mercoledì 28 gennaio 2009

Telefonia: mancato esperimento del tentativo di conciliazione e provvedimenti cautelari







Corte Costituzionale sentenza 403 del 2007
Conciliazione obbligatoria,telefonia,procedura civile, procedimenti cautelari
In evidenza: Fonte: www.Giurcost.org.
Segnalata da: avv. Cristina Roncaglia nella mailing list civile.it

"si deve, quindi, interpretare la predetta disposizione nel senso che il mancato espletamento del prescritto tentativo di conciliazione non preclude la concessione di provvedimenti cautelari."

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:
- Franco BILE Presidente
- Giovanni Maria FLICK Giudice
- Francesco AMIRANTE "
- Ugo DE SIERVO "
- Paolo MADDALENA "
- Alfio FINOCCHIARO "
- Alfonso QUARANTA "
- Franco GALLO "
- Luigi MAZZELLA "
- Gaetano SILVESTRI "
- Sabino CASSESE "
- Maria Rita SAULLE "
- Giuseppe TESAURO "
- Paolo Maria NAPOLITANO "
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 11, della legge 31 luglio 1997, n. 249 (Istituzione dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni e norme sui sistemi delle telecomunicazioni e radiotelevisivo), promosso con ordinanza del 22 settembre 2006 dal Tribunale di Pisa nel procedimento civile vertente tra Massimo Martelli ed altro e Telecom Italia s.p.a., iscritta al n. 404 del registro ordinanze 2007 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 22, prima serie speciale, dell’anno 2007.
Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 24 ottobre 2007 il Giudice relatore Giuseppe Tesauro.
Ritenuto in fatto
1. – Il Tribunale di Pisa, sezione distaccata di Pontedera, con ordinanza del 22 settembre 2006, ha sollevato, in riferimento all’art. 24, primo comma, della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 11, della legge 31 luglio 1997, n. 249 (Istituzione dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni e norme sui sistemi delle telecomunicazioni e radiotelevisivo) «nella parte in cui esso esclude anche la possibilità di proporre ricorso in sede giurisdizionale di natura cautelare, fino a che non sia stato esperito il tentativo obbligatorio di conciliazione ivi previsto».
2. – Il rimettente premette di essere stato adito, nell’àmbito di un procedimento civile promosso nei confronti di Telecom Italia s.p.a., in sede cautelare ai sensi dell’art. 700 del codice di procedura civile, al fine di ottenere l’attivazione in via d’urgenza di una linea telefonica fissa.
Espone, inoltre, che nel giudizio si è costituita la Telecom Italia s.p.a. la quale ha eccepito, oltre all’assenza dei presupposti specifici di cui all’art. 700 cod. proc. civ., l’«improponibilità e/o improcedibilità» dell’azione ai sensi dell’art. 1, comma 11, della legge n. 249 del 1997, in ragione del mancato espletamento del tentativo obbligatorio di conciliazione.
Nelle more del medesimo giudizio – premette altresì il giudice a quo – le parti hanno dato atto che è cessata la materia del contendere in quanto la linea telefonica è stata allacciata, ma hanno, tuttavia, rispettivamente, chiesto la condanna dell’altra parte alle spese di lite, in base al principio della cosiddetta soccombenza virtuale.
Infatti – osserva il giudice rimettente – le spese di lite dovrebbero essere poste a carico dei ricorrenti nel giudizio principale o al massimo compensate, in quanto dal divieto di proporre l’azione giurisdizionale, se non dopo aver esperito il tentativo obbligatorio di conciliazione, deriverebbe la soccombenza virtuale dei ricorrenti che hanno introdotto l’azione cautelare senza aver prima esperito il predetto tentativo. Se, invece, la disposizione in esame fosse dichiarata costituzionalmente illegittima, le spese di lite dovrebbe essere poste a carico della Telecom Italia s.p.a.
La questione, pertanto, è – ad avviso del medesimo rimettente – rilevante.
3. – In punto di non manifesta infondatezza, il Tribunale di Pisa sostiene che l’art. 1, comma 11, della legge n. 249 del 1997 – «almeno nella parte in cui […] preclude temporaneamente il ricorso anche alla tutela cautelare [...]» – è in contrasto con l’art. 24 della Costituzione, che garantisce a tutti il diritto di agire in giudizio per la tutela dei propri diritti ed interessi legittimi, diritto cui è coessenziale la tutela cautelare, «la cui funzione potrebbe essere frustrata dalla necessità di attendere l’esaurimento del procedimento conciliativo».
Il rimettente non ritiene di poter condividere l’interpretazione della disposizione in esame, accolta da altri giudici di merito, secondo la quale il mancato espletamento della previa procedura di conciliazione non potrebbe precludere la tutela cautelare: tale interpretazione, peraltro contraddetta da numerose decisioni di segno opposto, non sarebbe, infatti, conciliabile con l’ampiezza dell’espressione «ricorso in sede giurisdizionale» contenuta nella disposizione censurata, il cui significato non sembra potersi limitare alla sola azione ordinaria, con esclusione di quella cautelare. A conforto di ciò starebbe, inoltre, la stessa previsione – di cui all’art. 2, comma 20, lettera e), della legge 14 dicembre 1995 n. 481 (Norme per la concorrenza e la regolazione dei servizi di pubblica utilità. Istituzione delle Autorità di regolazione dei servizi di pubblica utilità) – di uno specifico potere dell’Autorità di regolazione per le telecomunicazioni, di emettere provvedimenti temporanei diretti a garantire la continuità dell’erogazione dei servizi nell’àmbito della procedura di conciliazione: la previsione di un simile potere sarebbe superflua ove, in mancanza o in pendenza di un procedimento conciliativo, si potesse proporre l’azione cautelare dinanzi agli organi giurisdizionali competenti, né sarebbe comunque sufficiente ad eliminare il sospetto di illegittimità costituzionale della norma denunciata, non potendo un potere di un’autorità amministrativa supplire alla carenza di tutela giurisdizionale.
4. – E’ intervenuto nel giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata manifestamente infondata.
La difesa erariale osserva che l’istituto di cui alla norma censurata, che costituisce uno strumento volto ad assicurare un filtro rispetto al proliferare del contenzioso nella specifica materia, configura una mera condizione di procedibilità dell’azione, alla mancata effettuazione del tentativo obbligatorio di conciliazione non essendo riconnessa alcuna decadenza di indole processuale. La norma censurata, pertanto, deve essere interpretata, secondo l’Avvocatura generale dello Stato, nel senso che l’azione giudiziaria non può essere pregiudicata dall’omissione dell’incombente, ma solo sospesa in attesa del suo esaurimento.
Considerato in diritto
1. – Il Tribunale di Pisa, sezione distaccata di Pontedera, ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 11, della legge 31 luglio 1997, n. 249 (Istituzione dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni e norme sui sistemi delle telecomunicazioni e radiotelevisivo), in riferimento all’art. 24, primo comma, della Costituzione.
2. – Secondo il rimettente la predetta disposizione, stabilendo che, per le controversie fra utenti o categorie di utenti ed un soggetto autorizzato o destinatario di licenze oppure fra soggetti autorizzati o destinatari di licenze fra loro, «non può proporsi ricorso in sede giurisdizionale fino a che non sia stato esperito un tentativo obbligatorio di conciliazione da ultimare entro trenta giorni dalla proposizione dell’istanza» all’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, escluderebbe anche la possibilità di proporre ricorso in sede giurisdizionale di natura cautelare, fino a che non sia stato esperito il predetto tentativo obbligatorio di conciliazione, in tal modo determinando una lesione del diritto di agire in giudizio, «diritto cui è essenziale la tutela cautelare, la cui funzione potrebbe essere frustrata dalla necessità di attendere l’esaurimento del procedimento conciliativo».
3. – La questione non è fondata nei sensi di seguito esposti.
3.1. – Il giudice rimettente muove dalla premessa interpretativa, tutt’altro che pacifica in giurisprudenza, secondo la quale la disposizione censurata, stabilendo che, per le controversie dalla stessa previste, «non può proporsi ricorso in sede giurisdizionale fino a che non sia stato esperito un tentativo obbligatorio di conciliazione da ultimare entro trenta giorni dalla proposizione dell’istanza» alla Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, non consentirebbe il ricorso alla tutela cautelare, nel caso di mancato esperimento del prescritto tentativo obbligatorio di conciliazione. L’opposta interpretazione della medesima disposizione, accolta da altri giudici di merito, pur richiamata e ritenuta, dal medesimo Tribunale, conforme a Costituzione, non sarebbe possibile ai sensi dell’art. 12 delle preleggi: essa non sarebbe, infatti, conciliabile con l’ampiezza dell’espressione «ricorso in sede giurisdizionale» contenuta nella disposizione censurata, il cui significato non si ritiene possa limitarsi alla sola azione ordinaria, con esclusione di quella cautelare.
Tale assunto risulta privo di fondamento alla luce degli orientamenti espressi dalla giurisprudenza costituzionale in tema di tentativo obbligatorio di conciliazione e di tutela cautelare.
Occorre, infatti, considerare che questa Corte ha affermato che quanto stabilito dall’art. 412-bis del codice di procedura civile, con riferimento alla disciplina delle controversie di lavoro, secondo cui il mancato espletamento del prescritto tentativo di conciliazione non preclude la concessione di provvedimenti cautelari, deve essere inteso nel senso che «un istituto di generale applicazione in ogni controversia di lavoro (il tentativo obbligatorio di conciliazione) si arresta in presenza di un’istanza cautelare, prevalendo – sulle altre perseguite dal legislatore – le esigenze proprie della tutela cautelare» (sentenza n. 199 del 2003). In termini più generali, questa Corte ha inoltre riconosciuto, sia pure incidentalmente, che, per i procedimenti cautelari, «l’esclusione dalla soggezione al tentativo di conciliazione si correla alla stessa strumentalità della giurisdizione cautelare» (sentenza n. 276 del 2000) rispetto alla effettività della tutela dinanzi al giudice ripetutamente ribadita da questa Corte (sentenza n. 336 del 1998; ma si vedano anche le sentenze n. 199 del 2003, n. 165 del 2000, n. 161 del 2000, n. 190 del 1985 e le ordinanze n. 179 del 2002, n. 217 del 2000).
La tutela cautelare, infatti, in quanto preordinata ad assicurare l’effettività della tutela giurisdizionale, in particolare a non lasciare vanificato l’accertamento del diritto, è uno strumento fondamentale e inerente a qualsiasi sistema processuale (sentenza n. 190 del 1985), anche indipendentemente da una previsione espressa (Corte di giustizia delle Comunità Europee, sentenza del 19 giugno 1990, causa C-213/89, Factortame).
A simili enunciazioni non può non riconoscersi portata generale, ove si tenga conto della identità degli interessi costituzionalmente rilevanti coinvolti in tutte le procedure rispetto alle quali è prescritto l’obbligatorio tentativo di conciliazione.
Esse risultano, d’altra parte, anche coerenti con l’affermazione che non contrasta con il diritto di azione di cui all’art. 24 della Costituzione la previsione di uno strumento quale il tentativo obbligatorio di conciliazione, in quanto essa è finalizzata ad assicurare l’interesse generale al soddisfacimento più immediato delle situazioni sostanziali realizzato attraverso la composizione preventiva della lite rispetto a quello conseguito attraverso il processo (sentenza n. 276 del 2000). Detto interesse svanisce in riferimento all’azione cautelare, proprio in considerazione delle particolari esigenze che si vogliono tutelare con i procedimenti cautelari, esigenze che richiedono una risposta immediata. Non può, infatti, ritenersi che il tentativo obbligatorio di conciliazione, se considerato condizione di procedibilità anche per l’azione cautelare, assicuri un soddisfacimento più immediato rispetto a quello conseguibile mediante tale forma di protezione. Inoltre, la diversa natura, il diverso regime e le diverse finalità della tutela cautelare e dei provvedimenti temporanei che l’Autorità può adottare al fine di garantire la continuità dell’erogazione del servizio o di far cessare forme di abuso o di scorretto funzionamento del medesimo da parte dell’operatore, rendono irrilevante la disciplina stabilita dall’art. 21 del regolamento sulle procedure di risoluzione delle controversie tra operatori di comunicazioni elettroniche ed utenti e dall’art. 2, comma 20, lettera e), della legge 14 novembre 1995, n. 481, ai fini della corretta interpretazione della norma censurata.
Alla luce delle richiamate indicazioni – considerando peraltro che la stessa lettera della disposizione censurata non è preclusiva della esegesi costituzionalmente orientata della medesima (sentenza n. 379 del 2007) – si deve, quindi, interpretare la predetta disposizione nel senso che il mancato espletamento del prescritto tentativo di conciliazione non preclude la concessione di provvedimenti cautelari.
Tale opzione interpretativa – che obbedisce al principio, espresso anche dalla giurisprudenza di legittimità, secondo il quale le disposizioni che prevedono condizioni di procedibilità, costituendo deroga alla disciplina generale, devono essere interpretate in senso non estensivo – consente di fugare i dubbi di legittimità costituzionale proposti dal rimettente e si impone pertanto come doverosa, in linea con l’ormai consolidato orientamento di questa Corte secondo il quale «una disposizione deve essere dichiarata incostituzionale non perché può essere interpretata in modo tale da contrastare con precetti costituzionali, ma soltanto qualora non sia possibile attribuire ad essa un significato che la renda conforme alla Costituzione» (tra le molte, sentenze n. 379 del 2007, n. 343 del 2006, n. 336 del 2002, n. 356 del 1996; ordinanze n. 86 del 2006, n. 147 del 1998).

Per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara non fondata, nei sensi di cui in motivazione, la questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 11, della legge 31 luglio 1997, n. 249 (Istituzione dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni e norme sui sistemi delle telecomunicazioni e radiotelevisivo), sollevata, in riferimento all’art. 24, primo comma, della Costituzione, dal Tribunale di Pisa, con l’ordinanza in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 21 novembre 2007.
F.to:
Franco BILE, Presidente
Giuseppe TESAURO, Redattore
Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 30 novembre 2007.
Tags: conciliazione obbligatoria,telefonia,procedura civile, procedimenti cautelari

Telefonia: mancato esperimento del tentativo di conciliazione e provvedimenti cautelari







Corte Costituzionale sentenza 403 del 2007
Conciliazione obbligatoria,telefonia,procedura civile, procedimenti cautelari
In evidenza: Fonte: www.Giurcost.org.
Segnalata da: avv. Cristina Roncaglia nella mailing list civile.it

"si deve, quindi, interpretare la predetta disposizione nel senso che il mancato espletamento del prescritto tentativo di conciliazione non preclude la concessione di provvedimenti cautelari."

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:
- Franco BILE Presidente
- Giovanni Maria FLICK Giudice
- Francesco AMIRANTE "
- Ugo DE SIERVO "
- Paolo MADDALENA "
- Alfio FINOCCHIARO "
- Alfonso QUARANTA "
- Franco GALLO "
- Luigi MAZZELLA "
- Gaetano SILVESTRI "
- Sabino CASSESE "
- Maria Rita SAULLE "
- Giuseppe TESAURO "
- Paolo Maria NAPOLITANO "
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 11, della legge 31 luglio 1997, n. 249 (Istituzione dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni e norme sui sistemi delle telecomunicazioni e radiotelevisivo), promosso con ordinanza del 22 settembre 2006 dal Tribunale di Pisa nel procedimento civile vertente tra Massimo Martelli ed altro e Telecom Italia s.p.a., iscritta al n. 404 del registro ordinanze 2007 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 22, prima serie speciale, dell’anno 2007.
Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 24 ottobre 2007 il Giudice relatore Giuseppe Tesauro.
Ritenuto in fatto
1. – Il Tribunale di Pisa, sezione distaccata di Pontedera, con ordinanza del 22 settembre 2006, ha sollevato, in riferimento all’art. 24, primo comma, della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 11, della legge 31 luglio 1997, n. 249 (Istituzione dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni e norme sui sistemi delle telecomunicazioni e radiotelevisivo) «nella parte in cui esso esclude anche la possibilità di proporre ricorso in sede giurisdizionale di natura cautelare, fino a che non sia stato esperito il tentativo obbligatorio di conciliazione ivi previsto».
2. – Il rimettente premette di essere stato adito, nell’àmbito di un procedimento civile promosso nei confronti di Telecom Italia s.p.a., in sede cautelare ai sensi dell’art. 700 del codice di procedura civile, al fine di ottenere l’attivazione in via d’urgenza di una linea telefonica fissa.
Espone, inoltre, che nel giudizio si è costituita la Telecom Italia s.p.a. la quale ha eccepito, oltre all’assenza dei presupposti specifici di cui all’art. 700 cod. proc. civ., l’«improponibilità e/o improcedibilità» dell’azione ai sensi dell’art. 1, comma 11, della legge n. 249 del 1997, in ragione del mancato espletamento del tentativo obbligatorio di conciliazione.
Nelle more del medesimo giudizio – premette altresì il giudice a quo – le parti hanno dato atto che è cessata la materia del contendere in quanto la linea telefonica è stata allacciata, ma hanno, tuttavia, rispettivamente, chiesto la condanna dell’altra parte alle spese di lite, in base al principio della cosiddetta soccombenza virtuale.
Infatti – osserva il giudice rimettente – le spese di lite dovrebbero essere poste a carico dei ricorrenti nel giudizio principale o al massimo compensate, in quanto dal divieto di proporre l’azione giurisdizionale, se non dopo aver esperito il tentativo obbligatorio di conciliazione, deriverebbe la soccombenza virtuale dei ricorrenti che hanno introdotto l’azione cautelare senza aver prima esperito il predetto tentativo. Se, invece, la disposizione in esame fosse dichiarata costituzionalmente illegittima, le spese di lite dovrebbe essere poste a carico della Telecom Italia s.p.a.
La questione, pertanto, è – ad avviso del medesimo rimettente – rilevante.
3. – In punto di non manifesta infondatezza, il Tribunale di Pisa sostiene che l’art. 1, comma 11, della legge n. 249 del 1997 – «almeno nella parte in cui […] preclude temporaneamente il ricorso anche alla tutela cautelare [...]» – è in contrasto con l’art. 24 della Costituzione, che garantisce a tutti il diritto di agire in giudizio per la tutela dei propri diritti ed interessi legittimi, diritto cui è coessenziale la tutela cautelare, «la cui funzione potrebbe essere frustrata dalla necessità di attendere l’esaurimento del procedimento conciliativo».
Il rimettente non ritiene di poter condividere l’interpretazione della disposizione in esame, accolta da altri giudici di merito, secondo la quale il mancato espletamento della previa procedura di conciliazione non potrebbe precludere la tutela cautelare: tale interpretazione, peraltro contraddetta da numerose decisioni di segno opposto, non sarebbe, infatti, conciliabile con l’ampiezza dell’espressione «ricorso in sede giurisdizionale» contenuta nella disposizione censurata, il cui significato non sembra potersi limitare alla sola azione ordinaria, con esclusione di quella cautelare. A conforto di ciò starebbe, inoltre, la stessa previsione – di cui all’art. 2, comma 20, lettera e), della legge 14 dicembre 1995 n. 481 (Norme per la concorrenza e la regolazione dei servizi di pubblica utilità. Istituzione delle Autorità di regolazione dei servizi di pubblica utilità) – di uno specifico potere dell’Autorità di regolazione per le telecomunicazioni, di emettere provvedimenti temporanei diretti a garantire la continuità dell’erogazione dei servizi nell’àmbito della procedura di conciliazione: la previsione di un simile potere sarebbe superflua ove, in mancanza o in pendenza di un procedimento conciliativo, si potesse proporre l’azione cautelare dinanzi agli organi giurisdizionali competenti, né sarebbe comunque sufficiente ad eliminare il sospetto di illegittimità costituzionale della norma denunciata, non potendo un potere di un’autorità amministrativa supplire alla carenza di tutela giurisdizionale.
4. – E’ intervenuto nel giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata manifestamente infondata.
La difesa erariale osserva che l’istituto di cui alla norma censurata, che costituisce uno strumento volto ad assicurare un filtro rispetto al proliferare del contenzioso nella specifica materia, configura una mera condizione di procedibilità dell’azione, alla mancata effettuazione del tentativo obbligatorio di conciliazione non essendo riconnessa alcuna decadenza di indole processuale. La norma censurata, pertanto, deve essere interpretata, secondo l’Avvocatura generale dello Stato, nel senso che l’azione giudiziaria non può essere pregiudicata dall’omissione dell’incombente, ma solo sospesa in attesa del suo esaurimento.
Considerato in diritto
1. – Il Tribunale di Pisa, sezione distaccata di Pontedera, ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 11, della legge 31 luglio 1997, n. 249 (Istituzione dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni e norme sui sistemi delle telecomunicazioni e radiotelevisivo), in riferimento all’art. 24, primo comma, della Costituzione.
2. – Secondo il rimettente la predetta disposizione, stabilendo che, per le controversie fra utenti o categorie di utenti ed un soggetto autorizzato o destinatario di licenze oppure fra soggetti autorizzati o destinatari di licenze fra loro, «non può proporsi ricorso in sede giurisdizionale fino a che non sia stato esperito un tentativo obbligatorio di conciliazione da ultimare entro trenta giorni dalla proposizione dell’istanza» all’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, escluderebbe anche la possibilità di proporre ricorso in sede giurisdizionale di natura cautelare, fino a che non sia stato esperito il predetto tentativo obbligatorio di conciliazione, in tal modo determinando una lesione del diritto di agire in giudizio, «diritto cui è essenziale la tutela cautelare, la cui funzione potrebbe essere frustrata dalla necessità di attendere l’esaurimento del procedimento conciliativo».
3. – La questione non è fondata nei sensi di seguito esposti.
3.1. – Il giudice rimettente muove dalla premessa interpretativa, tutt’altro che pacifica in giurisprudenza, secondo la quale la disposizione censurata, stabilendo che, per le controversie dalla stessa previste, «non può proporsi ricorso in sede giurisdizionale fino a che non sia stato esperito un tentativo obbligatorio di conciliazione da ultimare entro trenta giorni dalla proposizione dell’istanza» alla Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, non consentirebbe il ricorso alla tutela cautelare, nel caso di mancato esperimento del prescritto tentativo obbligatorio di conciliazione. L’opposta interpretazione della medesima disposizione, accolta da altri giudici di merito, pur richiamata e ritenuta, dal medesimo Tribunale, conforme a Costituzione, non sarebbe possibile ai sensi dell’art. 12 delle preleggi: essa non sarebbe, infatti, conciliabile con l’ampiezza dell’espressione «ricorso in sede giurisdizionale» contenuta nella disposizione censurata, il cui significato non si ritiene possa limitarsi alla sola azione ordinaria, con esclusione di quella cautelare.
Tale assunto risulta privo di fondamento alla luce degli orientamenti espressi dalla giurisprudenza costituzionale in tema di tentativo obbligatorio di conciliazione e di tutela cautelare.
Occorre, infatti, considerare che questa Corte ha affermato che quanto stabilito dall’art. 412-bis del codice di procedura civile, con riferimento alla disciplina delle controversie di lavoro, secondo cui il mancato espletamento del prescritto tentativo di conciliazione non preclude la concessione di provvedimenti cautelari, deve essere inteso nel senso che «un istituto di generale applicazione in ogni controversia di lavoro (il tentativo obbligatorio di conciliazione) si arresta in presenza di un’istanza cautelare, prevalendo – sulle altre perseguite dal legislatore – le esigenze proprie della tutela cautelare» (sentenza n. 199 del 2003). In termini più generali, questa Corte ha inoltre riconosciuto, sia pure incidentalmente, che, per i procedimenti cautelari, «l’esclusione dalla soggezione al tentativo di conciliazione si correla alla stessa strumentalità della giurisdizione cautelare» (sentenza n. 276 del 2000) rispetto alla effettività della tutela dinanzi al giudice ripetutamente ribadita da questa Corte (sentenza n. 336 del 1998; ma si vedano anche le sentenze n. 199 del 2003, n. 165 del 2000, n. 161 del 2000, n. 190 del 1985 e le ordinanze n. 179 del 2002, n. 217 del 2000).
La tutela cautelare, infatti, in quanto preordinata ad assicurare l’effettività della tutela giurisdizionale, in particolare a non lasciare vanificato l’accertamento del diritto, è uno strumento fondamentale e inerente a qualsiasi sistema processuale (sentenza n. 190 del 1985), anche indipendentemente da una previsione espressa (Corte di giustizia delle Comunità Europee, sentenza del 19 giugno 1990, causa C-213/89, Factortame).
A simili enunciazioni non può non riconoscersi portata generale, ove si tenga conto della identità degli interessi costituzionalmente rilevanti coinvolti in tutte le procedure rispetto alle quali è prescritto l’obbligatorio tentativo di conciliazione.
Esse risultano, d’altra parte, anche coerenti con l’affermazione che non contrasta con il diritto di azione di cui all’art. 24 della Costituzione la previsione di uno strumento quale il tentativo obbligatorio di conciliazione, in quanto essa è finalizzata ad assicurare l’interesse generale al soddisfacimento più immediato delle situazioni sostanziali realizzato attraverso la composizione preventiva della lite rispetto a quello conseguito attraverso il processo (sentenza n. 276 del 2000). Detto interesse svanisce in riferimento all’azione cautelare, proprio in considerazione delle particolari esigenze che si vogliono tutelare con i procedimenti cautelari, esigenze che richiedono una risposta immediata. Non può, infatti, ritenersi che il tentativo obbligatorio di conciliazione, se considerato condizione di procedibilità anche per l’azione cautelare, assicuri un soddisfacimento più immediato rispetto a quello conseguibile mediante tale forma di protezione. Inoltre, la diversa natura, il diverso regime e le diverse finalità della tutela cautelare e dei provvedimenti temporanei che l’Autorità può adottare al fine di garantire la continuità dell’erogazione del servizio o di far cessare forme di abuso o di scorretto funzionamento del medesimo da parte dell’operatore, rendono irrilevante la disciplina stabilita dall’art. 21 del regolamento sulle procedure di risoluzione delle controversie tra operatori di comunicazioni elettroniche ed utenti e dall’art. 2, comma 20, lettera e), della legge 14 novembre 1995, n. 481, ai fini della corretta interpretazione della norma censurata.
Alla luce delle richiamate indicazioni – considerando peraltro che la stessa lettera della disposizione censurata non è preclusiva della esegesi costituzionalmente orientata della medesima (sentenza n. 379 del 2007) – si deve, quindi, interpretare la predetta disposizione nel senso che il mancato espletamento del prescritto tentativo di conciliazione non preclude la concessione di provvedimenti cautelari.
Tale opzione interpretativa – che obbedisce al principio, espresso anche dalla giurisprudenza di legittimità, secondo il quale le disposizioni che prevedono condizioni di procedibilità, costituendo deroga alla disciplina generale, devono essere interpretate in senso non estensivo – consente di fugare i dubbi di legittimità costituzionale proposti dal rimettente e si impone pertanto come doverosa, in linea con l’ormai consolidato orientamento di questa Corte secondo il quale «una disposizione deve essere dichiarata incostituzionale non perché può essere interpretata in modo tale da contrastare con precetti costituzionali, ma soltanto qualora non sia possibile attribuire ad essa un significato che la renda conforme alla Costituzione» (tra le molte, sentenze n. 379 del 2007, n. 343 del 2006, n. 336 del 2002, n. 356 del 1996; ordinanze n. 86 del 2006, n. 147 del 1998).

Per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara non fondata, nei sensi di cui in motivazione, la questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 11, della legge 31 luglio 1997, n. 249 (Istituzione dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni e norme sui sistemi delle telecomunicazioni e radiotelevisivo), sollevata, in riferimento all’art. 24, primo comma, della Costituzione, dal Tribunale di Pisa, con l’ordinanza in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 21 novembre 2007.
F.to:
Franco BILE, Presidente
Giuseppe TESAURO, Redattore
Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 30 novembre 2007.
Tags: conciliazione obbligatoria,telefonia,procedura civile, procedimenti cautelari

venerdì 23 gennaio 2009

Prorogato fino al 31 dicembre 2009 il regime transitorio in materia di accesso al mercato del lavoro dei cittadini della Romania e della Bulgaria

Prorogato il regime transitorio per i lavoratori romeni e bulgari
Circolare Ministero Interno 14.01.2009 n° 1 (
Cesira Cruciani)

Varata dal Ministero dell'Interno e dal Ministero del Lavoro, Salute e Politiche Sociali la circolare congiunta numero 1/2009, che disciplina la proroga del regime transitorio in materia di accesso al mercato del lavoro dei cittadini romeni e bulgari. L'Italia si avvarrà del regime transitorio, relativamente alle procedure per l'accesso al mercato del lavoro nei confronti dei cittadini rumeni e bulgari, fino al 31 dicembre 2009, in vista della completa liberalizzazione del lavoro subordinato.
Confermato senza modifiche, per i cittadini 'neocomunitari' di Romania e Bulgaria, quanto già disposto nel 2008 in materia, unitamente alle deroghe a tale regime per alcuni settori produttivi e per alcune professionalità (agricolo e turistico alberghiero; lavoro domestico e di assistenza alla persona; edilizio; metalmeccanico, dirigenziale e altamente qualificato, compresi i casi previsti dall'articolo 27 del T. U. sull'immigrazione e lavoro stagionale). Per tutti i restanti settori produttivi, le richieste di assunzione saranno presentate allo Sportello unico per l'immigrazione, utilizzando la modulistica presente sui siti internet del Ministero dell'Interno e del Ministero del Lavoro, Salute e Politiche Sociali.

(Altalex, 16 gennaio 2009. Nota di Cesira Cruciani)


MINISTERO DELL'INTERNO, CIRCOLARE 14 GENNAIO 2009, N. 1
Roma, 14 Gennaio 2009
Circolare n. 1/2009

Prot. n. 130 Min.InternoProt. n. 23/11/000082/06 Min.Lav. Salute e P.S.
Ai Sigg.ri Prefetti LORO SEDI
Al Sig. Commissario del Governo per la Provincia Autonoma di TRENTO
Al Sig. Commissario del Governo per la Provincia Autonoma di BOLZANO
Al Sig. Presidente della Regione Valle d'Aosta AOSTA
Ai Sigg.ri Questori LORO SEDI
Alle Direzioni Regionali del LavoroLORO SEDI
Alle Direzioni Provinciali del Lavoro (per il tramite delle Direzioni Regionali del Lavoro) LORO SEDI
Alla Provincia Autonoma di Trento - Dip.to Servizi Sociali - Servizio LavoroTRENTO
Alla Provincia Autonoma di Bolzano - Rip. 19 - Uff. Lavoro - Isp. LavoroBOLZANO
Alla Regione Autonoma Friuli Venezia Giulia - Servizio per il LavoroTRIESTE
Alla Regione Siciliana Assessorato del Lavoro Uff. Reg. Lavoro-Ispett. Reg. LavoroPALERMO
e, per conoscenza:
Al Ministero degli Affari Esteri Gabinetto del Ministro ROMA
Al Ministero del Lavoro e della Previdenza Sociale Direzione Generale delle Risorse Umane e Affari GeneraliROMA
All'INPS - Direzione Generale ROMA
Agli Assessorati Regionali al Lavoro LORO SEDI
OGGETTO: Regime transitorio in materia di accesso al mercato del lavoro dei cittadini della Romania e della Bulgaria.

Si rende noto che l'Italia ha deciso di continuare ad avvalersi del regime transitorio, relativamente alle procedure per l'accesso al mercato del lavoro nei confronti dei cittadini rumeni e bulgari, per un ulteriore anno, fino al 31 dicembre 2009 in vista della completa liberalizzazione del lavoro subordinato.
Pertanto, si conferma, senza modifiche, quanto già disposto in materia di accesso al lavoro subordinato, dalle circolari congiunte Ministero dell'Interno-Ministero della Solidarietà Sociale n. 2 del 28 dicembre 2006, n. 3 del 3 gennaio 2007 e n. 1 del 4 gennaio 2008, per quanto riguarda le deroghe a tale regime per alcuni settori produttivi e per alcune professionalità (agricolo e turistico alberghiero; lavoro domestico e di assistenza alla persona; edilizio; metalmeccanico, dirigenziale e altamente qualificato, compresi i casi previsti dall'articolo 27 del T.U. sull'immigrazione e lavoro stagionale). Per tutti i restanti settori produttivi, l'assunzione dei lavoratori rumeni e bulgari avviene attraverso la presentazione di richieste di nulla osta allo Sportello Unico per l'Immigrazione - mediante spedizione postale (raccomandata A/R) - utilizzando l'apposita modulistica (mod. sub neocomunitari) disponibile sul sito del Ministero dell'Interno (www.interno.it) e del Ministero del Lavoro, Salute e Politiche Sociali (www.lavoro.gov.it).
Per la definizione di tali istanze lo Sportello Unico per l'Immigrazione della provincia ove sarà svolta l'attività lavorativa, rilascerà il prescritto nulla osta tramite la procedura semplificata descritta nelle citate circolari.
IL MINISTERO DELL'INTERNO
IL MINISTERO DEL LAVORO, SALUTE E POLITICHE SOCIALI

Prorogato fino al 31 dicembre 2009 il regime transitorio in materia di accesso al mercato del lavoro dei cittadini della Romania e della Bulgaria

Prorogato il regime transitorio per i lavoratori romeni e bulgari
Circolare Ministero Interno 14.01.2009 n° 1 (
Cesira Cruciani)

Varata dal Ministero dell'Interno e dal Ministero del Lavoro, Salute e Politiche Sociali la circolare congiunta numero 1/2009, che disciplina la proroga del regime transitorio in materia di accesso al mercato del lavoro dei cittadini romeni e bulgari. L'Italia si avvarrà del regime transitorio, relativamente alle procedure per l'accesso al mercato del lavoro nei confronti dei cittadini rumeni e bulgari, fino al 31 dicembre 2009, in vista della completa liberalizzazione del lavoro subordinato.
Confermato senza modifiche, per i cittadini 'neocomunitari' di Romania e Bulgaria, quanto già disposto nel 2008 in materia, unitamente alle deroghe a tale regime per alcuni settori produttivi e per alcune professionalità (agricolo e turistico alberghiero; lavoro domestico e di assistenza alla persona; edilizio; metalmeccanico, dirigenziale e altamente qualificato, compresi i casi previsti dall'articolo 27 del T. U. sull'immigrazione e lavoro stagionale). Per tutti i restanti settori produttivi, le richieste di assunzione saranno presentate allo Sportello unico per l'immigrazione, utilizzando la modulistica presente sui siti internet del Ministero dell'Interno e del Ministero del Lavoro, Salute e Politiche Sociali.

(Altalex, 16 gennaio 2009. Nota di Cesira Cruciani)


MINISTERO DELL'INTERNO, CIRCOLARE 14 GENNAIO 2009, N. 1
Roma, 14 Gennaio 2009
Circolare n. 1/2009

Prot. n. 130 Min.InternoProt. n. 23/11/000082/06 Min.Lav. Salute e P.S.
Ai Sigg.ri Prefetti LORO SEDI
Al Sig. Commissario del Governo per la Provincia Autonoma di TRENTO
Al Sig. Commissario del Governo per la Provincia Autonoma di BOLZANO
Al Sig. Presidente della Regione Valle d'Aosta AOSTA
Ai Sigg.ri Questori LORO SEDI
Alle Direzioni Regionali del LavoroLORO SEDI
Alle Direzioni Provinciali del Lavoro (per il tramite delle Direzioni Regionali del Lavoro) LORO SEDI
Alla Provincia Autonoma di Trento - Dip.to Servizi Sociali - Servizio LavoroTRENTO
Alla Provincia Autonoma di Bolzano - Rip. 19 - Uff. Lavoro - Isp. LavoroBOLZANO
Alla Regione Autonoma Friuli Venezia Giulia - Servizio per il LavoroTRIESTE
Alla Regione Siciliana Assessorato del Lavoro Uff. Reg. Lavoro-Ispett. Reg. LavoroPALERMO
e, per conoscenza:
Al Ministero degli Affari Esteri Gabinetto del Ministro ROMA
Al Ministero del Lavoro e della Previdenza Sociale Direzione Generale delle Risorse Umane e Affari GeneraliROMA
All'INPS - Direzione Generale ROMA
Agli Assessorati Regionali al Lavoro LORO SEDI
OGGETTO: Regime transitorio in materia di accesso al mercato del lavoro dei cittadini della Romania e della Bulgaria.

Si rende noto che l'Italia ha deciso di continuare ad avvalersi del regime transitorio, relativamente alle procedure per l'accesso al mercato del lavoro nei confronti dei cittadini rumeni e bulgari, per un ulteriore anno, fino al 31 dicembre 2009 in vista della completa liberalizzazione del lavoro subordinato.
Pertanto, si conferma, senza modifiche, quanto già disposto in materia di accesso al lavoro subordinato, dalle circolari congiunte Ministero dell'Interno-Ministero della Solidarietà Sociale n. 2 del 28 dicembre 2006, n. 3 del 3 gennaio 2007 e n. 1 del 4 gennaio 2008, per quanto riguarda le deroghe a tale regime per alcuni settori produttivi e per alcune professionalità (agricolo e turistico alberghiero; lavoro domestico e di assistenza alla persona; edilizio; metalmeccanico, dirigenziale e altamente qualificato, compresi i casi previsti dall'articolo 27 del T.U. sull'immigrazione e lavoro stagionale). Per tutti i restanti settori produttivi, l'assunzione dei lavoratori rumeni e bulgari avviene attraverso la presentazione di richieste di nulla osta allo Sportello Unico per l'Immigrazione - mediante spedizione postale (raccomandata A/R) - utilizzando l'apposita modulistica (mod. sub neocomunitari) disponibile sul sito del Ministero dell'Interno (www.interno.it) e del Ministero del Lavoro, Salute e Politiche Sociali (www.lavoro.gov.it).
Per la definizione di tali istanze lo Sportello Unico per l'Immigrazione della provincia ove sarà svolta l'attività lavorativa, rilascerà il prescritto nulla osta tramite la procedura semplificata descritta nelle citate circolari.
IL MINISTERO DELL'INTERNO
IL MINISTERO DEL LAVORO, SALUTE E POLITICHE SOCIALI

L'occupazione acquisitiva non esiste più

Non può ritenersi vigente l’istituto della c.d. occupazione acquisitiva
TAR Sicilia-Palermo, sez. III, sentenza 08.01.2009 n° 10

I Giudici siciliani, con l’arresto in esame, ribadiscono il tramonto dell’istituto, di creazione giurisprudenziale, noto come occupazione acquisitiva o occupazione espropriativa (od ancora come accessione invertita).
Sulla scia di quanto recentemente affermato dai colleghi di Palazzo Spada, il TAR Sicilia- Palermo ritiene che la mera trasformazione di un bene, seppur finalizzata al suo uso pubblico, non ne comporta l’acquisizione al patrimonio dell’ente pubblico che lo utilizza, il quale può divenirne proprietario esclusivamente ove esperisca il particolare procedimento previsto ex art. 43
d.P.R. n. 327/2001 (cfr. Cons.di Stato. A.P. n. 2/2005; Cons. di Stato, IV, n. 5830/2007 e Cons. di Stato, IV, n. 3752/2007).
I Giudici di prime cure richiamano testualmente le parole del Supremo Consesso: "L'istituto giurisprudenziale dell'occupazione espropriativa - secondo il quale, anche in assenza di un atto di natura ablatoria, l'amministrazione acquisirebbe a titolo originario la proprietà dell'area altrui, quando su di essa ha realizzato in tutto o in parte un'opera pubblica, in attuazione della dichiarazione della pubblica utilità, con conseguente decorso, dalla data in cui si verifica tale acquisto, del termine quinquennale per il risarcimento del danno - non può ritenersi vigente, sia in quanto non è conforme ai principi della convenzione europea del diritti dell'uomo e del diritto comunitario, che precludono di ravvisare un'espropriazione "indiretta" o "sostanziale" in assenza di un idoneo titolo legale, sia in quanto è incompatibile con l'art. 43
d.P.R. 327/2001, che attribuisce all'amministrazione il potere discrezionale di acquisire in sanatoria, con atto ablativo formale, la proprietà delle aree occupate nell'interesse pubblico in carenza di titolo, escludendo così che una simile acquisizione possa avvenire in via di mero fatto" (Consiglio Stato, sez. IV, 21 maggio 2007, n. 2582).
Il TAR, inoltre, afferma che rientra nella giurisdizione esclusiva del G.A., ai sensi dell’art. 34 del
d.lgs. 80/1998, come modificato dall’art. 7, legge 205/2000 - sul punto non inciso dalla sentenza della Consulta n. 204/2004 - un’azione promossa dai proprietari di un’area occupata dalla P.A. nell’ambito di una procedura espropriativa, a seguito dell’annullamento in sede giurisdizionale della dichiarazione di p.u. .
Il Collegio, successivamente, alla luce dei principi testé esposti, specifica che, nella fattispecie de qua, non è intervenuto alcun acquisto da parte del Comune dei terreni di proprietà dei ricorrenti, oggetto di causa, in conseguenza delle opere di trasformazione realizzate su tali beni.
Pertanto, non può essere accolta la domanda diretta ad ottenere il risarcimento danni per la c.d. "occupazione acquisitiva", in assenza dell’avvenuta acquisizione dei terreni dei ricorrenti in favore del Comune (rectius in mancanza di apposito provvedimento di acquisizione sanante ex art. 43,
T.U. espropriazioni per p.u.).
Tuttavia, proprio alla luce della richiamata giurisprudenza del Consiglio di Stato è, invece, fondata la domanda, proposta in via alternativa a quella risarcitoria, di restituzione dei beni di loro proprietà, illegittimamente occupati e detenuti sine titulo dall’amministrazione resistente.
Va, altresì, accolta la domanda di risarcimento dei danni conseguenti all’illegittima occupazione dell’area da parte dell’ amministrazione, a decorrere dalla data di immissione in possesso, atteso che, a seguito dell’annullamento in s.g. degli atti del procedimento espropriativo - segnatamente del decreto di occupazione di tali terreni - è venuto meno il titolo che legittimava il Comune a detenere l’area; conseguentemente la sua detenzione, senza titolo, è fonte di un credito risarcitorio in favore dei proprietari che sono stati ingiustamente privati dell’uso degli stessi terreni.
(Altalex, 15 gennaio 2009. Nota di Francesco Logiudice)


T.A.R.
Sicilia - Palermo
Sezione III
Sentenza 8 gennaio 2009, n. 10
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia
(Sezione Terza)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

Sul ricorso numero di registro generale 4264 del 2004, proposto da:
C. M. (nata il ****), C. Maria (nata il ****), C. A., C. F. e C. L., rappresentati e difesi dall'avv. Franco Lupo, con domicilio eletto in Palermo, piazza G. Amendola 43 presso lo studio dell’avv. Tommaso Raimondo;
contro
Comune di Bagheria, in persona del sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall’avv. Angela Rizzo, elettivamente domiciliato in Palermo, via Caltanissetta N.1 presso lo studio dell’avv. Massimo Fricano;
quanto al ricorso principale:
richiesta risarcimento danni per illecito acquisto di terreno a seguito di accessione invertita, nonché per l’illegittima reiterazione del vincolo destinato all’esproprio;
quanto ai motivi aggiunti:
richiesta di rilascio dei fondi in questione, in alternativa al già richiesto risarcimento;
richiesta risarcimento per l’illegittima occupazione dei fondi in questione a far data dall’agosto 2002.
Visto il ricorso con i relativi allegati;
Visti i motivi aggiunti;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di Comune di Bagheria;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 20/11/2008 il dott. Nicola Maisano e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue:
FATTO
Con ricorso notificato in data 19.7.2004 e depositato il successivo 21.7 i ricorrenti hanno chiesto che il Comune di Bagheria venisse condannato al risarcimento, in loro favore dei danni conseguenti all’illecito acquisto da parte del Comune, del terreno di loro proprietà sito in Bagheria, via ****, a seguito di accessione invertita, nonché per l’illegittima reiterazione del vincolo destinato all’esproprio su detto terreno.
Il Comune si è costituito in giudizio, replicando con memoria alle tesi articolate in ricorso e chiedendo che venga dichiarato inammissibile o comunque respinto.
Successivamente con motivi aggiunti, notificati e depositati nel giugno 2008 i ricorrenti hanno modificato le domande originariamente proposte in quanto: hanno chiesto la restituzione dei terreni indebitamente occupati dal Comune di Bagheria, in alternativa al risarcimento danni per occupazione acquisitiva degli stessi; hanno espressamente rinunziato alla domanda di risarcimento danni per l’illegittima reiterazione del vincolo destinato all’esproprio; hanno chiesto il risarcimento dei danni conseguenti all’illegittima occupazione dei terreni in questione a far data dall’agosto 2002.
All’udienza fissata per la trattazione del ricorso i procuratori delle parti hanno insistito nelle rispettive posizioni ed il ricorso è stato posto in decisione.
DIRITTO
La presente controversia trova origine da un procedimento di espropriazione posto in essere dal Comune di Bagheria, con riguardo ad alcuni terreni dei ricorrenti, per la realizzazione di un parcheggio, in esecuzione delle prescrizioni del p.r.g. - adottato con delibera del commissario ad acta n. 238 del 23.11.1998 ed approvato con decreto dell’Assessore Regionale Territorio ed Ambiente dell’8 aprile 2002 - nonchè del piano parcheggi del Comune.
Sia gli atti di carattere programmatorio che quelli esecutivi dell’espropriazione sono stati impugnati dagli odierni ricorrenti, in via giurisdizionale, ed annullati da questo Tribunale con sentenza, divenuta definitiva, n. 1159/2003.
A seguito di quest’ultima pronunzia i ricorrenti hanno quindi proposto l’attuale controversia con la quale hanno chiesto, con l’iniziale ricorso, il risarcimento del danno conseguente all’occupazione acquisitiva del loro terreno da parte del Comune di Bagheria, nonché di quello derivante dalla reiterazione dei vincoli espropriativi; con i motivi aggiunti hanno poi modificato le domande già proposte, chiedendo la restituzione dei terreni indebitamente occupati dal Comune di Bagheria, in alternativa al risarcimento danni per occupazione acquisitiva degli stessi, nonchè il risarcimento dei danni conseguenti all’illegittima occupazione dei terreni in questione a far data dall’agosto 2002.
In via preliminare, anche con riferimento alla relativa eccezione sollevata dalla difesa del Comune di Bagheria, deve essere chiarito che la presente controversia rientra nella giurisdizione del Giudice Amministrativo, in virtù dell’art. 34 del D.Lvo. n. 80/1998 come modificato dall’art. 5 della legge n. 205/2000, sul punto non inciso dalla pronunzia della Corte Costituzionale n. 204/2004.
Invero l’occupazione dei terreni dei ricorrenti è comunque conseguente ad una dichiarazione di p.u., poi annullata in sede giurisdizionale (cfr. Cons. di Stato, IV 3.9.2008 n. 4112, Cons. di Stato, IV, 16.11.2007 n. 5830), ed anche a seguito dell’assetto conseguente all’intervento del Giudice delle leggi, tali casi rientrano nella giurisdizione del Giudice Amministrativo (Cons. di Stato A. P. n. 2/2006).
Ciò precisato, le domande proposte dai ricorrenti con i motivi aggiunti sono fondate e devono essere accolte, nei sensi che verranno precisati.
Il Consiglio di Stato ha avuto modo di chiarire che “L'istituto giurisprudenziale dell'occupazione espropriativa - secondo il quale, anche in assenza di un atto di natura ablatoria, l'amministrazione acquisirebbe a titolo originario la proprietà dell'area altrui, quando su di essa ha realizzato in tutto o in parte un'opera pubblica, in attuazione della dichiarazione della pubblica utilità, con conseguente decorso, dalla data in cui si verifica tale acquisto, del termine quinquennale per il risarcimento del danno - non può ritenersi vigente, sia in quanto non è conforme ai principi della convenzione europea del diritti dell'uomo e del diritto comunitario, che precludono di ravvisare un'espropriazione "indiretta" o "sostanziale" in assenza di un idoneo titolo legale, sia in quanto è incompatibile con l'art. 43 d.P.R. 327/2001, che attribuisce all'amministrazione il potere discrezionale di acquisire in sanatoria, con atto ablativo formale, la proprietà delle aree occupate nell'interesse pubblico in carenza di titolo, escludendo così che una simile acquisizione possa avvenire in via di mero fatto” (Consiglio Stato, sez. IV, 21 maggio 2007, n. 2582).
Conseguentemente la mera trasformazione di un bene, seppur finalizzata al suo uso pubblico, non ne comporta la sua acquisizione al patrimonio dell’ente pubblico che lo utilizza, che ne può divenire proprietario solo ove esperisca il particolare procedimento previsto dall’art. 43 D.P.R. n. 327/2001 (Cons.di Stato. A.P. n. 2/2005; Cons. di Stato, IV, 16.11.2007 n. 5830 e Cons. di Stato, IV, 27.6.2007 n. 3752).
Alla luce di tali principi che il Collegio ritiene condivisibili, e dai quali non ritiene pertanto di doversi discostare, nella fattispecie per cui è causa non è intervenuto alcun acquisto da parte del Comune di Bagheria dei terreni di proprietà dei ricorrenti, oggetto di causa, in conseguenza dalle opere di trasformazione realizzate su tali beni.
Conseguentemente non può essere accolta la domanda diretta ad ottenere il risarcimento danni per la così detta“occupazione acquisitiva”, in assenza dell’avvenuta acquisizione dei terreni dei ricorrenti in favore del Comune di Bagheria.
Proprio alla luce della richiamata giurisprudenza del Consiglio di Stato, è invece fondata la domanda, proposta in via alternativa a quella risarcitoria, di restituzione dei beni di loro proprietà, illegittimamente occupati e detenuti sine titulo dall’amministrazione resistente.
Invero non risulta che il Comune abbia attivato il particolare procedimento previsto dall’art. 43 del D.P.R. n. 327/2001, volto all’acquisizione dei beni occupati e trasformati, neanche dopo che i ricorrenti hanno avanzato nel presente giudizio – con i motivi aggiunti notificati nel giugno 2008 – espressa domanda di restituzione dei terreni di loro proprietà, oggetto di controversia.
Peraltro, sembra utile precisare, proprio al fine di non pregiudicare le eventuali iniziative di spettanza del Comune resistente, è stata differita la trattazione del presente ricorso, che era già fissata per il 1° luglio 2008, prima che fossero maturati i termini di difesa per tale amministrazione, con riferimento alla proposizione dei motivi aggiunti.
In definitiva è fondata la domanda avanzata dagli odierni ricorrenti di restituzione dei beni in questione di cui sono sempre rimasti proprietari.
Altresì fondata è la domanda di risarcimento dei danni conseguenti all’illegittima occupazione di tali terreni da parte del Comune di Bagheria a decorrere dall’agosto 2002.
Infatti a seguito dell’annullamento giurisdizionale degli atti del procedimento espropriativo intentato dall’amministrazione resistente, e segnatamente del decreto di occupazione di tali terreni, è venuto meno il titolo che legittimava Comune di Bagheria a detenerli; conseguentemente la loro detenzione, senza titolo, è fonte di un credito risarcitorio in favore dei proprietari che sono stati ingiustamente privati dell’uso degli stessi terreni.
La quantificazione del risarcimento spettante ai ricorrenti, sulla base del valore venale dell’utilità sottratta ai proprietari, dovrà essere effettuato dal Comune di Bagheria, ai sensi del secondo comma dell’art. 35 del D.Lvo n. 80/1998, come modificato dall’art. 7 della legge n. 205/2000, entro il termine di sessanta giorni dalla notifica o dalla comunicazione in via amministrativa della presente sentenza.
In conclusione le pretese azionate dai ricorrenti con il ricorso in epigrafe possono essere accolte, nei sensi indicati.
Le spese seguono la soccombenza e devono essere liquidate, in favore dei ricorrenti nella misura di €. 2.500,00 oltre I.V.A. e c.p.a.
P.Q.M.
il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia, Sezione terza, accoglie il ricorso in epigrafe, nei sensi indicati in motivazione.
Pone a carico dell’amministrazione intimata le spese del giudizio, che liquida, in favore dei ricorrenti, nella misura di €. 2.500,00, oltre I.V.A. e c.p.a.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Palermo nella camera di consiglio del giorno 20/11/2008 con l'intervento dei Magistrati:
Calogero Adamo, Presidente
Nicola Maisano, Primo Referendario, Estensore
Maria Cappellano, Referendario
DEPOSITATA IN SEGRETERIA IL 08/01/2009.

L'occupazione acquisitiva non esiste più

Non può ritenersi vigente l’istituto della c.d. occupazione acquisitiva
TAR Sicilia-Palermo, sez. III, sentenza 08.01.2009 n° 10

I Giudici siciliani, con l’arresto in esame, ribadiscono il tramonto dell’istituto, di creazione giurisprudenziale, noto come occupazione acquisitiva o occupazione espropriativa (od ancora come accessione invertita).
Sulla scia di quanto recentemente affermato dai colleghi di Palazzo Spada, il TAR Sicilia- Palermo ritiene che la mera trasformazione di un bene, seppur finalizzata al suo uso pubblico, non ne comporta l’acquisizione al patrimonio dell’ente pubblico che lo utilizza, il quale può divenirne proprietario esclusivamente ove esperisca il particolare procedimento previsto ex art. 43
d.P.R. n. 327/2001 (cfr. Cons.di Stato. A.P. n. 2/2005; Cons. di Stato, IV, n. 5830/2007 e Cons. di Stato, IV, n. 3752/2007).
I Giudici di prime cure richiamano testualmente le parole del Supremo Consesso: "L'istituto giurisprudenziale dell'occupazione espropriativa - secondo il quale, anche in assenza di un atto di natura ablatoria, l'amministrazione acquisirebbe a titolo originario la proprietà dell'area altrui, quando su di essa ha realizzato in tutto o in parte un'opera pubblica, in attuazione della dichiarazione della pubblica utilità, con conseguente decorso, dalla data in cui si verifica tale acquisto, del termine quinquennale per il risarcimento del danno - non può ritenersi vigente, sia in quanto non è conforme ai principi della convenzione europea del diritti dell'uomo e del diritto comunitario, che precludono di ravvisare un'espropriazione "indiretta" o "sostanziale" in assenza di un idoneo titolo legale, sia in quanto è incompatibile con l'art. 43
d.P.R. 327/2001, che attribuisce all'amministrazione il potere discrezionale di acquisire in sanatoria, con atto ablativo formale, la proprietà delle aree occupate nell'interesse pubblico in carenza di titolo, escludendo così che una simile acquisizione possa avvenire in via di mero fatto" (Consiglio Stato, sez. IV, 21 maggio 2007, n. 2582).
Il TAR, inoltre, afferma che rientra nella giurisdizione esclusiva del G.A., ai sensi dell’art. 34 del
d.lgs. 80/1998, come modificato dall’art. 7, legge 205/2000 - sul punto non inciso dalla sentenza della Consulta n. 204/2004 - un’azione promossa dai proprietari di un’area occupata dalla P.A. nell’ambito di una procedura espropriativa, a seguito dell’annullamento in sede giurisdizionale della dichiarazione di p.u. .
Il Collegio, successivamente, alla luce dei principi testé esposti, specifica che, nella fattispecie de qua, non è intervenuto alcun acquisto da parte del Comune dei terreni di proprietà dei ricorrenti, oggetto di causa, in conseguenza delle opere di trasformazione realizzate su tali beni.
Pertanto, non può essere accolta la domanda diretta ad ottenere il risarcimento danni per la c.d. "occupazione acquisitiva", in assenza dell’avvenuta acquisizione dei terreni dei ricorrenti in favore del Comune (rectius in mancanza di apposito provvedimento di acquisizione sanante ex art. 43,
T.U. espropriazioni per p.u.).
Tuttavia, proprio alla luce della richiamata giurisprudenza del Consiglio di Stato è, invece, fondata la domanda, proposta in via alternativa a quella risarcitoria, di restituzione dei beni di loro proprietà, illegittimamente occupati e detenuti sine titulo dall’amministrazione resistente.
Va, altresì, accolta la domanda di risarcimento dei danni conseguenti all’illegittima occupazione dell’area da parte dell’ amministrazione, a decorrere dalla data di immissione in possesso, atteso che, a seguito dell’annullamento in s.g. degli atti del procedimento espropriativo - segnatamente del decreto di occupazione di tali terreni - è venuto meno il titolo che legittimava il Comune a detenere l’area; conseguentemente la sua detenzione, senza titolo, è fonte di un credito risarcitorio in favore dei proprietari che sono stati ingiustamente privati dell’uso degli stessi terreni.
(Altalex, 15 gennaio 2009. Nota di Francesco Logiudice)


T.A.R.
Sicilia - Palermo
Sezione III
Sentenza 8 gennaio 2009, n. 10
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia
(Sezione Terza)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

Sul ricorso numero di registro generale 4264 del 2004, proposto da:
C. M. (nata il ****), C. Maria (nata il ****), C. A., C. F. e C. L., rappresentati e difesi dall'avv. Franco Lupo, con domicilio eletto in Palermo, piazza G. Amendola 43 presso lo studio dell’avv. Tommaso Raimondo;
contro
Comune di Bagheria, in persona del sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall’avv. Angela Rizzo, elettivamente domiciliato in Palermo, via Caltanissetta N.1 presso lo studio dell’avv. Massimo Fricano;
quanto al ricorso principale:
richiesta risarcimento danni per illecito acquisto di terreno a seguito di accessione invertita, nonché per l’illegittima reiterazione del vincolo destinato all’esproprio;
quanto ai motivi aggiunti:
richiesta di rilascio dei fondi in questione, in alternativa al già richiesto risarcimento;
richiesta risarcimento per l’illegittima occupazione dei fondi in questione a far data dall’agosto 2002.
Visto il ricorso con i relativi allegati;
Visti i motivi aggiunti;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di Comune di Bagheria;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 20/11/2008 il dott. Nicola Maisano e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue:
FATTO
Con ricorso notificato in data 19.7.2004 e depositato il successivo 21.7 i ricorrenti hanno chiesto che il Comune di Bagheria venisse condannato al risarcimento, in loro favore dei danni conseguenti all’illecito acquisto da parte del Comune, del terreno di loro proprietà sito in Bagheria, via ****, a seguito di accessione invertita, nonché per l’illegittima reiterazione del vincolo destinato all’esproprio su detto terreno.
Il Comune si è costituito in giudizio, replicando con memoria alle tesi articolate in ricorso e chiedendo che venga dichiarato inammissibile o comunque respinto.
Successivamente con motivi aggiunti, notificati e depositati nel giugno 2008 i ricorrenti hanno modificato le domande originariamente proposte in quanto: hanno chiesto la restituzione dei terreni indebitamente occupati dal Comune di Bagheria, in alternativa al risarcimento danni per occupazione acquisitiva degli stessi; hanno espressamente rinunziato alla domanda di risarcimento danni per l’illegittima reiterazione del vincolo destinato all’esproprio; hanno chiesto il risarcimento dei danni conseguenti all’illegittima occupazione dei terreni in questione a far data dall’agosto 2002.
All’udienza fissata per la trattazione del ricorso i procuratori delle parti hanno insistito nelle rispettive posizioni ed il ricorso è stato posto in decisione.
DIRITTO
La presente controversia trova origine da un procedimento di espropriazione posto in essere dal Comune di Bagheria, con riguardo ad alcuni terreni dei ricorrenti, per la realizzazione di un parcheggio, in esecuzione delle prescrizioni del p.r.g. - adottato con delibera del commissario ad acta n. 238 del 23.11.1998 ed approvato con decreto dell’Assessore Regionale Territorio ed Ambiente dell’8 aprile 2002 - nonchè del piano parcheggi del Comune.
Sia gli atti di carattere programmatorio che quelli esecutivi dell’espropriazione sono stati impugnati dagli odierni ricorrenti, in via giurisdizionale, ed annullati da questo Tribunale con sentenza, divenuta definitiva, n. 1159/2003.
A seguito di quest’ultima pronunzia i ricorrenti hanno quindi proposto l’attuale controversia con la quale hanno chiesto, con l’iniziale ricorso, il risarcimento del danno conseguente all’occupazione acquisitiva del loro terreno da parte del Comune di Bagheria, nonché di quello derivante dalla reiterazione dei vincoli espropriativi; con i motivi aggiunti hanno poi modificato le domande già proposte, chiedendo la restituzione dei terreni indebitamente occupati dal Comune di Bagheria, in alternativa al risarcimento danni per occupazione acquisitiva degli stessi, nonchè il risarcimento dei danni conseguenti all’illegittima occupazione dei terreni in questione a far data dall’agosto 2002.
In via preliminare, anche con riferimento alla relativa eccezione sollevata dalla difesa del Comune di Bagheria, deve essere chiarito che la presente controversia rientra nella giurisdizione del Giudice Amministrativo, in virtù dell’art. 34 del D.Lvo. n. 80/1998 come modificato dall’art. 5 della legge n. 205/2000, sul punto non inciso dalla pronunzia della Corte Costituzionale n. 204/2004.
Invero l’occupazione dei terreni dei ricorrenti è comunque conseguente ad una dichiarazione di p.u., poi annullata in sede giurisdizionale (cfr. Cons. di Stato, IV 3.9.2008 n. 4112, Cons. di Stato, IV, 16.11.2007 n. 5830), ed anche a seguito dell’assetto conseguente all’intervento del Giudice delle leggi, tali casi rientrano nella giurisdizione del Giudice Amministrativo (Cons. di Stato A. P. n. 2/2006).
Ciò precisato, le domande proposte dai ricorrenti con i motivi aggiunti sono fondate e devono essere accolte, nei sensi che verranno precisati.
Il Consiglio di Stato ha avuto modo di chiarire che “L'istituto giurisprudenziale dell'occupazione espropriativa - secondo il quale, anche in assenza di un atto di natura ablatoria, l'amministrazione acquisirebbe a titolo originario la proprietà dell'area altrui, quando su di essa ha realizzato in tutto o in parte un'opera pubblica, in attuazione della dichiarazione della pubblica utilità, con conseguente decorso, dalla data in cui si verifica tale acquisto, del termine quinquennale per il risarcimento del danno - non può ritenersi vigente, sia in quanto non è conforme ai principi della convenzione europea del diritti dell'uomo e del diritto comunitario, che precludono di ravvisare un'espropriazione "indiretta" o "sostanziale" in assenza di un idoneo titolo legale, sia in quanto è incompatibile con l'art. 43 d.P.R. 327/2001, che attribuisce all'amministrazione il potere discrezionale di acquisire in sanatoria, con atto ablativo formale, la proprietà delle aree occupate nell'interesse pubblico in carenza di titolo, escludendo così che una simile acquisizione possa avvenire in via di mero fatto” (Consiglio Stato, sez. IV, 21 maggio 2007, n. 2582).
Conseguentemente la mera trasformazione di un bene, seppur finalizzata al suo uso pubblico, non ne comporta la sua acquisizione al patrimonio dell’ente pubblico che lo utilizza, che ne può divenire proprietario solo ove esperisca il particolare procedimento previsto dall’art. 43 D.P.R. n. 327/2001 (Cons.di Stato. A.P. n. 2/2005; Cons. di Stato, IV, 16.11.2007 n. 5830 e Cons. di Stato, IV, 27.6.2007 n. 3752).
Alla luce di tali principi che il Collegio ritiene condivisibili, e dai quali non ritiene pertanto di doversi discostare, nella fattispecie per cui è causa non è intervenuto alcun acquisto da parte del Comune di Bagheria dei terreni di proprietà dei ricorrenti, oggetto di causa, in conseguenza dalle opere di trasformazione realizzate su tali beni.
Conseguentemente non può essere accolta la domanda diretta ad ottenere il risarcimento danni per la così detta“occupazione acquisitiva”, in assenza dell’avvenuta acquisizione dei terreni dei ricorrenti in favore del Comune di Bagheria.
Proprio alla luce della richiamata giurisprudenza del Consiglio di Stato, è invece fondata la domanda, proposta in via alternativa a quella risarcitoria, di restituzione dei beni di loro proprietà, illegittimamente occupati e detenuti sine titulo dall’amministrazione resistente.
Invero non risulta che il Comune abbia attivato il particolare procedimento previsto dall’art. 43 del D.P.R. n. 327/2001, volto all’acquisizione dei beni occupati e trasformati, neanche dopo che i ricorrenti hanno avanzato nel presente giudizio – con i motivi aggiunti notificati nel giugno 2008 – espressa domanda di restituzione dei terreni di loro proprietà, oggetto di controversia.
Peraltro, sembra utile precisare, proprio al fine di non pregiudicare le eventuali iniziative di spettanza del Comune resistente, è stata differita la trattazione del presente ricorso, che era già fissata per il 1° luglio 2008, prima che fossero maturati i termini di difesa per tale amministrazione, con riferimento alla proposizione dei motivi aggiunti.
In definitiva è fondata la domanda avanzata dagli odierni ricorrenti di restituzione dei beni in questione di cui sono sempre rimasti proprietari.
Altresì fondata è la domanda di risarcimento dei danni conseguenti all’illegittima occupazione di tali terreni da parte del Comune di Bagheria a decorrere dall’agosto 2002.
Infatti a seguito dell’annullamento giurisdizionale degli atti del procedimento espropriativo intentato dall’amministrazione resistente, e segnatamente del decreto di occupazione di tali terreni, è venuto meno il titolo che legittimava Comune di Bagheria a detenerli; conseguentemente la loro detenzione, senza titolo, è fonte di un credito risarcitorio in favore dei proprietari che sono stati ingiustamente privati dell’uso degli stessi terreni.
La quantificazione del risarcimento spettante ai ricorrenti, sulla base del valore venale dell’utilità sottratta ai proprietari, dovrà essere effettuato dal Comune di Bagheria, ai sensi del secondo comma dell’art. 35 del D.Lvo n. 80/1998, come modificato dall’art. 7 della legge n. 205/2000, entro il termine di sessanta giorni dalla notifica o dalla comunicazione in via amministrativa della presente sentenza.
In conclusione le pretese azionate dai ricorrenti con il ricorso in epigrafe possono essere accolte, nei sensi indicati.
Le spese seguono la soccombenza e devono essere liquidate, in favore dei ricorrenti nella misura di €. 2.500,00 oltre I.V.A. e c.p.a.
P.Q.M.
il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia, Sezione terza, accoglie il ricorso in epigrafe, nei sensi indicati in motivazione.
Pone a carico dell’amministrazione intimata le spese del giudizio, che liquida, in favore dei ricorrenti, nella misura di €. 2.500,00, oltre I.V.A. e c.p.a.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Palermo nella camera di consiglio del giorno 20/11/2008 con l'intervento dei Magistrati:
Calogero Adamo, Presidente
Nicola Maisano, Primo Referendario, Estensore
Maria Cappellano, Referendario
DEPOSITATA IN SEGRETERIA IL 08/01/2009.

Decreto Anti Crisi e Mutui prima casa


Mutui prima casa: le novità introdotte dal decreto anticrisi
Circolare Ministero Economia e finanze 29.12.2008 n° 17852

Per i mutui a tasso non fisso erogati entro il 31 ottobre 2008 a persone fisiche per l'acquisto, la costruzione e la ristrutturazione dell'abitazione principale ad eccezione di quelle di categoria A1, A8 e A9, le rate da corrispondere nel 2009 sono calcolate con riferimento al maggiore tra un tasso di interesse pari al 4%, senza spread, spese varie o altro tipo di maggiorazione e il tasso contrattuale alla data di sottoscrizione del contratto e, comunque, per un ammontare non superiore a quanto previsto dalle condizioni contrattuali in essere.
E' quanto spiega la Circolare 29 dicembre 2008, n. 17852 con la quale il Ministero dell'Economia e delle Finanze illustra alcune delle novità introdotte con il decreto-legge 29 novembre 2008, n. 185 in materia di mutui per la prima casa, precisando che la differenza tra gli importi a carico del mutuatario e le rate da corrispondere, in base al contratto di mutuo sottoscritto, è a carico dello Stato.
In particolare, il contributo dello Stato a favore dei mutuatari per la riduzione dell'importo delle rate di mutuo a tasso non fisso nel corso del 2009 viene corrisposto dalle banche mutuanti, senza alcun costo per il cliente, alla data di scadenza di ciascuna rata.Le rate interessate sono tutte quelle da corrispondere nel corso del 2009 ed il criterio di calcolo individuato dalla legge si applica all'intero importo della rata (non solo al rateo riferibile al 2009).
(Altalex, 15 gennaio 2009)


MINISTERO DELL'ECONOMIA E DELLE FINANZE,
CIRCOLARE 29 dicembre 2008, n. 17852

Articolo 2 del decreto-legge 29 novembre 2008, n. 185 - Mutui prima casa.
Agli istituti autorizzati all'esercizio dell'attivita' bancaria
Premessa
L'art. 2, commi da 1 a 3 del decreto-legge 29 novembre 2008, n. 185 prevede che per i mutui a tasso non fisso erogati entro il 31 ottobre 2008 a persone fisiche per l'acquisto, la costruzione e la ristrutturazione dell'abitazione principale ad eccezione di quelle di categoria A1, A8 e A9, le rate da corrispondere nel 2009 siano calcolate con riferimento al maggiore tra un tasso di interesse pari al 4%, senza spread, spese varie o altro tipo di maggiorazione e il tasso contrattuale alla data di sottoscrizione del contratto e, comunque, per un ammontare non superiore a quanto previsto dalle condizioni contrattuali in essere.
Il provvedimento si applica anche ai mutui che sono stati oggetto di operazioni di rinegoziazione di cui all'art. 3 del decreto-legge 28 maggio 2008, n. 93 convertito dalla legge 24 luglio 2008, n. 126.
La differenza tra gli importi a carico del mutuatario ai sensi dell'art. 2 comma 1 del decreto-legge n. 185/2008 e le rate da corrispondere ai sensi del contratto di mutuo sottoscritto, e' posta a carico dello Stato.
E' previsto inoltre che, con provvedimento del direttore dell'Agenzia delle entrate, siano definite le modalita' tecniche per il pagamento della differenza.Nelle more della procedura di conversione del decreto-legge n. 185, si ritiene opportuno fornire alcuni chiarimenti interpretativi per la concreta applicazione delle disposizioni sopra richiamate.
Modalita' per la corresponsione del contributo
Il contributo dello Stato a favore dei mutuatari per la riduzione dell'importo delle rate di mutuo a tasso non fisso nel corso del 2009 - ai sensi dell'art. 2, commi da 1 a 3 del decreto-legge n. 185/2008 - viene corrisposto dalle banche mutuanti, senza alcun costo per il cliente, alla data di scadenza di ciascuna rata.Le rate interessate sono tutte quelle da corrispondere nel corso del 2009.Il criterio di calcolo individuato dalla legge si applica all'intero importo della rata e non solo al rateo riferibile al 2009.
La banca mutuante, a causa di difficolta' di carattere organizzativo, potrebbe non essere in condizioni di corrispondere il contributo gia' per le prime rate in scadenza nel 2009. Si ravvisa l'obbligo di adoperarsi per contenere al massimo eventuali ritardi, che comunque non dovrebbero ragionevolmente estendersi oltre il mese di febbraio 2009.
Il mutuatario deve naturalmente essere tenuto indenne da ogni effetto di tali ritardi. In particolare, ogni contributo deve essere accreditato con valuta del giorno di scadenza della rata cui e' relativo.
In caso di mutui che sono stati oggetto di operazioni di cartolarizzazione o di emissione di obbligazioni bancarie garantite, ai sensi della legge 30 aprile 1999, n. 130, il contributo viene corrisposto dalla banca cedente (originator) ovvero dal soggetto incaricato della riscossione dei crediti ceduti e dei servizi di cassa e di pagamento (servicer).
Roma, 29 dicembre 2008.
Il direttore generale del Tesoro: Grilli

Decreto Anti Crisi e Mutui prima casa


Mutui prima casa: le novità introdotte dal decreto anticrisi
Circolare Ministero Economia e finanze 29.12.2008 n° 17852

Per i mutui a tasso non fisso erogati entro il 31 ottobre 2008 a persone fisiche per l'acquisto, la costruzione e la ristrutturazione dell'abitazione principale ad eccezione di quelle di categoria A1, A8 e A9, le rate da corrispondere nel 2009 sono calcolate con riferimento al maggiore tra un tasso di interesse pari al 4%, senza spread, spese varie o altro tipo di maggiorazione e il tasso contrattuale alla data di sottoscrizione del contratto e, comunque, per un ammontare non superiore a quanto previsto dalle condizioni contrattuali in essere.
E' quanto spiega la Circolare 29 dicembre 2008, n. 17852 con la quale il Ministero dell'Economia e delle Finanze illustra alcune delle novità introdotte con il decreto-legge 29 novembre 2008, n. 185 in materia di mutui per la prima casa, precisando che la differenza tra gli importi a carico del mutuatario e le rate da corrispondere, in base al contratto di mutuo sottoscritto, è a carico dello Stato.
In particolare, il contributo dello Stato a favore dei mutuatari per la riduzione dell'importo delle rate di mutuo a tasso non fisso nel corso del 2009 viene corrisposto dalle banche mutuanti, senza alcun costo per il cliente, alla data di scadenza di ciascuna rata.Le rate interessate sono tutte quelle da corrispondere nel corso del 2009 ed il criterio di calcolo individuato dalla legge si applica all'intero importo della rata (non solo al rateo riferibile al 2009).
(Altalex, 15 gennaio 2009)


MINISTERO DELL'ECONOMIA E DELLE FINANZE,
CIRCOLARE 29 dicembre 2008, n. 17852

Articolo 2 del decreto-legge 29 novembre 2008, n. 185 - Mutui prima casa.
Agli istituti autorizzati all'esercizio dell'attivita' bancaria
Premessa
L'art. 2, commi da 1 a 3 del decreto-legge 29 novembre 2008, n. 185 prevede che per i mutui a tasso non fisso erogati entro il 31 ottobre 2008 a persone fisiche per l'acquisto, la costruzione e la ristrutturazione dell'abitazione principale ad eccezione di quelle di categoria A1, A8 e A9, le rate da corrispondere nel 2009 siano calcolate con riferimento al maggiore tra un tasso di interesse pari al 4%, senza spread, spese varie o altro tipo di maggiorazione e il tasso contrattuale alla data di sottoscrizione del contratto e, comunque, per un ammontare non superiore a quanto previsto dalle condizioni contrattuali in essere.
Il provvedimento si applica anche ai mutui che sono stati oggetto di operazioni di rinegoziazione di cui all'art. 3 del decreto-legge 28 maggio 2008, n. 93 convertito dalla legge 24 luglio 2008, n. 126.
La differenza tra gli importi a carico del mutuatario ai sensi dell'art. 2 comma 1 del decreto-legge n. 185/2008 e le rate da corrispondere ai sensi del contratto di mutuo sottoscritto, e' posta a carico dello Stato.
E' previsto inoltre che, con provvedimento del direttore dell'Agenzia delle entrate, siano definite le modalita' tecniche per il pagamento della differenza.Nelle more della procedura di conversione del decreto-legge n. 185, si ritiene opportuno fornire alcuni chiarimenti interpretativi per la concreta applicazione delle disposizioni sopra richiamate.
Modalita' per la corresponsione del contributo
Il contributo dello Stato a favore dei mutuatari per la riduzione dell'importo delle rate di mutuo a tasso non fisso nel corso del 2009 - ai sensi dell'art. 2, commi da 1 a 3 del decreto-legge n. 185/2008 - viene corrisposto dalle banche mutuanti, senza alcun costo per il cliente, alla data di scadenza di ciascuna rata.Le rate interessate sono tutte quelle da corrispondere nel corso del 2009.Il criterio di calcolo individuato dalla legge si applica all'intero importo della rata e non solo al rateo riferibile al 2009.
La banca mutuante, a causa di difficolta' di carattere organizzativo, potrebbe non essere in condizioni di corrispondere il contributo gia' per le prime rate in scadenza nel 2009. Si ravvisa l'obbligo di adoperarsi per contenere al massimo eventuali ritardi, che comunque non dovrebbero ragionevolmente estendersi oltre il mese di febbraio 2009.
Il mutuatario deve naturalmente essere tenuto indenne da ogni effetto di tali ritardi. In particolare, ogni contributo deve essere accreditato con valuta del giorno di scadenza della rata cui e' relativo.
In caso di mutui che sono stati oggetto di operazioni di cartolarizzazione o di emissione di obbligazioni bancarie garantite, ai sensi della legge 30 aprile 1999, n. 130, il contributo viene corrisposto dalla banca cedente (originator) ovvero dal soggetto incaricato della riscossione dei crediti ceduti e dei servizi di cassa e di pagamento (servicer).
Roma, 29 dicembre 2008.
Il direttore generale del Tesoro: Grilli

martedì 20 gennaio 2009

Traffiphot: Incompetenza Polizia Municipale su strada provinciale


Traffiphot, incompetenza Polizia Municipale su strada provinciale


lunedì 19 gennaio 2009
Giudice di Pace di Caserta, sentenza del 13 gennaio 2009
.
Sanzione amministrativa – Violazione al Codice della strada
.
TRAFFIPHOT – ECCESSO DI VELOCITA’ SU STRADA PROVINCIALE – RILEVAZIONE DELLA POLIZIA MUNICIPALE – INCOMPETENZA - ASSENZA AUTORIZZAZIONE ALL’INSTALLAZIONE - ILLEGITTIMITA’
.
[Giudice di Pace di Caserta, Avv. Generoso Bello, sentenza del 13 gennaio 2009]
.
.
Nella Sentenza
>> “I corpi di Polizia Municipale non possono effettuare accertamenti di violazioni delle norme del C.d.S., con apparecchiature elettroniche di rilevamento, su strade i cui tracciati non siano di proprietà degli Enti Locali di cui essi siano organi e ciò anche nel caso in cui i tracciati in questione attraversino i territori degli Enti interessati”.
.
>> “Troppo frequentemente, gli strumenti di rilevazione automatica delle violazioni assumono funzioni diverse, in difformità dallo spirito e dalla lettera della normativa, divenendo, in pratica, soltanto una fonte atipica di incremento per le entrate comunali e finendo per non assolvere allo scopo per il quale sono stati previsti, di ridurre o evitare gli incidenti da circolazione stradale”.
.
.
.
.
REPUBBLICA ITALIANA
UFFICIO DEL GIUDICE DI PACE DI CASERTA - 1a SEZIONE
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Giudice di Pace di Caserta, Avv. G. Bello, ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nella causa iscritta al N.ro 9779/08 R.G., avente ad oggetto: opposizione a verbale della Polizia Muni-cipale, ai sensi della L. 689/81:
TRA
Meviox, nato …, elettivamente domiciliato in … , presso lo studio dell’Avv. … che lo rappresenta e difende per mandato a margine del ricorso; (opponente)
E
Comune di Xxxx , in persona del Sindaco p. t.; (opposto)
.
CONCLUSIONI: come da verbale di causa.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con ricorso depositato in data 23.9.2008, veniva proposta opposizione avversa il verbale n. …./2008 del 5.6.2008, reso dalla Polizia Municipale di Xxxx, notificato in data 16.9.2008, con il quale si contestava la violazione dell'art. 142, comma 8, C.d.S. per aver il conducente del veicolo Honda, tg. …, superato il limite di velocità di 70 km/h, in Xxxx, alla SP 336 km. 23+830, Direzione Caserta, in data 5.6.2008, al-le ore 18,52, poiché circolava alla velocità di 96 km/h che, detratta la tolleranza del 5%, aveva superato il detto limite di 21 km/h. La violazione comportava la decurtazione di 5 punti sulla patente di guida. La rilevazione era avvenuta con apparecchio Traffiphot III SR, omolog. 4130 del 24.12.2004. Matr. Post. 593-206/61409 Matr. Mis. 593-100/60926. Cert. Tar. N. 2282-2008 SIT del 15.5.2008.
Deduceva, tra l'altro, l’opponente che era omessa la detrazione della percentuale forfetaria del 5% nel calcolo della velocità. Il dispositivo di misurazione della velocità non era stato adeguatamente segnala-to, con segnale luminoso. Era stato violato l’art. 81 del regolamento al C.d.S. poiché la segnaletica non rispetta le distanze laterali dal bordo della strada. Il segnale era coperto, nella prospettiva di marcia dell’utente, da alberi e cartellonistica stradale. Secondo il comma 6, dell’art. 142, C.d.S., sono conside-rate fonti di prova le risultanze di apparecchiature debitamente omologate. La norma va interpretata nel senso che il rilevatore della velocità deve essere in grado di misurare sia la velocità istantanea che quel-la media il che è possibile solo con l’apparecchiatura “Tutor”. Era necessaria la prescritta autorizzazione del Prefetto per l’installazione dell’apparecchio Traffiphot. La violazione non era stata immediatamente contestata. Chiedeva, pertanto, previa sospensione dell’efficacia esecutiva, annullare il verbale di accertamento impugnato.
Il Giudice, con decreto notificato alle parti, fissava l'udienza di comparizione delle parti stesse.
Si costitutiva il Comune di Xxxx che resisteva alla proposta opposizione e ne chiedeva il rigetto perché infondata.
All'esito della detta udienza, il Giudice decideva la causa dando lettura del dispositivo, ai sensi dell'art. 23 della legge n. 689/81 e della sentenza n. 534/90 della Corte Costituzionale.
MOTIVI DELLA DECISIONE
L'opposizione è fondata e va accolta.
Invero, indipendentemente da taluni motivi di opposizione, palesemente inconsistenti e pretestuosi, l’art. 12, c. 3, lett. c), C.d.S., sancisce che l’attribuzione ai corpi di Polizia Municipale resta circoscritta nell’ambito del territorio di competenza. Anche l’art. 5, commi 1 e 2, della legge 7.3.1986 n. 65, stabilisce che la Polizia Municipale è titolare di funzioni di polizia stradale nell’ambito territoriale dell’Ente (Comune) di appartenenza.
Nel caso di specie, invece, l’accertamento è stato effettuato sulla S.P. 336 (Strada Provinciale di proprietà dell’Amministrazione Provinciale di Caserta), dalla Polizia Muncipale di Xxxx il cui Comune (a cui fa capo la detta Polizia Municipale) non è proprietario, né gestore.
Peraltro, è ampiamente noto che la giurisprudenza di merito ha ripetutamente affermato che: “I corpi di Polizia Municipale non possono effettuare accertamenti di violazioni delle norme del C.d.S. su tracciati che non siano di proprietà degli Enti Locali di cui essi siano organi e ciò anche nel caso in cui i tracciati in questione attraversino i territori degli Enti interessati”.
Sicché, l’accertamento compiuto dalla Polizia Municipale di Xxxx deve ritenersi illegittimo in quanto eseguito su un tratto stradale di proprietà di altro Ente (la Provincia) e, soprattutto, in quanto relativo ad una struttura rilevatrice (Traffiphot III SR) ad impianto fisso per la quale nessuna autorità amministrativa, almeno per quanto risulta dal verbale impugnato, ha mai concesso l’autorizzazione all’installazione.
Sul piano generale, poi, è significativa la nota prot. n. 6729/12B.2/GAB del 17.12.2008, resa dal Prefetto di Caserta ed inviata ai Sindaci ed ai Commissari di tutti i Comuni della Provincia, con la quale, tra l’altro, il Prefetto afferma testualmente: “Non è ammissibile che i predetti strumenti di rilevazione automatica assumano invece diverse funzioni, in difformità dallo spirito e dalla lettera della normativa, divenendo, in pratica, soltanto una fonte atipica di incremento per le entrate comunali e finendo per non assolvere allo scopo per il quale sono stati previsti”.
Anche la Provincia di Caserta (proprietaria della strada in cui è avvenuta la rilevazione di che trattasi), Settore Viabilità, ha inviato a vari Comuni e tra questi il Comune di Xxxx, la nota prot. n. 0188822 del 2.12.1008, che recita testualmente: “Con riferimento alle autorizzazioni rilasciate da questo Settore Viabilità per gli impianti autovelox (rectius: traffiphot) installati lungo le strade di competenza, si prescrive che le stesse vengano adeguate a quanto disposto dalla normativa vigente (D.L. 3.8.2007 n. 117). In particolare si prescrive la segnalazione attraverso l’impiego di dispositivi luminosi. Per quanto sopra, nell’attesa di detto adeguamento, gli stessi devono essere disattivati”.
Per quanto a conoscenza, il Comune di Xxxx, sulla S.P. 336, ha installato due postazioni Traffiphot, ad una distanza tra loro di circa 500 mt., senza però che siano stati conseguiti miglioramenti significativi per la sicurezza stradale, salvo le maggiori entrate nelle casse comunali, come opportunamente segnalato dal Prefetto di Caserta.
Consegue che la proposta opposizione va accolta con l’annullamento del verbale impugnato.
La natura della controversia giustifica la compensazione delle spese di lite.
P. Q. M.
Il Giudice di Pace di Caserta, definitivamente pronunciando, disattesa ogni contraria istanza ed eccezione, così provvede:
1) Accoglie la proposta opposizione e, per l’effetto, annulla il verbale n. …../2008 del 5.6.2008, reso dalla Polizia Municipale di Xxxx;
2) Dichiara le spese di lite interamente compensate tra le parti.
Così deciso in Caserta, all'udienza del 13 Gennaio 2009
Il Giudice Coordinatore
Avv. Generoso Bello
.
.

Decreto flussi: le istruzioni per le domande di nulla osta per il lavoro in somministrazione

Le agenzie per il lavoro possono fare domanda di nulla osta per l’ingresso di lavoratori non comunitari per motivi di lavoro in somministraz...