di ansia, favorendo il controllo delle emozioni negative nei rapporti sociali, questo comporta un rafforzamento della sensazione di sicurezza e quindi di benessere.
Come osservato da Galtung il conflitto presenta tre dimensioni : quella comportamentale relativa alle azioni compiute e osservate dalle parti, quella cognitiva legata agli atteggiamenti e alle percezioni delle parti, quella più propriamente legata al problema effettivo o materiale del conflitto; le tre dimensioni sono interdipendenti si che ogni azione ridefinisce il rapporto negoziale ed il conflitto stesso.
I fattori scatenanti il conflitto possono riguardare fattori individuali, quali valori, atteggiamenti, personalità e giudizi, fattori situazionali, quali grado di interdipendenza, differenze di status, sovrapposizioni o ambiguità di responsabilità e necessità di consenso, o fattori organizzativi, quali quelli da “posizione”, obiettivi, risorse, autorità multipla e da procedure (Tosi – Pilati ).
Comunque nasca il conflitto è un processo, un divenire che ha un antecedente, una percezione e manifestazione, un dopo che può essere risolutivo o premessa per scontri più violenti (Tosi – Pilati), il risultato è un insieme di emozioni che permangono nella coscienza del sé e generano nuovi sentimenti, si crea una storia del vissuto che influenza il divenire sia nell’ampliare la conoscenza che nel creare possibili futuri rancori.
La procedura è un metodo sia per ridurre il potenziale conflittuale fra le parti, contenendo lo spazio per la negoziazione fra gli individui, sia per ridurre l’arbitrio del decisore sul divenire del processo e sulla sua costruzione, secondo la matrice procedimentale romano-canonica per cui all’oralità subentrò la forma scritta, il giudice venne vincolato da precise norme, mentre il processo era diviso in fasi nettamente distinte da ben individuati atti, la rigidità normativa accentuata dalla evoluzione storica politico – amministrativa, quale espressione dell’autocrazia imperiale e teologale, da qui la necessità nella cultura commerciale politica latina dell’interpretazione esasperata della parola, fino ad arrivare alla relatività del sofismo nella disperata ricerca del recupero di uno spazio di elasticità o libertà di azione, contrapposta all’esasperante rigidità militare della norma stessa.
Tuttavia la procedimentalizzazione di per sé non può eliminare il conflitto, il quale diventa negativo nel preciso momento in cui si radicalizza senza soluzione, anche a causa di una sua mancata gestione, come da più parti sostenuto una certa conflittualità a bassa intensità è fisiologica a qualsiasi organizzazione biologica o sociale che sia, infatti è l’intensità, causata anche dalla mancanza di meccanismi di coordinamento e integrazione, che porta a trasformare un confronto in conflitto e guerra (Tosi – Pilati).
Se la conoscenza è il principio creativo della realtà nell’essere umano (Bergson), un trascendere l’atto di conoscenza stessa dell’oggetto dell’evento personalizzandolo (Husserl), tanto da diventare la struttura relazionale che caratterizza l’esistenza umana fino a diventare un progetto del mondo (Heidegger), la comunicazione ne diventa elemento fondamentale per la formazione della conoscenza e quindi della coscienza di sé, questa tuttavia può essere anche dubbio, senso di indeterminazione che preme verso una determinazione, un sistema di significati propri di una formazione sociale (Dewey).
La coscienza del singolo, ognuna diversa, diventa anche elemento ordinatore del caos attraverso la conflittualità/confronto a bassa intensità; l’equilibrio rotto dall’agire della moltitudine viene rimodulato in un equilibrio provvisorio, dall’ordine al disordine, ma anche all’auto-organizzazione (Rubi).
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Bibliografia
A. R. Damasio, Emozione e coscienza, Adelphi 2005;
J. E. Le Doux, Il cervello emotivo alle origini delle emozioni, Baldini & Castoldi 2003;
J. R. Searle, La mente, Cortina 2005;
E. R. Kandel, Alla ricerca della memoria, Codice ed. 2007;
J. Galtung, Pace con mezzi pacifici, Esperia 1996;
J. M. Rubi, La lunga mano della seconda legge, Le Scienze, 68/73, 485, gennaio 2009;
H. L. Tosi – M. Pilati, Comportamento organizzativo, Egea 2008;
A. Abbagnano, Storia della filosofia, vol. III, Utet 1974;
P. Bairati, Storia della filosofia ed esperienza in Dewey, Rivista di filosofia, LXI, 1970, 48-70.

La rivalutazione dei beni d'impresa: è stata "riproposta" con la manovra 2008/2009

Manovra economica 2008/2009: rivalutazione dei beni immobili d’impresa
Articolo di Giuseppe Zambon 25.02.2009
in http://www.altalex.com/

Con i commi da 16 a 23 dell’art. 15 del D.L. 185/2008 (c.d. decreto “anticrisi”) è riproposta la rivalutazione dei beni d’impresa, ma solo per i beni immobili (fabbricati e terreni sia strumentali sia non strumentali) con l’esclusione di quelli classificati quali beni merce (alla cui produzione o al cui scambio è diretta l’attività dell’impresa) e delle aree edificabili. Il legislatore nell’ultimo comma dedicato alla rivalutazione richiama, in quanto applicabili, gli articoli 11, 13 e 15 dell’ultima disposizione di rivalutazione, il collegato alla Finanziaria 2000 - Legge n. 342 del 21 novembre 2000 (i cui termini erano già stati riaperti dalle leggi Finanziarie 2002 e 2006, con modifiche, e 2004 senza modifiche), e le disposizioni attuative dei decreti ministeriali 162/2001 e 86/2002. A queste disposizioni, quindi, mi rifarò nel commento.
In linea generale la rivalutazione dei beni non è ammessa dal Codice civile.
L’art. 2426 stabilisce, infatti, che le immobilizzazioni devono essere iscritte in bilancio al costo d’acquisto o di produzione; deroghe a tale criterio sono consentite solo in casi eccezionali e in particolar modo quando previste da specifiche disposizioni di legge, come nel nostro caso.
La finalità che si intende perseguire con le disposizioni sulla rivalutazione è quella di permettere, ai soggetti ammessi dalla norma, in deroga appunto all’art. 2426 del Codice civile, l’adeguamento ai valori effettivi della rappresentazione contabile dei beni immobili, permettendo altresì il riconoscimento fiscale di detti maggiori valori mediante il sostenimento di un costo fiscale ridotto rispetto alla tassazione che sarebbe normalmente applicabile. E' quindi ammessa anche una rivalutazione effettuata ai soli fini civilistici senza esborso di imposte sostitutive per il riconoscimento fiscale.
Vediamo più nel dettaglio come funziona questa nuova rivalutazione:
SOGGETTIAMMESSI: come previsto dal comma 16, dell’art. 15 del cosiddetto decreto “anticrisi”, alle disposizioni sulla rivalutazione sono ammesse, se residenti nel territorio dello Stato, le S.p.a., le S.a.p.a., le S.r.l., le società cooperative, le società di mutua assicurazione e gli enti pubblici e privati diversi dalle società che hanno per oggetto esclusivo o principale l’esercizio di attività commerciali [soggetti di cui all’art. 73, c. 1, lett. a) e b) del T.U.I.R.]; sono inoltre ammesse per espressa previsione legislativa, sempre se residenti, le S.n.c., le S.a.s. e le società ad esse equiparate (sono escluse soltanto le società semplici, così come precisato dalla C.M. 5/E del 26.01.2001).
La rivalutazione può essere eseguita solo se NON sono stati adottati i principi contabili internazionali (IAS), in quanto, in questo caso, i valori contabili sono già stati adeguati al valore normale (fair value), generando un disallineamento civilistico/fiscale per il quale è già prevista una norma di affrancamento.
Fin qui l’elenco dei soggetti che parrebbe esaustivo, operato dal legislatore nel primo degli otto commi che, nell’art. 15 del Decreto Legge 185/2008, si occupano di disciplinare la rivalutazione facoltativa dei beni immobili.
Utilizzando la tecnica legislativa del rinvio, però, nel comma 23 è richiamato, tra gli altri, in quanto applicabile, l’art. 15 della Legge n. 342/2000; all’epoca l’art. 10 di detta legge individuava i soggetti destinatari della rivalutazione nelle sole società di capitali ed enti commerciali residenti e con l’art. 15, intitolato “Ulteriori soggetti ammessi alle rivalutazioni”, venivano attratti al beneficio le ditte individuali, le società personali, gli enti non commerciali e i soggetti non residenti che esercitano attività commerciali in Italia senza stabile organizzazione, indipendentemente dal regime contabile applicato (ordinario o semplificato). La stessa Circolare 207/2000 commentando il c.d. collegato alla Finanziaria 2000, spiegava che destinatari erano i soggetti titolari di reddito d’impresa senza alcuna distinzione della forma giuridica con la quale l’attività veniva esercitata. Giacché nulla è detto al proposito nella relazione illustrativa al D.L. 185/2008, chiedevamo una netta presa di posizione da parte dell’Agenzia per ammettere o escludere dalla disposizione di rivalutazione i soggetti elencati nell’art. 15 della Legge 342/2000 e non inclusi nel comma 16 dell’art. 15 del c.d. decreto “anticrisi”, giacché la norma, in virtù del richiamo legislativo, sembra diretta anche a costoro.
Un ulteriore elemento a conferma della possibilità di rivalutare gli immobili per le ditte individuali è contenuto nel comma 21 dell’art. 15 del D.L. 185/2008, laddove è contemplata la possibilità di destinazione al consumo personale o familiare dell’imprenditore degli immobili rivalutati.
L'Agenzia delle Entrate è intervenuta nel corso della videoconferenza di Italia Oggi del 17/01/2009 confermando quanto già affermato nella circolare 207/2000 stante il rinvio effettuato dall'art. 23 del decreto in esame all'art. 15 della L. 342/2000 ammettendo, quindi, alla rivalutazione anche le imprese individuali, gli enti non commerciali e i soggetti non residenti che esercitano attività commerciali in Italia senza stabile organizzazione; ininfluente è poi i regime contabile applicato (ordinario o semplificato).In caso di diritto di superficie la facoltà di rivalutazione spetta, qualora il bene sia comunque relativo all’impresa, al titolare di tale diritto reale (Circolare Agenzia Entrate n. 6/E del 13.02.2006 - risposta 6.7). Il D.M. 162/2001 ammette alla rivalutazione anche le imprese in liquidazione volontaria1 (salvo il recupero a tassazione ordinaria nel caso di distribuzione del saldo di rivalutazione) e, in luogo dei concedenti, gli affittuari e usufruttuari che, in base alle scelte negoziali adottate, deducono gli ammortamenti nell’ambito dei contratti di affitto o usufrutto d’azienda.2
Sono senz’altro esclusi, invece, dall’ambito soggettivo di applicazione della rivalutazione le persone fisiche esercenti lavoro autonomo, arti e professioni, anche in forma associata, le persone fisiche esercenti attività agricola che produce reddito fondiario e non d’impresa e gli enti non commerciali per i beni relativi all’attività istituzionale; sono escluse, inoltre, le imprese sottoposte a procedure concorsuali (Circolare Assonime n. 13/2001).
BENI RIVALUTABILI: la possibilità di rivalutazione è prevista per tutti gli immobili patrimonializzati tra le immobilizzazioni (sono quindi esclusi quelli considerati beni merce e patrimonializzati nelle rimanenze d‘esercizio), strumentali e non strumentali con la sola esclusione delle aree fabbricabili, risultanti dal bilancio in corso al 31.12.2007 ovvero acquisiti entro tale data in caso di contabilità semplificata. Sono, pertanto, rivalutabili:
Fabbricati strumentali per destinazione: qualunque categoria catastale, purché utilizzati direttamente dall‘impresa;
Fabbricati strumentali per natura: solo categorie catastali A/10 - C - D - E, se non direttamente dall’impresa;
Fabbricati non strumentali: solo categorie catastali da A1 ad A11 escluso A10, se non utilizzati direttamente dall’impresa;
Terreni agricoli o comunque NON a destinazione edificatoria: allo scopo si ricorda la recente interpretazione restrittiva che il legislatore ha fornito per il concetto di area edificabile. Infatti il decreto legge 223/2006 (art. 36, c. 2) ha stabilito che, ai fini dell’Iva, dell’imposta di registro, delle imposte sui redditi e dell’Ici, «un’area è da considerare fabbricabile se utilizzabile a scopo edificatorio in base allo strumento urbanistico generale adottato dal Comune, indipendentemente dall’approvazione della Regione e dall’adozione di strumenti attuativi del medesimo». In altri termini, per qualificare un’area come edificabile è sufficiente che:
l’utilizzabilità edificatoria dell’area risulti dal Piano regolatore generale del Comune o da un altro strumento urbanistico equipollente;
lo strumento urbanistico sia solamente «adottato» dal Comune.
Pertanto, per considerare, sotto il profilo fiscale, un’area come edificabile, non occorre che:
l’area sia immediatamente edificabile: non occorre cioè che la potenzialità edificatoria sia attuale ma è sufficiente che si tratti di un’edificabilità potenziale;
l’area sia inserita anche in un piano attuativo;
il piano regolatore sia approvato oltre che adottato: l’approvazione è il momento finale dell’iter che conduce all’entrata in vigore di uno strumento urbanistico, mentre l’adozione è uno stadio intermedio che evidenzia la volontà comunale, ma che non ha il crisma della definitività.
TEMPISTICA, MODALITA‘ E REGOLE: la rivalutazione deve essere eseguita nel bilancio (rendiconto per gli enti) dell’esercizio successivo a quello in corso al 31.12.2007, il cui termine di approvazione (ovviamente sempre che la stessa sia dovuta) scade dopo il 29 novembre 2008 (quindi nel bilancio relativo al 2008 per i soggetti con esercizio coincidente con l’anno solare).
E’ previsto l’obbligo di rivalutare tutti i beni immobili appartenenti alla medesima categoria omogenea; le categorie individuate dal legislatore sono due:
BENI IMMOBILI AMMORTIZZABILI: tipicamente i fabbricati strumentali per natura e per destinazione;
BENI IMMOBILI NON AMMORTIZZABILI: tipicamente i fabbricati non strumentali e i terreni, con l’esclusione per questi ultimi di quelli che, purché non edificabili, appartengono ad imprese che operano in particolari settori di attività quali le industrie dei trasporti e delle telecomunicazioni (Gruppo 19 del D.M. 31,12,1998 specie I, II, III, IV, V, XII) e quelli che, in quanto strumentali per l’esercizio dell’impresa e purché non edificabili, sono sottratti alla loro naturale destinazione e partecipano al processo produttivo (in questa casistica rientrano i terreni permanentemente adibiti da imprese edili a deposito di materiale).
Nel caso in cui alcune unità immobiliari, pur incluse in una delle due precedenti categorie omogenee, sia illegittimamente esclusa dalla rivalutazione, la conseguenza sarà il disconoscimento degli effetti fiscali della rivalutazione per tutti gli altri immobili appartenenti alla medesima categoria omogenea e il recupero a tassazione dei maggiori ammortamenti effettuati o delle minori plusvalenze o maggiori minusvalenze dichiarate applicando le sanzioni previste per l’infedele dichiarazione (Circolare n. 57/E del 18/06/2001).
Come già scritto anche nel paragrafo precedente, i beni immobili rivalutabili devono risultare dal bilancio in corso al 31.12.2007.
La formulazione legislativa è decisamente infelice (e non risulta modificata in sede di conversione) perché, anche se dal prosieguo del testo si comprende comunque l’intenzione del legislatore, non esiste un bilancio “in corso”, ma eventualmente un esercizio in corso: l’art. 10 della Legge 342/2000, infatti, più correttamente recitava: “risultanti dal bilancio relativo all’esercizio chiuso entro il 31 dicembre 1999”; nella norma attuale, quindi, il testo corretto sarebbe: “risultanti dal bilancio dell’esercizio in corso al 31.12.2007”.
L’art. 2, c. 1, del D.M. 162/2001 prevedeva che la destinazione dei beni risultanti nel bilancio relativo all’esercizio di riferimento (2007) dovevano risultare anche dal bilancio o rendiconto, in relazione al quale la rivalutazione era effettuata (2008); stabiliva, inoltre, che si possono rivalutare i beni posseduti alla fine dell’esercizio con riferimento al quale viene eseguita la rivalutazione (2008), acquisiti fino al termine dell’esercizio in corso alla data del periodo di riferimento (2007).
Il comma 3 del medesimo articolo 2 considerava avvenuta l’acquisizione dei beni alla data del trasferimento del diritto di proprietà o altro diritto reale o della consegna con clausola di riserva di proprietà, escludendo di fatto i cespiti condotti in locazione finanziaria, ancorché contabilizzati con il sistema finanziario (facoltativo per i soggetti non IAS) anziché con quello patrimoniale previsto dai principi contabili (OIC).3
Conferma in questo senso è venuta dall'Agenzia Entrate, nel corso della videoconferenza di Italia Oggi del 17.01.2009, che ha ribadito il concetto per cui i beni oggetto di contratto di leasing possono essere rivalutati esclusivamente dall'utilizzatore e purché purché il diritto di riscatto sia stato esercitato entro l'esercizio in corso alla data del 31.12.2007.
Dovendo procedere alla rivalutazione nell’esercizio successivo a quello nel quale è prevista l’iscrizione a bilancio, si pone il problema se possa essere rivalutato un bene immobile che nel bilancio di riferimento (2007) sia iscritto in modo tale da possedere i requisiti richiesti dalla norma e nell’esercizio successivo (2008) ne sia stata modificata la classificazione, perdendo i requisiti o transitando dal gruppo omogeneo dei beni ammortizzabili a quello dei non ammortizzabili. L’Amministrazione finanziaria ha già avuto modo di esprimere il proprio parere nella Circolare n. 57/E del 18.06.2001, dove ha chiarito che i requisiti di appartenenza alle diverse categorie omogenee di immobili sono quelli esistenti alla data della chiusura del bilancio in cui la rivalutazione è eseguita (2008), ferma restando la loro ininterrotta collocazione tra le immobilizzazioni materiali dell’esercizio di riferimento (2007) e dell’esercizio nel cui bilancio la rivalutazione è effettuata (2008). Non è pertanto possibile rivalutare un immobile classificato tra i beni merce nel 2008 anche se era immobilizzato nel 2007 e viceversa, ovvero un terreno che era agricolo nel 2007 divenuto edificabile nel 2008, mentre dovrebbe essere il bilancio 2008 a decidere la categoria omogenea di appartenenza (ammortizzabili o non ammortizzabili).
Anche per l'attuale rivalutazione l'Agenzia Entrate ha confermato quanto già affermato con la circolare n. 57/E del 2001 sopra citata, nel corso della videoconferenza di Italia Oggi del 17.01.2009
Per individuare il valore economico costituente il limite massimo alla rivalutazione, l’art. 11, c. 2, della Legge n. 342/2000 pone due criteri alternativi:
da un lato, il criterio del cosiddetto valore interno, basato sulla consistenza dei beni, sulla loro capacità produttiva e sulla loro effettiva possibilità di economica utilizzazione nell’impresa;
dall’altro, il criterio del valore di mercato, basato sui valori correnti e sulle quotazioni rilevate in mercati regolamentati italiani o esteri.
La rivalutazione degli immobili facenti parte di ciascuna categoria omogenea deve essere eseguita sulla base di un unico criterio per tutti gli immobili ad essa appartenenti (art. 4, c. 8, D.M. 162/2001).
I valori rivalutati iscritti in bilancio e nell’inventario non possono in nessun caso superare quelli effettivamente attribuibili, individuati con i criteri di cui sopra. In altre parole il limite massimo della rivalutazione è pari al valore di mercato, meno il valore netto contabile, diminuito anche della quota di ammortamento figurativo dell’anno 2008 calcolato sul valore non rivalutato.
L’art. 6 del D.M. 162/2001, richiamato dalla norma attuale, specifica ancora meglio tale concetto denominandolo “Limite economico della rivalutazione” e stabilendo che il valore netto del bene risultante dal bilancio nel quale la rivalutazione è eseguita, incrementato della maggiore quota di ammortamento derivante dal valore rivalutato, non può superare il valore d’uso o di mercato. Ciò significa che il valore netto del bene immobile, ottenuto stanziando la quota di ammortamento calcolata sul costo storico ante rivalutazione, rappresenta il massimo consentito.
ESEMPIO:
Supponiamo l’esistenza di un immobile iscritto in bilancio per il costo storico di euro 100.000 da 10 anni e mai rivalutato, con coefficiente di ammortamento del 3% e fondo ammortamento al 31.12.2007 pari ad euro 30.000 e conseguente valore netto contabile di euro 70.000.
Supponiamo altresì che oggi il suo valore sul mercato immobiliare sia pari ad euro 200.000. Il limite massimo di rivalutazione dovrà essere così calcolato:
LIMITE MASSIMO DI RIVALUTAZIONE: € 200.000,00 (valore di mercato) - € 70.000,00 (valore netto contabile) + € 3.000,00 (quota figurativa di ammortamento del 3% sul costo ante rivalutazione) = € 133.000
Conseguentemente avremo:
VALORE RIVALUTATO DELL’IMMOBILE: € 233.000 (100.000 + 133.000)
F.DO AMM.TO POST RIVALUTAZIONE: € 36.990 (30.000 + 6.990 quota sul valore rivalutato)
VALORE NETTO CONTABILE POST RIVALUTAZIONE: € 196.010 (233.000 - 36.990)
Risulta quindi soddisfatta l’equazione secondo la quale il nuovo valore netto contabile (196.010) già aumentato della quota di ammortamento calcolata sul nuovo valore di bilancio, non supera il valore di mercato (200.000)
Sempre il D.M. 162/2001 all’art. 5 si occupa anche delle tecniche contabili da utilizzare per rilevare l’avvenuta rivalutazione e, nel rispetto dei criteri civilistici, indica tre possibili criteri di contabilizzazione (vedi esempi in appendice):
Rivalutare sia i valori dell’attivo lordo sia i relativi fondi di ammortamento, utilizzando un unico coefficiente di rivalutazione, in modo da mantenere invariata la durata del processo di ammortamento e la misura dei coefficienti applicati. Tale modalità è consigliata dallo IAS 16 e dal principio contabile nazionale OIC 16; (rivalutazione di tipo monetario).
Rivalutare solo i valori dell’attivo lordo senza operare specularmente anche sui relativi fondi, allungando di conseguenza il relativo periodo di ammortamento; (rivalutazione di tipo economico).
Ridurre in tutto o in parte i fondi di ammortamento, modalità da utilizzarsi quando gli ammortamenti contabilizzati negli anni precedenti siano stati eccedenti rispetto a quelli fisiologici, ad esempio perché si è fruito in larga misura degli ammortamenti anticipati.
L’Agenzia delle Entrate nella Circolare 57/E del 18.06.2001, ha avuto modo di affermare che all’interno della medesima categoria omogenea possono essere utilizzate modalità contabili differenti a seconda dei beni rivalutati, tuttavia, sempre all’interno della stessa categoria deve essere utilizzato lo stesso criterio di rivalutazione (es. valore di mercato, valore interno di utilizzo, ecc.), come già evidenziato precedentemente.
Anche i beni immobili completamente ammortizzati possono essere rivalutati, purché risultino ancora iscritti in bilancio, nel rendiconto o nel libro cespiti per i soggetti in contabilità semplificata, sempre nel limite del valore di mercato, dell’effettiva possibilità di utilizzazione e della capacità produttiva (art. 2, c. 2, D.M. 162/2001). La rivalutazione di questi immobili comporta implicitamente la “riapertura” del piano di ammortamento, cioè l’allungamento della vita utile stimata del bene.
Il Ministero dell’Economia e delle Finanze lascia, quindi, aperte tutte le possibilità contabili e rinvia ai criteri civilistici per l’adozione della scelta più corretta, non ritenendo opportuno e nemmeno possibile regolare con norme di carattere fiscale, delle valutazioni di carattere squisitamente aziendale.
Gli amministratori e il collegio sindacale (qualora esistente) devono indicare e motivare nelle loro relazioni i criteri seguiti nella rivalutazione delle due categorie di beni ammesse e attestare che la rivalutazione non eccede il limite di valore previsto quale importo massimo rivalutabile (art. 11, c. 3, Legge 342/2000).
Al riguardo l’Assonime con la Circolare n. 13/2001, ha precisato che per poter attestare che i maggiori valori emersi in sede di rivalutazione non superino il valore economico dei beni interessati, i membri del collegio sindacale dovranno acquisire dagli amministratori informazioni in merito alle modalità seguite per la stima dei beni stessi.
Inoltre, pur non essendo obbligatoriamente richiesta, trattandosi di immobili si ritiene opportuno far redigere una perizia, salvo che i beni stessi non siano oggetto di contratti preliminari, potendosi in quel caso rifarsi al prezzo contrattualmente pattuito.
Per i soggetti in contabilità ordinaria la rivalutazione deve essere annotata nella nota integrativa (per le società di capitali e gli enti che la devono redigere) e nell’inventario relativo all’esercizio in cui la rivalutazione viene eseguita dove deve essere indicato anche il prezzo di costo, con le eventuali rivalutazioni operate in conformità a precedenti leggi di rivalutazione, dei beni rivalutati (articolo 11, commi 1 e 4, Legge 342/2000)
Per i soggetti in contabilità semplificata, la rivalutazione potrà essere effettuata per i beni che risultino acquisiti entro il 31 dicembre 2007 dai registri di cui agli articoli 16 (beni ammortizzabili) e 18 (registri IVA integrati ai fini delle imposte dirette) del DPR 600/73 e successive modificazioni. La rivalutazione è consentita a condizione che venga redatto un apposito prospetto bollato e vidimato che dovrà essere presentato, a richiesta, all’amministrazione finanziaria, dal quale risultino i prezzi di costo e la rivalutazione compiuta (art. 15, c. 2, Legge 342/2000)
Dell’avvenuta rivalutazione bisognerà darne conto all'Agenzia delle Entrate nel prossimo Modello UNICO/2009 compilando il quadro RQ.
SALDO ATTIVO DI RIVALUTAZIONE:
Il saldo attivo lordo risultante dalle rivalutazioni eseguite, per i soggetti in contabilità ordinaria, deve essere imputato a capitale o accantonato in una speciale riserva in sospensione d’imposta intitolata al D.L. 185/2008; detta riserva dovrà essere ridotta dell’imposta sostitutiva eventualmente assolta per il riconoscimento fiscale dei maggiori valori (vedi paragrafo successivo), determinando il saldo attivo netto; l’imposta sostitutiva costituisce un debito tributario ed è indeducibile (questa imposta, quindi, non transita nel conto economico, ma viene rilevata direttamente come debito in diminuzione della riserva di rivalutazione).
L’art. 13 della Legge n. 342/2000, richiamato in quanto applicabile dal D.L. 185/2008, stabiliva che, in assenza di affrancamento (vedi paragrafo successivo):
La riserva, ove non venga imputata a capitale, può essere ridotta soltanto con l’osservanza delle disposizioni dei commi secondo e terzo dell’articolo 2445 del codice civile e cioè:
Comma 2: L’avviso di convocazione dell’assemblea deve indicare le ragioni e le modalità della riduzione. La riduzione deve comunque effettuarsi con modalità tali che le azioni proprie eventualmente possedute dopo la riduzione non eccedano la decima parte del capitale sociale.
Comma 3: La deliberazione può essere eseguita soltanto dopo novanta giorni dal giorno dell’iscrizione nel registro delle imprese, purché entro questo termine nessun creditore sociale anteriore all’iscrizione abbia fatto opposizione.
In caso di utilizzazione della riserva a copertura di perdite, non si può fare luogo a distribuzione di utili fino a quando la riserva non è integrata o ridotta in misura corrispondente con deliberazione dell’assemblea straordinaria, non applicandosi le disposizioni dei commi secondo e terzo dell’art. 2445 del codice civile.
Se il saldo attivo viene attribuito ai soci o ai partecipanti mediante riduzione della riserva ovvero mediante riduzione del capitale sociale o del fondo di dotazione o del fondo patrimoniale, le somme attribuite ai soci o ai partecipanti, aumentate dell’imposta sostitutiva corrispondente all’ammontare distribuito, concorrono a formare il reddito imponibile della società o dell’ente e il reddito imponibile dei soci o dei partecipanti. In caso di attribuzione, inoltre, si considera che le riduzioni del capitale deliberate dopo l’imputazione a capitale delle riserve di rivalutazione, comprese quelle già iscritte in bilancio a norma di precedenti leggi di rivalutazione, abbiano anzitutto per oggetto, fino al corrispondente ammontare, la parte del capitale formata con l’imputazione di tali riserve.
Considerato che la rivalutazione deve essere operata sul valore contabile residuo del bene, inteso come costo storico al netto degli ammortamenti effettuati (per i soggetti che eseguono la riclassificazione del bilancio in forma U.E., sostanzialmente è l’importo ivi esposto), per saldo attivo lordo si intende la differenza tra valore rivalutato e valore contabile residuo.
Nell’esempio riportato nel precedente riquadro, il saldo attivo lordo è così determinato:
VALORE DI BILANCIO 100.000FONDO AMMORTAMENTO 30.000VALORE CONTABILE NETTO 70.000
VALORE DI MERCATO 200.000VALORE CONTABILE NETTO 70.000SALDO ATTIVO DI RIVALUTAZIONE (lordo) 130.000
L’evidenziazione ed utilizzazione del saldo attivo richiede la redazione di un bilancio e, dunque, non può essere applicata dai soggetti in contabilità semplificata; per costoro, in assenza di un bilancio che dia evidenza contabile al patrimonio dell’impresa, le informazioni relative alle rivalutazioni dovranno risultare (come visto nel precedente paragrafo) da un prospetto che dovrà evidenziare solo i prezzi di costo e le rivalutazioni operate. Ne consegue, pertanto, che l’ipotesi della tassabilità della distribuzione del saldo attivo non affrancato (vedi paragrafo successivo) non è applicabile ai soggetti in contabilità semplificata (Circolare Agenzia Entrate n. 5/E del 26.01.2001)
Se l’impresa, dopo la rivalutazione, modifica il proprio regime contabile gli effetti fiscali del saldo attivo di rivalutazione (che non sia stato affrancato) vengono definiti dalla Circolare n. 57/2001 e sono i seguenti:
Passaggio dalla contabilità ordinaria alla semplificata: la riserva di rivalutazione aumentata dell’imposta sostitutiva concorre a formare il reddito imponibile nel primo esercizio di applicazione del nuovo regime di contabilità;
Passaggio dalla contabilità semplificata all’ordinaria: l’iscrizione in contabilità dei bei rivalutati non comporta la ricostruzione di alcuna riserva di rivalutazione.
IMPOSTE SOSTITUTIVE PER IL RICONOSCIMENTO FISCALE DEI MAGGIORI VALORI E PER L’AFFRANCAMENTO DELLA RISERVA:
La rivalutazione dei beni immobili in deroga alle norme del Codice civile, ha inizialmente riflessi solo civilistici di adeguamento dei valori contabili a quelli di mercato, al fine di rappresentare meglio la reale patrimonializzazione dell’azienda e aumentare il patrimonio netto contabile A COSTO ZERO (senza benefici fiscali).
Riconoscimento fiscale: Dopo le modifiche introdotte in sede di conversione del D.L. 185/2008, il maggior valore attribuito ai beni in sede di rivalutazione, può essere riconosciuto anche ai fini fiscali (imposte sui redditi e Irap) a decorrere dal quinto (precedentemente terzo) esercizio successivo a quello in cui è avvenuta la rivalutazione (2013), mediante il versamento di un’imposta sostitutiva dell’Irpef, dell’Ires, dell’Irap e di eventuali addizionali, nella misura del 7% (precedentemente 10%) per gli immobili ammortizzabili e del 4% (precedentemente 7%) per quelli non ammortizzabili. Nel caso di cessione a titolo oneroso, di assegnazione ai soci, di destinazione a finalità estranee all’esercizio dell’impresa ovvero al consumo personale o familiare dell’imprenditore, degli immobili rivalutati, prima dell’inizio del sesto (precedentemente quarto) anno successivo a quello in cui è avvenuta la rivalutazione (2014), ai fini del calcolo di plusvalenze o minusvalenze si ha riguardo al valore dell’immobile prima della rivalutazione. In altri termini si prescinde dal valore rivalutato e si torna al precedente valore di bilancio. L'Agenzia Entrate, nel corso della videoconferenza di Italia Oggi del 17.01.2009, ha affermato che la condizione del trasferimento giuridico del diritto alla proprietà del bene si ritiene verificata anche nel caso in cui l'immobile fosse oggetto di un'operazione di sale and lease back. In tutti i casi di trasferimento della proprietà prima del decorso del periodo di osservazione, al soggetto che ha effettuato la rivalutazione è attribuito un credito d’imposta pari all’ammontare dell’imposta sostitutiva riferita ai bene trasferito anzitempo (Art. 3, c. 3, D.M. 86/2002). L’ammontare del credito d’imposta non transita dal conto economico, ma come l’imposta sostitutiva pagata deve essere contabilizzato (ovviamente in aumento anziché in diminuzione) nel saldo attivo di rivalutazione, nella misura relativa al maggior valore attribuito ai beni immobili oggetto del trasferimento.
Con il decreto legge soprannominato “decreto incentivi” approvato dal Consiglio dei Ministri del 06.02.2009 e in attesa di pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale, le percentuali dell'imposta sostitutiva vengono ridotte dal 7% al 3% per gli immobili ammortizzabili e dal 4% al 1,5% per gli immobili NON ammortizzabili. Nessuna modifica viene apportata alla durata dei due periodi di sospensione dell'efficacia fiscale necessari per sfruttare i benefici previsti dalla norma. Non viene modificata nemmeno la percentuale di imposta sostitutiva dovuta per affrancare la riserva di rivalutazione in sospensione d'imposta (vedi paragrafo successivo).
Affrancamento della riserva: il saldo attivo di rivalutazione che, come abbiamo visto diventa, per i soggetti in contabilità ordinaria, una riserva in sospensione d’imposta, può essere affrancato con l’applicazione in capo alla società di una imposta sostitutiva dell’Irpef, dell’Ires, dell’Irap e di eventuali addizionali nella misura del 10%. Nessun interesse avranno a fruire dell’affrancamento, i soggetti in contabilità semplificata in quanto, come visto al paragrafo precedente non vi è ipotesi di tassabilità in caso di distribuzione. Poiché le riserve affrancate confluiscono tra quelle di utili, in caso di distribuzione troverà applicazione anche per tali riserve la presunzione di cui all’art. 47, c. 1 T.U.I.R. di prioritaria distribuzione delle riserve di utili rispetto alle riserve di capitali (Circolare Agenzia Entrate n. 6/E del 13.02.2006).
Gli effetti dell’affrancamento devono essere distinti tra società e soci:
Effetti per la società:
la riserva non è più considerata in sospensione d’imposta;
la riserva è liberamente distribuibile tra i soci;
l’eventuale distribuzione non concorre a formare il reddito imponibile della società.
Effetti per i soci partecipanti in soggetti IRES:
soci persone fisiche non imprenditori:
partecipazione qualificata: tassazione sul 49,72% del dividendo distribuito, nel modello UNICO PF;
partecipazione non qualificata: assoggettamento a ritenuta a titolo d’imposta del 12,50%;
soci che detengono la partecipazione nell’ambito dell’attività d’impresa: indipendentemente dal fatto che la partecipazione sia qualificata o non qualificata,concorre alla formazione del reddito il 49,72% del dividendo distribuito;
soci soggetti IRES: concorre alla formazione del reddito il 5% del dividendo distribuito.
Effetti per i soci partecipanti in società di persone:
Considerato che l’eventuale distribuzione non concorre a formare il reddito imponibile della società, nessuna ulteriore tassazione avverrà in capo al socio per trasparenza.
La norma prevede che entrambe le imposte sostitutive possano essere versate, a scelta del contribuente, in unica soluzione o in tre rate annuali di pari importo. La scadenza del versamento in unica soluzione o della prima rata coincide con il termine di versamento del saldo delle imposte sui redditi relative all‘anno con riferimento al quale la rivalutazione è eseguita (20.06.2009), mentre le due rate successive alla prima, maggiorate degli interessi legali del 3% annuo, scadranno con il termine di pagamento del saldo delle imposte sui redditi dei due esercizi successivi (20.06.2010 e 20.06.2011).
Le imposte, in quanto sostitutive di imposte sui redditi e Irap, sono indeducibili e sono compensabili con i crediti utilizzabili in F24.
APPENDICE
ESEMPIO DI REGISTRAZIONI CONTABILI
IMMOBILE ISCRITTO IN BILANCIO DA DIECI ANNI AL SUO VALORE STORICO E MAI RIVALUTATO PRIMA
Valore in bilancio dell’immobile: 100.000
Aliquota ammortamento: 3%
Fondo ammortamento al 10° anno: 30.000 (100.000 * 3%)
Valore netto contabile: 70.000 (100.000 – 30.000)
Valore di mercato: 200.000
Valore netto contabile: 70.000
Saldo attivo di rivalutazione: 130.000
coefficiente di rivalutazione = Valore di mercato / Valore netto contabile = 200.000/ 70.000 = 2,85714
valore bilancio rivalutato = Valore bilancio*coefficiente di rivalutazione = 100.000*2,85714 = 285.714
fondo ammortamento rivalutato = fondo ammortamento*coefficiente di rivalutazione = 30.000 * 2,85714 = 85.714
Valore prima della
Rivalutazione
Valore dopo la
Rivalutazione
Differenza
Valore contabile netto
70.000
200.000
130.000
Valore di bilancio
100.000
285.714
185.714
Fondo ammortamento
30.000
85.714
55.714
1° ipotesi: RIVALUTAZIONE DI TIPO MONETARIO: (iscrizione del maggior valore sia nei costi sia nel fondo ammortamento = invarianza durata processo di ammortamento)
Immobili a # 185.714
Fondo ammortamento 55.714
Riserva di valutazione
D.L. 185/2008 126.100
Debiti v/erario per
Imposta sostitutiva (3%)(*) 3.900
(*) importo così determinato: 130.000 * 3%
Questo metodo permette di mantenere inalterato il periodo di ammortamento fissato per il singolo bene.
Ipotizzando che il coefficiente di ammortamento sia pari al 3% si avrà che:
senza la rivalutazione: sarebbero stati necessari ancora 23,3 anni per giungere al completo ammortamento de valore netto residuo pari a € 70.000
con la rivalutazione: il risultato è analogo: applicando la medesima aliquota (3%) al valore di bilancio rivalutato del cespite ( 285.714) si determina una quota annua di ammortamento pari a 8.571,42 che, moltiplicata per 23,33 (33,33–10), ottiene 200.000 (ovvero il nuovo valore netto del cespite rivalutato).
2° ipotesi: RIVALUTAZIONE DI TIPO ECONOMICO: (iscrizione della rivalutazione solo all’attivo lordo dell’immobile)
Immobili a # 130.000
Riserva di valutazione
D.L. 185/2008 126.100
Debiti v/erario per
Imposta sostitutiva (3%) 3.900
In questo caso la rivalutazione è interamente imputata al costo del cespite, senza influenzare il valore del fondo ammortamento. Di conseguenza si verificherà un allungamento del periodo di ammortamento del bene.
3° ipotesi: (iscrizione della rivalutazione a diretta diminuzione del fondo di ammortamento)
Fondo ammortamento a # 30.000
Riserva di valutazione
D.L. 185/2008 26.100
Debiti v/erario per
Imposta sostitutiva (3%) 3.900
In questo caso il risultato ottenuto è analogo e omologo a quello descritto nella 2° ipotesi (infatti l’immobile continua ad essere iscritto al costo iniziale pari a 100.000 e il fondo ammortamento viene azzerato).
Pertanto:
le quote di ammortamento continuano ad essere conteggiate sul valore in bilancio del bene 100.000;
il processo di ammortamento è allungato.
______________
1 In merito alla possibilità di includere nell’ambito di applicazione soggettivo della norma anche i soggetti sottoposti a procedure concorsuali, si può ipotizzare un differente trattamento per le imprese interessate dalle procedure di liquidazione volontaria, concordato preventivo e amministrazione straordinaria, relativamente alle quali l’inclusione nel novero dei soggetti ammessi alla rivalutazione potrebbe derivare dalla finalità delle procedure che tendono alla continuazione dell’esercizio dell’attività economica, rispetto a quello previsto per le società interessate dalle procedure di fallimento, concordato fallimentare e liquidazione coatta amministrativa la cui esclusione dall’ambito di applicazione soggettivo della norma dovrebbe derivare proprio dalla particolare situazione in cui si trovano. (Circ. Ufficio Studi Consiglio Naz. Rag. Commercialisti, Draft n. 37 del 23/11/2000)
2 Nel caso di affitto e usufrutto d’azienda l’Agenzia delle Entrate ha precisato quanto segue: “Nell’ipotesi in cui non sia stata contrattualmente prevista la deroga alle disposizioni dell’art. 2561 del codice civile, concernenti l’obbligo di conservazione dell’efficienza dei beni ammortizzabili, gli ammortamenti vengono calcolati e dedotti dall’affittuario o usufruttuario e, pertanto, sarà quest’ultimo che potrà effettuare la rivalutazione. Al termine dell’affitto o dell’usufrutto, l’azienda sarà trasferita al concedente, comprensiva dei beni rivalutati e della relativa riserva di rivalutazione, nell’ipotesi in cui quest’ultima non sia stata già utilizzata per copertura di perdite o distribuita. L’imposta sostitutiva riferibile alla riserva trasferita al concedente costituirà per quest’ultimo credito d’imposta usufruibile in caso di distribuzione della stessa. Nell’ipotesi in cui, invece, le parti, in deroga all’art. 2561 del c.c., si siano accordate prevedendo che il concedente continuerà a calcolare gli ammortamenti,la rivalutazione potrà essere effettuata solo da quest’ultimo.” (Circolare n. 57/E del 18/06/2001)
3 Si ricorda che nel punto 22 della Nota integrativa deve essere predisposto un prospetto informativo dei contratti di locazione finanziaria nel quale venga rappresentata l’operazione secondo il metodo finanziario previsto dallo IAS 17; più precisamente devono essere indicati il valore attuale delle rate di canone non scadute, l’onere finanziario effettivo attribuibile all’esercizio e l’ammontare complessivo del valore dei beni che sarebbe stato iscritto nell’attivo patrimoniale, se fossero stati considerati immobilizzi.

La rivalutazione dei beni d'impresa: è stata "riproposta" con la manovra 2008/2009

Manovra economica 2008/2009: rivalutazione dei beni immobili d’impresa
Articolo di Giuseppe Zambon 25.02.2009
in http://www.altalex.com/

Con i commi da 16 a 23 dell’art. 15 del D.L. 185/2008 (c.d. decreto “anticrisi”) è riproposta la rivalutazione dei beni d’impresa, ma solo per i beni immobili (fabbricati e terreni sia strumentali sia non strumentali) con l’esclusione di quelli classificati quali beni merce (alla cui produzione o al cui scambio è diretta l’attività dell’impresa) e delle aree edificabili. Il legislatore nell’ultimo comma dedicato alla rivalutazione richiama, in quanto applicabili, gli articoli 11, 13 e 15 dell’ultima disposizione di rivalutazione, il collegato alla Finanziaria 2000 - Legge n. 342 del 21 novembre 2000 (i cui termini erano già stati riaperti dalle leggi Finanziarie 2002 e 2006, con modifiche, e 2004 senza modifiche), e le disposizioni attuative dei decreti ministeriali 162/2001 e 86/2002. A queste disposizioni, quindi, mi rifarò nel commento.
In linea generale la rivalutazione dei beni non è ammessa dal Codice civile.
L’art. 2426 stabilisce, infatti, che le immobilizzazioni devono essere iscritte in bilancio al costo d’acquisto o di produzione; deroghe a tale criterio sono consentite solo in casi eccezionali e in particolar modo quando previste da specifiche disposizioni di legge, come nel nostro caso.
La finalità che si intende perseguire con le disposizioni sulla rivalutazione è quella di permettere, ai soggetti ammessi dalla norma, in deroga appunto all’art. 2426 del Codice civile, l’adeguamento ai valori effettivi della rappresentazione contabile dei beni immobili, permettendo altresì il riconoscimento fiscale di detti maggiori valori mediante il sostenimento di un costo fiscale ridotto rispetto alla tassazione che sarebbe normalmente applicabile. E' quindi ammessa anche una rivalutazione effettuata ai soli fini civilistici senza esborso di imposte sostitutive per il riconoscimento fiscale.
Vediamo più nel dettaglio come funziona questa nuova rivalutazione:
SOGGETTIAMMESSI: come previsto dal comma 16, dell’art. 15 del cosiddetto decreto “anticrisi”, alle disposizioni sulla rivalutazione sono ammesse, se residenti nel territorio dello Stato, le S.p.a., le S.a.p.a., le S.r.l., le società cooperative, le società di mutua assicurazione e gli enti pubblici e privati diversi dalle società che hanno per oggetto esclusivo o principale l’esercizio di attività commerciali [soggetti di cui all’art. 73, c. 1, lett. a) e b) del T.U.I.R.]; sono inoltre ammesse per espressa previsione legislativa, sempre se residenti, le S.n.c., le S.a.s. e le società ad esse equiparate (sono escluse soltanto le società semplici, così come precisato dalla C.M. 5/E del 26.01.2001).
La rivalutazione può essere eseguita solo se NON sono stati adottati i principi contabili internazionali (IAS), in quanto, in questo caso, i valori contabili sono già stati adeguati al valore normale (fair value), generando un disallineamento civilistico/fiscale per il quale è già prevista una norma di affrancamento.
Fin qui l’elenco dei soggetti che parrebbe esaustivo, operato dal legislatore nel primo degli otto commi che, nell’art. 15 del Decreto Legge 185/2008, si occupano di disciplinare la rivalutazione facoltativa dei beni immobili.
Utilizzando la tecnica legislativa del rinvio, però, nel comma 23 è richiamato, tra gli altri, in quanto applicabile, l’art. 15 della Legge n. 342/2000; all’epoca l’art. 10 di detta legge individuava i soggetti destinatari della rivalutazione nelle sole società di capitali ed enti commerciali residenti e con l’art. 15, intitolato “Ulteriori soggetti ammessi alle rivalutazioni”, venivano attratti al beneficio le ditte individuali, le società personali, gli enti non commerciali e i soggetti non residenti che esercitano attività commerciali in Italia senza stabile organizzazione, indipendentemente dal regime contabile applicato (ordinario o semplificato). La stessa Circolare 207/2000 commentando il c.d. collegato alla Finanziaria 2000, spiegava che destinatari erano i soggetti titolari di reddito d’impresa senza alcuna distinzione della forma giuridica con la quale l’attività veniva esercitata. Giacché nulla è detto al proposito nella relazione illustrativa al D.L. 185/2008, chiedevamo una netta presa di posizione da parte dell’Agenzia per ammettere o escludere dalla disposizione di rivalutazione i soggetti elencati nell’art. 15 della Legge 342/2000 e non inclusi nel comma 16 dell’art. 15 del c.d. decreto “anticrisi”, giacché la norma, in virtù del richiamo legislativo, sembra diretta anche a costoro.
Un ulteriore elemento a conferma della possibilità di rivalutare gli immobili per le ditte individuali è contenuto nel comma 21 dell’art. 15 del D.L. 185/2008, laddove è contemplata la possibilità di destinazione al consumo personale o familiare dell’imprenditore degli immobili rivalutati.
L'Agenzia delle Entrate è intervenuta nel corso della videoconferenza di Italia Oggi del 17/01/2009 confermando quanto già affermato nella circolare 207/2000 stante il rinvio effettuato dall'art. 23 del decreto in esame all'art. 15 della L. 342/2000 ammettendo, quindi, alla rivalutazione anche le imprese individuali, gli enti non commerciali e i soggetti non residenti che esercitano attività commerciali in Italia senza stabile organizzazione; ininfluente è poi i regime contabile applicato (ordinario o semplificato).In caso di diritto di superficie la facoltà di rivalutazione spetta, qualora il bene sia comunque relativo all’impresa, al titolare di tale diritto reale (Circolare Agenzia Entrate n. 6/E del 13.02.2006 - risposta 6.7). Il D.M. 162/2001 ammette alla rivalutazione anche le imprese in liquidazione volontaria1 (salvo il recupero a tassazione ordinaria nel caso di distribuzione del saldo di rivalutazione) e, in luogo dei concedenti, gli affittuari e usufruttuari che, in base alle scelte negoziali adottate, deducono gli ammortamenti nell’ambito dei contratti di affitto o usufrutto d’azienda.2
Sono senz’altro esclusi, invece, dall’ambito soggettivo di applicazione della rivalutazione le persone fisiche esercenti lavoro autonomo, arti e professioni, anche in forma associata, le persone fisiche esercenti attività agricola che produce reddito fondiario e non d’impresa e gli enti non commerciali per i beni relativi all’attività istituzionale; sono escluse, inoltre, le imprese sottoposte a procedure concorsuali (Circolare Assonime n. 13/2001).
BENI RIVALUTABILI: la possibilità di rivalutazione è prevista per tutti gli immobili patrimonializzati tra le immobilizzazioni (sono quindi esclusi quelli considerati beni merce e patrimonializzati nelle rimanenze d‘esercizio), strumentali e non strumentali con la sola esclusione delle aree fabbricabili, risultanti dal bilancio in corso al 31.12.2007 ovvero acquisiti entro tale data in caso di contabilità semplificata. Sono, pertanto, rivalutabili:
Fabbricati strumentali per destinazione: qualunque categoria catastale, purché utilizzati direttamente dall‘impresa;
Fabbricati strumentali per natura: solo categorie catastali A/10 - C - D - E, se non direttamente dall’impresa;
Fabbricati non strumentali: solo categorie catastali da A1 ad A11 escluso A10, se non utilizzati direttamente dall’impresa;
Terreni agricoli o comunque NON a destinazione edificatoria: allo scopo si ricorda la recente interpretazione restrittiva che il legislatore ha fornito per il concetto di area edificabile. Infatti il decreto legge 223/2006 (art. 36, c. 2) ha stabilito che, ai fini dell’Iva, dell’imposta di registro, delle imposte sui redditi e dell’Ici, «un’area è da considerare fabbricabile se utilizzabile a scopo edificatorio in base allo strumento urbanistico generale adottato dal Comune, indipendentemente dall’approvazione della Regione e dall’adozione di strumenti attuativi del medesimo». In altri termini, per qualificare un’area come edificabile è sufficiente che:
l’utilizzabilità edificatoria dell’area risulti dal Piano regolatore generale del Comune o da un altro strumento urbanistico equipollente;
lo strumento urbanistico sia solamente «adottato» dal Comune.
Pertanto, per considerare, sotto il profilo fiscale, un’area come edificabile, non occorre che:
l’area sia immediatamente edificabile: non occorre cioè che la potenzialità edificatoria sia attuale ma è sufficiente che si tratti di un’edificabilità potenziale;
l’area sia inserita anche in un piano attuativo;
il piano regolatore sia approvato oltre che adottato: l’approvazione è il momento finale dell’iter che conduce all’entrata in vigore di uno strumento urbanistico, mentre l’adozione è uno stadio intermedio che evidenzia la volontà comunale, ma che non ha il crisma della definitività.
TEMPISTICA, MODALITA‘ E REGOLE: la rivalutazione deve essere eseguita nel bilancio (rendiconto per gli enti) dell’esercizio successivo a quello in corso al 31.12.2007, il cui termine di approvazione (ovviamente sempre che la stessa sia dovuta) scade dopo il 29 novembre 2008 (quindi nel bilancio relativo al 2008 per i soggetti con esercizio coincidente con l’anno solare).
E’ previsto l’obbligo di rivalutare tutti i beni immobili appartenenti alla medesima categoria omogenea; le categorie individuate dal legislatore sono due:
BENI IMMOBILI AMMORTIZZABILI: tipicamente i fabbricati strumentali per natura e per destinazione;
BENI IMMOBILI NON AMMORTIZZABILI: tipicamente i fabbricati non strumentali e i terreni, con l’esclusione per questi ultimi di quelli che, purché non edificabili, appartengono ad imprese che operano in particolari settori di attività quali le industrie dei trasporti e delle telecomunicazioni (Gruppo 19 del D.M. 31,12,1998 specie I, II, III, IV, V, XII) e quelli che, in quanto strumentali per l’esercizio dell’impresa e purché non edificabili, sono sottratti alla loro naturale destinazione e partecipano al processo produttivo (in questa casistica rientrano i terreni permanentemente adibiti da imprese edili a deposito di materiale).
Nel caso in cui alcune unità immobiliari, pur incluse in una delle due precedenti categorie omogenee, sia illegittimamente esclusa dalla rivalutazione, la conseguenza sarà il disconoscimento degli effetti fiscali della rivalutazione per tutti gli altri immobili appartenenti alla medesima categoria omogenea e il recupero a tassazione dei maggiori ammortamenti effettuati o delle minori plusvalenze o maggiori minusvalenze dichiarate applicando le sanzioni previste per l’infedele dichiarazione (Circolare n. 57/E del 18/06/2001).
Come già scritto anche nel paragrafo precedente, i beni immobili rivalutabili devono risultare dal bilancio in corso al 31.12.2007.
La formulazione legislativa è decisamente infelice (e non risulta modificata in sede di conversione) perché, anche se dal prosieguo del testo si comprende comunque l’intenzione del legislatore, non esiste un bilancio “in corso”, ma eventualmente un esercizio in corso: l’art. 10 della Legge 342/2000, infatti, più correttamente recitava: “risultanti dal bilancio relativo all’esercizio chiuso entro il 31 dicembre 1999”; nella norma attuale, quindi, il testo corretto sarebbe: “risultanti dal bilancio dell’esercizio in corso al 31.12.2007”.
L’art. 2, c. 1, del D.M. 162/2001 prevedeva che la destinazione dei beni risultanti nel bilancio relativo all’esercizio di riferimento (2007) dovevano risultare anche dal bilancio o rendiconto, in relazione al quale la rivalutazione era effettuata (2008); stabiliva, inoltre, che si possono rivalutare i beni posseduti alla fine dell’esercizio con riferimento al quale viene eseguita la rivalutazione (2008), acquisiti fino al termine dell’esercizio in corso alla data del periodo di riferimento (2007).
Il comma 3 del medesimo articolo 2 considerava avvenuta l’acquisizione dei beni alla data del trasferimento del diritto di proprietà o altro diritto reale o della consegna con clausola di riserva di proprietà, escludendo di fatto i cespiti condotti in locazione finanziaria, ancorché contabilizzati con il sistema finanziario (facoltativo per i soggetti non IAS) anziché con quello patrimoniale previsto dai principi contabili (OIC).3
Conferma in questo senso è venuta dall'Agenzia Entrate, nel corso della videoconferenza di Italia Oggi del 17.01.2009, che ha ribadito il concetto per cui i beni oggetto di contratto di leasing possono essere rivalutati esclusivamente dall'utilizzatore e purché purché il diritto di riscatto sia stato esercitato entro l'esercizio in corso alla data del 31.12.2007.
Dovendo procedere alla rivalutazione nell’esercizio successivo a quello nel quale è prevista l’iscrizione a bilancio, si pone il problema se possa essere rivalutato un bene immobile che nel bilancio di riferimento (2007) sia iscritto in modo tale da possedere i requisiti richiesti dalla norma e nell’esercizio successivo (2008) ne sia stata modificata la classificazione, perdendo i requisiti o transitando dal gruppo omogeneo dei beni ammortizzabili a quello dei non ammortizzabili. L’Amministrazione finanziaria ha già avuto modo di esprimere il proprio parere nella Circolare n. 57/E del 18.06.2001, dove ha chiarito che i requisiti di appartenenza alle diverse categorie omogenee di immobili sono quelli esistenti alla data della chiusura del bilancio in cui la rivalutazione è eseguita (2008), ferma restando la loro ininterrotta collocazione tra le immobilizzazioni materiali dell’esercizio di riferimento (2007) e dell’esercizio nel cui bilancio la rivalutazione è effettuata (2008). Non è pertanto possibile rivalutare un immobile classificato tra i beni merce nel 2008 anche se era immobilizzato nel 2007 e viceversa, ovvero un terreno che era agricolo nel 2007 divenuto edificabile nel 2008, mentre dovrebbe essere il bilancio 2008 a decidere la categoria omogenea di appartenenza (ammortizzabili o non ammortizzabili).
Anche per l'attuale rivalutazione l'Agenzia Entrate ha confermato quanto già affermato con la circolare n. 57/E del 2001 sopra citata, nel corso della videoconferenza di Italia Oggi del 17.01.2009
Per individuare il valore economico costituente il limite massimo alla rivalutazione, l’art. 11, c. 2, della Legge n. 342/2000 pone due criteri alternativi:
da un lato, il criterio del cosiddetto valore interno, basato sulla consistenza dei beni, sulla loro capacità produttiva e sulla loro effettiva possibilità di economica utilizzazione nell’impresa;
dall’altro, il criterio del valore di mercato, basato sui valori correnti e sulle quotazioni rilevate in mercati regolamentati italiani o esteri.
La rivalutazione degli immobili facenti parte di ciascuna categoria omogenea deve essere eseguita sulla base di un unico criterio per tutti gli immobili ad essa appartenenti (art. 4, c. 8, D.M. 162/2001).
I valori rivalutati iscritti in bilancio e nell’inventario non possono in nessun caso superare quelli effettivamente attribuibili, individuati con i criteri di cui sopra. In altre parole il limite massimo della rivalutazione è pari al valore di mercato, meno il valore netto contabile, diminuito anche della quota di ammortamento figurativo dell’anno 2008 calcolato sul valore non rivalutato.
L’art. 6 del D.M. 162/2001, richiamato dalla norma attuale, specifica ancora meglio tale concetto denominandolo “Limite economico della rivalutazione” e stabilendo che il valore netto del bene risultante dal bilancio nel quale la rivalutazione è eseguita, incrementato della maggiore quota di ammortamento derivante dal valore rivalutato, non può superare il valore d’uso o di mercato. Ciò significa che il valore netto del bene immobile, ottenuto stanziando la quota di ammortamento calcolata sul costo storico ante rivalutazione, rappresenta il massimo consentito.
ESEMPIO:
Supponiamo l’esistenza di un immobile iscritto in bilancio per il costo storico di euro 100.000 da 10 anni e mai rivalutato, con coefficiente di ammortamento del 3% e fondo ammortamento al 31.12.2007 pari ad euro 30.000 e conseguente valore netto contabile di euro 70.000.
Supponiamo altresì che oggi il suo valore sul mercato immobiliare sia pari ad euro 200.000. Il limite massimo di rivalutazione dovrà essere così calcolato:
LIMITE MASSIMO DI RIVALUTAZIONE: € 200.000,00 (valore di mercato) - € 70.000,00 (valore netto contabile) + € 3.000,00 (quota figurativa di ammortamento del 3% sul costo ante rivalutazione) = € 133.000
Conseguentemente avremo:
VALORE RIVALUTATO DELL’IMMOBILE: € 233.000 (100.000 + 133.000)
F.DO AMM.TO POST RIVALUTAZIONE: € 36.990 (30.000 + 6.990 quota sul valore rivalutato)
VALORE NETTO CONTABILE POST RIVALUTAZIONE: € 196.010 (233.000 - 36.990)
Risulta quindi soddisfatta l’equazione secondo la quale il nuovo valore netto contabile (196.010) già aumentato della quota di ammortamento calcolata sul nuovo valore di bilancio, non supera il valore di mercato (200.000)
Sempre il D.M. 162/2001 all’art. 5 si occupa anche delle tecniche contabili da utilizzare per rilevare l’avvenuta rivalutazione e, nel rispetto dei criteri civilistici, indica tre possibili criteri di contabilizzazione (vedi esempi in appendice):
Rivalutare sia i valori dell’attivo lordo sia i relativi fondi di ammortamento, utilizzando un unico coefficiente di rivalutazione, in modo da mantenere invariata la durata del processo di ammortamento e la misura dei coefficienti applicati. Tale modalità è consigliata dallo IAS 16 e dal principio contabile nazionale OIC 16; (rivalutazione di tipo monetario).
Rivalutare solo i valori dell’attivo lordo senza operare specularmente anche sui relativi fondi, allungando di conseguenza il relativo periodo di ammortamento; (rivalutazione di tipo economico).
Ridurre in tutto o in parte i fondi di ammortamento, modalità da utilizzarsi quando gli ammortamenti contabilizzati negli anni precedenti siano stati eccedenti rispetto a quelli fisiologici, ad esempio perché si è fruito in larga misura degli ammortamenti anticipati.
L’Agenzia delle Entrate nella Circolare 57/E del 18.06.2001, ha avuto modo di affermare che all’interno della medesima categoria omogenea possono essere utilizzate modalità contabili differenti a seconda dei beni rivalutati, tuttavia, sempre all’interno della stessa categoria deve essere utilizzato lo stesso criterio di rivalutazione (es. valore di mercato, valore interno di utilizzo, ecc.), come già evidenziato precedentemente.
Anche i beni immobili completamente ammortizzati possono essere rivalutati, purché risultino ancora iscritti in bilancio, nel rendiconto o nel libro cespiti per i soggetti in contabilità semplificata, sempre nel limite del valore di mercato, dell’effettiva possibilità di utilizzazione e della capacità produttiva (art. 2, c. 2, D.M. 162/2001). La rivalutazione di questi immobili comporta implicitamente la “riapertura” del piano di ammortamento, cioè l’allungamento della vita utile stimata del bene.
Il Ministero dell’Economia e delle Finanze lascia, quindi, aperte tutte le possibilità contabili e rinvia ai criteri civilistici per l’adozione della scelta più corretta, non ritenendo opportuno e nemmeno possibile regolare con norme di carattere fiscale, delle valutazioni di carattere squisitamente aziendale.
Gli amministratori e il collegio sindacale (qualora esistente) devono indicare e motivare nelle loro relazioni i criteri seguiti nella rivalutazione delle due categorie di beni ammesse e attestare che la rivalutazione non eccede il limite di valore previsto quale importo massimo rivalutabile (art. 11, c. 3, Legge 342/2000).
Al riguardo l’Assonime con la Circolare n. 13/2001, ha precisato che per poter attestare che i maggiori valori emersi in sede di rivalutazione non superino il valore economico dei beni interessati, i membri del collegio sindacale dovranno acquisire dagli amministratori informazioni in merito alle modalità seguite per la stima dei beni stessi.
Inoltre, pur non essendo obbligatoriamente richiesta, trattandosi di immobili si ritiene opportuno far redigere una perizia, salvo che i beni stessi non siano oggetto di contratti preliminari, potendosi in quel caso rifarsi al prezzo contrattualmente pattuito.
Per i soggetti in contabilità ordinaria la rivalutazione deve essere annotata nella nota integrativa (per le società di capitali e gli enti che la devono redigere) e nell’inventario relativo all’esercizio in cui la rivalutazione viene eseguita dove deve essere indicato anche il prezzo di costo, con le eventuali rivalutazioni operate in conformità a precedenti leggi di rivalutazione, dei beni rivalutati (articolo 11, commi 1 e 4, Legge 342/2000)
Per i soggetti in contabilità semplificata, la rivalutazione potrà essere effettuata per i beni che risultino acquisiti entro il 31 dicembre 2007 dai registri di cui agli articoli 16 (beni ammortizzabili) e 18 (registri IVA integrati ai fini delle imposte dirette) del DPR 600/73 e successive modificazioni. La rivalutazione è consentita a condizione che venga redatto un apposito prospetto bollato e vidimato che dovrà essere presentato, a richiesta, all’amministrazione finanziaria, dal quale risultino i prezzi di costo e la rivalutazione compiuta (art. 15, c. 2, Legge 342/2000)
Dell’avvenuta rivalutazione bisognerà darne conto all'Agenzia delle Entrate nel prossimo Modello UNICO/2009 compilando il quadro RQ.
SALDO ATTIVO DI RIVALUTAZIONE:
Il saldo attivo lordo risultante dalle rivalutazioni eseguite, per i soggetti in contabilità ordinaria, deve essere imputato a capitale o accantonato in una speciale riserva in sospensione d’imposta intitolata al D.L. 185/2008; detta riserva dovrà essere ridotta dell’imposta sostitutiva eventualmente assolta per il riconoscimento fiscale dei maggiori valori (vedi paragrafo successivo), determinando il saldo attivo netto; l’imposta sostitutiva costituisce un debito tributario ed è indeducibile (questa imposta, quindi, non transita nel conto economico, ma viene rilevata direttamente come debito in diminuzione della riserva di rivalutazione).
L’art. 13 della Legge n. 342/2000, richiamato in quanto applicabile dal D.L. 185/2008, stabiliva che, in assenza di affrancamento (vedi paragrafo successivo):
La riserva, ove non venga imputata a capitale, può essere ridotta soltanto con l’osservanza delle disposizioni dei commi secondo e terzo dell’articolo 2445 del codice civile e cioè:
Comma 2: L’avviso di convocazione dell’assemblea deve indicare le ragioni e le modalità della riduzione. La riduzione deve comunque effettuarsi con modalità tali che le azioni proprie eventualmente possedute dopo la riduzione non eccedano la decima parte del capitale sociale.
Comma 3: La deliberazione può essere eseguita soltanto dopo novanta giorni dal giorno dell’iscrizione nel registro delle imprese, purché entro questo termine nessun creditore sociale anteriore all’iscrizione abbia fatto opposizione.
In caso di utilizzazione della riserva a copertura di perdite, non si può fare luogo a distribuzione di utili fino a quando la riserva non è integrata o ridotta in misura corrispondente con deliberazione dell’assemblea straordinaria, non applicandosi le disposizioni dei commi secondo e terzo dell’art. 2445 del codice civile.
Se il saldo attivo viene attribuito ai soci o ai partecipanti mediante riduzione della riserva ovvero mediante riduzione del capitale sociale o del fondo di dotazione o del fondo patrimoniale, le somme attribuite ai soci o ai partecipanti, aumentate dell’imposta sostitutiva corrispondente all’ammontare distribuito, concorrono a formare il reddito imponibile della società o dell’ente e il reddito imponibile dei soci o dei partecipanti. In caso di attribuzione, inoltre, si considera che le riduzioni del capitale deliberate dopo l’imputazione a capitale delle riserve di rivalutazione, comprese quelle già iscritte in bilancio a norma di precedenti leggi di rivalutazione, abbiano anzitutto per oggetto, fino al corrispondente ammontare, la parte del capitale formata con l’imputazione di tali riserve.
Considerato che la rivalutazione deve essere operata sul valore contabile residuo del bene, inteso come costo storico al netto degli ammortamenti effettuati (per i soggetti che eseguono la riclassificazione del bilancio in forma U.E., sostanzialmente è l’importo ivi esposto), per saldo attivo lordo si intende la differenza tra valore rivalutato e valore contabile residuo.
Nell’esempio riportato nel precedente riquadro, il saldo attivo lordo è così determinato:
VALORE DI BILANCIO 100.000FONDO AMMORTAMENTO 30.000VALORE CONTABILE NETTO 70.000
VALORE DI MERCATO 200.000VALORE CONTABILE NETTO 70.000SALDO ATTIVO DI RIVALUTAZIONE (lordo) 130.000
L’evidenziazione ed utilizzazione del saldo attivo richiede la redazione di un bilancio e, dunque, non può essere applicata dai soggetti in contabilità semplificata; per costoro, in assenza di un bilancio che dia evidenza contabile al patrimonio dell’impresa, le informazioni relative alle rivalutazioni dovranno risultare (come visto nel precedente paragrafo) da un prospetto che dovrà evidenziare solo i prezzi di costo e le rivalutazioni operate. Ne consegue, pertanto, che l’ipotesi della tassabilità della distribuzione del saldo attivo non affrancato (vedi paragrafo successivo) non è applicabile ai soggetti in contabilità semplificata (Circolare Agenzia Entrate n. 5/E del 26.01.2001)
Se l’impresa, dopo la rivalutazione, modifica il proprio regime contabile gli effetti fiscali del saldo attivo di rivalutazione (che non sia stato affrancato) vengono definiti dalla Circolare n. 57/2001 e sono i seguenti:
Passaggio dalla contabilità ordinaria alla semplificata: la riserva di rivalutazione aumentata dell’imposta sostitutiva concorre a formare il reddito imponibile nel primo esercizio di applicazione del nuovo regime di contabilità;
Passaggio dalla contabilità semplificata all’ordinaria: l’iscrizione in contabilità dei bei rivalutati non comporta la ricostruzione di alcuna riserva di rivalutazione.
IMPOSTE SOSTITUTIVE PER IL RICONOSCIMENTO FISCALE DEI MAGGIORI VALORI E PER L’AFFRANCAMENTO DELLA RISERVA:
La rivalutazione dei beni immobili in deroga alle norme del Codice civile, ha inizialmente riflessi solo civilistici di adeguamento dei valori contabili a quelli di mercato, al fine di rappresentare meglio la reale patrimonializzazione dell’azienda e aumentare il patrimonio netto contabile A COSTO ZERO (senza benefici fiscali).
Riconoscimento fiscale: Dopo le modifiche introdotte in sede di conversione del D.L. 185/2008, il maggior valore attribuito ai beni in sede di rivalutazione, può essere riconosciuto anche ai fini fiscali (imposte sui redditi e Irap) a decorrere dal quinto (precedentemente terzo) esercizio successivo a quello in cui è avvenuta la rivalutazione (2013), mediante il versamento di un’imposta sostitutiva dell’Irpef, dell’Ires, dell’Irap e di eventuali addizionali, nella misura del 7% (precedentemente 10%) per gli immobili ammortizzabili e del 4% (precedentemente 7%) per quelli non ammortizzabili. Nel caso di cessione a titolo oneroso, di assegnazione ai soci, di destinazione a finalità estranee all’esercizio dell’impresa ovvero al consumo personale o familiare dell’imprenditore, degli immobili rivalutati, prima dell’inizio del sesto (precedentemente quarto) anno successivo a quello in cui è avvenuta la rivalutazione (2014), ai fini del calcolo di plusvalenze o minusvalenze si ha riguardo al valore dell’immobile prima della rivalutazione. In altri termini si prescinde dal valore rivalutato e si torna al precedente valore di bilancio. L'Agenzia Entrate, nel corso della videoconferenza di Italia Oggi del 17.01.2009, ha affermato che la condizione del trasferimento giuridico del diritto alla proprietà del bene si ritiene verificata anche nel caso in cui l'immobile fosse oggetto di un'operazione di sale and lease back. In tutti i casi di trasferimento della proprietà prima del decorso del periodo di osservazione, al soggetto che ha effettuato la rivalutazione è attribuito un credito d’imposta pari all’ammontare dell’imposta sostitutiva riferita ai bene trasferito anzitempo (Art. 3, c. 3, D.M. 86/2002). L’ammontare del credito d’imposta non transita dal conto economico, ma come l’imposta sostitutiva pagata deve essere contabilizzato (ovviamente in aumento anziché in diminuzione) nel saldo attivo di rivalutazione, nella misura relativa al maggior valore attribuito ai beni immobili oggetto del trasferimento.
Con il decreto legge soprannominato “decreto incentivi” approvato dal Consiglio dei Ministri del 06.02.2009 e in attesa di pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale, le percentuali dell'imposta sostitutiva vengono ridotte dal 7% al 3% per gli immobili ammortizzabili e dal 4% al 1,5% per gli immobili NON ammortizzabili. Nessuna modifica viene apportata alla durata dei due periodi di sospensione dell'efficacia fiscale necessari per sfruttare i benefici previsti dalla norma. Non viene modificata nemmeno la percentuale di imposta sostitutiva dovuta per affrancare la riserva di rivalutazione in sospensione d'imposta (vedi paragrafo successivo).
Affrancamento della riserva: il saldo attivo di rivalutazione che, come abbiamo visto diventa, per i soggetti in contabilità ordinaria, una riserva in sospensione d’imposta, può essere affrancato con l’applicazione in capo alla società di una imposta sostitutiva dell’Irpef, dell’Ires, dell’Irap e di eventuali addizionali nella misura del 10%. Nessun interesse avranno a fruire dell’affrancamento, i soggetti in contabilità semplificata in quanto, come visto al paragrafo precedente non vi è ipotesi di tassabilità in caso di distribuzione. Poiché le riserve affrancate confluiscono tra quelle di utili, in caso di distribuzione troverà applicazione anche per tali riserve la presunzione di cui all’art. 47, c. 1 T.U.I.R. di prioritaria distribuzione delle riserve di utili rispetto alle riserve di capitali (Circolare Agenzia Entrate n. 6/E del 13.02.2006).
Gli effetti dell’affrancamento devono essere distinti tra società e soci:
Effetti per la società:
la riserva non è più considerata in sospensione d’imposta;
la riserva è liberamente distribuibile tra i soci;
l’eventuale distribuzione non concorre a formare il reddito imponibile della società.
Effetti per i soci partecipanti in soggetti IRES:
soci persone fisiche non imprenditori:
partecipazione qualificata: tassazione sul 49,72% del dividendo distribuito, nel modello UNICO PF;
partecipazione non qualificata: assoggettamento a ritenuta a titolo d’imposta del 12,50%;
soci che detengono la partecipazione nell’ambito dell’attività d’impresa: indipendentemente dal fatto che la partecipazione sia qualificata o non qualificata,concorre alla formazione del reddito il 49,72% del dividendo distribuito;
soci soggetti IRES: concorre alla formazione del reddito il 5% del dividendo distribuito.
Effetti per i soci partecipanti in società di persone:
Considerato che l’eventuale distribuzione non concorre a formare il reddito imponibile della società, nessuna ulteriore tassazione avverrà in capo al socio per trasparenza.
La norma prevede che entrambe le imposte sostitutive possano essere versate, a scelta del contribuente, in unica soluzione o in tre rate annuali di pari importo. La scadenza del versamento in unica soluzione o della prima rata coincide con il termine di versamento del saldo delle imposte sui redditi relative all‘anno con riferimento al quale la rivalutazione è eseguita (20.06.2009), mentre le due rate successive alla prima, maggiorate degli interessi legali del 3% annuo, scadranno con il termine di pagamento del saldo delle imposte sui redditi dei due esercizi successivi (20.06.2010 e 20.06.2011).
Le imposte, in quanto sostitutive di imposte sui redditi e Irap, sono indeducibili e sono compensabili con i crediti utilizzabili in F24.
APPENDICE
ESEMPIO DI REGISTRAZIONI CONTABILI
IMMOBILE ISCRITTO IN BILANCIO DA DIECI ANNI AL SUO VALORE STORICO E MAI RIVALUTATO PRIMA
Valore in bilancio dell’immobile: 100.000
Aliquota ammortamento: 3%
Fondo ammortamento al 10° anno: 30.000 (100.000 * 3%)
Valore netto contabile: 70.000 (100.000 – 30.000)
Valore di mercato: 200.000
Valore netto contabile: 70.000
Saldo attivo di rivalutazione: 130.000
coefficiente di rivalutazione = Valore di mercato / Valore netto contabile = 200.000/ 70.000 = 2,85714
valore bilancio rivalutato = Valore bilancio*coefficiente di rivalutazione = 100.000*2,85714 = 285.714
fondo ammortamento rivalutato = fondo ammortamento*coefficiente di rivalutazione = 30.000 * 2,85714 = 85.714
Valore prima della
Rivalutazione
Valore dopo la
Rivalutazione
Differenza
Valore contabile netto
70.000
200.000
130.000
Valore di bilancio
100.000
285.714
185.714
Fondo ammortamento
30.000
85.714
55.714
1° ipotesi: RIVALUTAZIONE DI TIPO MONETARIO: (iscrizione del maggior valore sia nei costi sia nel fondo ammortamento = invarianza durata processo di ammortamento)
Immobili a # 185.714
Fondo ammortamento 55.714
Riserva di valutazione
D.L. 185/2008 126.100
Debiti v/erario per
Imposta sostitutiva (3%)(*) 3.900
(*) importo così determinato: 130.000 * 3%
Questo metodo permette di mantenere inalterato il periodo di ammortamento fissato per il singolo bene.
Ipotizzando che il coefficiente di ammortamento sia pari al 3% si avrà che:
senza la rivalutazione: sarebbero stati necessari ancora 23,3 anni per giungere al completo ammortamento de valore netto residuo pari a € 70.000
con la rivalutazione: il risultato è analogo: applicando la medesima aliquota (3%) al valore di bilancio rivalutato del cespite ( 285.714) si determina una quota annua di ammortamento pari a 8.571,42 che, moltiplicata per 23,33 (33,33–10), ottiene 200.000 (ovvero il nuovo valore netto del cespite rivalutato).
2° ipotesi: RIVALUTAZIONE DI TIPO ECONOMICO: (iscrizione della rivalutazione solo all’attivo lordo dell’immobile)
Immobili a # 130.000
Riserva di valutazione
D.L. 185/2008 126.100
Debiti v/erario per
Imposta sostitutiva (3%) 3.900
In questo caso la rivalutazione è interamente imputata al costo del cespite, senza influenzare il valore del fondo ammortamento. Di conseguenza si verificherà un allungamento del periodo di ammortamento del bene.
3° ipotesi: (iscrizione della rivalutazione a diretta diminuzione del fondo di ammortamento)
Fondo ammortamento a # 30.000
Riserva di valutazione
D.L. 185/2008 26.100
Debiti v/erario per
Imposta sostitutiva (3%) 3.900
In questo caso il risultato ottenuto è analogo e omologo a quello descritto nella 2° ipotesi (infatti l’immobile continua ad essere iscritto al costo iniziale pari a 100.000 e il fondo ammortamento viene azzerato).
Pertanto:
le quote di ammortamento continuano ad essere conteggiate sul valore in bilancio del bene 100.000;
il processo di ammortamento è allungato.
______________
1 In merito alla possibilità di includere nell’ambito di applicazione soggettivo della norma anche i soggetti sottoposti a procedure concorsuali, si può ipotizzare un differente trattamento per le imprese interessate dalle procedure di liquidazione volontaria, concordato preventivo e amministrazione straordinaria, relativamente alle quali l’inclusione nel novero dei soggetti ammessi alla rivalutazione potrebbe derivare dalla finalità delle procedure che tendono alla continuazione dell’esercizio dell’attività economica, rispetto a quello previsto per le società interessate dalle procedure di fallimento, concordato fallimentare e liquidazione coatta amministrativa la cui esclusione dall’ambito di applicazione soggettivo della norma dovrebbe derivare proprio dalla particolare situazione in cui si trovano. (Circ. Ufficio Studi Consiglio Naz. Rag. Commercialisti, Draft n. 37 del 23/11/2000)
2 Nel caso di affitto e usufrutto d’azienda l’Agenzia delle Entrate ha precisato quanto segue: “Nell’ipotesi in cui non sia stata contrattualmente prevista la deroga alle disposizioni dell’art. 2561 del codice civile, concernenti l’obbligo di conservazione dell’efficienza dei beni ammortizzabili, gli ammortamenti vengono calcolati e dedotti dall’affittuario o usufruttuario e, pertanto, sarà quest’ultimo che potrà effettuare la rivalutazione. Al termine dell’affitto o dell’usufrutto, l’azienda sarà trasferita al concedente, comprensiva dei beni rivalutati e della relativa riserva di rivalutazione, nell’ipotesi in cui quest’ultima non sia stata già utilizzata per copertura di perdite o distribuita. L’imposta sostitutiva riferibile alla riserva trasferita al concedente costituirà per quest’ultimo credito d’imposta usufruibile in caso di distribuzione della stessa. Nell’ipotesi in cui, invece, le parti, in deroga all’art. 2561 del c.c., si siano accordate prevedendo che il concedente continuerà a calcolare gli ammortamenti,la rivalutazione potrà essere effettuata solo da quest’ultimo.” (Circolare n. 57/E del 18/06/2001)
3 Si ricorda che nel punto 22 della Nota integrativa deve essere predisposto un prospetto informativo dei contratti di locazione finanziaria nel quale venga rappresentata l’operazione secondo il metodo finanziario previsto dallo IAS 17; più precisamente devono essere indicati il valore attuale delle rate di canone non scadute, l’onere finanziario effettivo attribuibile all’esercizio e l’ammontare complessivo del valore dei beni che sarebbe stato iscritto nell’attivo patrimoniale, se fossero stati considerati immobilizzi.

I disservizi: il caso telecom

Telefonia, riparazione, gestore, responsabilità, misura cautelare
Tribunale Paola, sez. I civile, sentenza 18.02.2009

Telefonia – riparazione – gestore – responsabilità – misura cautelare
In materia di Telefonia, costituisce periculum in mora il pregiudizio derivabile dall’inadempimento del gestore del servizio di telefonia, con riferimento alle ripercussioni alla propria sfera giuridica negli specifici aspetti dei diritti alla salute, alla vita di relazione ed alla comunicazione, travalicanti, dunque il certamente leso diritto di credito.
Occorre ricordare, trattandosi di danni non patrimoniali, che essi sono risarcibili solo entro il limite segnato dall’ingiustizia costituzionalmente qualificata dell’evento di danno.

(Fonte:
Altalex Massimario 9/2009. Si ringrazia per la segnalazione Giuseppe Buffone)
Comunicazioni Telefonia

Tribunale di Paola
Sezione I Civile
Ordinanza 18 febbraio 2009
IL TRIBUNALE ORDINARIO DI PAOLA
- PRIMA SEZIONE CIVILE -

Il giudice, dott.ssa Francesca Goggiamani, a scioglimento della riserva assunta all’udienza del 17.2.2009,
ha emesso la seguente

ORDINANZA

nel procedimento cautelare Rg 43/2009 , proposto da X.
Rilevato:
che X. ha presentato ricorso ex art. 700 c.p.c. dinanzi al Tribunale di Paola per il ripristino dell’utenza telefonica della propria abitazione (0982/Y.);
che a sostegno dell’istanza deduce in punto di fumus boni iuris che la propria linea risulta fuori servizio dal 15.10.2008 e che, nonostante le ripetute segnalazioni, la Telecom Italia s.p.a. non aveva provveduto alla riparazione, perpetrando così inadempimento alle obbligazioni contrattuali cui potevano derivare pregiudizi alla controparte;
che sotto il profilo del periculum in mora ha allegato le conseguenze negative che potevano derivare dall’inadempimento, atteso che lei e il marito hanno problemi di salute e dimorano in luogo isolato e non coperto da rete mobile;
che si è costituita la Telecom Italia s.p.a. eccependo preliminarmente la avvenuta riparazione del guasto e dunque chiedendo la declaratoria di cessazione della materia del contendere e deducendo comunque nel merito l’infondatezza della domanda, posto che da un lato 3 interventi erano stati da lei eseguiti per provvedere al guasto il 24.10, il 9.11 e il 23.11.2008, con un ritardo rispetto alle previsioni delle condizioni di abbonamento di soli 7 giorni, ristorabile con l’indennizzo ivi previsto, e dall’altro che nessun pregiudizio imminente e irreparabile era riscontrabile, potendo soddisfarsi la ricorrente in via ordinaria con l’azione di risarcimento per equivalente e potendo evitare autonomamente il pericolo con sottoscrizione di contratto con altro gestore;
che nell’istruzione sommaria sono state assunte sommarie informazioni ed acquisiti i documenti prodotti.
Considerato in punto di fumus boni iuris:
in tema di prova dell’inadempimento di una obbligazione il creditore che agisca per la risoluzione contrattuale, per il risarcimento del danno, ovvero per l’adempimento deve soltanto provare la fonte (legale o negoziale) del suo diritto e il relativo termine di scadenza, limitandosi alla mera allegazione della circostanza dell’inadempimento della controparte mentre il debitore convenuto è gravato dell’onere della prova del fatto estintivo dell’altrui pretesa, costituito dall’avvenuto adempimento (v. per tutte Cassazione civile, SEZIONI UNITE, 30 ottobre 2001 n. 13533);
che secondo lo stipulato contratto Telecom è tenuta a fornire alla XXXX il servizio di telefonia fissa ed ai sensi dell’art. 7 delle condizioni generali di abbonamento è tenuta alla riparazione entro due giorni non festivi compreso il sabato, salvo per guasti di particolare complessità;
che la riattivazione della linea eccepita dalla resistente è rimasta priva di dimostrazione e, ancor prima, di tentativo di prova e piuttosto dall’informatrice condotta dalla controparte - credibile per precisione e coerenza nelle dichiarazioni - è emerso che la linea, pur a seguito delle plurime incontestate segnalazioni avvenute a partire dall’ottobre 2008 da parte dell’utente e successivamente da parte del suo legale (v. fax 17,20,25.11, 15,23.12.2008) continua a non funzionare in chiamata e ricezione, pur risultando libera se contattata;
che il Gestore, che non ha fornito prova degli allegati interventi su pali e cavo, non ha di certo provveduto ad inviare alcun tecnico nella abitazione, accontentandosi di riscontrare che la linea chiamata risultasse libera;
che tale comportamento non risulta consono alla diligenza del professionista e che, pertanto, inadempiente risulta la resistente;
che il comportamento del gestore non risulta altresì rispettoso dell’obbligo di buona fede su di lui incombente per la protezione degli interessi del creditore diversi da quelli strettamente contrattuali, e specificamente di quello alla salute, posto che delle proprie condizioni di malattia la X. con diversi fax aveva edotto la controparte e che successivamente a tale informazione nessun comportamento attivo il debitore ha perpetrato (v. Cass. civ., sez. II, 16/11/2000, n.14865);
che all’azione di adempimento ex art. 1453 c.c. può accompagnarsi l’azione risarcitoria come preannunciato dalla X.;
Considerato in punto di periculum in mora:
che paventa quale pregiudizio derivabile dall’inadempimento del gestore del servizio di telefonia ripercussioni alla propria sfera giuridica negli specifici aspetti dei diritti alla salute, alla vita di relazione ed alla comunicazione, travalicanti, dunque il certamente leso diritto di credito;
che occorre ricordare, trattandosi di danni non patrimoniali, che essi sono risarcibili solo entro il limite segnato dall’ingiustizia costituzionalmente qualificata dell’evento di danno;
che è emerso dall’istruttoria sommaria che: -) la X., sessantenne, ed il marito, settantenne, dimorano in casa di campagna, isolata e distante 7 km dal centro isolato; -) che gli stessi hanno problemi di salute (v. certificati medici); -) che il solo marito, da poco operato al ginocchio, guida e -) che la zona è priva di copertura di telefonia mobile;
che il protrarsi dell’inadempimento e la violazione dell’obbligo di buona fede in senso protettivo potrebbe, alla luce di tutte queste circostanze di fatto, arrecare danni al diritto (costituzionale) alla salute ed incolumità della coppia di anziani;
che il ristoro dei pregiudizi alla salute non è, per definizione, pienamente ristorabile con il risarcimento per equivalente;
che le condizioni concrete di età e di salute della X. e del marito, il luogo ove dimorano e le condizioni della stagione in corso rendono concreto il pregiudizio paventato, non potendo essi chiamare soccorso in caso di necessità;
che la soluzione prospettata dalla Telecom di evitare da parte dell’istante il pericolo lamentato ricorrendo alla conclusione di contratto con altro gestore telefonico non appare escludere la concedibilità della tutela cautelare, considerati i relativi tempi di attesa;
Ritenuto:
che sussistono i presupposti per la fase cautelare;
che le spese di lite seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo come da nota (sottratte dai diritti le voci precisazione della conclusioni e esame delle conclusioni avversarie, stante il rito cautelare)

P.Q.M.

Il Tribunale di Paola sul ricorso cautelare di cui in epigrafe così provvede:
condanna la Telecom Italia s.p.a. all’immediata riparazione dell’utenza telefonica n. 0982/******* intestata a X. con invio di tecnici presso l’abitazione;
condanna la Telecom Italia s.p.a. a rifondere a X. le spese di lite che liquida in €. 2.046,78 di cui €. 235,78 per spese, €. 836 per diritti, €. 975 per onorari ed oltre spese generali, iva e cpa come per legge.
Paola, 18 febbraio 2009
Il Giudice Monocratico
dott. Francesca Goggiamani

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