lunedì 6 aprile 2009

Giurisdizione tributaria: quid iuris per gli atti non riompresi nell'alenco di cui all'art. 19 del D.lgs. 546/92?


I limiti esterni della giurisdizione del gidice tributario e gli avvisi di verifica
fonti:
http://www.studiolegalelaw.it/consulenza-legale/8961

"Nella stessa sentenza, inoltre, si è precisato che “tale principio… non può mai comportare una doppia tutela (dinanzi al giudice amministrativo e a quello ordinario o tributario) nei confronti di atti impostivi o di atti del procedimento impositivo.
Quest’ultimo corollario, nel caso, riveste natura decisiva del punto in esame non essendo dubitabile (né essendo stato dubitato del) la sussistenza, in capo al contribuente, del potere di contestare innanzi agli organi di giustizia tributaria la legittimità anche degli “ordini di verifica” de quibus in quanto atti prodromici del provvedimento impositivo eventualmente adottato all’esito di quanto emerso da quella verifica."


Svolgimento del processo
Con ricorso notificato il 17 gennaio 2007 alla Direzione Regionale per la Campania dell’Agenzia delle Entrate ed al MINISTERO dell’ECONOMIA e delle FINANZE (depositato il 6 febbraio 2007), la (…) premesso che con ricorso depositato il 18 settembre 2002 aveva chiesto al Tribunale Amministrativo Regionale della Campania (cui riteneva spettare l’afferente “controllo di legittimità… sulla scorta del disposto dell’art. 7, comma 4, della legge 27 luglio 2000 n. 212″) l’”annullamento” (1) “degli ordini di verifica” (”n. 1009 del 2 settembre 2002 e n. 1126 del 9 settembre 2002″) della sua “contabilità aziendale per gli anni 1997-1998″, “emessi dall’Ufficio Ispettivo Regionale dell’Agenzia delle Entrate”, nonché (2) di “tutti gli atti dell’amministrazione relativi alle procedure indicate, coevi, precedenti o successivi” in quanto (a) “del tutto carenti sotto il profilo del rispetto dell’obbligo di motivazione (artt. 3 legge 241/90 e 7 legge 212/2000)” e (b) “successivi alla verifica generale ai fini delle imposte dirette e dell’IVA per gli anni ‘97 e ‘98, già conclusasi in data 28 dicembre 2000…, cui erano seguiti avvisi di rettifica dell’Ufficio IVA…, per le stesse annualità ‘97 e ‘98, notificati in data 11 marzo 2002 e divenuti definitivi a seguito di pagamento delle imposte richieste” -, in forza di un solo, complesso motivo, chiedeva di cassare (con “vittoria” delle spese processuali) la sentenza n. 3199/06 depositata il 26 maggio 2006 con la quale il Consiglio di Stato aveva rigettato il suo appello avverso la decisione (n. 2806/04, depositata il 9 marzo 2004) del giudice amministrativo di primo grado che aveva dichiarato “l’inanimissibilità del suo ricorso… per difetto di giurisdizione”.
Nel controricorso notificato il 21 febbraio 2007 (depositato il giorno 8 marzo 2007) il Ministero intimato e l’Agenzia, delle Entrate instavano per il rigetto dell’impugnazione, con “ogni consequenziale pronuncia in ordine alle spese del… giudizio”.
Motivi della decisione
1. Nella sentenza gravata, il Consiglio di Stato - premesso aver la (…) dedotto “da un lato che il provvedimento impugnato (… ordine di rinnovo della verifica) non rientra tra gli atti tributari devoluti ai sensi dell’art. 2 del decreto_legislativo_546_1992 alla giurisdizione del giudice tributario; dall’altro che tale provvedimento, costituendo esercizio di potestà amministrativa, esibisce profili di autonomia rispetto alla determinazione finale ed è dunque ex se ed immediatamente contestabile avanti al giudice amministrativo” -, confermando l’inammissibilità del ricorso (”per difetto di giurisdizione del giudice amministrativo”) dichiarata dal TAR, ha disatteso l’appello della società (la quale aveva eccepito “l’insussistenza dei presupposti legali in base ai quali poteva essere ordinata la verifica e dunque aziona, in sostanza, la pretesa a non essere sottoposta a tale forma di controllo amministrativo”) osservando:
- “l’appellante non deduce il carattere lesivo delle specifiche modalità con le quali è stata in concreto espletata la verifica”: di conseguenza “non viene qui in rilievo il dibattuto problema della tutela (specie cautelare) del contribuente a fronte di indagine istruttoria dell’amministrazione che si svolga in modo potenzialmente lesivo del diritto del professionista o dell’imprenditore alla riservatezza o ad evitare intralci nell’esercizio dell’attività economica”; “tale tutela”, comunque, “in quanto volta a proteggere diritti soggettivi non degradabili”, “non potrebbe… essere richiesta al giudice degli interessi”;
- essendosi “conclusa con l’adozione di un atto di accertamento”, la “verifica fiscale” contestata “costituisce espletamento di attività istruttoria finalizzata alla determinazione autoritativa dell’imposta” per cui “l’ordine di rinnovo della verifica e la verifica stessa costituiscono momento strumentale e prodromico rispetto alla esatta determinazione del presupposto di imposta, contenuta nell’atto di accertamento eccesso (corrige: emesso) nei confronti del destinatario del controllo, concretizzandosi perciò in attività giuridicamente infraprocedimentale e dunque non immediatamente lesiva”-, conseguentemente (”dunque”) “spiega… effetto il principio consolidato secondo cui gli atti istruttori ancorché illegittimi non sono autonomamente impugnabili per difetto di concreta lesività, dovendo la relativa contestazione essere differita al momento dell’impugnazione, per illegittimità derivata, del provvedimento finale” sì che, “per quanto… interessa”, “i vizi del procedimento tributario non sono immediatamente contestabili ma, ridondando in vizi del provvedimento finale e cioè dell’atto di accertamento, vanno… dedotti nell’ambito dell’impugnazione di questo”: “nel caso in esame, dunque, l’illegittimità della verifica o dell’ordine di rinnovo della stessa non può essere fatta valere anticipatamente ed in via autonoma ma va invece deddotta mediante impugnazione del provvedimento finale avanti alla commissione tributaria, rientrando pacificamente l’atto di accertamento in questione fra quelli sui quali solo il giudice tributario è fornito di giurisdizione (cfr. art. 2 D. l.vo n. 546 del 1992)” (come “di fatto avvenuto, avendo la società impugnato con successo avanti al giudice tributario l’atto di accertamento”).
Il giudice a quo osserva, ancora:
- “in tal modo l’attività di verifica fiscale”, diversamente da quanto sostenuto dalla appellante, non risulta “sottratta al controllo giurisdizionale, con violazione del precetto di cui all’art. 113 secondo comma della Costituzione” perché “il differimento della impugnazione… non incide sulla giustiziabilità dell’atto istruttorio ma costituisce mera applicazione della regola processuale secondo la quale per agire in giudizio (ed ottenere una pronuncia di merito) occorre avere quell’interesse concreto il quale, al cospetto della funzione amministrativa procedimentalizzata, si radica e diventa attuale solo al momento dell’adozione del provvedimento finale”;
- “sulle conclusioni sin qui raggiunte non incide il disposto dell’art. 7 comma 4 della legge_212_2000 (Statuto del contribuente) secondo cui “la natura tributaria dell’atto non preclude il ricorso agli organi di giustizia amministrativa, quando ne ricorrano i presupposti” in quanto lo stesso “non attribuisce… al giudice amministrativo nuovi ambiti di cognizione in materia tributaria, ma si limita a confermare la sussistenza della giurisdizione amministrativa ove la stessa discenda dal criterio di riparto ordinario, come acquisito in giurisprudenza”: “la giurisdizione generale di legittimità può tuttora essere adita solo se la controversia non sia devoluta al giudice tributario e solo se la posizione giuridica che si pretende lesa abbia consistenza di interesse legittimo (cfr. VI Sez. 30 settembre 2004 n. 6353)”.
In definitiva, per il Consiglio di Stato, “la controversia rientra nell’area riservata alla giurisdizione del giudice tributario speciale e non sussiste quindi il presupposto per il ricorso agli organi di giustizia amministrativa”.
3. La (…)- denunziando “violazione dei limiti esterni della giurisdizione del giudice amministrativo, “violazione dell’art. 103, comma 1, Cost.” nonché “violazione dell’art. 7, comma 4, della legge 27 luglio 2000 n. 212″ - chiede di cassare tale decisione formulando (ex art. 366 bis c.p.c.) il seguente
“quesito di diritto”
“dichiarare la spettanza della giurisdizione al giudice amministrativo ai sensi dell’art. 7, comma 4, della I. 27 luglio 2000, n. 212, recante “Disposizioni in materia di statuto dei diritti del contribuente”, in relazione all’impugnazione degli ordini di verifica con cui l’Agenzia delle Entrate, in difetto dei presupposti che legittimano la riapertura di una verifica e violando l’obbligo di motivazione prescritto per gli atti dell’Amministrazione finanziaria dallo Statuto del contribuente, ha autorizzato il compimento di atti di indagine tributaria con riferimento ad un periodo di imposta per cui si era già svolta ed era stata conclusa una verifica generale, in quanto nella fattispecie ricorrono tutti i presupposti della giurisdizione amministrativa: ovvero in senso negativo, la non spettanza della controversia al giudice tributario, per la mancata inclusione degli ordini di verifica nel novero degli atti assoggettati a tale giurisdizione dall’art. 19 d.lgs. n. 546/1992; e, in senso positivo, la presenza di una situazione giuridica che si pretende lesa, avente la consistenza dell’interesse legittimo, ma anche di libertà costituzionalmente garantite, e l’interesse concreto ed attuale ad agire per la rimozione degli atti impugnati.
A. A sostegno dì tale richiesta la ricorrente - assumendo avere “entrambi i Collegi… posto a fondamento della propria decisione la negazione che possa darsi un’incidenza immediata nella sfera giuridica del contribuente sottoposto a verifica prima che un atto di accertamento sia adottato, e… quindi negato che il medesimo contribuente possa avere un interesse ad agire avverso l’ordine di verifica che ritenga illegittimo” -, in primo luogo, osserva:
- “il principio… in base al quale gli “atti istruttori”, in quanto aventi carattere infraprocedimentale, non sono autonomamente impugnabili per inidoneità a creare una lesione immediata nella sfera giuridica del privato, non può ritenersi… applicabile nel caso dell’attività di indagine fiscale della p.a., la quale si connota per gli incisivi poteri riconosciuti all’amministrazione, i quali sono in grado di comprimere fortemente, in modo da esigere una tutela immediata avverso i medesimi, le libertà (di domicilio, di corrispondenza, di libertà di iniziativa economica, ecc.) del soggetto che li subisce (talvolta imponendo non solo un pati, ma anche un obbligo positivo, un facere), e che, proprio in considerazione di ciò, si caratterizza altresì per la minuziosa regolamentazione dei presupposti e delle modalità di esercizio del potere medesimo, in chiave prettamente garantistica nei confronti del contribuente”;
- “in relazione alla situazione azionata [da essa].. non vale obiettare l’esistenza di una dualità di situazioni giuridiche in capo al contribuente” (”diritti soggettivi/interessi legittimi, di cui i primi tutelabili di fronte al giudice ordinario”) in quanto “laddove egli si dolga di una verifica che ritiene illegittima, ad essere lesa non è solo “la posizione complessiva del contribuente (…) a che la potestà amministrativa venga esercitata in conformità alle regole poste dall’ordinamento per l’esercizio della stessa”, ovvero l’interesse legittimo, ma anche, inevitabilmente, le posizioni soggettive aventi rango costituzionale, per l’evidente ragione che le stesse possono essere limitate solo nei casi e “nei modi indicati dalla legge” (… TAR, a pag. 3) “l’indicazione di effettuare le verifiche presso i locali del contribuente solo in presenza di effettive esigenze, durante l’orario di lavoro e con modalità tali da arrecare la minore turbativa possibile, così come quelle che inducono a limitare la permanenza nei locali e che impongono di esaminare i documenti in luoghi diversi da quelli del contribuente, ove questi lo richieda”, infatti, “si muovono nell’ottica di attuare il bilanciamento delle contrapposte posizioni secondo i criteri della necessarietà e della proporzionalità, i quali discendono direttamente dai precetti costituzionali racchiusi negli artt. 2, 13, 14 e 15 Cost., che sovrintendono alle libertà inviolabili”).
- gli stessi criteri sono ritraibili dai principi di imparzialità e buon andamento dettati dall’art. 97 Cost., il quale… è menzionato dall’art. 1 dello Statuto (assieme agli artt. 3, 23 e 53 Cost.), come disposizione alla cui attuazione è diretto lo Statuto medesimo”; “ai medesimi principi rispondono, poi, le prescrizioni che concernono la motivazione di tutti gli atti dell’amministrazione (secondo l’ampia formula utilizza dal legislatore all’art. 7, comma l, dello Statuto del contribuente), l’esposizione delle ragioni che hanno giustificato la verifica, il divieto di richiedere documenti e informazioni di cui l’amministrazione già dispone, e, non ultimo, l’obbligo di improntare il rapporto con i contribuenti ai principi di buona fede e collaborazione”.
Secondo la ricorrente, invero, “lo stesso Consiglio di Stato (”richiamando l’orientamento sul punto di questa… Corte (… sez. un. civ. 25 ottobre 1998 n. 10186 e… 28 ottobre 2005 n. 20994)”) ha riconosciuto che “quando la vertenza ha ad oggetto la contestazione della legittimità dell’esercizio del potere amministrativo, ossia quando l’atto amministrativo sia assunto nel giudizio non come fatto materiale o come semplice espressione di una condotta illecita, ma sia considerato nel ricorso quale attuazione illegittima di un potere amministrativo, di cui si chiede l’annullamento, la posizione del cittadino si concreta come posizione di interesse legittimo (CdS, sez. VI, n. 556/2006… ), per cui il fatto che l’azione sia proposta a tutela (anche) di un diritto costituzionale non è discriminante ai fini della giurisdizione, risultando invece decisiva la circostanza che l’azione sia diretta (o meno) contro un’atto che costituisce esercizio di un pubblico potere (… in tal senso anche la sentenza delle Sezioni unite Civili della Corte di Cassazione dell’8 marzo 2006 n. 4908, che afferma la giurisdizione del G.O. in relazione alla domanda di risarcimento dei danni alla salute, sulla base del rilievo dato alla mancanza, nella fattispecie, “di provvedimenti della pubblica amministrazione o di suoi concessionari, che siano stati impugnati o dei quali si chiede l’annullamento ” e ivi ravvisando solo “comportamenti (…), che non possono incidere negativamente sulle posizioni di diritto soggettivo fatte valere dagli interessati”)”: “nel caso di specie [essa] istante si doleva dell’illegittimità degli atti adottati dall’Amministrazione nell’esercizio del proprio potere (discrezionale) di autorizzare la verifica tributaria, per cui, anche sotto questo profilo, doveva ritenersi correttamente incardinata la controversia dinanzi al giudice amministrativo”. A conclusione del punto la società afferma che il giudice a quo (il quale ha ritenuto “la controversia rientrante nell’area riservata alla giurisdizione tributaria”) ha “errato… nel considerare l’art. 7, comma 4, dello Statuto non applicabile” perché nella fattispecie ricorrono “tutti i presupposti della giurisdizione amministrativa”;
- “in senso negativo, la non spettanza della controversia al giudice tributario, per la mancata inclusione degli ordini di verifica nel novero degli atti assoggettati a tale giurisdizione dall’art. 19 d.lgs. n. 546/1992″: peraltro “il carattere “residuale” del ricorso al G.A. in caso di atti aventi natura tributaria, che i due Collegi sembrano porre a presupposto delle decisioni prese, non si deduce dalla disposizione in esame” (scilicet, quella del quarto comma dell’art. 7) “che, viceversa, costituisce applicazione dell’art. 103, comma 1, Cost., il quale espressamente dispone che il plesso giurisdizionale costituito dai TAR e dal Consiglio di Stato sia il giudice “naturale” degli interessi legittimi, principio cui si deroga nel caso della giurisdizione tributaria, ma solo nei casi previsti dalla legge (e cioè per l’impugnazione degli atti elencati all’art. 19 D. Lgs. 546/92), per cui a fronte dell’esercizio illegittimo dell’attività di indagine fiscale, ed in presenza delle condizioni per agire in giudizio, si riespande la regola (generale, non residuale) della giurisdizione del G.A.”;
- “in senso positivo, la presenza di una situazione giuridica che si pretende lesa, avente la consistenza dell’interesse legittimo, ma anche di libertà costituzionalmente garantite, e l’interesse concreto ed attuale ad agire per la rimozione degli atti impugnati”.
B. ” In relazione”, poi, “all’interesse ad agire”, “la ricordante sostiene che “negare la tutela immediata a fronte degli ordini di verifica che costituiscono reitera di altre verifiche già effettuate, senza il rispetto dei requisiti di forma e di sostanza previsti dalla legge, ed affermare l’esistenza di una tutela “differita”, equivalga a negarla del tutto” atteso che “invece di bloccare un’attività di indagine, di cui [essa] contestava fondamento e modalità,… ha dovuto subire per ben due volte le conseguenze negative dei processi verbali di constatazione redatti in esito alla verifica illegittima, vedendosi costretta ad adire la commissione tributaria per ottenere l’annullamento degli avvisi di rettifica adottati su quella base, con… inutile dispendio anche delle risorse pubbliche”.
Secondo la società, invero, non è fondato asserire che il “differimento” della tutela non incida sulla giustiziabilità dell’atto, ai sensi dell’art. 113 Cost. (pag. 6 della sentenza del Consiglio di Stato)” perché, pur essendo “vero… che nell’ordinamento tributario (e solo in questo) si conosce la figura del “differimento della tutela”", “questa risulterebbe (costituzionalmente) ammissibile non semplicemente per via della non lesività attuale dell’atto” (”condizione che… non ricorre nel caso di specie, in cui sono immediatamente ed autonomamente rilevabili i vizi della reitera della verifica”) ma “sulla base della circostanza che le ragioni della lesione sono esternate (o pienamente conoscibili) solo con il provvedimento finale”.
La ricorrente, infine (”conclusivamente”), osserva che “ammettere la giurisdizione del giudice amministrativo nella fattispecie in esame non equivale” (come “affermato dalle Amministrazioni resistenti”) “ad introdurre una giurisdizione concorrente a quella delle Commissioni tributarie” attesa “la diversità della tutela atttenibile, in quanto il giudizio (in sede di tutela differita) davanti alle Commissioni avrebbe ad oggetto solo la pretesa del singolo, quale contribuente, di pagare imposte e sanzioni in misura non superiore a quella dovuta, ma detto giudizio non tutelerebbe quegli interessi di natura patrimoniale e non patrimoniale direttamente “pregiudicati dall’attività ispettiva, non aventi necessariamente riflesso sull’ammontare del debito d’imposta, quali, ad esempio, la libertà di domicilio o la riservatezza”: “quella ottenuta con l’impugnazione dell’atto di accertamento”, infatti, secondo la… “sarebbe, alla fine, una tutela incompleta, nel senso che le lesioni alla sfera della riservatezza o del domicilio, rimarrebbero tali anche se il successivo atto di accertamento venisse annullato dai giudici di merito”.
C. In terzo (ed ultimo) luogo la ricorrente contesta il “contrario avviso espresso dal giudice amministrativo… sulla presenza dei presupposti per agire sulla base dell’art. 7, comma 4 legge n. 212 del 2000 affermando che “né il TAR, né il Consiglio di Stato, pervengono ad una chiara definizione dell’ambito di applicazione della norma di cui all’art. 7, comma 4, dello Statuto del contribuente” e sostiene di non “comprende(re), in particolare, che significato abbia l’affermazione in base alla quale “tale disposizione non attribuisce (…) al giudice amministrativo nuovi ambiti di cognizione in materia tributaria, ma si limita a confermare la sussistenza della giurisdizione amministrativa ove la stessa discenda dal criterio di riparto ordinario, come acquisito in giurisprudenza ” e ancora “dunque la giurisdizione generale di legittimità può tuttora essere adita solo se la controversia non sia devoluta al giudice tributario e solo se la posizione giuridica che si pretende lesa abbia consistenza di interesse legittimo”": secondo la società a questo modo di argomentare… non solo non chiarisce realmente quale sia il concreto ambito applicativo della disposizione di cui si tratta, in relazione ai confini della giurisdizione, ma,.. giunge ad una conclusione che può dirsi ampiamente errata” perché, come “ricordato”, gli “stessi giudici di Palazzo Spada…, aderendo all’orientamento sul punto di (questa)… Corte, hanno affermato come, ai fini dell’individuazione della giurisdizione, non sia decisiva la natura della situazione fatta valere, quanto piuttosto la circostanza che ad essere impugnato sia un atto costituente esercizio di un pubblico potere, per concludere come in tale ultimo caso la giurisdizione appartenga sempre al giudice amministrativo, anche quando vengano in questione diritti fondamentali (v. CdS, sezione VI, sentenza n. 556/2006, cit.)” (”il TAR Napoli… aveva limitato l’applicazione della disposizione di cui all’art. 7, comma 4, ai casi “in cui non consegue alcun atto impositivo per intervenuta decadenza dell’azione accertatrice ovvero la verifica tributaria illegittimamente condotta non conduca ad alcun rilievo…”).
“Su questo punto decisivo della controversia”, pertanto, secondo la ricorrente, “l’argomentazione del giudice di seconde cure appare totalmente erronea con riferimento alla determinazione della giurisdizione amministrativa”: “in considerazione del “criterio di riparto ordinario, come acquisito in giurisprudenza”", infatti, “nelle ipotesi richiamate dal TAR non si verterebbe in materia di interessi legittimi, ma di diritti soggettivi, sottoposti ad un comportamento fattuale della p.a. lesivo della loro consistenza per cui la loro violazione in ipotesi siffatte dovrebbe rilevare davanti al giudice ordinario, non già davanti a quello amministrativo”.
La ricorrente, infine, non ritiene “logico il ragionamento dell’Amministrazione procedente volto a contraddire il principio della giurisdizione amministrativa, di cui all’art. 7, comma 4, cit.,… attraverso le argomentazioni espresse dal Consiglio di Stato in Adunanza Generale nel parere del 22 gennaio 2001, in quanto il tentativo di delimitare la giurisdizione del giudice amministrativo contenuto in detto parere si basava su disposizioni formulate nella proposta di decreto legislativo di dubbia costituzionalità, che non a caso non sono mai state emanate e non risultano affatto accolte dal decreto legislativo n. 32 del 2001, adottato sulla base della delega di cui”all’art. 16 della legge n. 212 del 2000″ per cui “resta… valido che con l’espressione “organi di giustizia amministrativa” si intenda il complesso “TAR-Consiglio di Stato”, come afferma non solo il parere citato, ma anche il parere del 5 dicembre 2000 del Consiglio di presidenza della Giustizia tributaria”.
4. Il ricorso deve essere respinto perché infondato.
A. Sul primo profilo di doglianza va, innanzitutto, ribadito (in carenza di qualsivoglia convincente argomentazione contraria) che (Cass. sez. un., 29 aprile 2003 n. 6693 (ordinanza interlocutoria), da cui gli excerpta testuali che seguono)
(a) “nella disciplina del contenzioso tributario quale risultante… dal d.lgs. 31.XII.1992, n. 546 (art. 2 sia nel testo originario, che in quello novellato dall’art. 12, comma 2, L. 28.XII.2001 n. 448) la tutela giurisdizionale dei contribuenti, con riguardo ai tributi cui le norme citate hanno riferimento, è affidata in esclusiva alla giurisdizione delle commissioni tributarie, concepita comprensiva di ogni questione afferente all’esistenza ed alla consistenza dell’obbligazione tributaria (cfr., in terminis, ex multis, Cass. SS.UU. civ., sent. n. 103 del 12.III/2001)” e
(b) tale esclusività “non” è “suscettibile di venir meno in presenza di situazioni di carenza di un provvedimento impugnabile e, quindi, di impossibilità di proporre contro tale provvedimento quel reclamo che costituisce il veicolo di accesso, ineludibile, a detta giurisdizione” perché siffatte “situazioni” (’”quando fattualmente riscontrate”) incidono “unicamente sull’accoglibilità della domanda (ossia sul merito), valutabile esclusivamente dal giudice avente competenza giurisdizionale sulla stessa, e non già sulla giurisdizione di detto giudice (cfr., in proposito; ex aliis, Cass. SS.UU. civ., sent. n. 11217 del 13.XI.1997)”.
La giurisdizione (piena ed esclusiva) del giudice tributario fissata dall’art. 2 del D. Lg.vo n. 546 del 1992, poi, non ha ad “oggetto” solo gli atti per così dire “finali” del procedimento amministrativo di imposizione tributaria (ovverosia gli atti definiti, propriamente, come “impugnabili” dall’art. 19 D. Lg.vo n. 546 del 1992) ma investe - nei limiti, ovviamente, dei “motivi” sottoposti dal contribuente all’esame di quel giudice ai sensi dell’art. 18, comma 2, lett. e), stesso D. Lg.vo - tutte Ie fasi del procedimento che hanno portato alla adozione ed alla formazione di quell’atto tanto che l’eventuale giudizio negativo in ordine alla legittimità e/o alla regolarità (formale e/o sostanziale) su un qualche atto “istruttorio” prodromico può determinare la caducazione, per illegittimità derivata, dell’atto “finale” impugnato: “la correttezza del procedimento di formazione della pretesa tributaria”, infatti (Cass., un., 4 marzo 2008 n. 5791; ma già, Cass., un., 25 luglio 2007 n. 16412), “è assicurata mediante il rispetto di una sequenza ordinata secondo una progressione di determinati atti, con le relative notificazioni, destinati, con diversa e specifica funzione, a farla emergere e a portarla nella sfera di conoscenza dei destinatari, allo scopo, soprattutto, di rendere possibile per questi ultimi un efficace esercizio del diritto di difesa.
Siffatta latitudine della giurisdizione tributaria - estesa (come detto) anche al controllo della regolarità (formale e sostanziale) di tutte le fasi del procedimento di imposizione fiscale - evidenzia l’applicabilità (vanamente, “pertanto, contestata dalla ricorrente) anche agli “atti istruttori” fiscali - nonostante la compressione (”comprimere fortemente”, dice la ricorrente) delle “libertà” (”di domicilio, di corrispondenza, di libertà di iniziativa economica, ecc.”) indicate dalla contribuente posta in essere dagli stessi - del principio della non autonoma (ed immediata) impugnabilità proprio in quanto “aventi carattere infraprocedimentali”.
“Per quanto attiene”‘, inoltre, specificamente “alla problematica della riconducibilità dell’atto impugnato alle categorie indicate dal D. Lgs. 31 dicembre 1992 n. 546, art. 19″, queste sezioni unite (sentenza 27 marzo 2007 n. 7388) - confermato che (giusta “una consolidata giurisprudenza… (da ultima, sez. un., ord. n. 22245/06)”) ” tale problematica… non attiene alla giurisdizione, ma alla proponibilità della domanda” -, pur rilevando (”non possono non rilevare”) che “la mancata inclusione degli atti in contestazione nel catalogo contenuto in detto articolo comporterebbe una lacuna di tutela giurisdizionale, in violazione dei principi contenuti negli articoli 24 e 113 Cost.”, hanno specificato esser ” compito della commissione tributaria verificare se l’atto in contestazione possa ritenersi impugnabile nell’ambito delle categorie individuate dall’art. 19 del d.l.vo n. 546 del 1992″.
“Il carattere esclusivo della giurisdizione tributaria”, ancora (Cass., un., 27 marzo 2007 n. 7388), “non consente che atti non impugnabili in tale sede siano devoluti, in via residuale, ad altri giudici, secondo le ordinarie regole di riparto della giurisdizione (Sez. Un., ord. N. 13793/04)”: l’attribuzione al giudice tributario di una controversia che può concernere la lesione di interessi legittimi, infatti, come chiarito, ” non incontra un limite nell’art. 103 Cost.” perché (”secondo una costante giurisprudenza costituzionale”: “da ultime, ordinanze n. 165 e 414 del 2001 e sentenza n. 240 del 2006″ ) ” non esiste una riserva assoluta di giurisdizione sugli interessi legittimi a favore del giudice amministrativo, potendo il legislatore attribuire la relativa tutela ad altri giudici”.
In secondo luogo, poi, deve evidenziarsi che l’incidenza della specifica attività amministrativa contestata su “posizioni soggettive aventi rango costituzionale” (in particolare, come adduce la ricorrente, su “posizioni soggettive” tutelate dai “precetti costituzionali racchiusi negli artt. 2, 13, 14 e 15 Cost., che sovraintendono alle liberti inviolabili”), limitabili quindi “solo nei casi e “nei modi indicati dalla legge”", non consente affatto di ravvisare nell’eventuale lesione di quelle “posizioni” (o “situazione ” composita”) una “situazione giuridica… avente la consistenza di interesse legittimo” perché le condizioni fissate per la legale temporanea “violabilità” di quelle libertà lasciano integra la originaria consistenza di diritto soggettivo delle stesse attesa la loro mera, temporalmente e funzionalmente limitata, compressione.
Il preteso “difetto”, negli “ordini” qui impugnati, “dei presupposti” di legge - lamentato dalla ricorrente -, quindi, non lede un mero interesse legittimo ma integra (se sussistente) la lesione di un vero e proprio diritto soggettivo del contribuente nei cui confronti viene eseguita la verifica ordinata perché solo l’esistenza di quei “presupposti” (che nella specie si assumono, in ipotesi, mancanti) rendono legittima l’azione accertativa e fa sorgere, a carico del contribuente verificato, gli obblighi di “pati” detta azione nonché di “facere” quanto eventualmente le afferenti norme gli impongano per consentire agli inquirenti di svolgere appieno la propria attività, il tutto sempre a prescindere dall’eventuale esito, negativo per l’Ufficio, del controllo stesso.
È appena il caso di evidenziare, di poi, che l’eventuale esito negativo per l’”Ufficio dell’attività di accertamento (con conseguente non emissione di alcun provvedimento fiscale) compiuta in forza di ordini ritenuti illegittimi dal contribuente integra fattispecie del tutto diversa da quella in esame (conclusasi con l’emissione di un provvedimento impositivo, come evidenziato dal giudice a quo) e, comunque, porta la valutazione di quel fatto nell’orbita giurisdizionale del giudice ordinario (quindi, non del giudice amministrativo) siccome ipoteticamente lesiva di diritti aquisitamente soggettivi del contribuente a subire, al di fuori dei casi espressamente previsti dalla legge, verifiche fiscali e di conseguenza, le connesse compressioni legali ai suoi corrispondenti diritti (anche costituzionalmente garantiti, come espone la stessa società ricorrente), al di fuori dei casi e delle ipotesi previste dalle afferenti leggi che attribuiscono e circoscrivono il sorgere e l’esercizio del potere fiscale di controllo.
B. In “ordine alla legittimità del differimento al momento della impugnazione dell’atto impositivo della tutela giurisdizionale per vizi e/o per irregolarità concernenti atti compiuti nel corso dell’iter amministrativo conclusosi con l’adozione dell’atto impositivo notificato è sufficiente ricordare il pensiero (”costantemente affermato”, come dice lo stesso giudice delle leggi) della Corte Costituzionale (decisione 23 novembre 1993 n. 406, che ricorda ” da ultimo le sentenze n. 154 del 1992; n. 15 del 1991; n. 470 del 1990; n. 530 del 1989″) secondo cui “gli artt. 24 e 113 della Costituzione non impongono una correlazione assoluta tra il sorgere del diritto e la sua azionabilità, la quale” può essere differita ad un momento successivo ove ricorrano esigenze di ordine generale e superiori finalità di giustizia”, sempre che “il legislatore” osservi “il limite imposto dall’esigenza di non rendere la tutela giurisdizionale eccessivamente difficoltosa, in conformità al principio della piena attuazione della garanzia stabilita dalle suddette norme costituzionali”: nel caso, non si ravvisano né sono state dedotte difficoltà della “tutela giurisdizionale” relativa agli atti qui impugnati quali conseguenti al differimento di quella tutela al momento della emissione dell’atto di imposizione fiscale.
C. Il “corretto ambito applicativo” della disposizione dettata dal quarto comma dell’art. 7 legge 27 luglio 2000 n. 212 (secondo cui ” la natura tributaria dell’atto non preclude il ricorso agli organi di giustizia amministrativa, quando ne ricorrano i presupposti” - di cui la ricorrente lamenta la mancata delimitazione -, infine, è stato già precisato nella sentenza 13 luglio 2005 n. 14692 di queste sezioni unite per la quale quella disposizione riconferma “il carattere esclusivo e pieno della giurisdizione ordinaria in materia tributaria”, “non fa che enfatizzare un principio già generalmente riconosciuto” e “comporta”, “salvo espresse previsioni di legge”, “una naturale competenza del giudice amministrativo” soltanto “sull’impugnazione di atti amministrativi… a contenuto generale o normativo, come i regolamenti e le delibere tariffarie e di atti” (”aventi natura provvedimentale”) “che costituiscano un presupposto dell’esercizio della potestà impositiva e in relazione ai quali esiste un generale potere di disapplicazione del giudice cui è attribuita la giurisdizione sul rapporto tributario.
Nella stessa sentenza, inoltre, si è precisato che “tale principio… non può mai comportare una doppia tutela (dinanzi al giudice amministrativo e a quello ordinario o tributario) nei confronti di atti impostivi o di atti del procedimento impositivo.
Quest’ultimo corollario, nel caso, riveste natura decisiva del punto in esame non essendo dubitabile (né essendo stato dubitato del) la sussistenza, in capo al contribuente, del potere di contestare innanzi agli organi di giustizia tributaria la legittimità anche degli “ordini di verifica” de quibus in quanto atti prodromici del provvedimento impositivo eventualmente adottato all’esito di quanto emerso da quella verifica.
In ordine al punto concernente la “tutela”, innanzi agli organi di giustizia tributaria, “nei confronti” di tutti gli “atti del procedimento impositivo”, è sufficiente ricordare le decisioni di questa Corte nelle quali si è ammessa la sindacabilità, da parte di detti organi:
(a) degli atti prodromici del “procedimento impositivo” quali i provvedimenti emessi dal Procuratore della Repubblica ex artt. 33 DPR 29 settembre 1973 n. 600 e 52, comma 2, DPR 26 ottobre 1972 n. 633, di autorizzazione alla perquisizione domiciliare e/o personale da parte degli organi fiscali inquirenti (Cass., trib.: 19 ottobre 2005 n. 20253; 12 ottobre 2005 n. 19837; 1° ottobre 2004 n. 19690; 3 dicembre 2001 n. 15230; 19 giugno 2001 n. 8344);
(b) del preventivo invito al pagamento (contenuto nell’art. 60, comma 6, DPR n. 633/72), quale adempimento necessario e prodromico alla iscrizione a ruolo dell’imposta sul valore aggiunto (Cass., trib.: 18 aprile 2008 n. 10179 e 14 aprile 2006 n. 8859);
(c) dell’”invito al pagamento” notificato dal Comune al contribuente quale atto prodromico all’iscrizione a ruolo (Cass., trib., 6 dicembre 2004 n. 22869);
d) dell’invito di cui all’art. 51, comma 2, n. 2, DPR 26 ottobre 1972 n. 633, per fornire dati, notizie e chiarimenti in ordine alle operazioni annotate nei conti bancari (Cass., trib., 18 aprile 2003 n. 6232);
e) dell’invito al pagamento menzionato nell’art. 67, comma 2, lett. a) DPR 28 gennaio 1988 n. 43 (Cass., trib., 12 marzo 2002 n. 3540) e,
f) più in generale, sulla scorta dei principi affermati da queste sezioni unite (sentenza n. 16412 del 2007, cit.), sulla mancata notifica di un atto prodromico quale vizio proprio” (ex art. 19, terzo comma, D. Lg.vo n. 546 del 1992) dell’atto notificato al contribuente (Cass., trib., 25 gennaio 2008 n. 1652).
5. Per la sua totale soccombenza la (…) sensi dell’art. 91 c.p.c., deve essere condannata a rifondere alle amministrazioni pubbliche le spese di questo giudizio di legittimità, liquidate, nella misura indicata in dispositivo, in base al valore indeterminato della controversia ed all’attività difensiva espletata da dette amministrazioni.

[3] P.Q.M.

Rigetta il ricorso e dichiara la giurisdizione del giudice tributario; condanna la (…) a rifondere alle amministrazioni pubbliche le spese del giudizio di legittimità che liquida in complessivi €. 4.000,00 (quattromila/00) per onorario, oltre spese generali e spese prenotate a debito.

martedì 31 marzo 2009

Zone Traffico Limitato:il Consiglio id Stato dà ragione al Comune di Roma

Il Consiglio di Stato dà ragione al Comune di Roma sulle ZTL
Consiglio di Stato , sez. V, decisione 13.02.2009 n° 825
(
Alfredo Matranga) in www.altalex.com


Con la sentenza n. 825/2009 il CdS ha ribaltato la decisione con cui il TAR Lazio aveva accolto il ricorso proposto da un cittadino avverso il provvedimento con cui il comune di Roma, all'esito di accurata istruttoria, e nel quadro di una più ampia manovra volta a ridurre gli effetti nocivi del traffico veicolare all'interno del centro storico, aveva rimodulato il sistema tariffario relativo al rilascio dei permessi di accesso alle zone a traffico limitato individuate nel centro abitato, prevedendo che:
a) ad ogni permesso di accesso, di qualsivoglia categoria, venga abbinata una sola targa;
b) i permessi di accesso senza targa sono vietati;
c) per ogni nucleo familiare residente nel centro, si possono rilasciare non più di tre permessi di accesso, con tariffe e durata variamente modulate;
d) in favore dei residenti, il rilascio di un apposito permesso di solo transito di durata annuale e ad un costo prestabilito di duecento euro.
Il CdS ha accolto l'appello ritenedo che:
a) le scelte tecniche non appaiono abnormi alla luce dell'oggettivo risultato perseguito dal comune, ovvero il decremento delle auto autorizzate a circolare e parcheggiare permanentemente all'interno del centro storico di Roma, con tutte le difficoltà derivanti dalla ristrettezza degli spazi a disposizione;
b) il meccanismo dell'abbinamento una targa - un autoveicolo, ha riguardato tutte le categorie di permessi di accesso al centro storico, sicché non sono neppure ipotizzabili, in astratto, situazioni di disparità di trattamento;
c) è stata prevista la possibilità del rilascio, in favore dei residenti nel centro storico, di appositi permessi di transito (cfr. p. 6, deliberazione n. 410 - 2006 della Giunta del Comune di Roma), in vista del "…raggiungimento di un posto auto in aerea privata".

(Altalex, 27 marzo 2009. Nota di Alfredo Matranga

Consiglio di Stato
Sezione V
Decisione 13 marzo 2009, n. 825

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Quinta Sezione ANNO 2008
ha pronunciato la seguente
DECISIONE

sui ricorsi riuniti iscritti:
- il primo al NRG 1815\2008, proposto dal Comune di Roma, in persona del sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Pier Ludovico Patriarca ed elettivamente domiciliato in Roma, via del Tempio di Giove, n. 21;
contro
l'avvocato ................. elettivamente domiciliato presso il suo studio in Roma, Largo del Teatro Valle, n. 6;
e nei confronti di
ATAC s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Francesco Cangiano e presso quest'ultimo elettivamente domiciliato in Roma, viale delle Mura Portuensi, n. 33;
- il secondo al NRG 6081\2008, proposto dall' ATAC s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Francesco Cangiano e presso quest'ultimo elettivamente domiciliata in Roma, viale delle Mura Portuensi, n. 33;
contro
................, non costituito;
e nei confronti di
Comune di Roma, in persona del sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Pier Ludovico Patriarca ed elettivamente domiciliato in Roma, via del Tempio di Giove, n. 21;
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio, sezione III, n. 7702 del 6 agosto 2007.
Visti i ricorsi in appello;
visti gli atti di costituzione in giudizio di Luciano Filippo Bracci, del comune di Roma e dell'Ataca s.p.a.;
viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;
visti gli atti tutti della causa;
data per letta alla pubblica udienza del 5 dicembre 2008 la relazione del consigliere Vito Poli, uditi gli avvocati Bracci, Cangiano e Patriarca;
ritenuto e considerato quanto segue:
FATTO E DIRITTO
1. Con la deliberazione 29 luglio 2006, n. 410, il comune di Roma, all'esito di accurata istruttoria, e nel quadro di una più ampia manovra volta a ridurre gli effetti nocivi del traffico veicolare all'interno del centro storico, ha rimodulato il sistema tariffario relativo al rilascio dei permessi di accesso alle zone a traffico limitato individuate nel centro abitato.
In particolare, per quanto di interesse ai fini della presente controversia:
a) si è previsto che ad ogni permesso di accesso, di qualsivoglia categoria, venga abbinata una sola targa;
b) sono stati vietati permessi di accesso senza targa;
c) per ogni nucleo familiare residente nel centro è stato previsto il rilascio di non più di tre permessi di accesso, con tariffe e durata variamente modulate;
d) è stato previsto, in favore dei residenti, il rilascio di un apposito permesso di solo transito di durata annuale e ad un costo prestabilito di duecento euro.
Avverso tale delibera n. 410 del 2006 - e la comunicazione inviata dall'Atac il successivo 28 novembre 2006 recante il sollecito al rinnovo del permesso di accesso secondo le nuove regole - è insorto davanti al T.a.r. del Lazio .............., residente con la propria famiglia nel centro storico, sollevando un unico complesso motivo rubricato: eccesso di potere per violazione di legge, disparità di trattamento, manifesta ingiustizia, illogicità e irrazionalità, contraddittorietà e difetto di motivazione.
2. L'impugnata sentenza - T.a.r. del Lazio, sezione III, n. 7702 del 6 agosto 2007 -:
a) ha respinto l'eccezione di difetto di giurisdizione del giudice amministrativo (tale capo non è stato impugnato ed è coperto dalla forza del giudicato interno);
b) ha respinto le eccezioni di tardività ed improcedibilità del ricorso;
c) ha respinto la censura con cui si contesta il passaggio dal regime della gratuità a quello della onerosità del permesso di circolazione rilasciato in favore dei residenti nel centro storico (anche tale capo non è stato impugnato);
d) ha accolto la doglianza con cui si lamenta la irrazionalità della previsione di abbinamento del permesso ad una sola targa e dunque ad un solo veicolo;
e) ha compensato le spese di lite.
3. Con due autonomi ricorsi, ritualmente notificati e depositati, il comune di Roma e l'Atac s.p.a. hanno proposto appelli avverso la su menzionata sentenza del T.a.r. sollevando, nella sostanza, il medesimo ordine di mezzi di gravame; da un lato, infatti, hanno insistito per l'accoglimento delle eccezioni di tardività ed improcedibilità dell'originario ricorso; dall'altro, hanno dedotto l'inammissibilità del ricorso, per violazione dei limiti interni della giurisdizione di legittimità del giudice amministrativo, e comunque l'infondatezza dell'unica doglianza accolta dal T.a.r.
4. L'avvocato Bracci si è costituito nel giudizio iscritto al nrg. 1815/2008 deducendo l'infondatezza del gravame in fatto e diritto.
Il comune di Roma e l'Atac si sono costituiti nei rispettivi giudizi per aderire ai corrispondenti appelli.
5. La causa è passata in decisione all'udienza pubblica del 5 dicembre 2008.
6. Gli appelli, proposti avverso la medesima sentenza, devono essere riuniti a mente dell'art. 335 c.p.c.
Gli appelli sono fondati e devono essere accolti.
Preliminarmente il collegio deve dare atto che il comune di Roma - contrariamente a quanto vagheggiato nelle note d'udienza depositate dall'appellato in data 17 aprile 2008 (pagina 8) - non ha mai prestato acquiescenza all'impugnata sentenza.
Può prescindersi dall'esame dei motivi di gravame con cui si reiterano le eccezioni di irricevibilità ed improcedibilità dell'originario ricorso di primo grado, per omessa tempestiva impugnazione della delibera giuntale n. 410 del 2006, attesa la completa inammissibilità ed infondatezza delle doglianze in esso formulate.
7. Prima di esaminare in dettaglio i motivi di gravame, conviene delineare sinteticamente il quadro dei principi forgiati dalla giurisprudenza di questo Consiglio in ordine alla legittimità dei provvedimenti limitativi della circolazione veicolare all'interno dei centri abitati (cfr. ex plurimis, Sez. V, 4 marzo 2008, n. 824; Id., 11 dicembre 2007, 6383; Id., 29 maggio 2006, n. 3259; Ad. Plen. 6 febbraio 1993, n. 3).
Circa lo scrutinio della legittimità dei provvedimenti limitativi della circolazione veicolare all'interno dei centri abitati si è evidenziato come tali atti siano espressione di scelte latamente discrezionali, che coprono un arco molto esteso di soluzioni possibili, incidenti su valori costituzionali spesso contrapposti, che devono essere contemperati, secondo criteri di ragionevolezza.
Quanto alla ragionevolezza delle scelte concretamente assunte dall'autorità comunale si osserva che tale scrutinio può essere effettuato solo ab externo, controvertendosi in sede di legittimità.
Sotto tale angolazione:
a) si reputa legittima la diversità del regime circolatorio in base al tipo, alla funzione ed alla provenienza dei mezzi di trasporto, specie quando la nuova disciplina sia introdotta gradualmente e senza soluzioni di continuità;
b) non si ritengono utilmente proponibili doglianze con cui si lamenta la violazione degli artt. 16 e 41 Cost. quando non sia vietato tout court l'accesso e la circolazione all'intero territorio, ma solo a delimitate, seppur vaste, zone dell'abitato urbano particolarmente esposte alle conseguenze dannose del traffico;
c) si riconosce che la parziale limitazione della libertà di locomozione e di iniziativa economica sia sempre giustificata quando derivi dall'esigenza di tutela rafforzata di patrimoni culturali ed ambientali di assoluto rilievo mondiale o nazionale.
La gravosità delle limitazioni si giustifica anche alla luce del valore primario ed assoluto riconosciuto dalla Costituzione all'ambiente, al paesaggio, alla salute (cfr. da ultimo Corte cost. 7 novembre 2007 n. 367).
7.2. Facendo applicazione dei su esposti principi al caso di specie, emerge l'inammissibilità delle censure con cui, nella sostanza, si contestano le conseguenze pratiche delle scelte tecniche discrezionali dell'amministrazione.
Tali censure sono anche infondate nel merito sia per la loro assoluta genericità, sia perché:
a) non è in alcun modo configurabile il lamentato vizio di difetto di motivazione ed istruttoria;
b) le scelte tecniche non appaiono abnormi alla luce dell'oggettivo risultato perseguito dal comune, ovvero il decremento delle auto autorizzate a circolare e parcheggiare permanentemente all'interno del centro storico di Roma, con tutte le difficoltà derivanti dalla ristrettezza degli spazi a disposizione;
c) il meccanismo dell'abbinamento una targa - un autoveicolo, ha riguardato tutte le categorie di permessi di accesso al centro storico, sicché non sono neppure ipotizzabili, in astratto, situazioni di disparità di trattamento;
d) è stata prevista la possibilità del rilascio, in favore dei residenti nel centro storico, di appositi permessi di transito (cfr. p. 6, deliberazione n. 410 - 2006 della Giunta del Comune di Roma), in vista del "…raggiungimento di un posto auto in aerea privata" (p. 7 deliberazione della stessa Giunta n.183 - 1996).
8. In conclusione gli appelli devono essere accolti con la conseguente parziale riforma dell'impugnata sentenza, nella parte in cui ha accolto il ricorso di primo grado, rimanendo confermata nel resto.
Nel particolare andamento del processo il collegio ravvisa giusti motivi per compensare integralmente fra le parti le spese di ambedue i gradi di giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (sezione quinta), definitivamente pronunciando sui ricorsi riuniti meglio indicati in epigrafe:
- accoglie gli appelli e per l'effetto, in riforma parziale della sentenza impugnata, respinge in toto il ricorso di primo grado;
- dichiara integralmente compensate fra le parti le spese di entrambi i gradi di giudizio.
Ordina che la presente decisione sia eseguita dall'Autorità amministrativa.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 5 dicembre 2008, con la partecipazione di:
Raffaele Iannotta - Presidente
Vito Poli Rel. Estensore - Consigliere
Gabriele Carlotti - Consigliere
Giancarlo Gianbartolemei - Consigliere
Angelica Dell'Utri Costagliola - Consigliere
ESTENSORE IL PRESIDENTE
f.to Vito Poli f.to Raffaele Iannotta
IL SEGRETARIO
f.to Cinzia Giglio
DEPOSITATA IN SEGRETERIA IL 13/02/09.


Zone Traffico Limitato:il Consiglio id Stato dà ragione al Comune di Roma

Il Consiglio di Stato dà ragione al Comune di Roma sulle ZTL
Consiglio di Stato , sez. V, decisione 13.02.2009 n° 825
(
Alfredo Matranga) in www.altalex.com


Con la sentenza n. 825/2009 il CdS ha ribaltato la decisione con cui il TAR Lazio aveva accolto il ricorso proposto da un cittadino avverso il provvedimento con cui il comune di Roma, all'esito di accurata istruttoria, e nel quadro di una più ampia manovra volta a ridurre gli effetti nocivi del traffico veicolare all'interno del centro storico, aveva rimodulato il sistema tariffario relativo al rilascio dei permessi di accesso alle zone a traffico limitato individuate nel centro abitato, prevedendo che:
a) ad ogni permesso di accesso, di qualsivoglia categoria, venga abbinata una sola targa;
b) i permessi di accesso senza targa sono vietati;
c) per ogni nucleo familiare residente nel centro, si possono rilasciare non più di tre permessi di accesso, con tariffe e durata variamente modulate;
d) in favore dei residenti, il rilascio di un apposito permesso di solo transito di durata annuale e ad un costo prestabilito di duecento euro.
Il CdS ha accolto l'appello ritenedo che:
a) le scelte tecniche non appaiono abnormi alla luce dell'oggettivo risultato perseguito dal comune, ovvero il decremento delle auto autorizzate a circolare e parcheggiare permanentemente all'interno del centro storico di Roma, con tutte le difficoltà derivanti dalla ristrettezza degli spazi a disposizione;
b) il meccanismo dell'abbinamento una targa - un autoveicolo, ha riguardato tutte le categorie di permessi di accesso al centro storico, sicché non sono neppure ipotizzabili, in astratto, situazioni di disparità di trattamento;
c) è stata prevista la possibilità del rilascio, in favore dei residenti nel centro storico, di appositi permessi di transito (cfr. p. 6, deliberazione n. 410 - 2006 della Giunta del Comune di Roma), in vista del "…raggiungimento di un posto auto in aerea privata".

(Altalex, 27 marzo 2009. Nota di Alfredo Matranga

Consiglio di Stato
Sezione V
Decisione 13 marzo 2009, n. 825

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Quinta Sezione ANNO 2008
ha pronunciato la seguente
DECISIONE

sui ricorsi riuniti iscritti:
- il primo al NRG 1815\2008, proposto dal Comune di Roma, in persona del sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Pier Ludovico Patriarca ed elettivamente domiciliato in Roma, via del Tempio di Giove, n. 21;
contro
l'avvocato ................. elettivamente domiciliato presso il suo studio in Roma, Largo del Teatro Valle, n. 6;
e nei confronti di
ATAC s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Francesco Cangiano e presso quest'ultimo elettivamente domiciliato in Roma, viale delle Mura Portuensi, n. 33;
- il secondo al NRG 6081\2008, proposto dall' ATAC s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Francesco Cangiano e presso quest'ultimo elettivamente domiciliata in Roma, viale delle Mura Portuensi, n. 33;
contro
................, non costituito;
e nei confronti di
Comune di Roma, in persona del sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Pier Ludovico Patriarca ed elettivamente domiciliato in Roma, via del Tempio di Giove, n. 21;
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio, sezione III, n. 7702 del 6 agosto 2007.
Visti i ricorsi in appello;
visti gli atti di costituzione in giudizio di Luciano Filippo Bracci, del comune di Roma e dell'Ataca s.p.a.;
viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;
visti gli atti tutti della causa;
data per letta alla pubblica udienza del 5 dicembre 2008 la relazione del consigliere Vito Poli, uditi gli avvocati Bracci, Cangiano e Patriarca;
ritenuto e considerato quanto segue:
FATTO E DIRITTO
1. Con la deliberazione 29 luglio 2006, n. 410, il comune di Roma, all'esito di accurata istruttoria, e nel quadro di una più ampia manovra volta a ridurre gli effetti nocivi del traffico veicolare all'interno del centro storico, ha rimodulato il sistema tariffario relativo al rilascio dei permessi di accesso alle zone a traffico limitato individuate nel centro abitato.
In particolare, per quanto di interesse ai fini della presente controversia:
a) si è previsto che ad ogni permesso di accesso, di qualsivoglia categoria, venga abbinata una sola targa;
b) sono stati vietati permessi di accesso senza targa;
c) per ogni nucleo familiare residente nel centro è stato previsto il rilascio di non più di tre permessi di accesso, con tariffe e durata variamente modulate;
d) è stato previsto, in favore dei residenti, il rilascio di un apposito permesso di solo transito di durata annuale e ad un costo prestabilito di duecento euro.
Avverso tale delibera n. 410 del 2006 - e la comunicazione inviata dall'Atac il successivo 28 novembre 2006 recante il sollecito al rinnovo del permesso di accesso secondo le nuove regole - è insorto davanti al T.a.r. del Lazio .............., residente con la propria famiglia nel centro storico, sollevando un unico complesso motivo rubricato: eccesso di potere per violazione di legge, disparità di trattamento, manifesta ingiustizia, illogicità e irrazionalità, contraddittorietà e difetto di motivazione.
2. L'impugnata sentenza - T.a.r. del Lazio, sezione III, n. 7702 del 6 agosto 2007 -:
a) ha respinto l'eccezione di difetto di giurisdizione del giudice amministrativo (tale capo non è stato impugnato ed è coperto dalla forza del giudicato interno);
b) ha respinto le eccezioni di tardività ed improcedibilità del ricorso;
c) ha respinto la censura con cui si contesta il passaggio dal regime della gratuità a quello della onerosità del permesso di circolazione rilasciato in favore dei residenti nel centro storico (anche tale capo non è stato impugnato);
d) ha accolto la doglianza con cui si lamenta la irrazionalità della previsione di abbinamento del permesso ad una sola targa e dunque ad un solo veicolo;
e) ha compensato le spese di lite.
3. Con due autonomi ricorsi, ritualmente notificati e depositati, il comune di Roma e l'Atac s.p.a. hanno proposto appelli avverso la su menzionata sentenza del T.a.r. sollevando, nella sostanza, il medesimo ordine di mezzi di gravame; da un lato, infatti, hanno insistito per l'accoglimento delle eccezioni di tardività ed improcedibilità dell'originario ricorso; dall'altro, hanno dedotto l'inammissibilità del ricorso, per violazione dei limiti interni della giurisdizione di legittimità del giudice amministrativo, e comunque l'infondatezza dell'unica doglianza accolta dal T.a.r.
4. L'avvocato Bracci si è costituito nel giudizio iscritto al nrg. 1815/2008 deducendo l'infondatezza del gravame in fatto e diritto.
Il comune di Roma e l'Atac si sono costituiti nei rispettivi giudizi per aderire ai corrispondenti appelli.
5. La causa è passata in decisione all'udienza pubblica del 5 dicembre 2008.
6. Gli appelli, proposti avverso la medesima sentenza, devono essere riuniti a mente dell'art. 335 c.p.c.
Gli appelli sono fondati e devono essere accolti.
Preliminarmente il collegio deve dare atto che il comune di Roma - contrariamente a quanto vagheggiato nelle note d'udienza depositate dall'appellato in data 17 aprile 2008 (pagina 8) - non ha mai prestato acquiescenza all'impugnata sentenza.
Può prescindersi dall'esame dei motivi di gravame con cui si reiterano le eccezioni di irricevibilità ed improcedibilità dell'originario ricorso di primo grado, per omessa tempestiva impugnazione della delibera giuntale n. 410 del 2006, attesa la completa inammissibilità ed infondatezza delle doglianze in esso formulate.
7. Prima di esaminare in dettaglio i motivi di gravame, conviene delineare sinteticamente il quadro dei principi forgiati dalla giurisprudenza di questo Consiglio in ordine alla legittimità dei provvedimenti limitativi della circolazione veicolare all'interno dei centri abitati (cfr. ex plurimis, Sez. V, 4 marzo 2008, n. 824; Id., 11 dicembre 2007, 6383; Id., 29 maggio 2006, n. 3259; Ad. Plen. 6 febbraio 1993, n. 3).
Circa lo scrutinio della legittimità dei provvedimenti limitativi della circolazione veicolare all'interno dei centri abitati si è evidenziato come tali atti siano espressione di scelte latamente discrezionali, che coprono un arco molto esteso di soluzioni possibili, incidenti su valori costituzionali spesso contrapposti, che devono essere contemperati, secondo criteri di ragionevolezza.
Quanto alla ragionevolezza delle scelte concretamente assunte dall'autorità comunale si osserva che tale scrutinio può essere effettuato solo ab externo, controvertendosi in sede di legittimità.
Sotto tale angolazione:
a) si reputa legittima la diversità del regime circolatorio in base al tipo, alla funzione ed alla provenienza dei mezzi di trasporto, specie quando la nuova disciplina sia introdotta gradualmente e senza soluzioni di continuità;
b) non si ritengono utilmente proponibili doglianze con cui si lamenta la violazione degli artt. 16 e 41 Cost. quando non sia vietato tout court l'accesso e la circolazione all'intero territorio, ma solo a delimitate, seppur vaste, zone dell'abitato urbano particolarmente esposte alle conseguenze dannose del traffico;
c) si riconosce che la parziale limitazione della libertà di locomozione e di iniziativa economica sia sempre giustificata quando derivi dall'esigenza di tutela rafforzata di patrimoni culturali ed ambientali di assoluto rilievo mondiale o nazionale.
La gravosità delle limitazioni si giustifica anche alla luce del valore primario ed assoluto riconosciuto dalla Costituzione all'ambiente, al paesaggio, alla salute (cfr. da ultimo Corte cost. 7 novembre 2007 n. 367).
7.2. Facendo applicazione dei su esposti principi al caso di specie, emerge l'inammissibilità delle censure con cui, nella sostanza, si contestano le conseguenze pratiche delle scelte tecniche discrezionali dell'amministrazione.
Tali censure sono anche infondate nel merito sia per la loro assoluta genericità, sia perché:
a) non è in alcun modo configurabile il lamentato vizio di difetto di motivazione ed istruttoria;
b) le scelte tecniche non appaiono abnormi alla luce dell'oggettivo risultato perseguito dal comune, ovvero il decremento delle auto autorizzate a circolare e parcheggiare permanentemente all'interno del centro storico di Roma, con tutte le difficoltà derivanti dalla ristrettezza degli spazi a disposizione;
c) il meccanismo dell'abbinamento una targa - un autoveicolo, ha riguardato tutte le categorie di permessi di accesso al centro storico, sicché non sono neppure ipotizzabili, in astratto, situazioni di disparità di trattamento;
d) è stata prevista la possibilità del rilascio, in favore dei residenti nel centro storico, di appositi permessi di transito (cfr. p. 6, deliberazione n. 410 - 2006 della Giunta del Comune di Roma), in vista del "…raggiungimento di un posto auto in aerea privata" (p. 7 deliberazione della stessa Giunta n.183 - 1996).
8. In conclusione gli appelli devono essere accolti con la conseguente parziale riforma dell'impugnata sentenza, nella parte in cui ha accolto il ricorso di primo grado, rimanendo confermata nel resto.
Nel particolare andamento del processo il collegio ravvisa giusti motivi per compensare integralmente fra le parti le spese di ambedue i gradi di giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (sezione quinta), definitivamente pronunciando sui ricorsi riuniti meglio indicati in epigrafe:
- accoglie gli appelli e per l'effetto, in riforma parziale della sentenza impugnata, respinge in toto il ricorso di primo grado;
- dichiara integralmente compensate fra le parti le spese di entrambi i gradi di giudizio.
Ordina che la presente decisione sia eseguita dall'Autorità amministrativa.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 5 dicembre 2008, con la partecipazione di:
Raffaele Iannotta - Presidente
Vito Poli Rel. Estensore - Consigliere
Gabriele Carlotti - Consigliere
Giancarlo Gianbartolemei - Consigliere
Angelica Dell'Utri Costagliola - Consigliere
ESTENSORE IL PRESIDENTE
f.to Vito Poli f.to Raffaele Iannotta
IL SEGRETARIO
f.to Cinzia Giglio
DEPOSITATA IN SEGRETERIA IL 13/02/09.


L'istanza di Condono Edilizio ed i documenti necessari

Condono edilizio:
integrazione e mancata presentazione dei documenti

TAR Puglia-Bari, sez. III, sentenza 17.12.2008 n° 2897

In materia di integrazione documentale l'art. 39, comma 4, della legge 724/1994 (“2° condono edilizio”) ha disposto che la mancata presentazione dei documenti, previsti per legge come obbligatori, entro tre mesi dalla espressa richiesta di integrazione notificata dal Comune, comporta l'improcedibilità della domanda e il conseguente diniego del condono per carenza documentale.
La questione della documentazione da presentare a corredo della domanda di condono è particolarmente delicata, in quanto si tratta di contemperare l'esigenza di identificare l'opera ai fini del rilascio del titolo di sanatoria, con quella di evitare che attraverso la reiterata richiesta di atti istruttori da parte dell'amministrazione comunale, l'istanza resti troppo tempo senza risposta.
Il titolo abilitativo in sanatoria è un atto non perfettamente confrontabile con gli atti abilitativi che il Comune rilascia in via ordinaria per consentire trasformazioni urbanistiche e edilizie. Ed è per questi motivi che il legislatore ha indicato analiticamente gli allegati a corredo della domanda, che devono ritenersi necessari, mentre altri eventuali atti istruttori non possono considerarsi idonei ad interrompere il termine per l'esame della domanda.
In relazione alle istanze di concessione in sanatoria presentate in base alla legge n. 724/1994, l'art. 39, quarto comma, della stessa L. n. 724/1994 prescrive che la domanda deve essere corredata anche dalla “denuncia in catasto”.
Se non viene dato seguito alla formale richiesta di fornire la “prova dell'avvenuta presentazione all'U.T.E. della documentazione necessaria ai fini dell'accatastamento” il Comune legittimamente ritiene sussistente l’improcedibilità della domanda e, dunque, nega la sanatoria.
Queste le argomentazioni in diritto con le quali il T.A.R. Puglia ha respinto il ricorso promosso avverso un diniego di condono di opere abusive motivato sulla base della improcedibilità della istanza presentata stante un manifesto inadempimento dell’interessato alle successive richieste di integrazione documentale fatte dal Comune.
Orbene, premesso che il condono (detto anche “sanatoria straordinaria”) è istituto eccezionale, come tale deve essere interpretato non solo nella sua portata giuridico-sostanziale, ma anche per quella procedimentale; così, anche gli adempimenti procedimentali sono tassativamente previsti dalle norme in questione e, dunque, il Comune non può omettere di adempiere ad un dovere di legge (il munirsi, cioè, di taluni documenti finalizzati alla completa istruttoria del procedimento amministrativo) così come il soggetto interessato al buon esito della pratica non può, a sua volta, restare inerte di fronte alle doverose istanze di integrazione recapitategli da parte della p.a. locale.
In tal senso, esistono solo atti e adempimenti documentali che, ritenuti “necessari” per espressa disposizione legislativa ma inadempiuti, provocano l’interruzione del procedimento; gli altri atti, riconducibili – per lo più – alla categoria di quelli richiesti dall’ente in via meramente eventuale (e cioè, non sulla base di norme di legge), non possono – invece – interrompere l’iter procedimentale.
(Altalex, 20 marzo 2009. Nota di Alessandro Del Dotto)

TAR Puglia-Bari, sez. III, sentenza 17.12.2008 n° 2897
[legge 724/1994 – 2° condono edilizio]
In materia di condono edilizio, la mancata presentazione dei documenti, previsti per legge come obbligatori, entro tre mesi dalla espressa richiesta di integrazione notificata dal Comune, comporta l'improcedibilità della domanda e il conseguente diniego del condono per carenza documentale.
(Fonte: Altalex Massimario 9/2009. Cfr. nota di Alessandro Del Dotto)
T.A.R.
Puglia - Bari
Sezione III
Sentenza 3 dicembre - 17 dicembre 2008, n. 2897
(Presidente estensore Urbano)

Fatto e diritto
1.- Con ricorso notificato il 13.11.1997, il nominativo in epigrafe ha domandato l'annullamento, del diniego della sanatoria di opere abusive, richiesta al Comune di Bari l'1.3.1995.
L'atto di rigetto è motivato con riferimento all'art. 2, comma 37, l. 1996, n. 662, che ha modificato l'art. 39, comma 4, della legge 724/1994, non avendo l'istante risposto nel termine assegnatogli all'invito ad integrare la documentazione a corredo della richiesta di condono.
A sostegno del ricorso, l'interessato deduce che la presentazione della denuncia in catasto, il versamento del conguaglio dell'oblazione e l'atto notorio dell'inesistenza di vincoli a parcheggio sull'opera oggetto di condono, non figurano tra gli atti a corredo della domanda a pena di inammissibilità e non se ne può imporre la presentazione a pena di improcedibilità della stessa.
Il Comune di Bari si è costituito in giudizio.
2. ' Il ricorso è infondato.
2.1. ' In materia di integrazione documentale l'art. 39, comma 4, della legge 724/1994 (2° condono edilizio) ha disposto che la mancata presentazione dei documenti, previsti per legge come obbligatori, entro tre mesi dalla espressa richiesta di integrazione notificata dal Comune, comporta l'improcedibilità della domanda e il conseguente diniego del condono per carenza documentale.
La questione della documentazione da presentare a corredo della domanda di condono è particolarmente delicata, in quanto si tratta di contemperare l'esigenza di identificare l'opera ai fini del rilascio del titolo di sanatoria, con quella di evitare che attraverso la reiterata richiesta di atti istruttori da parte dell'amministrazione comunale, l'istanza resti troppo tempo senza risposta (cfr., Tar Campania, Napoli, sez. IV, 13 giugno 2007, n. 6138; Tar Lombardia, Milano, sez. II, 3 febbraio 2003, n. 189).
D'altronde il titolo abilitativo in sanatoria è un atto non perfettamente confrontabile con gli atti abilitativi che il Comune rilascia in via ordinaria per consentire trasformazioni urbanistiche e edilizie. Ed è per questi motivi che il legislatore ha indicato analiticamente gli allegati a corredo della domanda, che devono ritenersi necessari, mentre altri eventuali atti istruttori non possono considerarsi idonei ad interrompere il termine per l'esame della domanda.
In relazione alle istanze di concessione in sanatoria presentate in base alla legge n. 724/1994, l'art. 39, quarto comma, della stessa L. n. 724/1994 prescrive che la domanda deve essere corredata anche dalla 'denuncia in catasto'.
Non di meno, nei tre mesi successivi all'invito, il ricorrente non ha dato seguito alla formale richiesta, rivoltagli il 3.2.2007, di fornire la 'prova dell'avvenuta presentazione all'U.T.E. della documentazione necessaria ai fini dell'accatastamento' e, doverosamente, perciò, il Comune, preso atto dell'improcedibilità della domanda, ha negato la sanatoria.
3. ' In definitiva, il ricorso in esame va respinto.
Sussistono giuste ragioni per compensare integralmente tra le parti le spese di giudizio.

P.Q.M.

IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE per la PUGLIA, Sede di Bari - Sezione Terza, respinge il ricorso in epigrafe.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa

L'istanza di Condono Edilizio ed i documenti necessari

Condono edilizio:
integrazione e mancata presentazione dei documenti

TAR Puglia-Bari, sez. III, sentenza 17.12.2008 n° 2897

In materia di integrazione documentale l'art. 39, comma 4, della legge 724/1994 (“2° condono edilizio”) ha disposto che la mancata presentazione dei documenti, previsti per legge come obbligatori, entro tre mesi dalla espressa richiesta di integrazione notificata dal Comune, comporta l'improcedibilità della domanda e il conseguente diniego del condono per carenza documentale.
La questione della documentazione da presentare a corredo della domanda di condono è particolarmente delicata, in quanto si tratta di contemperare l'esigenza di identificare l'opera ai fini del rilascio del titolo di sanatoria, con quella di evitare che attraverso la reiterata richiesta di atti istruttori da parte dell'amministrazione comunale, l'istanza resti troppo tempo senza risposta.
Il titolo abilitativo in sanatoria è un atto non perfettamente confrontabile con gli atti abilitativi che il Comune rilascia in via ordinaria per consentire trasformazioni urbanistiche e edilizie. Ed è per questi motivi che il legislatore ha indicato analiticamente gli allegati a corredo della domanda, che devono ritenersi necessari, mentre altri eventuali atti istruttori non possono considerarsi idonei ad interrompere il termine per l'esame della domanda.
In relazione alle istanze di concessione in sanatoria presentate in base alla legge n. 724/1994, l'art. 39, quarto comma, della stessa L. n. 724/1994 prescrive che la domanda deve essere corredata anche dalla “denuncia in catasto”.
Se non viene dato seguito alla formale richiesta di fornire la “prova dell'avvenuta presentazione all'U.T.E. della documentazione necessaria ai fini dell'accatastamento” il Comune legittimamente ritiene sussistente l’improcedibilità della domanda e, dunque, nega la sanatoria.
Queste le argomentazioni in diritto con le quali il T.A.R. Puglia ha respinto il ricorso promosso avverso un diniego di condono di opere abusive motivato sulla base della improcedibilità della istanza presentata stante un manifesto inadempimento dell’interessato alle successive richieste di integrazione documentale fatte dal Comune.
Orbene, premesso che il condono (detto anche “sanatoria straordinaria”) è istituto eccezionale, come tale deve essere interpretato non solo nella sua portata giuridico-sostanziale, ma anche per quella procedimentale; così, anche gli adempimenti procedimentali sono tassativamente previsti dalle norme in questione e, dunque, il Comune non può omettere di adempiere ad un dovere di legge (il munirsi, cioè, di taluni documenti finalizzati alla completa istruttoria del procedimento amministrativo) così come il soggetto interessato al buon esito della pratica non può, a sua volta, restare inerte di fronte alle doverose istanze di integrazione recapitategli da parte della p.a. locale.
In tal senso, esistono solo atti e adempimenti documentali che, ritenuti “necessari” per espressa disposizione legislativa ma inadempiuti, provocano l’interruzione del procedimento; gli altri atti, riconducibili – per lo più – alla categoria di quelli richiesti dall’ente in via meramente eventuale (e cioè, non sulla base di norme di legge), non possono – invece – interrompere l’iter procedimentale.
(Altalex, 20 marzo 2009. Nota di Alessandro Del Dotto)

TAR Puglia-Bari, sez. III, sentenza 17.12.2008 n° 2897
[legge 724/1994 – 2° condono edilizio]
In materia di condono edilizio, la mancata presentazione dei documenti, previsti per legge come obbligatori, entro tre mesi dalla espressa richiesta di integrazione notificata dal Comune, comporta l'improcedibilità della domanda e il conseguente diniego del condono per carenza documentale.
(Fonte: Altalex Massimario 9/2009. Cfr. nota di Alessandro Del Dotto)
T.A.R.
Puglia - Bari
Sezione III
Sentenza 3 dicembre - 17 dicembre 2008, n. 2897
(Presidente estensore Urbano)

Fatto e diritto
1.- Con ricorso notificato il 13.11.1997, il nominativo in epigrafe ha domandato l'annullamento, del diniego della sanatoria di opere abusive, richiesta al Comune di Bari l'1.3.1995.
L'atto di rigetto è motivato con riferimento all'art. 2, comma 37, l. 1996, n. 662, che ha modificato l'art. 39, comma 4, della legge 724/1994, non avendo l'istante risposto nel termine assegnatogli all'invito ad integrare la documentazione a corredo della richiesta di condono.
A sostegno del ricorso, l'interessato deduce che la presentazione della denuncia in catasto, il versamento del conguaglio dell'oblazione e l'atto notorio dell'inesistenza di vincoli a parcheggio sull'opera oggetto di condono, non figurano tra gli atti a corredo della domanda a pena di inammissibilità e non se ne può imporre la presentazione a pena di improcedibilità della stessa.
Il Comune di Bari si è costituito in giudizio.
2. ' Il ricorso è infondato.
2.1. ' In materia di integrazione documentale l'art. 39, comma 4, della legge 724/1994 (2° condono edilizio) ha disposto che la mancata presentazione dei documenti, previsti per legge come obbligatori, entro tre mesi dalla espressa richiesta di integrazione notificata dal Comune, comporta l'improcedibilità della domanda e il conseguente diniego del condono per carenza documentale.
La questione della documentazione da presentare a corredo della domanda di condono è particolarmente delicata, in quanto si tratta di contemperare l'esigenza di identificare l'opera ai fini del rilascio del titolo di sanatoria, con quella di evitare che attraverso la reiterata richiesta di atti istruttori da parte dell'amministrazione comunale, l'istanza resti troppo tempo senza risposta (cfr., Tar Campania, Napoli, sez. IV, 13 giugno 2007, n. 6138; Tar Lombardia, Milano, sez. II, 3 febbraio 2003, n. 189).
D'altronde il titolo abilitativo in sanatoria è un atto non perfettamente confrontabile con gli atti abilitativi che il Comune rilascia in via ordinaria per consentire trasformazioni urbanistiche e edilizie. Ed è per questi motivi che il legislatore ha indicato analiticamente gli allegati a corredo della domanda, che devono ritenersi necessari, mentre altri eventuali atti istruttori non possono considerarsi idonei ad interrompere il termine per l'esame della domanda.
In relazione alle istanze di concessione in sanatoria presentate in base alla legge n. 724/1994, l'art. 39, quarto comma, della stessa L. n. 724/1994 prescrive che la domanda deve essere corredata anche dalla 'denuncia in catasto'.
Non di meno, nei tre mesi successivi all'invito, il ricorrente non ha dato seguito alla formale richiesta, rivoltagli il 3.2.2007, di fornire la 'prova dell'avvenuta presentazione all'U.T.E. della documentazione necessaria ai fini dell'accatastamento' e, doverosamente, perciò, il Comune, preso atto dell'improcedibilità della domanda, ha negato la sanatoria.
3. ' In definitiva, il ricorso in esame va respinto.
Sussistono giuste ragioni per compensare integralmente tra le parti le spese di giudizio.

P.Q.M.

IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE per la PUGLIA, Sede di Bari - Sezione Terza, respinge il ricorso in epigrafe.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa

venerdì 27 marzo 2009

News dalla Suprema Corte

www.cortedicassazione.it

SENTENZA N. 10752 UD. 18 FEBBRAIO 2009 - DEPOSITO DEL 11 MARZO 2009


STRANIERI - ESPULSIONE COME MISURA ALTERNATIVA ALLA DETENZIONE - DIRITTO DELLO STRANIERO ALL'ESPULSIONE - SUSSISTENZA

L'espulsione dello straniero prevista dall'art. 16 comma quinto del D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286 costituisce un'atipica misura alternativa alla detenzione, che forma oggetto di un diritto dello straniero, qualora costui si trovi nella condizioni previste dalla legge per poterne usufruire. Resta escluso ogni potere discrezionale del giudice di merito circa la sua concedibilità, ed al pubblico ministero non è conferito il potere di rilasciare il nulla osta all’emissione del relativo provvedimento.


Sentenza n. 10752 del 18 febbraio 2009 – depositata l’11 marzo 2009
(Sezione Prima Penale, Presidente S. Chieffi, Relatore M. Barbarisi)

News dalla Suprema Corte

www.cortedicassazione.it

SENTENZA N. 10752 UD. 18 FEBBRAIO 2009 - DEPOSITO DEL 11 MARZO 2009


STRANIERI - ESPULSIONE COME MISURA ALTERNATIVA ALLA DETENZIONE - DIRITTO DELLO STRANIERO ALL'ESPULSIONE - SUSSISTENZA

L'espulsione dello straniero prevista dall'art. 16 comma quinto del D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286 costituisce un'atipica misura alternativa alla detenzione, che forma oggetto di un diritto dello straniero, qualora costui si trovi nella condizioni previste dalla legge per poterne usufruire. Resta escluso ogni potere discrezionale del giudice di merito circa la sua concedibilità, ed al pubblico ministero non è conferito il potere di rilasciare il nulla osta all’emissione del relativo provvedimento.


Sentenza n. 10752 del 18 febbraio 2009 – depositata l’11 marzo 2009
(Sezione Prima Penale, Presidente S. Chieffi, Relatore M. Barbarisi)

In caso di doppia residenza fiscale prevale il luogo ove sono rinvenubili i legami personali



"Nel caso in cui una persona fisica abbia la residenza fiscale in due Stati membri della UE, in quanto in entrambi sia individuabile il centro degli interessi vitali, inteso come il luogo con il quale si ha un più stretto collegamento sotto l’aspetto degli interessi personali e patrimoniali, il problema della doppia residenza fiscale deve essere risolto attribuendola allo Stato in cui sono rinvenibili i legami personali."


Fatto e Diritto
Premesso che P.A. ha proposto ricorso per Cassazione nei confronti dell’Agenzia delle Entrate ed avverso l’indicata sentenza della CTR del Veneto; che l’Agenzia si è costituita con controricorso;
che, ricorrendo i presupposti per la trattazione in Camera di consiglio a sensi dell’art. 375 c.p.c., sono state acquisite le conclusioni del P.M., che ha chiesto rimettersi la causa alla pubblica udienza;
che nella Camera di consiglio odierna il ricorso è stato deciso.
La sentenza impugnata in relazione alla impugnazione di avvisi di accertamento ERPEF per gli anni 1994, 1995, 1996 e 1997, ha ritenuto la soggezione all’imposta del P. anche per gli anni 1996 e 1997 per avere mantenuto in Italia il domicilio, come era dato di evincere da circostanze non contestate dell’avere in Italia la sua famiglia, di vivere prevalentemente nel nostro paese ove era amministratore di molteplici società, essere anche abituale frequentatore di un golf club in Italia.
Con l’unico motivo di ricorso, denunziando violazione del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 2 e L. n. 448 del 1998, art. 10, comma 1, propone questione se competa o no all’Ufficio dare la prova della residenza in Italia, se detta prova possa essere data per semplici indizi, se detti indizi possano essere rilevanti malgrado il contrasto con le risultanze anagrafiche.
Il ricorso è manifestamente infondato in quanto la sentenza ha fondato la propria decisione sull’accertamento del domicilio e non su quello della residenza, anche se ha rilevato perplessità sulla stessa attesa la mancata esibizione di un certificato di residenza a Monaco o di altri elementi, a prescindere dall’iscrizione all’AIRE per i soli anni 1996 e 1997.
Va aggiunto per completezza che anche se si fosse voluto contestare l’accertamento del domicilio in Italia, come potrebbe evincersi dalla contestazione nel corpo del ricorso della mancanza di prova della prevalenza degli affari all’estero su quelli italiani, si deve rilevare che l’accertamento della CTR è immune da vizi logici e giuridici. Questa Corte, scrutinando analoga questione con sentenza 13803 del 2001, ha precisato in motivazione: deve osservarsi, infine, che la Corte di Giustizia delle Comunità Europee, nella sentenza 12 luglio 2001, in causa C - 262-99, Louloudakis c. Stato Ellenico, ha enunciato il principio che “... nel caso in cui una persona abbia legami sia personali sia professionali in due Stati membri, il luogo della sua “normale residenza”, stabilito nell’ambito di una valutazione globale in funzione di tutti gli elementi di fatto rilevanti, è quello in cui viene individuato il centro permanente degli interessi di tale persona e che, nell’ipotesi in cui tale valutazione globale non permetta siffatta valutazione, occorre dichiarare la preminenza dei legami personali”. Affermando tale preminenza, e ribadito che, comunque, il giudice nazionale deve compiere una valutazione globale di tutti gli elementi, sia personali che patrimoniali, la Corte ha elencato alcuni degli elementi rilevanti per l’esistenza dei legami personali, come la presenza fisica della persona e dei suoi familiari, la disponibilità di un’abitazione, il luogo in cui i figli frequentano effettivamente la scuola, il luogo dell’esercizio delle attività professionali, quello dei legami amministrativi con le autorità pubbliche e gli organismi sociali “nei limiti in cui i detti elementi traducano la volontà di tale persona di conferire una determinata stabilità al luogo di collegamento, a motivo di una continuità che risulti da un’abitudine di vita e dallo svolgimento di rapporti sociali e professionali normali”.
Ed ha concluso affermando il principio: Nel caso in cui una persona fisica abbia la residenza fiscale in due Stati membri della UE, in quanto in entrambi sia individuabile il centro degli interessi vitali, inteso come il luogo con il quale si ha un più stretto collegamento sotto l’aspetto degli interessi personali e patrimoniali, il problema della doppia residenza fiscale deve essere risolto attribuendola allo Stato in cui sono rinvenibili i legami personali. Va conclusivamente rimarcato come nemmeno in sede di legittimità il P. abbia contestato che il suo centro degli interessi vitali sia rimasto in Italia.
Le spese seguono la soccombenza e si liquidano nel dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alle spese che liquida in Euro 100,00 per spese vive, Euro 1900,00 per onorari, oltre spese generali ed accessori di legge.
Così deciso in Roma, il 21 marzo 2008.
Depositato in Cancelleria il 14 aprile 2008

In caso di doppia residenza fiscale prevale il luogo ove sono rinvenubili i legami personali



"Nel caso in cui una persona fisica abbia la residenza fiscale in due Stati membri della UE, in quanto in entrambi sia individuabile il centro degli interessi vitali, inteso come il luogo con il quale si ha un più stretto collegamento sotto l’aspetto degli interessi personali e patrimoniali, il problema della doppia residenza fiscale deve essere risolto attribuendola allo Stato in cui sono rinvenibili i legami personali."


Fatto e Diritto
Premesso che P.A. ha proposto ricorso per Cassazione nei confronti dell’Agenzia delle Entrate ed avverso l’indicata sentenza della CTR del Veneto; che l’Agenzia si è costituita con controricorso;
che, ricorrendo i presupposti per la trattazione in Camera di consiglio a sensi dell’art. 375 c.p.c., sono state acquisite le conclusioni del P.M., che ha chiesto rimettersi la causa alla pubblica udienza;
che nella Camera di consiglio odierna il ricorso è stato deciso.
La sentenza impugnata in relazione alla impugnazione di avvisi di accertamento ERPEF per gli anni 1994, 1995, 1996 e 1997, ha ritenuto la soggezione all’imposta del P. anche per gli anni 1996 e 1997 per avere mantenuto in Italia il domicilio, come era dato di evincere da circostanze non contestate dell’avere in Italia la sua famiglia, di vivere prevalentemente nel nostro paese ove era amministratore di molteplici società, essere anche abituale frequentatore di un golf club in Italia.
Con l’unico motivo di ricorso, denunziando violazione del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 2 e L. n. 448 del 1998, art. 10, comma 1, propone questione se competa o no all’Ufficio dare la prova della residenza in Italia, se detta prova possa essere data per semplici indizi, se detti indizi possano essere rilevanti malgrado il contrasto con le risultanze anagrafiche.
Il ricorso è manifestamente infondato in quanto la sentenza ha fondato la propria decisione sull’accertamento del domicilio e non su quello della residenza, anche se ha rilevato perplessità sulla stessa attesa la mancata esibizione di un certificato di residenza a Monaco o di altri elementi, a prescindere dall’iscrizione all’AIRE per i soli anni 1996 e 1997.
Va aggiunto per completezza che anche se si fosse voluto contestare l’accertamento del domicilio in Italia, come potrebbe evincersi dalla contestazione nel corpo del ricorso della mancanza di prova della prevalenza degli affari all’estero su quelli italiani, si deve rilevare che l’accertamento della CTR è immune da vizi logici e giuridici. Questa Corte, scrutinando analoga questione con sentenza 13803 del 2001, ha precisato in motivazione: deve osservarsi, infine, che la Corte di Giustizia delle Comunità Europee, nella sentenza 12 luglio 2001, in causa C - 262-99, Louloudakis c. Stato Ellenico, ha enunciato il principio che “... nel caso in cui una persona abbia legami sia personali sia professionali in due Stati membri, il luogo della sua “normale residenza”, stabilito nell’ambito di una valutazione globale in funzione di tutti gli elementi di fatto rilevanti, è quello in cui viene individuato il centro permanente degli interessi di tale persona e che, nell’ipotesi in cui tale valutazione globale non permetta siffatta valutazione, occorre dichiarare la preminenza dei legami personali”. Affermando tale preminenza, e ribadito che, comunque, il giudice nazionale deve compiere una valutazione globale di tutti gli elementi, sia personali che patrimoniali, la Corte ha elencato alcuni degli elementi rilevanti per l’esistenza dei legami personali, come la presenza fisica della persona e dei suoi familiari, la disponibilità di un’abitazione, il luogo in cui i figli frequentano effettivamente la scuola, il luogo dell’esercizio delle attività professionali, quello dei legami amministrativi con le autorità pubbliche e gli organismi sociali “nei limiti in cui i detti elementi traducano la volontà di tale persona di conferire una determinata stabilità al luogo di collegamento, a motivo di una continuità che risulti da un’abitudine di vita e dallo svolgimento di rapporti sociali e professionali normali”.
Ed ha concluso affermando il principio: Nel caso in cui una persona fisica abbia la residenza fiscale in due Stati membri della UE, in quanto in entrambi sia individuabile il centro degli interessi vitali, inteso come il luogo con il quale si ha un più stretto collegamento sotto l’aspetto degli interessi personali e patrimoniali, il problema della doppia residenza fiscale deve essere risolto attribuendola allo Stato in cui sono rinvenibili i legami personali. Va conclusivamente rimarcato come nemmeno in sede di legittimità il P. abbia contestato che il suo centro degli interessi vitali sia rimasto in Italia.
Le spese seguono la soccombenza e si liquidano nel dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alle spese che liquida in Euro 100,00 per spese vive, Euro 1900,00 per onorari, oltre spese generali ed accessori di legge.
Così deciso in Roma, il 21 marzo 2008.
Depositato in Cancelleria il 14 aprile 2008

Il leasing e lo IAS 17

Il contratto di leasing : aspetti operativi e contabili
Corso teorico – pratico di contabilità generale e bilancio del Dott.Enrico Larocca
Il contratto d leasing è un contratto atipico che riassume le caratteristiche di tre contratti tipici: la locazione, il mutuo e la vendita a rate.
La forma più comunemente usata nella pratica aziendale, si denomina locazione finanziaria ( o leasing finanziario).
Gli standard contabili internazionali, in ossequio al principio della «prevalenza della sostanza sulla forma», inquadrano l’acquisizione di un bene strumentale in leasing finanziario, del tutto equivalente all’acquisto di un bene strumentale di proprietà con finanziamento ,ma la Cassazione, ancora oggi, inconformità alla concezione patrimonialistica del bilancio, ritiene illegittima la pratica di iscrivere i beni in leasing, nel bilancio dell’impresa utilizzatrice, come immobilizzazioni materiali nell’attivo e come debito di finanziamento nel passivo, prima dell’esercizio del diritto di riscatto.
Dovendo adempiere alle prescrizioni di cui all’art. 2427 punto 22) del codice civile, occorre fornire queste informazioni in Nota Integrativa.
Il contratto di leasing
Il termine leasing deriva dal verbo inglese to lease che significa affittare. Quindi la matrice terminologica del contratto attiene all’acquisizione in uso ovvero alla locazione.
Sennonché nella pratica aziendale, il contratto presenta i caratteri di tre contratti regolati dal codice civile: il contratto di locazione, il contratto di vendita con patto di riservato dominio e il contratto di mutuo.
Ed è in virtù di queste caratteristiche che gli IAS/IRFS considerano il leasing una formula di acquisizione di immobilizzazioni con finanziamento, in antitesi alla concezione patrimonialistica del bilancio, che considera il contratto a prestazioni reali, finalizzato all’acquisizione in uso.
Esistono diverse forme di leasing che possiamo riassumere in:
1. leasing finanziario: si tratta della forma di leasing più utilizzata nella pratica aziendale, che si sostanzia nell’acquisizione di un bene strumentale con una formula del tutto simile a quella dell’acquisto in proprietà con contrazione di mutuo;
2. leasing operativo: si tratta di una forma di leasing simile nelle caratteristiche al noleggio di beni strumentali;
3. leasing agevolato: si tratta di una formula di leasing che consente alle imprese utilizzatrici di fruire di sconti sugli oneri finanziari previsti dal piano di ammortamento del leasing, accedendo a sovvenzioni di carattere regionale, nazionale o comunitario.
Come è possibile verificare nella grafica che segue, nel leasing finanziario si istituisce un rapporto trilaterale che vede coinvolti tre soggetti: il produttore, la società di leasing e l’utilizzatore.
L’operazione parte con l’ordinativo di acquisto che viene presentato dalla società di leasing al produttore in base alle indicazioni fornite dall’utilizzatore finale.
E’ evidente che, se è vero che in senso giuridico la proprietà del bene, salvo l’esercizio della clausola di riscatto, resta della società di leasing, è altrettanto vero che l’immobilizzazione tecnica è assolutamente avulsa dal ciclo tecnico-produttivo della società proprietaria, cosicché l’ammortamento va calcolato sulla scorta della durata economica che tenga conto del ciclo tecnico dell’utilizzatore.
Che questa sia l’impostazione corretta anche sotto il profilo aziendalistico, lo dimostra il tenore dell’art. 102, co. 7 del TUIR che sul piano fiscale statuisce che l’ammortamento dei beni concessi in leasing, deve essere attuato avendo riguardo ai coefficienti previsti per il settore dell’impresa utilizzatrice.
IAS 17 e leasing finanziario
Esistono considerevoli differenze tra il leasing operativo e il leasing finanziario.
A tal proposito, il principio contabile internazionale IAS 17 indica quali sono le condizioni, al verificarsi delle quali, ricorre la formula di leasing finanziario. Affinché lo stesso possa essere qualificato come contratto di «leasing finanziario» occorre:
1. che l’utilizzatore al termine del contratto sia facoltizzato a diventare proprietario del bene;
2. che la clausola di riscatto si possa ragionevolmente ipotizzare per data, allorquando il prezzo finale del bene risulti sensibilmente inferiore al fair view;
3. che la durata del contratto copra la maggior parte della vita economica del bene e che il valore attuale dei canoni possa essere assunto pari al fair view.
Qualora ricorrano le ipotesi di cui ai punti precedenti, una rappresentazione del leasing con metodo finanziario, con iscrizione dell’immobilizzazione tecnica nello Stato Patrimoniale dell’utilizzatore tra le IMMOBILIZZAZIONI e del corrispondente del debito verso la società di leasing, nella voce DEBITI con separata indicazione delle quote esigibili oltre l’anno, permetterebbe meglio di cogliere le implicazioni economico-patrimoniali di tale scelta acquisitiva.
Sull’impostazione contabile del leasing finanziario, ritenuta più idonea in punto di diritto, già da tempo autorevoli rappresentanti della dottrina aziendalistica avevano affermato in maniera chiara ed univoca che l’unica impostazione contabile ritenuta civilisticamente corretta, era quella basata sul metodo patrimoniale, impostazione questa confermata anche dall’Agenzia delle Entrate che, facendo proprie le argomentazione della Sentenza n. 8292 del 26/05/2003 della Corte di Cassazione, ebbe a precisare che, pur potendo la società di leasing optare per la contabilizzazione dei beni concessi in locazione finanziaria per il metodo cosiddetto “finanziario” e pur potendo di conseguenza l’utilizzatore iscrivere tra le proprie immobilizzazioni i beni in leasing, l’unico soggetto legittimato al calcolo delle quote di ammortamento restava la società concedente e non l’utilizzatore, non essendo quest’ultimo proprietario dei beni in leasing.
Solo al fine di evitare una rappresentazione che potesse violare il principio del «substance over the form», in fase di riforma del diritto societario e nel tentativo di mediare con gli standards contabili internazionali, è stata introdotta la prescrizione di rappresentare in Nota Integrativa, l’effetto della differente modalità di contabilizzazione, attraverso l’obbligo di esporre in apposito prospetto, le conseguenze dell’esposizione del leasing con metodo patrimoniale e con metodo finanziario

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