mercoledì 28 gennaio 2009

Il disegno di Legge sul federalismo fiscale

Federalismo fiscale: il disegno di legge approvato dal Senato della Repubblica
Disegno di legge approvato dal Senato il 22.01.2009 n° 1117-A

Il Governo sarà delegato ad adottare uno o più decreti legislativi aventi ad oggetto l'attuazione dell'articolo 119 della Costituzione, al fine di "assicurare, attraverso la definizione dei princìpi fondamentali del coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario e la definizione della perequazione, l'autonomia finanziaria di comuni, province, Città metropolitane e regioni".
E' quanto prevede il Disegno di Legge in materia di federalismo fiscale (nato dalla c.d. bozza Calderoli) approvato dal Senato della Repubblica il 22 gennaio 2009.
In particolare, il provvedimento prevede:
istituzione di una specifica Commissione parlamentare per l'attuazione del federalismo fiscale;
attribuzione di specifici tributi per le province e le città metropolitane;
quote aggiuntive di tributi erariali per Roma capitale;
ineleggibilità per gli amministratori degli enti locali responsabili di dissesto finanziario;
possibilità di istituire città metropolitane possono essere istituite nell'ambito di una regione nelle aree metropolitane in cui sono compresi i comuni di Torino, Milano, Venezia, Genova, Bologna, Firenze, Bari e Napoli.
Il provvedimento passa ora all'esame della Camera dei Deputati.
(Altalex, 25 gennaio 2009)
DISEGNO DI LEGGE 22 GENNAIO 2008, N. 1117-A
Delega al Governo in materia di federalismo fiscale, in attuazione dell'articolo 119 della Costituzione.
Capo I
CONTENUTI E REGOLE DI COORDINAMENTO FINANZIARIO
Art. 1.
(Ambito di intervento)
1. La presente legge costituisce attuazione dell'articolo 119 della Costituzione, assicurando autonomia di entrata e di spesa di comuni, province, Città metropolitane e regioni e rispettando i princìpi di solidarietà e di coesione sociale, in maniera da sostituire gradualmente, per tutti i livelli di governo, il criterio della spesa storica e da garantire la loro massima responsabilizzazione e l'effettività e la trasparenza del controllo democratico nei confronti degli eletti. A tali fini, la presente legge reca disposizioni volte a stabilire in via esclusiva i princìpi fondamentali del coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario, a disciplinare l'istituzione ed il funzionamento del fondo perequativo per i territori con minore capacità fiscale per abitante nonché l'utilizzazione delle risorse aggiuntive e l'effettuazione degli interventi speciali di cui all'articolo 119, quinto comma, della Costituzione. Disciplina altresì i princìpi generali per l'attribuzione di un proprio patrimonio a comuni, province, Città metropolitane e regioni ed il finanziamento di Roma capitale.
2. Alle regioni a statuto speciale ed alle province autonome di Trento e di Bolzano si applicano, in conformità con gli statuti, esclusivamente le disposizioni di cui agli articoli 14, 21 e 24.
Art. 2.
(Oggetto e finalità)
1. Il Governo è delegato ad adottare, entro ventiquattro mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, uno o più decreti legislativi aventi ad oggetto l'attuazione dell'articolo 119 della Costituzione, al fine di assicurare, attraverso la definizione dei princìpi fondamentali del coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario e la definizione della perequazione, l'autonomia finanziaria di comuni, province, Città metropolitane e regioni.
2. Fermi restando gli specifici princìpi e criteri direttivi stabiliti dalle disposizioni di cui agli articoli 5, 7, 8, 9, 10, 11, 12, 13, 14, 15, 16, 18, 19, 20, 21, 22, 23, 25 e 26, i decreti legislativi di cui al comma 1 del presente articolo sono informati ai seguenti princìpi e criteri direttivi generali:
a) autonomia di entrata e di spesa e maggiore responsabilizzazione amministrativa, finanziaria e contabile di tutti i livelli di governo;
b) lealtà istituzionale fra tutti i livelli di governo e concorso di tutte le amministrazioni pubbliche al conseguimento degli obiettivi di finanza pubblica nazionale in coerenza con i vincoli posti dall'Unione europea e dai trattati internazionali;
c) razionalità e coerenza dei singoli tributi e del sistema tributario nel suo complesso; semplificazione del sistema tributario, riduzione degli adempimenti a carico dei contribuenti, trasparenza del prelievo, efficienza nell'amministrazione dei tributi; rispetto dei princìpi sanciti dallo statuto dei diritti del contribuente di cui alla legge 27 luglio 2000, n. 212;
d) coinvolgimento dei diversi livelli istituzionali nell'attività di contrasto all'evasione e all'elusione fiscale;
e) attribuzione di risorse autonome ai comuni, alle province, alle Città metropolitane e alle regioni, in relazione alle rispettive competenze, secondo il principio di territorialità e nel rispetto del principio di solidarietà e dei princìpi di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza di cui all'articolo 118 della Costituzione; le risorse derivanti dai tributi e dalle entrate proprie di regioni ed enti locali, dalle compartecipazioni al gettito di tributi erariali e dal fondo perequativo consentono di finanziare integralmente il normale esercizio delle funzioni pubbliche attribuite;
f) determinazione del costo e del fabbisogno standard quale costo o fabbisogno obiettivo che, valorizzando l'efficienza e l'efficacia, e tenendo conto anche del rapporto tra il numero dei dipendenti dell'ente territoriale e il numero dei residenti, costituisce l'indicatore rispetto al quale comparare e valutare l'azione pubblica nonché gli obiettivi di servizio cui devono tendere le amministrazioni regionali e locali nell'esercizio delle rispettive funzioni;
g) adozione per le proprie politiche di bilancio da parte di regioni, Città metropolitane, province e comuni di regole coerenti con quelle derivanti dall'applicazione del patto di stabilità e crescita;
h) individuazione dei princìpi fondamentali dell'armonizzazione dei bilanci pubblici, in modo da assicurare la redazione dei bilanci di comuni, province, Città metropolitane e regioni in base a criteri predefiniti e uniformi, concordati in sede di Conferenza unificata di cui all'articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, di seguito denominata «Conferenza unificata», coerenti con quelli che disciplinano la redazione del bilancio dello Stato. La registrazione delle poste di entrata e di spesa nei bilanci dello Stato, delle regioni, delle Città metropolitane, delle province e dei comuni deve essere eseguita in forme che consentano di ricondurre tali poste ai criteri rilevanti per l'osservanza del patto di stabilità e crescita;
i) coerenza con i princìpi di cui all'articolo 53 della Costituzione;
l) superamento graduale, per tutti i livelli istituzionali, del criterio della spesa storica a favore:
1) del fabbisogno standard per il finanziamento dei livelli essenziali di cui all'articolo 117, secondo comma, lettera m), della Costituzione, e delle funzioni fondamentali di cui all'articolo 117, secondo comma, lettera p), della Costituzione;
2) della perequazione della capacità fiscale per le altre funzioni;
m) rispetto della ripartizione delle competenze legislative fra Stato e regioni in tema di coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario;
n) esclusione di ogni doppia imposizione sul medesimo presupposto, salvo le addizionali previste dalla legge statale o regionale;
o) tendenziale correlazione tra prelievo fiscale e beneficio connesso alle funzioni esercitate sul territorio in modo da favorire la corrispondenza tra responsabilità finanziaria e amministrativa; continenza e responsabilità nell'imposizione di tributi propri;
p) previsione che la legge regionale possa, con riguardo ai presupposti non assoggettati ad imposizione da parte dello Stato:
1) istituire tributi regionali e locali;
2) determinare le variazioni delle aliquote o le agevolazioni che comuni, province e Città metropolitane possono applicare nell'esercizio della propria autonomia;
q) facoltà delle regioni di istituire a favore degli enti locali compartecipazioni al gettito dei tributi e delle compartecipazioni regionali;
r) esclusione di interventi sulle basi imponibili e sulle aliquote dei tributi che non siano del proprio livello di governo; ove i predetti interventi siano effettuati dallo Stato sulle basi imponibili e sulle aliquote riguardanti i tributi degli enti locali e quelli di cui all'articolo 7, comma 1, lettera b), numeri 1) e 2), essi sono possibili solo se prevedono la contestuale adozione di misure per la completa compensazione tramite modifica di aliquota o attribuzione di altri tributi e previa quantificazione finanziaria delle predette misure nella Conferenza di cui all'articolo 5;
s) previsione di strumenti e meccanismi di accertamento e di riscossione che assicurino modalità efficienti di accreditamento diretto del riscosso agli enti titolari del tributo; previsione che i tributi erariali compartecipati siano integralmente contabilizzati nel bilancio dello Stato;
t) definizione di modalità che assicurino a ciascun soggetto titolare del tributo l'accesso diretto alle anagrafi e a ogni altra banca dati utile alle attività di gestione tributaria, assicurando il rispetto della normativa a tutela della riservatezza dei dati personali;
u) premialità dei comportamenti virtuosi ed efficienti nell'esercizio della potestà tributaria, nella gestione finanziaria ed economica e previsione di meccanismi sanzionatori per gli enti che non rispettano gli equilibri economico - finanziari o non assicurano i livelli essenziali delle prestazioni di cui all'articolo 117, secondo comma, lettera m), della Costituzione o l'esercizio delle funzioni fondamentali di cui all'articolo 117, secondo comma, lettera p), della Costituzione; previsione delle specifiche modalità attraverso le quali il Governo, nel caso in cui la regione o l'ente locale non assicuri i livelli essenziali delle prestazioni di cui all'articolo 117, secondo comma, lettera m), della Costituzione, o l'esercizio delle funzioni fondamentali di cui all'articolo 117, secondo comma, lettera p), della Costituzione, o qualora gli scostamenti dal patto di convergenza di cui all'articolo 17 della presente legge abbiano caratteristiche permanenti e sistematiche, adotta misure sanzionatorie, fino all'esercizio del potere sostitutivo di cui all'articolo 120, secondo comma, della Costituzione, secondo quanto disposto dall'articolo 8 della legge 5 giugno 2003, n. 131, e secondo il principio di responsabilità amministrativa e finanziaria;
v) previsione che le sanzioni di cui alla lettera u) a carico degli enti inadempienti si applichino anche nel caso di mancato rispetto dei criteri uniformi di redazione dei bilanci, predefiniti ai sensi della lettera h);
z) garanzia del mantenimento di un adeguato livello di flessibilità fiscale nella costituzione di insiemi di tributi e compartecipazioni, da attribuire alle regioni e agli enti locali, la cui composizione sia rappresentata in misura rilevante da tributi manovrabili, con determinazione, per ciascun livello di governo, di un adeguato grado di autonomia di entrata, derivante da tali tributi;
aa) previsione di una adeguata flessibilità fiscale articolata su più tributi con una base imponibile stabile e distribuita in modo tendenzialmente uniforme sul territorio nazionale, tale da consentire a tutte le regioni ed enti locali, comprese quelle a più basso potenziale fiscale, di finanziare, attivando le proprie potenzialità, il livello di spesa non riconducibile ai livelli essenziali delle prestazioni e alle funzioni fondamentali degli enti locali;
bb) trasparenza ed efficienza delle decisioni di entrata e di spesa, rivolte a garantire l'effettiva attuazione dei princìpi di efficacia, efficienza ed economicità di cui all'articolo 5, comma 1, lettera b);
cc) riduzione della imposizione fiscale statale in misura corrispondente alla più ampia autonomia di entrata di regioni ed enti locali calcolata ad aliquota standard e corrispondente riduzione delle risorse statali umane e strumentali; eliminazione dal bilancio dello Stato delle previsioni di spesa relative al finanziamento delle funzioni attribuite a regioni, province, comuni e Città metropolitane, con esclusione dei fondi perequativi e delle risorse per gli interventi di cui all'articolo 119, quinto comma, della Costituzione;
dd) definizione di una disciplina dei tributi locali in modo da consentire anche una più piena valorizzazione della sussidiarietà orizzontale;
ee) territorialità dei tributi regionali e locali e dei gettiti delle compartecipazioni, in conformità a quanto previsto dall'articolo 119 della Costituzione;
ff) tendenziale corrispondenza tra autonomia impositiva e autonomia di gestione delle proprie risorse umane e strumentali da parte del settore pubblico; previsione di strumenti che consentano autonomia ai diversi livelli di governo nella gestione della contrattazione collettiva;
gg) certezza delle risorse e stabilità tendenziale del quadro di finanziamento, in misura corrispondente alle funzioni attribuite.
hh) individuazione, in conformità con il diritto comunitario, di forme di fiscalità di sviluppo, con particolare riguardo alla creazione di nuove attività di impresa.
3. I decreti legislativi di cui al comma 1 sono adottati su proposta del Ministro dell'economia e delle finanze, del Ministro per le riforme per il federalismo, del Ministro per la semplificazione normativa, del Ministro per i rapporti con le regioni e del Ministro per le politiche europee, di concerto con il Ministro dell'interno, con il Ministro per la pubblica amministrazione e l'innovazione e con gli altri Ministri volta a volta competenti nelle materie oggetto di tali decreti. Gli schemi di decreto legislativo, previa intesa da sancire in sede di Conferenza unificata ai sensi dell'articolo 3 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, sono trasmessi alle Camere perché su di essi sia espresso il parere della Commissione di cui all'articolo 3 e delle Commissioni parlamentari competenti per le conseguenze di carattere finanziario, entro sessanta giorni dalla trasmissione. In mancanza di intesa nel termine di cui all'articolo 3 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, il Consiglio dei ministri delibera, approvando una relazione che è trasmessa alle Camere. Nella relazione sono indicate le specifiche motivazioni per cui l'intesa non è stata raggiunta.
4. Decorso il termine per l'espressione dei pareri di cui al comma 3 da parte della Commissione di cui all'articolo 3, i decreti possono essere comunque adottati. Il Governo, se non intende conformarsi ai pareri parlamentari, ritrasmette i testi alle Camere con le sue osservazioni e con eventuali modificazioni, per l'espressione di un nuovo parere da parte delle commissioni di cui al comma 3. Decorsi trenta giorni dalla data della nuova trasmissione, i decreti possono comunque essere adottati in via definitiva dal Governo. Il Governo, qualora, anche a seguito dell'espressione dei pareri parlamentari, non intenda conformarsi all'intesa raggiunta in Conferenza unificata, trasmette alle Camere e alla stessa Conferenza unificata una relazione nella quale sono indicate le specifiche motivazioni di difformità dall'intesa.
5. Il Governo assicura, nella predisposizione dei decreti legislativi di cui al comma 1, piena collaborazione con le regioni e gli enti locali, anche al fine di condividere la definizione dei livelli essenziali di assistenza e dei livelli essenziali delle prestazioni e la determinazione dei costi e dei fabbisogni standard.
6. Almeno uno dei decreti legislativi di cui al comma 1 è adottato entro dodici mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge. Contestualmente all'adozione del primo schema di decreto legislativo, il Governo trasmette alle Camere, in allegato a tale schema, una relazione concernente il quadro generale di finanziamento degli enti territoriali ed ipotesi di definizione su base quantitativa della struttura fondamentale dei rapporti finanziari tra lo Stato, le regioni e gli enti locali, con l'indicazione delle possibili distribuzioni delle risorse.
7. Entro due anni dalla data di entrata in vigore dei decreti legislativi di cui al comma 1, possono essere adottati decreti legislativi recanti disposizioni integrative e correttive nel rispetto dei princìpi e criteri direttivi previsti dalla presente legge e con la procedura di cui ai commi 3 e 4.
Art. 3.
(Commissione parlamentare per l'attuazione del federalismo fiscale)
1. È istituita la Commissione parlamentare per l'attuazione del federalismo fiscale, composta da quindici senatori e da quindici deputati, nominati rispettivamente dal Presidente del Senato della Repubblica e dal Presidente della Camera dei deputati. La composizione della Commissione deve rispecchiare la proporzione dei gruppi parlamentari anche dopo la sua costituzione.
2. La Commissione assicura il raccordo con le regioni, le Città metropolitane, le province e i comuni, avvalendosi a tal fine della consultazione di un Comitato esterno di rappresentanti delle autonomie territoriali, nominato dalla componente rappresentativa delle regioni e degli enti locali nell'ambito della Conferenza unificata. Esso è composto da dodici membri di cui sei in rappresentanza delle regioni, due in rappresentanza delle province e quattro in rappresentanza dei comuni.
3. La Commissione:
a) esprime i pareri sugli schemi dei decreti legislativi di cui all'articolo 2;
b) verifica lo stato di attuazione di quanto previsto dalla presente legge e ne riferisce ogni sei mesi alle Camere fino alla conclusione della fase transitoria di cui agli articoli 19 e 20. A tal fine può ottenere tutte le informazioni necessarie dalla Commissione tecnica paritetica per l'attuazione del federalismo fiscale di cui all'articolo 4 o dalla Conferenza permanente per il coordinamento della finanza pubblica di cui all'articolo 5.
4. La Commissione può chiedere ai Presidenti delle Camere una proroga di venti giorni per l'espressione del parere, qualora ciò si renda necessario per la complessità della materia o per il numero di schemi trasmessi nello stesso periodo all'esame della Commissione. Con la proroga del termine per l'espressione del parere si intende prorogato di venti giorni anche il termine finale per l'esercizio della delega.
5. La Commissione è sciolta al termine della fase transitoria di cui agli articoli 19 e 20.
Art. 4.
(Commissione tecnica paritetica per l'attuazione del federalismo fiscale)
1. Al fine di acquisire ed elaborare elementi conoscitivi per la predisposizione dei contenuti dei decreti legislativi di cui all'articolo 2, con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, da adottare entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, è istituita, presso il Ministero dell'economia e delle finanze, una Commissione tecnica paritetica per l'attuazione del federalismo fiscale, di seguito denominata «Commissione», formata da trenta componenti e
composta per metà da rappresentanti tecnici dello Stato e per metà da rappresentanti tecnici degli enti di cui all'articolo 114, secondo comma, della Costituzione. Partecipano alle riunioni della Commissione un rappresentante tecnico della Camera dei deputati e uno del Senato della Repubblica, designati dai rispettivi Presidenti, nonché un rappresentante tecnico delle Assemblee legislative regionali e delle province autonome, designato d'intesa tra di loro nell'ambito della Conferenza dei presidenti dell'Assemblea, dei Consigli regionali e delle province autonome di cui agli articoli 5, 8 e 15 della legge 4 febbraio 2005, n. 11. Gli oneri relativi sono a carico dei rispettivi soggetti istituzionali rappresentati.
2. La Commissione è sede di condivisione delle basi informative finanziarie e tributarie, promuove la realizzazione delle rilevazioni e delle attività necessarie per soddisfare gli eventuali ulteriori fabbisogni informativi e svolge attività consultiva per il riordino dell'ordinamento finanziario di comuni, province, Città metropolitane e regioni e delle relazioni finanziarie intergovernative. A tale fine, le amministrazioni statali, regionali e locali forniscono i necessari elementi informativi sui dati finanziari e tributari.
3. La Commissione adotta, nella sua prima seduta, da convocare entro quindici giorni dalla data di entrata in vigore del decreto di cui al comma 1, la tempistica e la disciplina procedurale dei propri lavori.
4. La Commissione opera nell'ambito della Conferenza unificata e svolge le funzioni di segreteria tecnica della Conferenza di cui all'articolo 5 a decorrere dall'istituzione di quest'ultima. Trasmette informazioni e dati alle Camere, su richiesta di ciascuna di esse.
Art. 5.
(Conferenza permanente per il coordinamento della finanza pubblica)
1. I decreti legislativi di cui all'articolo 2 prevedono l'istituzione, nell'ambito della Conferenza unificata, della Conferenza permanente per il coordinamento della finanza pubblica come organismo stabile di coordinamento della finanza pubblica, di seguito denominata «Conferenza», di cui fanno parte i rappresentanti dei diversi livelli istituzionali di governo, e ne disciplinano il funzionamento e la composizione, secondo i seguenti princìpi e criteri direttivi:
a) la Conferenza concorre alla definizione degli obiettivi di finanza pubblica per comparto, anche in relazione ai livelli di pressione fiscale e di indebitamento; concorre alla definizione delle procedure per accertare eventuali scostamenti dagli obiettivi di finanza pubblica e promuove l'attivazione degli eventuali interventi necessari per il rispetto di tali obiettivi; verifica la loro attuazione ed efficacia; avanza proposte per la determinazione degli indici di virtuosità e dei relativi incentivi; vigila sull'applicazione dei meccanismi di premialità, sul rispetto dei meccanismi sanzionatori e sul loro funzionamento;
b) la Conferenza propone criteri per il corretto utilizzo dei fondi perequativi secondo princìpi di efficacia, efficienza e trasparenza e ne verifica l'applicazione;
c) la Conferenza verifica l'utilizzo dei fondi per gli interventi di cui all'articolo 15;
d) la Conferenza assicura la verifica periodica del funzionamento del nuovo ordinamento finanziario di comuni, province, Città metropolitane e regioni, ivi compresa la congruità di cui all'articolo 10, comma 1, lettera d); assicura altresì la verifica delle relazioni finanziarie tra i livelli diversi di governo e l'adeguatezza delle risorse finanziarie di ciascun livello di governo rispetto alle funzioni svolte, proponendo eventuali modifiche o adeguamenti del sistema;
e) la Conferenza verifica la congruità dei dati e delle basi informative finanziarie e tributarie, fornite dalle amministrazioni territoriali.
f) la Conferenza si avvale della Commissione di cui all'articolo 4 quale segreteria tecnica per lo svolgimento delle attività istruttorie e di supporto necessarie; a tali fini, è istituita una banca dati comprendente indicatori di costo, di copertura e di qualità dei servizi, utilizzati per definire i costi e i fabbisogni standard e gli obiettivi di servizio nonché per valutare il grado di raggiungimento degli obiettivi di servizio;
g) la Conferenza verifica periodicamente la realizzazione del percorso di convergenza ai costi e ai fabbisogni standard e promuove la conciliazione degli interessi tra i diversi livelli di governo interessati all'attuazione delle norme sul federalismo fiscale, oggetto di confronto e di valutazione congiunta in sede di Conferenza unificata.
2. Le determinazioni della Conferenza sono trasmesse alle Camere.
Art. 6.
(Compiti della Commissione parlamentare di vigilanza sull'anagrafe tributaria)
1. All'articolo 2, primo comma, della legge 27 marzo 1976, n. 60, sono aggiunte, in fine, le seguenti parole: «, nonché il compito di effettuare indagini conoscitive e ricerche sulla gestione dei servizi di accertamento e riscossione dei tributi locali».
Capo II
RAPPORTI FINANZIARI STATO-REGIONI
Art. 7.
(Princìpi e criteri direttivi relativi ai tributi delle regioni e alle compartecipazioni al gettito dei tributi erariali)
1. I decreti legislativi di cui all'articolo 2 disciplinano i tributi delle regioni, in base ai seguenti princìpi e criteri direttivi:
a) le regioni dispongono di tributi e di compartecipazioni al gettito dei tributi erariali in grado di finanziare le spese derivanti dall'esercizio delle funzioni nelle materie che la Costituzione attribuisce alla loro competenza residuale e concorrente;
b) per tributi delle regioni si intendono:
1) i tributi propri derivati, istituiti e regolati da leggi statali, il cui gettito è attribuito alle regioni;
2) le aliquote riservate alle regioni a valere sulle basi imponibili dei tributi erariali;
3) i tributi propri istituiti dalle regioni con proprie leggi in relazione ai presupposti non già assoggettati ad imposizione erariale;
c) per una parte dei tributi di cui alla lettera b), numeri 1) e 2), le regioni, con propria legge, possono modificare le aliquote nei limiti massimi di incremento stabiliti dalla legislazione statale; possono altresì disporre esenzioni, detrazioni e deduzioni, nel rispetto della normativa comunitaria. Sono fatti salvi gli elementi strutturali dei tributi stessi, la coerenza con la struttura di progressività del singolo tributo erariale su cui insiste l'aliquota riservata e la coerenza con il principio di semplificazione e con l'esigenza di standardizzazione necessaria per il corretto funzionamento della perequazione;
d) le modalità di attribuzione alle regioni del gettito dei tributi regionali istituiti con legge dello Stato e delle compartecipazioni ai tributi erariali sono definite in conformità al principio di territorialità. A tal fine, le suddette modalità devono tenere conto:
1) del luogo di consumo, per i tributi aventi quale presupposto i consumi; per i servizi, il luogo di consumo può essere identificato nel domicilio del soggetto fruitore finale;
2) della localizzazione dei cespiti, per i tributi basati sul patrimonio;
3) del luogo di prestazione del lavoro, per i tributi basati sulla produzione;
4) della residenza del percettore, per i tributi riferiti ai redditi delle persone fisiche;
5) delle modalità di coinvolgimento dei diversi livelli istituzionali nell'attività di lotta all'evasione ed all'elusione fiscale;
e) il gettito dei tributi regionali derivati e le compartecipazioni al gettito dei tributi erariali sono senza vincolo di destinazione.
Art. 8.
(Princìpi e criteri direttivi sulle modalità di esercizio delle competenze legislative e sui mezzi di finanziamento)
1. Al fine di adeguare le regole di finanziamento alla diversa natura delle funzioni spettanti alle regioni, nonché al principio di autonomia di entrata e di spesa fissato dall'articolo 119 della Costituzione, i decreti legislativi di cui all'articolo 2 sono adottati secondo i seguenti princìpi e criteri direttivi:
a) classificazione delle spese connesse a materie di competenza legislativa di cui all'articolo 117, terzo e quarto comma, della Costituzione; tali spese sono:
1) spese riconducibili al vincolo dell'articolo 117, secondo comma, lettera m), della Costituzione;
2) spese non riconducibili al vincolo di cui al numero 1);
3) spese finanziate con i contributi speciali, con i finanziamenti dell'Unione europea e con i cofinanziamenti nazionali di cui all'articolo 15;
b) definizione delle modalità per cui le spese riconducibili alla lettera a), numero 1), sono determinate nel rispetto dei costi standard associati ai livelli essenziali delle prestazioni fissati dalla legge statale, da erogarsi in condizioni di efficienza e di appropriatezza su tutto il territorio nazionale;
c) definizione delle modalità per cui per la spesa per il trasporto pubblico locale, nella determinazione dell'ammontare del finanziamento, si tiene conto della fornitura di un livello adeguato del servizio su tutto il territorio nazionale nonché dei costi standard; per il trasporto pubblico locale l'attribuzione delle quote del fondo perequativo è subordinata al rispetto di un livello di servizio minimo, fissato a livello nazionale;
d) definizione delle modalità per cui le spese di cui alla lettera a), numero 1), sono finanziate con il gettito, valutato ad aliquota e base imponibile uniformi, di tributi regionali da individuare in base al principio di correlazione, della riserva di aliquota sull'imposta sui redditi delle persone fisiche o dell'addizionale regionale all'imposta sui redditi delle persone fisiche e della compartecipazione regionale all'IVA nonché con quote specifiche del fondo perequativo, in modo tale da garantire nelle predette condizioni il finanziamento integrale in ciascuna regione; in via transitoria, le spese di cui al primo periodo sono finanziate anche con il gettito dell'IRAP fino alla data della sua sostituzione con altri tributi;
e) definizione delle modalità per cui le spese di cui alla lettera a), numero 2), sono finanziate con il gettito dei tributi propri e con quote del fondo perequativo di cui all'articolo 9;
f) tendenziale limitazione dell'utilizzo delle compartecipazioni ai soli casi in cui occorre garantire il finanziamento integrale della spesa;
g) soppressione dei trasferimenti statali diretti al finanziamento delle spese di cui alla lettera a), numeri 1) e 2);
h) definizione delle modalità per cui le aliquote dei tributi e delle compartecipazioni destinati al finanziamento delle spese di cui alla lettera a), numero 1), sono determinate al livello minimo assoluto sufficiente ad assicurare il pieno finanziamento del fabbisogno corrispondente ai livelli essenziali delle prestazioni, valutati secondo quanto previsto dalla lettera b), in una sola regione; definizione, altresì, delle modalità per cui al finanziamento dei livelli essenziali delle prestazioni nelle regioni ove il gettito tributario è insufficiente concorrono le quote del fondo perequativo di cui all'articolo 9;
i) definizione delle modalità per cui l'importo complessivo dei trasferimenti statali diretti al finanziamento delle spese di cui alla lettera a), numero 2), è sostituito dal gettito derivante dall'aliquota media di equilibrio dell'addizionale regionale all'IRPEF. Il nuovo valore dell'aliquota deve essere stabilito sul livello sufficiente ad assicurare al complesso delle regioni un ammontare di risorse tale da pareggiare esattamente l'importo complessivo dei trasferimenti soppressi;
l) definizione delle modalità per cui agli oneri delle funzioni amministrative eventualmente trasferite dallo Stato alle regioni, in attuazione dell'articolo 118 della Costituzione, si provvede con adeguate forme di copertura finanziaria coerenti con i princìpi della presente legge e secondo le modalità di cui all'articolo 7 della legge 5 giugno 2003, n. 131, e successive modificazioni.
1-bis. Nelle forme in cui le singole Regioni daranno seguito all'Intesa Stato-Regioni sull'istruzione, al relativo finanziamento si provvede secondo quanto previsto dal presente articolo per le spese riconducibili alla lettera a), punto 1.
2. Nelle spese di cui al comma 1, lettera a), numero 1), sono comprese quelle per la sanità, l'assistenza e, per quanto riguarda l'istruzione, le spese per i servizi e le prestazioni inerenti all'esercizio del diritto allo studio, nonché per lo svolgimento delle altre funzioni amministrative attribuite alle regioni dalle norme vigenti alla data di entrata in vigore della presente legge.
Art. 9.
(Princìpi e criteri direttivi in ordine alla determinazione dell'entità e del riparto del fondo perequativo a favore delle regioni)
1. I decreti legislativi di cui all'articolo 2, in relazione alla determinazione dell'entità e del riparto del fondo perequativo statale di carattere verticale a favore delle regioni, in attuazione degli articoli 117, secondo comma, lettera e), e 119, terzo comma, della Costituzione, sono adottati secondo i seguenti princìpi e criteri direttivi:
a) istituzione del fondo perequativo a favore delle regioni con minore capacità fiscale per abitante, alimentato dal gettito prodotto da una compartecipazione al gettito IVA assegnata per le spese di cui all'articolo 8, comma 1, lettera a), numero 1), nonché da una quota del gettito del tributo regionale di cui all'articolo 8, comma 1, lettera i), per le spese di cui all'articolo 8, comma 1, lettera a), numero 2); le quote del fondo sono assegnate senza vincolo di destinazione;
b) applicazione del principio di perequazione delle differenze delle capacità fiscali in modo tale da ridurre adeguatamente le differenze tra i territori con diverse capacità fiscali per abitante senza alterarne l'ordine e senza impedirne la modifica nel tempo conseguente all'evoluzione del quadro economico-territoriale;
c) definizione delle modalità per cui le risorse del fondo devono finanziare:
1) la differenza tra il fabbisogno finanziario necessario alla copertura delle spese di cui all'articolo 8, comma 1, lettera a), numero 1), calcolate con le modalità di cui alla lettera b) del medesimo comma 1 dell'articolo 8 e il gettito regionale dei tributi ad esse dedicati, determinato con l'esclusione delle variazioni di gettito prodotte dall'esercizio dell'autonomia tributaria nonché dall'emersione della base imponibile riferibile al concorso regionale nell'attività di recupero fiscale, in modo da assicurare l'integrale copertura delle spese corrispondenti al fabbisogno standard per i livelli essenziali delle prestazioni;
2) le esigenze finanziarie derivanti dalla lettera e) del presente articolo;
d) definizione delle modalità per cui la determinazione delle spettanze di ciascuna regione sul fondo perequativo tiene conto delle capacità fiscali da perequare e dei vincoli risultanti dalla legislazione intervenuta in attuazione dell'articolo 117, secondo comma, lettera m), della Costituzione, in modo da assicurare l'integrale copertura delle spese al fabbisogno standard;
e) è garantita la copertura del differenziale certificato tra i dati previsionali e l'effettivo gettito dei tributi alla regione con riferimento alla quale è stato determinato il livello minimo sufficiente delle aliquote dei tributi ai sensi dell'articolo 8, comma 1, lettere d) e h), tali da assicurare l'integrale finanziamento delle spese per i livelli essenziali delle prestazioni;
f) definizione delle modalità per cui le quote del fondo perequativo per le spese di parte corrente per il trasporto pubblico locale sono assegnate in modo da ridurre adeguatamente le differenze tra i territori con diverse capacità fiscali per abitante e, per le spese in conto capitale, tenendo conto del fabbisogno standard di cui è assicurata l'integrale copertura;
g) definizione delle modalità in base alle quali per le spese di cui all'articolo 8, comma 1, lettera a), numero 2), le quote del fondo perequativo sono assegnate in base ai seguenti criteri:
1) le regioni con maggiore capacità fiscale, ossia quelle nelle quali il gettito per abitante del tributo regionale di cui all'articolo 8, comma 1, lettera i), supera il gettito medio nazionale per abitante, non ricevono risorse dal fondo;
2) le regioni con minore capacità fiscale, ossia quelle nelle quali il gettito per abitante del tributo regionale di cui all'articolo 8, comma 1, lettera i), è inferiore al gettito medio nazionale per abitante, partecipano alla ripartizione del fondo perequativo, alimentato da una quota del gettito prodotto nelle altre regioni, in relazione all'obiettivo di ridurre le differenze interregionali di gettito per abitante per il medesimo tributo rispetto al gettito medio nazionale per abitante;
3) la ripartizione del fondo perequativo tiene conto, per le regioni con popolazione al di sotto di una soglia da individuare con i decreti legislativi di cui all'articolo 2, del fattore della dimensione demografica in relazione inversa alla dimensione demografica stessa e delle isole minori;
h) definizione delle modalità per cui le quote del fondo perequativo risultanti dalla applicazione della lettera d) sono distintamente indicate nelle assegnazioni annuali. L'indicazione non comporta vincoli di destinazione.
Art. 10.
(Princìpi e criteri direttivi concernenti il finanziamento delle funzioni trasferite alle regioni)
1. I decreti legislativi di cui all'articolo 2, con riferimento al finanziamento delle funzioni trasferite alle regioni, nelle materie di loro competenza legislativa ai sensi dell'articolo 117, terzo e quarto comma, della Costituzione, sono adottati secondo i seguenti princìpi e criteri direttivi:
a) cancellazione dei relativi stanziamenti di spesa, comprensivi dei costi del personale e di funzionamento, nel bilancio dello Stato;
b) riduzione delle aliquote dei tributi erariali e corrispondente aumento:
1) per le spese di cui all'articolo 8, comma 1, lettera a), numero 1), dei tributi di cui all'articolo 7, comma 1, lettera b), numeri 1) e 2);
2) per le spese di cui all'articolo 8, comma 1, lettera a), numero 2), del tributo regionale di cui all'articolo 8, comma 1, lettera i), fatto salvo quanto previsto dall'articolo 24, comma 4;
c) aumento dell'aliquota della compartecipazione regionale al gettito dell'IVA destinata ad alimentare il fondo perequativo a favore delle regioni con minore capacità fiscale per abitante ovvero della compartecipazione all'IRPEF;
d) definizione delle modalità secondo le quali si effettua la verifica periodica della congruità dei tributi presi a riferimento per la copertura del fabbisogno standard di cui all'articolo 8, comma 1, lettera h), sia in termini di gettito sia in termini di correlazione con le funzioni svolte.
Capo III
FINANZA DEGLI ENTI LOCALI
Art. 11.
(Princìpi e criteri direttivi concernenti il finanziamento delle funzioni di comuni, province e Città metropolitane)
1. I decreti legislativi di cui all'articolo 2, con riguardo al finanziamento delle funzioni di comuni, province e Città metropolitane, sono adottati secondo i seguenti princìpi e criteri direttivi:
a) classificazione delle spese relative alle funzioni di comuni, province e Città metropolitane, in:
1) spese riconducibili alle funzioni fondamentali ai sensi dell'articolo 117, secondo comma, lettera p), della Costituzione, come individuate dalla legislazione statale;
2) spese relative alle altre funzioni;
3) spese finanziate con i contributi speciali, con i finanziamenti dell'Unione europea e con i cofinanziamenti nazionali di cui all'articolo 15;
b) definizione delle modalità per cui il finanziamento delle spese di cui alla lettera a), numero 1), e dei livelli essenziali delle prestazioni eventualmente da esse implicate avviene in modo da garantirne il finanziamento integrale in base al fabbisogno standard ed è assicurato dai tributi propri, da compartecipazioni al gettito di tributi erariali e regionali, da addizionali a tali tributi, la cui manovrabilità è stabilita tenendo conto della dimensione demografica dei comuni per fasce, e dal fondo perequativo;
c) definizione delle modalità per cui le spese di cui alla lettera a), numero 2), sono finanziate con il gettito dei tributi propri, con compartecipazioni al gettito di tributi e con il fondo perequativo basato sulla capacità fiscale per abitante;
d) definizione delle modalità per tenere conto del trasferimento di ulteriori funzioni ai comuni, alle province e alle Città metropolitane ai sensi dell'articolo 118 della Costituzione e secondo le modalità di cui all'articolo 7 della legge 5 giugno 2003, n. 131, al fine di assicurare, per il complesso degli enti, l'integrale finanziamento di tali funzioni, ove non si sia provveduto contestualmente al finanziamento ed al trasferimento;
e) soppressione dei trasferimenti statali e regionali diretti al finanziamento delle spese di cui alla lettera a), numeri 1) e 2), ad eccezione degli stanziamenti destinati ai fondi perequativi ai sensi dell'articolo 13;
f) il gettito delle compartecipazioni a tributi erariali e regionali è senza vincolo di destinazione;
g) valutazione dell'adeguatezza delle dimensioni demografiche e territoriali degli enti locali per l'ottimale svolgimento delle rispettive funzioni e salvaguardia delle peculiarità territoriali, con particolare riferimento alla specificità dei piccoli comuni, anche con riguardo alle loro forme associative, e dei territori montani.
Art. 12.
(Princìpi e criteri direttivi concernenti il coordinamento e l'autonomia di entrata e di spesa degli enti locali)
1. I decreti legislativi di cui all'articolo 2, con riferimento al coordinamento ed all'autonomia di entrata e di spesa degli enti locali, sono adottati secondo i seguenti princìpi e criteri direttivi:
a) la legge statale individua i tributi propri dei comuni e delle province, anche in sostituzione o trasformazione di tributi già esistenti e anche attraverso l'attribuzione agli stessi comuni e province di tributi o parti di tributi già erariali; ne definisce presupposti, soggetti passivi e basi imponibili; stabilisce, garantendo una adeguata flessibilità, le aliquote di riferimento valide per tutto il territorio nazionale;
b) definizione delle modalità secondo cui le spese dei comuni relative alle funzioni fondamentali di cui all'articolo 11, comma 1, lettera a), numero 1), sono prioritariamente finanziate da una o più delle seguenti fonti: dal gettito derivante da una compartecipazione all'IVA, dal gettito derivante da una compartecipazione all'imposta sul reddito delle persone fisiche, dalla imposizione immobiliare, con esclusione della tassazione patrimoniale sull'unità immobiliare adibita ad abitazione principale del soggetto passivo secondo quanto previsto dalla legislazione vigente alla data di entrata in vigore della presente legge in materia di imposta comunale sugli immobili, ai sensi dell'articolo 1 del decreto-legge 27 maggio 2008, n. 93, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 luglio 2008, n. 126;
c) definizione delle modalità secondo cui le spese delle province relative alle funzioni fondamentali di cui all'articolo 11, comma 1, lettera a), numero 1), sono prioritariamente finanziate dal gettito derivante da tributi il cui presupposto è connesso al trasporto su gomma e dalla compartecipazione ad un tributo erariale;
d) disciplina di uno o più tributi propri comunali che, valorizzando l'autonomia tributaria, attribuisca all'ente la facoltà di applicazione in riferimento a particolari scopi quali la realizzazione di opere pubbliche ovvero il finanziamento degli oneri derivanti da eventi particolari quali flussi turistici e mobilità urbana;
e) disciplina di uno o più tributi propri provinciali che, valorizzando l'autonomia tributaria, attribuisca all'ente la facoltà di applicazione in riferimento a particolari scopi istituzionali;
f) previsione di forme premiali per favorire unioni e fusioni tra comuni, anche attraverso l'incremento dell'autonomia impositiva o maggiori aliquote di compartecipazione ai tributi erariali;
g) previsione che le regioni, nell'ambito dei propri poteri legislativi in materia tributaria, possano istituire nuovi tributi dei comuni, delle province e delle Città metropolitane nel proprio territorio, specificando gli ambiti di autonomia riconosciuti agli enti locali;
h) previsione che gli enti locali, entro i limiti fissati dalle leggi, possano disporre del potere di modificare le aliquote dei tributi loro attribuiti da tali leggi e di introdurre agevolazioni;
i) previsione che gli enti locali, nel rispetto delle normative di settore e delle delibere delle autorità di vigilanza, dispongano di piena autonomia nella fissazione delle tariffe per prestazioni o servizi offerti anche su richiesta di singoli cittadini;
i-bis) previsione che la legge statale, nell'ambito della premialità ai comuni virtuosi, in sede di individuazione dei principi di coordinamento della finanza pubblica riconducibili al rispetto del patto di stabilità e crescita, non possa imporre vincoli alle politiche di bilancio degli enti locali per ciò che concerne la spesa in conto capitale.
Art. 13.
(Princìpi e criteri direttivi concernenti l'entità e il riparto dei fondi perequativi per gli enti locali)
1. I decreti legislativi di cui all'articolo 2, con riferimento all'entità e al riparto dei fondi perequativi per gli enti locali, sono adottati secondo i seguenti princìpi e criteri direttivi:
a) istituzione nel bilancio delle regioni di due fondi, uno a favore dei comuni, l'altro a favore delle province, alimentati da un fondo perequativo dello Stato con indicazione separata degli stanziamenti per le diverse tipologie di enti, a titolo di concorso per il finanziamento delle funzioni da loro svolte; la dimensione del fondo è determinata, per ciascun livello di governo, con riguardo all'esercizio delle funzioni fondamentali, in misura uguale alla differenza tra il totale dei fabbisogni standard per le medesime funzioni e il totale delle entrate standardizzate di applicazione generale spettanti ai comuni e alle province ai sensi dell'articolo 12, con esclusione dei tributi di cui al comma 1, lettere d) ed e) del medesimo articolo, e dei contributi di cui all'articolo 15, tenendo conto dei princìpi previsti dall'articolo 2, comma 2, lettera l), numeri 1) e 2), relativamente al superamento del criterio della spesa storica;
b) definizione delle modalità con cui viene periodicamente aggiornata l'entità dei fondi di cui alla lettera a) e sono ridefinite le relative fonti di finanziamento;
c) la ripartizione del fondo perequativo tra i singoli enti, per la parte afferente alle funzioni fondamentali di cui all'articolo 11, comma 1, lettera a), numero 1), avviene in base a:
1) un indicatore di fabbisogno finanziario calcolato come differenza tra il valore standardizzato della spesa corrente al netto degli interessi e il valore standardizzato del gettito dei tributi ed entrate proprie di applicazione generale;
2) indicatori di fabbisogno di infrastrutture, in coerenza con la programmazione regionale di settore, per il finanziamento della spesa in conto capitale; tali indicatori tengono conto dell'entità dei finanziamenti dell'Unione europea di carattere infrastrutturale ricevuti dagli enti locali e del vincolo di addizionalità cui questi sono soggetti;
d) definizione delle modalità per cui la spesa corrente standardizzata è computata ai fini di cui alla lettera c) sulla base di una quota uniforme per abitante, corretta per tenere conto della diversità della spesa in relazione all'ampiezza demografica, alle caratteristiche territoriali, con particolare riferimento alla presenza di zone montane, alle caratteristiche demografiche, sociali e produttive dei diversi enti. Il peso delle caratteristiche individuali dei singoli enti nella determinazione del fabbisogno è determinato con tecniche statistiche, utilizzando i dati di spesa storica dei singoli enti, tenendo conto anche della spesa relativa a servizi esternalizzati o svolti in forma associata;
e) definizione delle modalità per cui le entrate considerate ai fini della standardizzazione per la ripartizione del fondo perequativo tra i singoli enti sono rappresentate dai tributi propri valutati ad aliquota standard;
f) definizione delle modalità in base alle quali, per le spese relative all'esercizio delle funzioni diverse da quelle fondamentali, il fondo perequativo per i comuni e quello per le province sono diretti a ridurre le differenze tra le capacità fiscali, tenendo conto, per gli enti con popolazione al di sotto di una soglia da individuare con i decreti legislativi di cui all'articolo 2, del fattore della dimensione demografica in relazione inversa alla dimensione demografica stessa e della loro partecipazione a forme associative;
g) definizione delle modalità per cui le regioni, sulla base di criteri stabiliti con accordi sanciti in sede di Conferenza unificata, e previa intesa con gli enti locali, possono, avendo come riferimento il complesso delle risorse assegnate dallo Stato a titolo di fondo perequativo ai comuni e alle province inclusi nel territorio regionale, procedere a proprie valutazioni della spesa corrente standardizzata, sulla base dei criteri di cui alla lettera d), e delle entrate standardizzate, nonché a stime autonome dei fabbisogni di infrastrutture; in tal caso il riparto delle predette risorse è effettuato sulla base dei parametri definiti con le modalità di cui alla presente lettera;
h) i fondi ricevuti dalle regioni a titolo di fondo perequativo per i comuni e per le province del territorio sono trasferiti dalla regione agli enti di competenza entro venti giorni dal loro ricevimento. Le regioni, qualora non provvedano entro tale termine alla ridefinizione della spesa standardizzata e delle entrate standardizzate, e di conseguenza delle quote del fondo perequativo di competenza dei singoli enti locali secondo le modalità previste dalla lettera g), applicano comunque i criteri di riparto del fondo stabiliti dai decreti legislativi di cui all'articolo 2 della presente legge. La eventuale ridefinizione della spesa standardizzata e delle entrate standardizzate non può comportare ritardi nell'assegnazione delle risorse perequative agli enti locali. Nel caso in cui la regione non ottemperi alle disposizioni di cui alla presente lettera, lo Stato esercita il potere sostitutivo di cui all'articolo 120, secondo comma, della Costituzione, in base alle disposizioni di cui all'articolo 8 della legge 5 giugno 2003, n. 131.
Capo IV
FINANZIAMENTO DELLE CITTÀ METROPOLITANE
Art. 14.
(Finanziamento delle Città metropolitane)
1. Con specifico decreto legislativo, adottato in base all'articolo 2, è assicurato il finanziamento delle funzioni delle Città metropolitane, anche attraverso l'attribuzione di specifici tributi, in modo da garantire loro una più ampia autonomia di entrata e di spesa in misura corrispondente alla complessità delle medesime funzioni. Il medesimo decreto legislativo assegna alle Città metropolitane tributi ed entrate proprie, anche diverse da quelle assegnate ai comuni, nonché disciplina la facoltà delle Città metropolitane di applicare tributi in relazione al finanziamento delle spese riconducibili all'esercizio delle loro funzioni fondamentali, fermo restando quanto previsto dall'articolo 12, comma 1, lettera d).
Capo V
INTERVENTI SPECIALI
Art. 15.
(Interventi di cui al quinto comma dell'articolo 119 della Costituzione)
1. I decreti legislativi di cui all'articolo 2, con riferimento all'attuazione dell'articolo 119, quinto comma, della Costituzione, sono adottati secondo i seguenti princìpi e criteri direttivi:
a) definizione delle modalità in base alle quali gli interventi finalizzati agli obiettivi di cui al quinto comma dell'articolo 119 della Costituzione sono finanziati con contributi speciali dal bilancio dello Stato, con i finanziamenti dell'Unione europea e con i cofinanziamenti nazionali, secondo il metodo della programmazione pluriennale. I finanziamenti dell'Unione europea non possono essere sostitutivi dei contributi speciali dello Stato;
b) confluenza dei contributi speciali dal bilancio dello Stato, mantenendo le proprie finalizzazioni, in appositi fondi destinati ai comuni, alle province, alle Città metropolitane e alle regioni;
c) considerazione delle specifiche realtà territoriali, con particolare riguardo alla realtà socio-economica, al deficit infrastrutturale, ai diritti della persona, alla collocazione geografica degli enti, alla loro prossimità al confine con altri Stati o con regioni a statuto speciale, ai territori montani e alle isole minori;
d) individuazione di interventi diretti a promuovere lo sviluppo economico, la coesione delle aree sottoutilizzate del Paese e la solidarietà sociale, a rimuovere gli squilibri economici e sociali e a favorire l'effettivo esercizio dei diritti della persona;
e) definizione delle modalità per cui gli obiettivi e i criteri di utilizzazione delle risorse stanziate dallo Stato ai sensi del presente articolo sono oggetto di intesa in sede di Conferenza unificata e disciplinati con i provvedimenti annuali che determinano la manovra finanziaria. L'entità delle risorse è determinata dai medesimi provvedimenti.
Capo VI
COORDINAMENTO DEI DIVERSI LIVELLI DI GOVERNO
Art. 16.
(Coordinamento e disciplina fiscale dei diversi livelli di governo)
1. I decreti legislativi di cui all'articolo 2, con riguardo al coordinamento e alla disciplina fiscale dei diversi livelli di governo, sono adottati secondo i seguenti princìpi e criteri direttivi:
a) garanzia della trasparenza delle diverse capacità fiscali e delle risorse complessive per abitante prima e dopo la perequazione, in modo da salvaguardare il principio dell'ordine della graduatoria delle capacità fiscali e la sua eventuale modifica a seguito dell'evoluzione del quadro economico territoriale;
b) rispetto degli obiettivi del conto consuntivo, sia in termini di competenza sia di cassa, per il concorso all'osservanza del patto di stabilità per ciascuna regione e ciascun ente locale; determinazione dei parametri fondamentali sulla base dei quali è valutata la virtuosità dei comuni, delle province, delle Città metropolitane e delle regioni, anche in relazione ai meccanismi premiali o sanzionatori dell'autonomia finanziaria;
c) assicurazione degli obiettivi sui saldi di finanza pubblica da parte delle regioni che possono adattare, previa concertazione con gli enti locali ricadenti nel proprio territorio regionale, le regole e i vincoli posti dal legislatore nazionale, differenziando le regole di evoluzione dei flussi finanziari dei singoli enti in relazione alla diversità delle situazioni finanziarie esistenti nelle diverse regioni;
d) individuazione di indicatori di efficienza e di adeguatezza atti a garantire adeguati livelli qualitativi dei servizi resi da parte di regioni ed enti locali;
e) introduzione di un sistema premiante nei confronti degli enti che assicurano elevata qualità dei servizi e livello della pressione fiscale inferiore alla media degli altri enti del proprio livello di governo a parità di servizi offerti, ovvero degli enti che garantiscono il rispetto di quanto previsto dalla presente legge e partecipano a progetti strategici mediante l'assunzione di oneri e di impegni nell'interesse della collettività nazionale ivi compresi quelli di carattere ambientale ovvero degli enti che incentivano l'occupazione e l'imprenditorialità femminile; introduzione nei confronti degli enti meno virtuosi rispetto agli obiettivi di finanza pubblica di un sistema sanzionatorio che, fino alla dimostrazione della messa in atto di provvedimenti, fra i quali anche l'alienazione di beni mobiliari e immobiliari rientranti nel patrimonio disponibile dell'ente nonché l'attivazione nella misura massima dell'autonomia impositiva, atti a raggiungere gli obiettivi, determini il divieto di procedere alla copertura di posti di ruolo vacanti nelle piante organiche e di iscrivere in bilancio spese per attività discrezionali, fatte salve quelle afferenti al cofinanziamento regionale o dell'ente locale per l'attuazione delle politiche comunitarie; previsione di meccanismi automatici sanzionatori degli organi di governo e amministrativi nel caso di mancato rispetto degli equilibri e degli obiettivi economico-finanziari assegnati alla regione e agli enti locali, con individuazione dei casi di ineleggibilità nei confronti degli amministratori responsabili degli enti locali per i quali sia stato dichiarato lo stato di dissesto finanziario di cui all'articolo 244 del citato testo unico di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, oltre che dei casi di interdizione dalle cariche in enti vigilati o partecipati da enti pubblici. Tra i casi di grave violazione di legge di cui all'articolo 126, primo comma, della Costituzione, rientrano le attività che abbiano causato un grave dissesto nelle finanze regionali.
Art. 17.
(Patto di convergenza)
1. Nell'ambito del disegno di legge finanziaria, in coerenza con gli obiettivi e gli interventi appositamente individuati da parte del Documento di programmazione economico-finanziaria, il Governo, previo confronto e valutazione congiunta in sede di Conferenza unificata, propone norme di coordinamento dinamico della finanza pubblica volte a realizzare l'obiettivo della convergenza dei costi e dei fabbisogni standard dei vari livelli di governo e a stabilire, per ciascun livello di governo territoriale, il livello programmato dei saldi da rispettare, gli obiettivi di servizio, il livello di ricorso al debito nonché l'obiettivo programmato della pressione fiscale complessiva, nel rispetto dell'autonomia tributaria delle regioni e degli enti locali. Nel caso in cui il monitoraggio rilevi che uno o più enti non hanno raggiunto gli obiettivi loro assegnati, lo Stato attiva, previa intesa in sede di Conferenza unificata, e limitatamente agli enti che presentano i maggiori scostamenti nei costi per abitante, un procedimento, denominato «Piano per il conseguimento degli obiettivi di convergenza», volto ad accertare le cause degli scostamenti e a stabilire le azioni correttive da intraprendere, anche fornendo agli enti la necessaria assistenza tecnica e utilizzando, ove possibile, il metodo della diffusione delle migliori pratiche fra gli enti dello stesso livello.
Capo VII
PATRIMONIO DI REGIONI ED ENTI LOCALI
Art. 18.
(Patrimonio di comuni, province, Città metropolitane e regioni)
1. I decreti legislativi di cui all'articolo 2, con riguardo all'attuazione dell'articolo 119, sesto comma, della Costituzione, stabiliscono i princìpi generali per l'attribuzione a comuni, province, Città metropolitane e regioni di un proprio patrimonio, nel rispetto dei seguenti princìpi e criteri direttivi:
a) attribuzione a titolo non oneroso ad ogni livello di governo di distinte tipologie di beni, commisurate alle dimensioni territoriali, alle capacità finanziarie ed alle competenze e funzioni effettivamente svolte o esercitate dalle diverse regioni ed enti locali;
b) attribuzione dei beni immobili sulla base del criterio di territorialità;
c) ricorso alla concertazione in sede di Conferenza unificata, ai fini dell'attribuzione dei beni a comuni, province, Città metropolitane e regioni;
d) individuazione delle tipologie di beni di rilevanza nazionale che non possono essere trasferiti, ivi compresi i beni appartenenti al patrimonio culturale nazionale.
Capo VIII
NORME TRANSITORIE E FINALI
Art. 19.
(Princìpi e criteri direttivi concernenti norme transitorie per le regioni)
1. I decreti legislativi di cui all'articolo 2 recano una disciplina transitoria per le regioni, nel rispetto dei seguenti princìpi e criteri direttivi:
a) i criteri di computo delle quote del fondo perequativo di cui all'articolo 9 si applicano a regime dopo l'esaurimento di una fase di transizione diretta a garantire il passaggio graduale dai valori dei trasferimenti rilevati nelle singole regioni come media nel triennio 2006-2008, al netto delle risorse erogate in via straordinaria, ai valori determinati con i criteri dello stesso articolo 9;
b) l'utilizzo dei criteri definiti dall'articolo 9 avviene a partire dall'effettiva determinazione del contenuto finanziario dei livelli essenziali delle prestazioni, mediante un processo di convergenza dalla spesa storica al fabbisogno standard in un periodo di cinque anni;
c) per le materie diverse da quelle di cui all'articolo 117, secondo comma, lettera m), della Costituzione, il sistema di finanziamento deve divergere progressivamente dal criterio della spesa storica a favore delle capacità fiscali per abitante in cinque anni. Nel caso in cui, in sede di attuazione dei decreti legislativi, emergano situazioni oggettive di significativa e giustificata insostenibilità per alcune regioni, lo Stato può attivare a proprio carico meccanismi correttivi di natura compensativa di durata pari al periodo transitorio di cui alla presente lettera;
d) specificazione del termine da cui decorre il periodo di cinque anni di cui alle lettere b) e c);
e) garanzia per le regioni, in sede di prima applicazione, della copertura del differenziale certificato tra i dati previsionali e l'effettivo gettito dei tributi di cui all'articolo 8, comma 1, lettera h);
f) garanzia che la somma del gettito delle nuove entrate regionali di cui all'articolo 10, comma 1, lettere b) e c), sia, per il complesso delle regioni, non inferiore al valore degli stanziamenti di cui al comma 1, lettera a), del medesimo articolo 10 e che si effettui una verifica, concordata in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, dell'adeguatezza e della congruità delle risorse finanziarie delle funzioni già trasferite.
Art. 20.
(Norme transitorie per gli enti locali)
1. In sede di prima applicazione, i decreti legislativi di cui all'articolo 2 recano norme transitorie per gli enti locali, secondo i seguenti princìpi e criteri direttivi:
a) nel processo di attuazione dell'articolo 118 della Costituzione, al finanziamento delle ulteriori funzioni amministrative nelle materie di competenza legislativa dello Stato o delle regioni, nonché agli oneri derivanti dall'eventuale ridefinizione dei contenuti delle funzioni svolte dagli stessi alla data di entrata in vigore dei medesimi decreti legislativi, provvedono lo Stato o le regioni, determinando contestualmente adeguate forme di copertura finanziaria coerenti con i princìpi della presente legge;
b) garanzia che la somma del gettito delle nuove entrate di comuni e province in base alla presente legge sia, per il complesso dei comuni ed il complesso delle province, non inferiore al valore dei trasferimenti di cui all'articolo 11, comma 1, lettera e);
c) determinazione dei fondi perequativi di comuni e province in misura uguale, per ciascun livello di governo, alla differenza fra i trasferimenti statali soppressi ai sensi dell'articolo 11, comma 1, lettera e), destinati al finanziamento delle spese di comuni e province, esclusi i contributi di cui all'articolo 15, e le maggiori entrate spettanti in luogo di tali trasferimenti ai comuni ed alle province, ai sensi dell'articolo 12, tenendo conto dei princìpi previsti dall'articolo 2, comma 2, lettera l), numeri 1) e 2), relativamente al superamento del criterio della spesa storica;
d) sono definite regole, tempi e modalità della fase transitoria in modo da garantire il superamento del criterio della spesa storica in un periodo di cinque anni, per le spese riconducibili all'esercizio delle funzioni fondamentali e per le altre spese. Fino alla data di entrata in vigore delle disposizioni concernenti l'individuazione delle funzioni fondamentali degli enti locali:
1) il fabbisogno delle funzioni di comuni e province è finanziato considerando l'80 per cento delle spese come fondamentali ed il 20 per cento di esse come non fondamentali, ai sensi del comma 2;
2) per comuni e province l'80 per cento delle spese è finanziato dalle entrate derivanti dall'autonomia finanziaria, comprese le compartecipazioni a tributi erariali, e dal fondo perequativo; il 20 per cento delle spese è finanziato dalle entrate derivanti dall'autonomia finanziaria, ivi comprese le compartecipazioni a tributi regionali, e dal fondo perequativo;
3) ai fini del numero 2) si prendono a riferimento gli ultimi bilanci certificati a rendiconto, alla data di predisposizione degli schemi di decreto legislativo di cui all'articolo 2;
e) specificazione del termine da cui decorre il periodo di cinque anni di cui alla lettera d).
2. Ai soli fini dell'attuazione della presente legge, e in particolare della determinazione dell'entità e del riparto dei fondi perequativi degli enti locali in base al fabbisogno standard o alla capacità fiscale di cui agli articoli 11 e 13, in sede di prima applicazione, nei decreti legislativi di cui all'articolo 2 sono provvisoriamente considerate ai sensi del presente articolo, ai fini del finanziamento integrale sulla base del fabbisogno standard, le funzioni individuate e quantificate dalle corrispondenti voci di spesa, sulla base dell'articolazione in funzioni e relativi servizi prevista dal regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 31 gennaio 1996, n. 194.
3. Per i comuni, le funzioni e i relativi servizi da considerare ai fini del comma 2 sono provvisoriamente individuate nelle seguenti:
a) funzioni generali di amministrazione, di gestione e di controllo, nella misura complessiva del 70 per cento delle spese come certificate dall'ultimo conto del bilancio disponibile alla data di entrata in vigore della presente legge;
b) funzioni di polizia locale;
c) funzioni di istruzione pubblica, ivi compresi i servizi per gli asili nido e quelli di assistenza scolastica e refezione, nonché l'edilizia scolastica;
d) funzioni nel campo della viabilità e dei trasporti;
e) funzioni riguardanti la gestione del territorio e dell'ambiente, fatta eccezione per il servizio di edilizia residenziale pubblica e locale e piani di edilizia;
f) funzioni del settore sociale, fatta eccezione per i servizi per l'infanzia e per i minori.
4. Per le province, le funzioni da considerare ai fini del comma 2 sono provvisoriamente individuate nelle seguenti:
a) funzioni generali di amministrazione, di gestione e di controllo, nella misura complessiva del 70 per cento delle spese come certificate dall'ultimo conto del bilancio disponibile alla data di entrata in vigore della presente legge;
b) funzioni di istruzione pubblica, ivi compresa l'edilizia scolastica;
c) funzioni nel campo dei trasporti;
d) funzioni riguardanti la gestione del territorio;
e) funzioni nel campo della tutela ambientale;
f) funzioni nel campo dello sviluppo economico relative ai servizi del mercato del lavoro.
5. I decreti legislativi di cui all'articolo 2 disciplinano la possibilità che l'elenco delle funzioni di cui ai commi 3 e 4 sia adeguato attraverso accordi tra Stato, regioni, province e comuni, da concludere in sede di Conferenza unificata.
Art. 21.
(Perequazione infrastrutturale)
1. In sede di prima applicazione, il Ministro dell'economia e delle finanze, d'intesa con il Ministro per le riforme per il federalismo, il Ministro per la semplificazione normativa, il Ministro per i rapporti con le regioni e gli altri Ministri competenti per materia, predispone una ricognizione degli interventi infrastrutturali, sulla base delle norme vigenti, da ricondurre nell'ambito degli interventi di cui all'articolo 119, quinto comma, della Costituzione, riguardanti la rete stradale, autostradale e ferroviaria, la rete fognaria, la rete idrica, elettrica e di trasporto e distribuzione del gas, le strutture portuali ed aeroportuali. La ricognizione è effettuata secondo i seguenti princìpi e criteri direttivi:
a) valutazione dell'estensione delle superfici territoriali;
b) valutazione del parametro della densità della popolazione e della densità delle unità produttive;
c) considerazione dei particolari requisiti delle zone di montagna;
d) valutazione della dotazione infrastrutturale esistente in ciascun territorio;
e) valutazione della specificità insulare con definizione di parametri oggettivi relativi alla misurazione degli effetti conseguenti al divario di sviluppo economico derivante dall'insularità, anche con riguardo all'entità delle risorse per gli interventi speciali di cui all'articolo 119, quinto comma, della Costituzione.
2. Nella fase transitoria di cui agli articoli 19 e 20, al fine del recupero del deficit infrastrutturale, ivi compreso quello riguardante il trasporto pubblico locale e i collegamenti con le isole, sono individuati, sulla base della ricognizione di cui al comma 1 del presente articolo, interventi finalizzati agli obiettivi di cui all'articolo 119, quinto comma, della Costituzione, che tengano conto anche della virtuosità degli enti nell'adeguamento al processo di convergenza ai costi o al fabbisogno standard. Gli interventi di cui al presente comma sono individuati nel programma da inserire nel Documento di programmazione economico-finanziaria ai sensi dell'articolo 1, commi 1 e 1-bis, della legge 21 dicembre 2001, n. 443.
Art. 21-bis.
(Norme transitorie per le città metropolitane)
1. Il presente articolo reca in via transitoria, fino alla data di entrata in vigore della disciplina organica delle città metropolitane che sarà determinata con apposita legge, la disciplina per la prima istituzione delle stesse.
2. Le città metropolitane possono essere istituite, nell'ambito di una regione, nelle aree metropolitane in cui sono compresi i comuni di Torino, Milano, Venezia, Genova, Bologna, Firenze, Bari e Napoli. La proposta di istituzione spetta:
a) al comune capoluogo congiuntamente alla Provincia;
b) al comune capoluogo congiuntamente ad almeno il cinquanta per cento dei comuni della provincia interessata che rappresentino nel complesso almeno il cinquanta per cento della popolazione;
c) alla provincia, congiuntamente ad almeno il cinquanta per cento dei comuni della provincia medesima che rappresentino almeno il cinquanta per cento della popolazione.
2-bis. La proposta di istituzione di cui al comma 2 contiene la perimetrazione della città metropolitana, secondo il principio della continuità territoriale, comprende almeno tutti i comuni proponenti e reca una proposta di statuto provvisorio della città metropolitana. Sulla proposta è acquisito il parere della regione espresso entro novanta giorni. Si osservano le seguenti modalità:
a) Il territorio metropolitano coincide con il territorio di una provincia o di una sua parte e comprende il comune capoluogo;
b) la città metropolitana si articola al suo interno in comuni;
c) lo statuto provvisorio della città metropolitana definisce le forme dì coordinamento dell'azione complessiva di governo all'interno del territorio metropolitano; disciplina altresì le modalità per l'elezione o l'individuazione del presidente del consiglio provvisorio di cui al comma 5. Lo statuto definitivo della città metropolitana è adottato dai competenti organi entro sei mesi dalla data del loro insediamento in base alla legge di cui al comma 1;
d) sulla proposta di istituzione della città metropolitana è indetto un referendum tra tutti i cittadini dei comuni inclusi nella perimetrazione contenuta nella proposta di istituzione; il referendum è senza quorum di validità se il parere della Regione è favorevole o in mancanza di parere; in caso di parere regionale negativo, il quorum di validità è del trenta per cento.
3. Con regolamento da adottare entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, ai sensi dell'articolo 17, comma 1, della legge 23 agosto 1988, n. 400, su proposta del Ministro dell'interno, di concerto con i Ministri della giustizia, per le riforme per il federalismo, per la semplificazione normativa e per i rapporti con le regioni, è disciplinato il procedimento di indizione e di svolgimento del referendum di cui alla lettera d) del comma 2-bis, osservando le disposizioni della legge 25 giugno 1970, n. 352, in quanto compatibili.
4. Con le modalità stabilite dalla legge di cui al comma 1, successivamente al referendum di cui alla lettera d) del comma 2-bis, verranno definitivamente istituite le città metropolitane.
5. Con le città metropolitane istituite ai sensi del presente articolo è istituita una assemblea rappresentativa, denominata "consiglio provvisorio della città metropolitana", composta dai sindaci dei comuni che fanno parte della città metropolitana e dal presidente della provincia. Nessun emolumento, gettone di presenza o altra forma di retribuzione è attribuita ai componenti del consiglio provvisorio in ragione di tale incarico.
6. La provincia di riferimento cessa di esistere e sono soppressi tutti i relativi organi a decorrere dalla data di insediamento degli organi della città metropolitana, individuati dalla legge di cui al comma 1, che provvede altresì a disciplinare il trasferimento delle funzioni e delle risorse umane, strumentali e finanziarie inerenti alle funzioni trasferite e a dare attuazione alle nuove perimetrazioni stabilite ai sensi del presente articolo. La legge di cui al comma 1 stabilisce la disciplina per l'esercizio dell'iniziativa da parte dei comuni della provincia non inclusi nella perimetrazione dell'area metropolitana, in modo da assicurare la scelta da parte di ciascuno di tali comuni circa l'inclusione nell'area metropolitana ovvero in altra provincia.
7. Dalla data di proclamazione dell'esito positivo del referendum di cui al comma 2-bis, lettera d), e fino alla data di entrata in vigore della disciplina organica di cui al comma 1, il finanziamento degli enti che compongono la città metropolitana assicura loro una più ampia autonomia di entrata e di spesa in misura corrispondente alla complessità delle funzioni da esercitare in forma associata o congiunta, nel limite degli stanziamenti previsti a legislazione vigente.
8. Ai soli fini delle previsioni concernenti le spese e l'attribuzione delle risorse finanziarie alle città metropolitane, con riguardo alla popolazione e al territorio metropolitano, le funzioni fondamentali della provincia sono considerate, in via provvisoria, funzioni fondamentali della città metropolitana, con efficacia dalla data di insediamento dei suoi organi definitivi.
9. Ai medesimi fini di cui al comma 8 sono, altresì, considerate funzioni fondamentali della città metropolitana, con riguardo alla popolazione e al territorio metropolitano:
a) la pianificazione territoriale generale e delle reti infrastrutturali;
b) la strutturazione di sistemi coordinati di gestione dei servizi pubblici;
c) la promozione ed il coordinamento dello sviluppo economico e sociale.
Art. 22.
(Ordinamento transitorio di Roma capitale ai sensi dell'articolo 114, terzo comma, della Costituzione)
1. In sede di prima applicazione, fino all'attuazione della disciplina delle Città metropolitane, il presente articolo detta norme transitorie sull'ordinamento, anche finanziario, di Roma capitale.
2. Roma capitale è un ente territoriale, i cui attuali confini sono quelli del comune di Roma, e dispone di speciale autonomia, statutaria, amministrativa e finanziaria, nei limiti stabiliti dalla Costituzione. L'ordinamento di Roma capitale è diretto a garantire il miglior assetto delle funzioni che Roma è chiamata a svolgere quale sede degli organi costituzionali nonché delle rappresentanze diplomatiche degli Stati esteri, ivi presenti presso la Repubblica italiana, presso lo Stato della Città del Vaticano e presso le istituzioni internazionali.
3. Oltre a quelle attualmente spettanti al comune di Roma, sono attribuite a Roma capitale le seguenti funzioni amministrative:
a) concorso alla valorizzazione dei beni storici, artistici, ambientali e fluviali, previo accordo con il Ministero per i beni e le attività culturali;
b) soppressa;
c) sviluppo economico e sociale di Roma capitale con particolare riferimento al settore produttivo e turistico;
d) sviluppo urbano e pianificazione territoriale;
e) edilizia pubblica e privata;
f) organizzazione e funzionamento dei servizi urbani, con particolare riferimento al trasporto pubblico ed alla mobilità;
g) protezione civile, in collaborazione con la Presidenza del Consiglio dei ministri e la regione Lazio;
h) ulteriori funzioni conferite dallo Stato e dalla regione Lazio, ai sensi dell'articolo 118, secondo comma, della Costituzione.
4. L'esercizio delle funzioni di cui al comma 3 è disciplinato con regolamenti adottati dal Consiglio comunale, che assume la denominazione di Assemblea capitolina, nel rispetto della Costituzione, dei vincoli comunitari ed internazionali, della legislazione statale e di quella regionale nel rispetto dell'articolo 117, sesto comma, della Costituzione nonché in conformità al principio di funzionalità rispetto alle speciali attribuzioni di Roma capitale. L'Assemblea capitolina, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore del decreto legislativo di cui al comma 5, approva, ai sensi dell'articolo 6, commi 2, 3 e 4, del testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, con particolare riguardo al decentramento municipale, lo statuto di Roma capitale che entra in vigore alla data della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale.
5. Con specifico decreto legislativo, adottato ai sensi dell'articolo 2, sentiti la regione Lazio, la provincia di Roma e il comune di Roma, è disciplinato l'ordinamento transitorio, anche finanziario, di Roma capitale, secondo i seguenti princìpi e criteri direttivi:
a) specificazione delle funzioni di cui al comma 3 e definizione delle modalità per il trasferimento a Roma capitale delle relative risorse umane e dei mezzi;
b) fermo quanto stabilito dalle disposizioni di legge per il finanziamento dei comuni, assegnazione di ulteriori risorse a Roma capitale, tenendo conto delle specifiche esigenze di finanziamento derivanti dal ruolo di capitale della Repubblica, previa la loro determinazione specifica, e delle funzioni di cui al comma 3.
6. Il decreto legislativo di cui al comma 5 assicura i raccordi istituzionali, il coordinamento e la collaborazione di Roma capitale con lo Stato, la regione Lazio e la provincia di Roma, nell'esercizio delle funzioni di cui al comma 3. Lo status dei membri dell'Assemblea capitolina è disciplinato dalla legge dello Stato.
7. Il decreto legislativo di cui al comma 5, con riguardo all'attuazione dell'articolo 119, sesto comma, della Costituzione, stabilisce i princìpi generali per l'attribuzione alla città di Roma, capitale della Repubblica, di un proprio patrimonio, nel rispetto dei seguenti princìpi e criteri direttivi specifici:
a) attribuzione a Roma capitale di un patrimonio commisurato alle funzioni e competenze ad essa attribuite;
b) trasferimento, a titolo gratuito, a Roma capitale dei beni appartenenti al patrimonio dello Stato non più funzionali alle esigenze dell'Amministrazione centrale, in conformità a quanto previsto dall'articolo 18, comma 1, lettera d).
8. Le disposizioni di cui al presente articolo e quelle contenute nel decreto legislativo adottato ai sensi del comma 5 possono essere modificate, derogate o abrogate solo espressamente. Per quanto non disposto dal presente articolo, continua ad applicarsi a Roma capitale quanto previsto con riferimento ai comuni dal testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali, di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267.
9. A seguito dell'attuazione della disciplina delle Città metropolitane e a decorrere dall'istituzione della città metropolitana di Roma capitale, le disposizioni di cui al presente articolo si intendono riferite alla città metropolitana di Roma capitale.
Art. 23.
(Princìpi e criteri direttivi relativi alla gestione dei tributi e delle compartecipazioni)
1. I decreti legislativi di cui all'articolo 2, con riguardo al sistema gestionale dei tributi e delle compartecipazioni, nel rispetto della autonomia organizzativa di regioni ed enti locali nella scelta delle forme di organizzazione delle attività di gestione e di riscossione, sono adottati secondo i seguenti princìpi e criteri direttivi:
a) previsione di adeguate forme di collaborazione delle regioni e degli enti locali con il Ministero dell'economia e delle finanze e con le Agenzie regionali delle entrate in modo da configurare dei centri di servizio regionali per la gestione organica dei tributi erariali, regionali e degli enti locali;
b) definizione con apposita e specifica convenzione fra il Ministero dell'economia e delle finanze, le singole regioni e gli enti locali, delle modalità gestionali, operative, di ripartizione degli oneri, degli introiti di attività di recupero dell'evasione.
Capo IX
OBIETTIVI DI PEREQUAZIONE E DI SOLIDARIETÀ PER LE REGIONI A STATUTO SPECIALE E PER LE PROVINCE AUTONOME DI TRENTO E DI BOLZANO
Art. 24.
(Coordinamento della finanza delle regioni a statuto speciale e delle province autonome)
1. Le regioni a statuto speciale e le province autonome di Trento e di Bolzano, nel rispetto degli statuti speciali, concorrono al conseguimento degli obiettivi di perequazione e di solidarietà ed all'esercizio dei diritti e doveri da essi derivanti, nonché al patto di convergenza di cui all'articolo 17 e all'assolvimento degli obblighi posti dall'ordinamento comunitario, secondo criteri e modalità stabiliti da norme di attuazione dei rispettivi statuti, da definire, con le procedure previste dagli statuti medesimi, entro il termine stabilito per l'emanazione dei decreti legislativi di cui all'articolo 2 e secondo il principio del superamento del criterio della spesa storica di cui all'articolo 2, comma 2, lettera l).
2. Le norme di attuazione di cui al comma 1 tengono conto della dimensione della finanza delle predette regioni e province autonome rispetto alla finanza pubblica complessiva, delle funzioni da esse effettivamente esercitate e dei relativi oneri, anche in considerazione degli svantaggi strutturali permanenti, ove ricorrano, e dei livelli di reddito pro capite che caratterizzano i rispettivi territori o parte di essi, rispetto a quelli corrispondentemente sostenuti per le medesime funzioni dallo Stato, dal complesso delle regioni e, per le regioni e province autonome che esercitano le funzioni in materia di finanza locale, dagli enti locali. Le medesime norme di attuazione disciplinano altresì le specifiche modalità attraverso le quali lo Stato assicura il conseguimento degli obiettivi costituzionali di perequazione e di solidarietà per le regioni a statuto speciale i cui livelli di reddito pro capite siano inferiori alla media nazionale, ferma restando la copertura del fabbisogno standard per il finanziamento dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali di cui all'articolo 117, secondo comma, lettera m), della Costituzione, conformemente a quanto previsto dall'articolo 8, comma 1, lettera b), della presente legge.
3. Le disposizioni di cui al comma 1 sono attuate, nella misura stabilita dalle norme di attuazione degli statuti speciali e alle condizioni stabilite dalle stesse norme in applicazione dei criteri di cui al comma 2, anche mediante l'assunzione di oneri derivanti dal trasferimento o dalla delega di funzioni statali alle medesime regioni a statuto speciale e province autonome ovvero da altre misure finalizzate al conseguimento di risparmi per il bilancio dello Stato, nonché con altre modalità stabilite dalle norme di attuazione degli statuti speciali. Inoltre, le predette norme, per la parte di propria competenza:
a) disciplinano il coordinamento tra le leggi statali in materia di finanza pubblica e le corrispondenti leggi regionali e provinciali in materia, rispettivamente, di finanza regionale e provinciale, nonché di finanza locale nei casi in cui questa rientri nella competenza della regione a statuto speciale o provincia autonoma;
b) definiscono i princìpi fondamentali di coordinamento del sistema tributario con riferimento alla potestà legislativa attribuita dai rispettivi statuti alle regioni a statuto speciale e alle province autonome in materia di tributi regionali, provinciali e locali.
c) individuano forme di fiscalità di sviluppo, ai sensi dell'articolo 2, comma 2, lettera hh), e alle condizioni di cui all'articolo 15, comma 1, lettera d).
4. A fronte dell'assegnazione di ulteriori nuove funzioni alle regioni a statuto speciale ed alle province autonome di Trento e di Bolzano, così come alle regioni a statuto ordinario, nei casi diversi dal concorso al conseguimento degli obiettivi di perequazione e di solidarietà ai sensi del comma 2, rispettivamente le norme di attuazione e i decreti legislativi di cui all'articolo 2 definiranno le corrispondenti modalità di finanziamento aggiuntivo attraverso forme di compartecipazione a tributi erariali e alle accise.
5. Alle riunioni del Consiglio dei ministri per l'esame degli schemi concernenti le norme di attuazione di cui al presente articolo sono invitati a partecipare, in conformità ai rispettivi statuti, i Presidenti delle regioni e delle province autonome interessate.
6. La Commissione di cui all'articolo 4 svolge anche attività meramente ricognitiva delle disposizioni vigenti concernenti l'ordinamento finanziario delle regioni a statuto speciale e delle province autonome di Trento e di Bolzano e della relativa applicazione. Nell'esercizio di tale funzione la Commissione è integrata da un rappresentante tecnico della singola regione o provincia interessata.
Capo X
SALVAGUARDIA FINANZIARIA ED ABROGAZIONI
Art. 25.
(Salvaguardia finanziaria)
1. L'attuazione della presente legge deve essere compatibile con gli impegni finanziari assunti con il patto europeo di stabilità e crescita.
2. I decreti legislativi di cui all'articolo 2 individuano meccanismi idonei ad assicurare che:
a) vi sia la coerenza tra il riordino e la riallocazione delle funzioni e la dotazione delle risorse umane e finanziarie, con il vincolo che al trasferimento delle funzioni corrisponda un trasferimento del personale tale da evitare ogni duplicazione di funzioni;
b) sia garantita la determinazione periodica del limite massimo della pressione fiscale nonché del suo riparto tra i diversi livelli di governo e sia salvaguardato l'obiettivo di non produrre aumenti della pressione fiscale complessiva anche nel corso della fase transitoria;
c) siano previsti adeguati meccanismi diretti a coinvolgere e cointeressare Regioni ed Enti locali nell'attività di recupero dell'evasione fiscale e nel contrasto all'elusione fiscale.
3. Per le spese derivanti dall'attuazione degli articoli 4 e 5, si provvede con gli ordinari stanziamenti di bilancio.
Art. 26.
(Abrogazioni)
1. I decreti legislativi di cui all'articolo 2 individuano le disposizioni incompatibili con la presente legge, prevedendone l'abrogazione.

Telefonia: mancato esperimento del tentativo di conciliazione e provvedimenti cautelari







Corte Costituzionale sentenza 403 del 2007
Conciliazione obbligatoria,telefonia,procedura civile, procedimenti cautelari
In evidenza: Fonte: www.Giurcost.org.
Segnalata da: avv. Cristina Roncaglia nella mailing list civile.it

"si deve, quindi, interpretare la predetta disposizione nel senso che il mancato espletamento del prescritto tentativo di conciliazione non preclude la concessione di provvedimenti cautelari."

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:
- Franco BILE Presidente
- Giovanni Maria FLICK Giudice
- Francesco AMIRANTE "
- Ugo DE SIERVO "
- Paolo MADDALENA "
- Alfio FINOCCHIARO "
- Alfonso QUARANTA "
- Franco GALLO "
- Luigi MAZZELLA "
- Gaetano SILVESTRI "
- Sabino CASSESE "
- Maria Rita SAULLE "
- Giuseppe TESAURO "
- Paolo Maria NAPOLITANO "
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 11, della legge 31 luglio 1997, n. 249 (Istituzione dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni e norme sui sistemi delle telecomunicazioni e radiotelevisivo), promosso con ordinanza del 22 settembre 2006 dal Tribunale di Pisa nel procedimento civile vertente tra Massimo Martelli ed altro e Telecom Italia s.p.a., iscritta al n. 404 del registro ordinanze 2007 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 22, prima serie speciale, dell’anno 2007.
Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 24 ottobre 2007 il Giudice relatore Giuseppe Tesauro.
Ritenuto in fatto
1. – Il Tribunale di Pisa, sezione distaccata di Pontedera, con ordinanza del 22 settembre 2006, ha sollevato, in riferimento all’art. 24, primo comma, della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 11, della legge 31 luglio 1997, n. 249 (Istituzione dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni e norme sui sistemi delle telecomunicazioni e radiotelevisivo) «nella parte in cui esso esclude anche la possibilità di proporre ricorso in sede giurisdizionale di natura cautelare, fino a che non sia stato esperito il tentativo obbligatorio di conciliazione ivi previsto».
2. – Il rimettente premette di essere stato adito, nell’àmbito di un procedimento civile promosso nei confronti di Telecom Italia s.p.a., in sede cautelare ai sensi dell’art. 700 del codice di procedura civile, al fine di ottenere l’attivazione in via d’urgenza di una linea telefonica fissa.
Espone, inoltre, che nel giudizio si è costituita la Telecom Italia s.p.a. la quale ha eccepito, oltre all’assenza dei presupposti specifici di cui all’art. 700 cod. proc. civ., l’«improponibilità e/o improcedibilità» dell’azione ai sensi dell’art. 1, comma 11, della legge n. 249 del 1997, in ragione del mancato espletamento del tentativo obbligatorio di conciliazione.
Nelle more del medesimo giudizio – premette altresì il giudice a quo – le parti hanno dato atto che è cessata la materia del contendere in quanto la linea telefonica è stata allacciata, ma hanno, tuttavia, rispettivamente, chiesto la condanna dell’altra parte alle spese di lite, in base al principio della cosiddetta soccombenza virtuale.
Infatti – osserva il giudice rimettente – le spese di lite dovrebbero essere poste a carico dei ricorrenti nel giudizio principale o al massimo compensate, in quanto dal divieto di proporre l’azione giurisdizionale, se non dopo aver esperito il tentativo obbligatorio di conciliazione, deriverebbe la soccombenza virtuale dei ricorrenti che hanno introdotto l’azione cautelare senza aver prima esperito il predetto tentativo. Se, invece, la disposizione in esame fosse dichiarata costituzionalmente illegittima, le spese di lite dovrebbe essere poste a carico della Telecom Italia s.p.a.
La questione, pertanto, è – ad avviso del medesimo rimettente – rilevante.
3. – In punto di non manifesta infondatezza, il Tribunale di Pisa sostiene che l’art. 1, comma 11, della legge n. 249 del 1997 – «almeno nella parte in cui […] preclude temporaneamente il ricorso anche alla tutela cautelare [...]» – è in contrasto con l’art. 24 della Costituzione, che garantisce a tutti il diritto di agire in giudizio per la tutela dei propri diritti ed interessi legittimi, diritto cui è coessenziale la tutela cautelare, «la cui funzione potrebbe essere frustrata dalla necessità di attendere l’esaurimento del procedimento conciliativo».
Il rimettente non ritiene di poter condividere l’interpretazione della disposizione in esame, accolta da altri giudici di merito, secondo la quale il mancato espletamento della previa procedura di conciliazione non potrebbe precludere la tutela cautelare: tale interpretazione, peraltro contraddetta da numerose decisioni di segno opposto, non sarebbe, infatti, conciliabile con l’ampiezza dell’espressione «ricorso in sede giurisdizionale» contenuta nella disposizione censurata, il cui significato non sembra potersi limitare alla sola azione ordinaria, con esclusione di quella cautelare. A conforto di ciò starebbe, inoltre, la stessa previsione – di cui all’art. 2, comma 20, lettera e), della legge 14 dicembre 1995 n. 481 (Norme per la concorrenza e la regolazione dei servizi di pubblica utilità. Istituzione delle Autorità di regolazione dei servizi di pubblica utilità) – di uno specifico potere dell’Autorità di regolazione per le telecomunicazioni, di emettere provvedimenti temporanei diretti a garantire la continuità dell’erogazione dei servizi nell’àmbito della procedura di conciliazione: la previsione di un simile potere sarebbe superflua ove, in mancanza o in pendenza di un procedimento conciliativo, si potesse proporre l’azione cautelare dinanzi agli organi giurisdizionali competenti, né sarebbe comunque sufficiente ad eliminare il sospetto di illegittimità costituzionale della norma denunciata, non potendo un potere di un’autorità amministrativa supplire alla carenza di tutela giurisdizionale.
4. – E’ intervenuto nel giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata manifestamente infondata.
La difesa erariale osserva che l’istituto di cui alla norma censurata, che costituisce uno strumento volto ad assicurare un filtro rispetto al proliferare del contenzioso nella specifica materia, configura una mera condizione di procedibilità dell’azione, alla mancata effettuazione del tentativo obbligatorio di conciliazione non essendo riconnessa alcuna decadenza di indole processuale. La norma censurata, pertanto, deve essere interpretata, secondo l’Avvocatura generale dello Stato, nel senso che l’azione giudiziaria non può essere pregiudicata dall’omissione dell’incombente, ma solo sospesa in attesa del suo esaurimento.
Considerato in diritto
1. – Il Tribunale di Pisa, sezione distaccata di Pontedera, ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 11, della legge 31 luglio 1997, n. 249 (Istituzione dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni e norme sui sistemi delle telecomunicazioni e radiotelevisivo), in riferimento all’art. 24, primo comma, della Costituzione.
2. – Secondo il rimettente la predetta disposizione, stabilendo che, per le controversie fra utenti o categorie di utenti ed un soggetto autorizzato o destinatario di licenze oppure fra soggetti autorizzati o destinatari di licenze fra loro, «non può proporsi ricorso in sede giurisdizionale fino a che non sia stato esperito un tentativo obbligatorio di conciliazione da ultimare entro trenta giorni dalla proposizione dell’istanza» all’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, escluderebbe anche la possibilità di proporre ricorso in sede giurisdizionale di natura cautelare, fino a che non sia stato esperito il predetto tentativo obbligatorio di conciliazione, in tal modo determinando una lesione del diritto di agire in giudizio, «diritto cui è essenziale la tutela cautelare, la cui funzione potrebbe essere frustrata dalla necessità di attendere l’esaurimento del procedimento conciliativo».
3. – La questione non è fondata nei sensi di seguito esposti.
3.1. – Il giudice rimettente muove dalla premessa interpretativa, tutt’altro che pacifica in giurisprudenza, secondo la quale la disposizione censurata, stabilendo che, per le controversie dalla stessa previste, «non può proporsi ricorso in sede giurisdizionale fino a che non sia stato esperito un tentativo obbligatorio di conciliazione da ultimare entro trenta giorni dalla proposizione dell’istanza» alla Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, non consentirebbe il ricorso alla tutela cautelare, nel caso di mancato esperimento del prescritto tentativo obbligatorio di conciliazione. L’opposta interpretazione della medesima disposizione, accolta da altri giudici di merito, pur richiamata e ritenuta, dal medesimo Tribunale, conforme a Costituzione, non sarebbe possibile ai sensi dell’art. 12 delle preleggi: essa non sarebbe, infatti, conciliabile con l’ampiezza dell’espressione «ricorso in sede giurisdizionale» contenuta nella disposizione censurata, il cui significato non si ritiene possa limitarsi alla sola azione ordinaria, con esclusione di quella cautelare.
Tale assunto risulta privo di fondamento alla luce degli orientamenti espressi dalla giurisprudenza costituzionale in tema di tentativo obbligatorio di conciliazione e di tutela cautelare.
Occorre, infatti, considerare che questa Corte ha affermato che quanto stabilito dall’art. 412-bis del codice di procedura civile, con riferimento alla disciplina delle controversie di lavoro, secondo cui il mancato espletamento del prescritto tentativo di conciliazione non preclude la concessione di provvedimenti cautelari, deve essere inteso nel senso che «un istituto di generale applicazione in ogni controversia di lavoro (il tentativo obbligatorio di conciliazione) si arresta in presenza di un’istanza cautelare, prevalendo – sulle altre perseguite dal legislatore – le esigenze proprie della tutela cautelare» (sentenza n. 199 del 2003). In termini più generali, questa Corte ha inoltre riconosciuto, sia pure incidentalmente, che, per i procedimenti cautelari, «l’esclusione dalla soggezione al tentativo di conciliazione si correla alla stessa strumentalità della giurisdizione cautelare» (sentenza n. 276 del 2000) rispetto alla effettività della tutela dinanzi al giudice ripetutamente ribadita da questa Corte (sentenza n. 336 del 1998; ma si vedano anche le sentenze n. 199 del 2003, n. 165 del 2000, n. 161 del 2000, n. 190 del 1985 e le ordinanze n. 179 del 2002, n. 217 del 2000).
La tutela cautelare, infatti, in quanto preordinata ad assicurare l’effettività della tutela giurisdizionale, in particolare a non lasciare vanificato l’accertamento del diritto, è uno strumento fondamentale e inerente a qualsiasi sistema processuale (sentenza n. 190 del 1985), anche indipendentemente da una previsione espressa (Corte di giustizia delle Comunità Europee, sentenza del 19 giugno 1990, causa C-213/89, Factortame).
A simili enunciazioni non può non riconoscersi portata generale, ove si tenga conto della identità degli interessi costituzionalmente rilevanti coinvolti in tutte le procedure rispetto alle quali è prescritto l’obbligatorio tentativo di conciliazione.
Esse risultano, d’altra parte, anche coerenti con l’affermazione che non contrasta con il diritto di azione di cui all’art. 24 della Costituzione la previsione di uno strumento quale il tentativo obbligatorio di conciliazione, in quanto essa è finalizzata ad assicurare l’interesse generale al soddisfacimento più immediato delle situazioni sostanziali realizzato attraverso la composizione preventiva della lite rispetto a quello conseguito attraverso il processo (sentenza n. 276 del 2000). Detto interesse svanisce in riferimento all’azione cautelare, proprio in considerazione delle particolari esigenze che si vogliono tutelare con i procedimenti cautelari, esigenze che richiedono una risposta immediata. Non può, infatti, ritenersi che il tentativo obbligatorio di conciliazione, se considerato condizione di procedibilità anche per l’azione cautelare, assicuri un soddisfacimento più immediato rispetto a quello conseguibile mediante tale forma di protezione. Inoltre, la diversa natura, il diverso regime e le diverse finalità della tutela cautelare e dei provvedimenti temporanei che l’Autorità può adottare al fine di garantire la continuità dell’erogazione del servizio o di far cessare forme di abuso o di scorretto funzionamento del medesimo da parte dell’operatore, rendono irrilevante la disciplina stabilita dall’art. 21 del regolamento sulle procedure di risoluzione delle controversie tra operatori di comunicazioni elettroniche ed utenti e dall’art. 2, comma 20, lettera e), della legge 14 novembre 1995, n. 481, ai fini della corretta interpretazione della norma censurata.
Alla luce delle richiamate indicazioni – considerando peraltro che la stessa lettera della disposizione censurata non è preclusiva della esegesi costituzionalmente orientata della medesima (sentenza n. 379 del 2007) – si deve, quindi, interpretare la predetta disposizione nel senso che il mancato espletamento del prescritto tentativo di conciliazione non preclude la concessione di provvedimenti cautelari.
Tale opzione interpretativa – che obbedisce al principio, espresso anche dalla giurisprudenza di legittimità, secondo il quale le disposizioni che prevedono condizioni di procedibilità, costituendo deroga alla disciplina generale, devono essere interpretate in senso non estensivo – consente di fugare i dubbi di legittimità costituzionale proposti dal rimettente e si impone pertanto come doverosa, in linea con l’ormai consolidato orientamento di questa Corte secondo il quale «una disposizione deve essere dichiarata incostituzionale non perché può essere interpretata in modo tale da contrastare con precetti costituzionali, ma soltanto qualora non sia possibile attribuire ad essa un significato che la renda conforme alla Costituzione» (tra le molte, sentenze n. 379 del 2007, n. 343 del 2006, n. 336 del 2002, n. 356 del 1996; ordinanze n. 86 del 2006, n. 147 del 1998).

Per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara non fondata, nei sensi di cui in motivazione, la questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 11, della legge 31 luglio 1997, n. 249 (Istituzione dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni e norme sui sistemi delle telecomunicazioni e radiotelevisivo), sollevata, in riferimento all’art. 24, primo comma, della Costituzione, dal Tribunale di Pisa, con l’ordinanza in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 21 novembre 2007.
F.to:
Franco BILE, Presidente
Giuseppe TESAURO, Redattore
Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 30 novembre 2007.
Tags: conciliazione obbligatoria,telefonia,procedura civile, procedimenti cautelari

Telefonia: mancato esperimento del tentativo di conciliazione e provvedimenti cautelari







Corte Costituzionale sentenza 403 del 2007
Conciliazione obbligatoria,telefonia,procedura civile, procedimenti cautelari
In evidenza: Fonte: www.Giurcost.org.
Segnalata da: avv. Cristina Roncaglia nella mailing list civile.it

"si deve, quindi, interpretare la predetta disposizione nel senso che il mancato espletamento del prescritto tentativo di conciliazione non preclude la concessione di provvedimenti cautelari."

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:
- Franco BILE Presidente
- Giovanni Maria FLICK Giudice
- Francesco AMIRANTE "
- Ugo DE SIERVO "
- Paolo MADDALENA "
- Alfio FINOCCHIARO "
- Alfonso QUARANTA "
- Franco GALLO "
- Luigi MAZZELLA "
- Gaetano SILVESTRI "
- Sabino CASSESE "
- Maria Rita SAULLE "
- Giuseppe TESAURO "
- Paolo Maria NAPOLITANO "
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 11, della legge 31 luglio 1997, n. 249 (Istituzione dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni e norme sui sistemi delle telecomunicazioni e radiotelevisivo), promosso con ordinanza del 22 settembre 2006 dal Tribunale di Pisa nel procedimento civile vertente tra Massimo Martelli ed altro e Telecom Italia s.p.a., iscritta al n. 404 del registro ordinanze 2007 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 22, prima serie speciale, dell’anno 2007.
Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 24 ottobre 2007 il Giudice relatore Giuseppe Tesauro.
Ritenuto in fatto
1. – Il Tribunale di Pisa, sezione distaccata di Pontedera, con ordinanza del 22 settembre 2006, ha sollevato, in riferimento all’art. 24, primo comma, della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 11, della legge 31 luglio 1997, n. 249 (Istituzione dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni e norme sui sistemi delle telecomunicazioni e radiotelevisivo) «nella parte in cui esso esclude anche la possibilità di proporre ricorso in sede giurisdizionale di natura cautelare, fino a che non sia stato esperito il tentativo obbligatorio di conciliazione ivi previsto».
2. – Il rimettente premette di essere stato adito, nell’àmbito di un procedimento civile promosso nei confronti di Telecom Italia s.p.a., in sede cautelare ai sensi dell’art. 700 del codice di procedura civile, al fine di ottenere l’attivazione in via d’urgenza di una linea telefonica fissa.
Espone, inoltre, che nel giudizio si è costituita la Telecom Italia s.p.a. la quale ha eccepito, oltre all’assenza dei presupposti specifici di cui all’art. 700 cod. proc. civ., l’«improponibilità e/o improcedibilità» dell’azione ai sensi dell’art. 1, comma 11, della legge n. 249 del 1997, in ragione del mancato espletamento del tentativo obbligatorio di conciliazione.
Nelle more del medesimo giudizio – premette altresì il giudice a quo – le parti hanno dato atto che è cessata la materia del contendere in quanto la linea telefonica è stata allacciata, ma hanno, tuttavia, rispettivamente, chiesto la condanna dell’altra parte alle spese di lite, in base al principio della cosiddetta soccombenza virtuale.
Infatti – osserva il giudice rimettente – le spese di lite dovrebbero essere poste a carico dei ricorrenti nel giudizio principale o al massimo compensate, in quanto dal divieto di proporre l’azione giurisdizionale, se non dopo aver esperito il tentativo obbligatorio di conciliazione, deriverebbe la soccombenza virtuale dei ricorrenti che hanno introdotto l’azione cautelare senza aver prima esperito il predetto tentativo. Se, invece, la disposizione in esame fosse dichiarata costituzionalmente illegittima, le spese di lite dovrebbe essere poste a carico della Telecom Italia s.p.a.
La questione, pertanto, è – ad avviso del medesimo rimettente – rilevante.
3. – In punto di non manifesta infondatezza, il Tribunale di Pisa sostiene che l’art. 1, comma 11, della legge n. 249 del 1997 – «almeno nella parte in cui […] preclude temporaneamente il ricorso anche alla tutela cautelare [...]» – è in contrasto con l’art. 24 della Costituzione, che garantisce a tutti il diritto di agire in giudizio per la tutela dei propri diritti ed interessi legittimi, diritto cui è coessenziale la tutela cautelare, «la cui funzione potrebbe essere frustrata dalla necessità di attendere l’esaurimento del procedimento conciliativo».
Il rimettente non ritiene di poter condividere l’interpretazione della disposizione in esame, accolta da altri giudici di merito, secondo la quale il mancato espletamento della previa procedura di conciliazione non potrebbe precludere la tutela cautelare: tale interpretazione, peraltro contraddetta da numerose decisioni di segno opposto, non sarebbe, infatti, conciliabile con l’ampiezza dell’espressione «ricorso in sede giurisdizionale» contenuta nella disposizione censurata, il cui significato non sembra potersi limitare alla sola azione ordinaria, con esclusione di quella cautelare. A conforto di ciò starebbe, inoltre, la stessa previsione – di cui all’art. 2, comma 20, lettera e), della legge 14 dicembre 1995 n. 481 (Norme per la concorrenza e la regolazione dei servizi di pubblica utilità. Istituzione delle Autorità di regolazione dei servizi di pubblica utilità) – di uno specifico potere dell’Autorità di regolazione per le telecomunicazioni, di emettere provvedimenti temporanei diretti a garantire la continuità dell’erogazione dei servizi nell’àmbito della procedura di conciliazione: la previsione di un simile potere sarebbe superflua ove, in mancanza o in pendenza di un procedimento conciliativo, si potesse proporre l’azione cautelare dinanzi agli organi giurisdizionali competenti, né sarebbe comunque sufficiente ad eliminare il sospetto di illegittimità costituzionale della norma denunciata, non potendo un potere di un’autorità amministrativa supplire alla carenza di tutela giurisdizionale.
4. – E’ intervenuto nel giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata manifestamente infondata.
La difesa erariale osserva che l’istituto di cui alla norma censurata, che costituisce uno strumento volto ad assicurare un filtro rispetto al proliferare del contenzioso nella specifica materia, configura una mera condizione di procedibilità dell’azione, alla mancata effettuazione del tentativo obbligatorio di conciliazione non essendo riconnessa alcuna decadenza di indole processuale. La norma censurata, pertanto, deve essere interpretata, secondo l’Avvocatura generale dello Stato, nel senso che l’azione giudiziaria non può essere pregiudicata dall’omissione dell’incombente, ma solo sospesa in attesa del suo esaurimento.
Considerato in diritto
1. – Il Tribunale di Pisa, sezione distaccata di Pontedera, ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 11, della legge 31 luglio 1997, n. 249 (Istituzione dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni e norme sui sistemi delle telecomunicazioni e radiotelevisivo), in riferimento all’art. 24, primo comma, della Costituzione.
2. – Secondo il rimettente la predetta disposizione, stabilendo che, per le controversie fra utenti o categorie di utenti ed un soggetto autorizzato o destinatario di licenze oppure fra soggetti autorizzati o destinatari di licenze fra loro, «non può proporsi ricorso in sede giurisdizionale fino a che non sia stato esperito un tentativo obbligatorio di conciliazione da ultimare entro trenta giorni dalla proposizione dell’istanza» all’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, escluderebbe anche la possibilità di proporre ricorso in sede giurisdizionale di natura cautelare, fino a che non sia stato esperito il predetto tentativo obbligatorio di conciliazione, in tal modo determinando una lesione del diritto di agire in giudizio, «diritto cui è essenziale la tutela cautelare, la cui funzione potrebbe essere frustrata dalla necessità di attendere l’esaurimento del procedimento conciliativo».
3. – La questione non è fondata nei sensi di seguito esposti.
3.1. – Il giudice rimettente muove dalla premessa interpretativa, tutt’altro che pacifica in giurisprudenza, secondo la quale la disposizione censurata, stabilendo che, per le controversie dalla stessa previste, «non può proporsi ricorso in sede giurisdizionale fino a che non sia stato esperito un tentativo obbligatorio di conciliazione da ultimare entro trenta giorni dalla proposizione dell’istanza» alla Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, non consentirebbe il ricorso alla tutela cautelare, nel caso di mancato esperimento del prescritto tentativo obbligatorio di conciliazione. L’opposta interpretazione della medesima disposizione, accolta da altri giudici di merito, pur richiamata e ritenuta, dal medesimo Tribunale, conforme a Costituzione, non sarebbe possibile ai sensi dell’art. 12 delle preleggi: essa non sarebbe, infatti, conciliabile con l’ampiezza dell’espressione «ricorso in sede giurisdizionale» contenuta nella disposizione censurata, il cui significato non si ritiene possa limitarsi alla sola azione ordinaria, con esclusione di quella cautelare.
Tale assunto risulta privo di fondamento alla luce degli orientamenti espressi dalla giurisprudenza costituzionale in tema di tentativo obbligatorio di conciliazione e di tutela cautelare.
Occorre, infatti, considerare che questa Corte ha affermato che quanto stabilito dall’art. 412-bis del codice di procedura civile, con riferimento alla disciplina delle controversie di lavoro, secondo cui il mancato espletamento del prescritto tentativo di conciliazione non preclude la concessione di provvedimenti cautelari, deve essere inteso nel senso che «un istituto di generale applicazione in ogni controversia di lavoro (il tentativo obbligatorio di conciliazione) si arresta in presenza di un’istanza cautelare, prevalendo – sulle altre perseguite dal legislatore – le esigenze proprie della tutela cautelare» (sentenza n. 199 del 2003). In termini più generali, questa Corte ha inoltre riconosciuto, sia pure incidentalmente, che, per i procedimenti cautelari, «l’esclusione dalla soggezione al tentativo di conciliazione si correla alla stessa strumentalità della giurisdizione cautelare» (sentenza n. 276 del 2000) rispetto alla effettività della tutela dinanzi al giudice ripetutamente ribadita da questa Corte (sentenza n. 336 del 1998; ma si vedano anche le sentenze n. 199 del 2003, n. 165 del 2000, n. 161 del 2000, n. 190 del 1985 e le ordinanze n. 179 del 2002, n. 217 del 2000).
La tutela cautelare, infatti, in quanto preordinata ad assicurare l’effettività della tutela giurisdizionale, in particolare a non lasciare vanificato l’accertamento del diritto, è uno strumento fondamentale e inerente a qualsiasi sistema processuale (sentenza n. 190 del 1985), anche indipendentemente da una previsione espressa (Corte di giustizia delle Comunità Europee, sentenza del 19 giugno 1990, causa C-213/89, Factortame).
A simili enunciazioni non può non riconoscersi portata generale, ove si tenga conto della identità degli interessi costituzionalmente rilevanti coinvolti in tutte le procedure rispetto alle quali è prescritto l’obbligatorio tentativo di conciliazione.
Esse risultano, d’altra parte, anche coerenti con l’affermazione che non contrasta con il diritto di azione di cui all’art. 24 della Costituzione la previsione di uno strumento quale il tentativo obbligatorio di conciliazione, in quanto essa è finalizzata ad assicurare l’interesse generale al soddisfacimento più immediato delle situazioni sostanziali realizzato attraverso la composizione preventiva della lite rispetto a quello conseguito attraverso il processo (sentenza n. 276 del 2000). Detto interesse svanisce in riferimento all’azione cautelare, proprio in considerazione delle particolari esigenze che si vogliono tutelare con i procedimenti cautelari, esigenze che richiedono una risposta immediata. Non può, infatti, ritenersi che il tentativo obbligatorio di conciliazione, se considerato condizione di procedibilità anche per l’azione cautelare, assicuri un soddisfacimento più immediato rispetto a quello conseguibile mediante tale forma di protezione. Inoltre, la diversa natura, il diverso regime e le diverse finalità della tutela cautelare e dei provvedimenti temporanei che l’Autorità può adottare al fine di garantire la continuità dell’erogazione del servizio o di far cessare forme di abuso o di scorretto funzionamento del medesimo da parte dell’operatore, rendono irrilevante la disciplina stabilita dall’art. 21 del regolamento sulle procedure di risoluzione delle controversie tra operatori di comunicazioni elettroniche ed utenti e dall’art. 2, comma 20, lettera e), della legge 14 novembre 1995, n. 481, ai fini della corretta interpretazione della norma censurata.
Alla luce delle richiamate indicazioni – considerando peraltro che la stessa lettera della disposizione censurata non è preclusiva della esegesi costituzionalmente orientata della medesima (sentenza n. 379 del 2007) – si deve, quindi, interpretare la predetta disposizione nel senso che il mancato espletamento del prescritto tentativo di conciliazione non preclude la concessione di provvedimenti cautelari.
Tale opzione interpretativa – che obbedisce al principio, espresso anche dalla giurisprudenza di legittimità, secondo il quale le disposizioni che prevedono condizioni di procedibilità, costituendo deroga alla disciplina generale, devono essere interpretate in senso non estensivo – consente di fugare i dubbi di legittimità costituzionale proposti dal rimettente e si impone pertanto come doverosa, in linea con l’ormai consolidato orientamento di questa Corte secondo il quale «una disposizione deve essere dichiarata incostituzionale non perché può essere interpretata in modo tale da contrastare con precetti costituzionali, ma soltanto qualora non sia possibile attribuire ad essa un significato che la renda conforme alla Costituzione» (tra le molte, sentenze n. 379 del 2007, n. 343 del 2006, n. 336 del 2002, n. 356 del 1996; ordinanze n. 86 del 2006, n. 147 del 1998).

Per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara non fondata, nei sensi di cui in motivazione, la questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 11, della legge 31 luglio 1997, n. 249 (Istituzione dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni e norme sui sistemi delle telecomunicazioni e radiotelevisivo), sollevata, in riferimento all’art. 24, primo comma, della Costituzione, dal Tribunale di Pisa, con l’ordinanza in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 21 novembre 2007.
F.to:
Franco BILE, Presidente
Giuseppe TESAURO, Redattore
Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 30 novembre 2007.
Tags: conciliazione obbligatoria,telefonia,procedura civile, procedimenti cautelari

venerdì 23 gennaio 2009

Prorogato fino al 31 dicembre 2009 il regime transitorio in materia di accesso al mercato del lavoro dei cittadini della Romania e della Bulgaria

Prorogato il regime transitorio per i lavoratori romeni e bulgari
Circolare Ministero Interno 14.01.2009 n° 1 (
Cesira Cruciani)

Varata dal Ministero dell'Interno e dal Ministero del Lavoro, Salute e Politiche Sociali la circolare congiunta numero 1/2009, che disciplina la proroga del regime transitorio in materia di accesso al mercato del lavoro dei cittadini romeni e bulgari. L'Italia si avvarrà del regime transitorio, relativamente alle procedure per l'accesso al mercato del lavoro nei confronti dei cittadini rumeni e bulgari, fino al 31 dicembre 2009, in vista della completa liberalizzazione del lavoro subordinato.
Confermato senza modifiche, per i cittadini 'neocomunitari' di Romania e Bulgaria, quanto già disposto nel 2008 in materia, unitamente alle deroghe a tale regime per alcuni settori produttivi e per alcune professionalità (agricolo e turistico alberghiero; lavoro domestico e di assistenza alla persona; edilizio; metalmeccanico, dirigenziale e altamente qualificato, compresi i casi previsti dall'articolo 27 del T. U. sull'immigrazione e lavoro stagionale). Per tutti i restanti settori produttivi, le richieste di assunzione saranno presentate allo Sportello unico per l'immigrazione, utilizzando la modulistica presente sui siti internet del Ministero dell'Interno e del Ministero del Lavoro, Salute e Politiche Sociali.

(Altalex, 16 gennaio 2009. Nota di Cesira Cruciani)


MINISTERO DELL'INTERNO, CIRCOLARE 14 GENNAIO 2009, N. 1
Roma, 14 Gennaio 2009
Circolare n. 1/2009

Prot. n. 130 Min.InternoProt. n. 23/11/000082/06 Min.Lav. Salute e P.S.
Ai Sigg.ri Prefetti LORO SEDI
Al Sig. Commissario del Governo per la Provincia Autonoma di TRENTO
Al Sig. Commissario del Governo per la Provincia Autonoma di BOLZANO
Al Sig. Presidente della Regione Valle d'Aosta AOSTA
Ai Sigg.ri Questori LORO SEDI
Alle Direzioni Regionali del LavoroLORO SEDI
Alle Direzioni Provinciali del Lavoro (per il tramite delle Direzioni Regionali del Lavoro) LORO SEDI
Alla Provincia Autonoma di Trento - Dip.to Servizi Sociali - Servizio LavoroTRENTO
Alla Provincia Autonoma di Bolzano - Rip. 19 - Uff. Lavoro - Isp. LavoroBOLZANO
Alla Regione Autonoma Friuli Venezia Giulia - Servizio per il LavoroTRIESTE
Alla Regione Siciliana Assessorato del Lavoro Uff. Reg. Lavoro-Ispett. Reg. LavoroPALERMO
e, per conoscenza:
Al Ministero degli Affari Esteri Gabinetto del Ministro ROMA
Al Ministero del Lavoro e della Previdenza Sociale Direzione Generale delle Risorse Umane e Affari GeneraliROMA
All'INPS - Direzione Generale ROMA
Agli Assessorati Regionali al Lavoro LORO SEDI
OGGETTO: Regime transitorio in materia di accesso al mercato del lavoro dei cittadini della Romania e della Bulgaria.

Si rende noto che l'Italia ha deciso di continuare ad avvalersi del regime transitorio, relativamente alle procedure per l'accesso al mercato del lavoro nei confronti dei cittadini rumeni e bulgari, per un ulteriore anno, fino al 31 dicembre 2009 in vista della completa liberalizzazione del lavoro subordinato.
Pertanto, si conferma, senza modifiche, quanto già disposto in materia di accesso al lavoro subordinato, dalle circolari congiunte Ministero dell'Interno-Ministero della Solidarietà Sociale n. 2 del 28 dicembre 2006, n. 3 del 3 gennaio 2007 e n. 1 del 4 gennaio 2008, per quanto riguarda le deroghe a tale regime per alcuni settori produttivi e per alcune professionalità (agricolo e turistico alberghiero; lavoro domestico e di assistenza alla persona; edilizio; metalmeccanico, dirigenziale e altamente qualificato, compresi i casi previsti dall'articolo 27 del T.U. sull'immigrazione e lavoro stagionale). Per tutti i restanti settori produttivi, l'assunzione dei lavoratori rumeni e bulgari avviene attraverso la presentazione di richieste di nulla osta allo Sportello Unico per l'Immigrazione - mediante spedizione postale (raccomandata A/R) - utilizzando l'apposita modulistica (mod. sub neocomunitari) disponibile sul sito del Ministero dell'Interno (www.interno.it) e del Ministero del Lavoro, Salute e Politiche Sociali (www.lavoro.gov.it).
Per la definizione di tali istanze lo Sportello Unico per l'Immigrazione della provincia ove sarà svolta l'attività lavorativa, rilascerà il prescritto nulla osta tramite la procedura semplificata descritta nelle citate circolari.
IL MINISTERO DELL'INTERNO
IL MINISTERO DEL LAVORO, SALUTE E POLITICHE SOCIALI

Prorogato fino al 31 dicembre 2009 il regime transitorio in materia di accesso al mercato del lavoro dei cittadini della Romania e della Bulgaria

Prorogato il regime transitorio per i lavoratori romeni e bulgari
Circolare Ministero Interno 14.01.2009 n° 1 (
Cesira Cruciani)

Varata dal Ministero dell'Interno e dal Ministero del Lavoro, Salute e Politiche Sociali la circolare congiunta numero 1/2009, che disciplina la proroga del regime transitorio in materia di accesso al mercato del lavoro dei cittadini romeni e bulgari. L'Italia si avvarrà del regime transitorio, relativamente alle procedure per l'accesso al mercato del lavoro nei confronti dei cittadini rumeni e bulgari, fino al 31 dicembre 2009, in vista della completa liberalizzazione del lavoro subordinato.
Confermato senza modifiche, per i cittadini 'neocomunitari' di Romania e Bulgaria, quanto già disposto nel 2008 in materia, unitamente alle deroghe a tale regime per alcuni settori produttivi e per alcune professionalità (agricolo e turistico alberghiero; lavoro domestico e di assistenza alla persona; edilizio; metalmeccanico, dirigenziale e altamente qualificato, compresi i casi previsti dall'articolo 27 del T. U. sull'immigrazione e lavoro stagionale). Per tutti i restanti settori produttivi, le richieste di assunzione saranno presentate allo Sportello unico per l'immigrazione, utilizzando la modulistica presente sui siti internet del Ministero dell'Interno e del Ministero del Lavoro, Salute e Politiche Sociali.

(Altalex, 16 gennaio 2009. Nota di Cesira Cruciani)


MINISTERO DELL'INTERNO, CIRCOLARE 14 GENNAIO 2009, N. 1
Roma, 14 Gennaio 2009
Circolare n. 1/2009

Prot. n. 130 Min.InternoProt. n. 23/11/000082/06 Min.Lav. Salute e P.S.
Ai Sigg.ri Prefetti LORO SEDI
Al Sig. Commissario del Governo per la Provincia Autonoma di TRENTO
Al Sig. Commissario del Governo per la Provincia Autonoma di BOLZANO
Al Sig. Presidente della Regione Valle d'Aosta AOSTA
Ai Sigg.ri Questori LORO SEDI
Alle Direzioni Regionali del LavoroLORO SEDI
Alle Direzioni Provinciali del Lavoro (per il tramite delle Direzioni Regionali del Lavoro) LORO SEDI
Alla Provincia Autonoma di Trento - Dip.to Servizi Sociali - Servizio LavoroTRENTO
Alla Provincia Autonoma di Bolzano - Rip. 19 - Uff. Lavoro - Isp. LavoroBOLZANO
Alla Regione Autonoma Friuli Venezia Giulia - Servizio per il LavoroTRIESTE
Alla Regione Siciliana Assessorato del Lavoro Uff. Reg. Lavoro-Ispett. Reg. LavoroPALERMO
e, per conoscenza:
Al Ministero degli Affari Esteri Gabinetto del Ministro ROMA
Al Ministero del Lavoro e della Previdenza Sociale Direzione Generale delle Risorse Umane e Affari GeneraliROMA
All'INPS - Direzione Generale ROMA
Agli Assessorati Regionali al Lavoro LORO SEDI
OGGETTO: Regime transitorio in materia di accesso al mercato del lavoro dei cittadini della Romania e della Bulgaria.

Si rende noto che l'Italia ha deciso di continuare ad avvalersi del regime transitorio, relativamente alle procedure per l'accesso al mercato del lavoro nei confronti dei cittadini rumeni e bulgari, per un ulteriore anno, fino al 31 dicembre 2009 in vista della completa liberalizzazione del lavoro subordinato.
Pertanto, si conferma, senza modifiche, quanto già disposto in materia di accesso al lavoro subordinato, dalle circolari congiunte Ministero dell'Interno-Ministero della Solidarietà Sociale n. 2 del 28 dicembre 2006, n. 3 del 3 gennaio 2007 e n. 1 del 4 gennaio 2008, per quanto riguarda le deroghe a tale regime per alcuni settori produttivi e per alcune professionalità (agricolo e turistico alberghiero; lavoro domestico e di assistenza alla persona; edilizio; metalmeccanico, dirigenziale e altamente qualificato, compresi i casi previsti dall'articolo 27 del T.U. sull'immigrazione e lavoro stagionale). Per tutti i restanti settori produttivi, l'assunzione dei lavoratori rumeni e bulgari avviene attraverso la presentazione di richieste di nulla osta allo Sportello Unico per l'Immigrazione - mediante spedizione postale (raccomandata A/R) - utilizzando l'apposita modulistica (mod. sub neocomunitari) disponibile sul sito del Ministero dell'Interno (www.interno.it) e del Ministero del Lavoro, Salute e Politiche Sociali (www.lavoro.gov.it).
Per la definizione di tali istanze lo Sportello Unico per l'Immigrazione della provincia ove sarà svolta l'attività lavorativa, rilascerà il prescritto nulla osta tramite la procedura semplificata descritta nelle citate circolari.
IL MINISTERO DELL'INTERNO
IL MINISTERO DEL LAVORO, SALUTE E POLITICHE SOCIALI

L'occupazione acquisitiva non esiste più

Non può ritenersi vigente l’istituto della c.d. occupazione acquisitiva
TAR Sicilia-Palermo, sez. III, sentenza 08.01.2009 n° 10

I Giudici siciliani, con l’arresto in esame, ribadiscono il tramonto dell’istituto, di creazione giurisprudenziale, noto come occupazione acquisitiva o occupazione espropriativa (od ancora come accessione invertita).
Sulla scia di quanto recentemente affermato dai colleghi di Palazzo Spada, il TAR Sicilia- Palermo ritiene che la mera trasformazione di un bene, seppur finalizzata al suo uso pubblico, non ne comporta l’acquisizione al patrimonio dell’ente pubblico che lo utilizza, il quale può divenirne proprietario esclusivamente ove esperisca il particolare procedimento previsto ex art. 43
d.P.R. n. 327/2001 (cfr. Cons.di Stato. A.P. n. 2/2005; Cons. di Stato, IV, n. 5830/2007 e Cons. di Stato, IV, n. 3752/2007).
I Giudici di prime cure richiamano testualmente le parole del Supremo Consesso: "L'istituto giurisprudenziale dell'occupazione espropriativa - secondo il quale, anche in assenza di un atto di natura ablatoria, l'amministrazione acquisirebbe a titolo originario la proprietà dell'area altrui, quando su di essa ha realizzato in tutto o in parte un'opera pubblica, in attuazione della dichiarazione della pubblica utilità, con conseguente decorso, dalla data in cui si verifica tale acquisto, del termine quinquennale per il risarcimento del danno - non può ritenersi vigente, sia in quanto non è conforme ai principi della convenzione europea del diritti dell'uomo e del diritto comunitario, che precludono di ravvisare un'espropriazione "indiretta" o "sostanziale" in assenza di un idoneo titolo legale, sia in quanto è incompatibile con l'art. 43
d.P.R. 327/2001, che attribuisce all'amministrazione il potere discrezionale di acquisire in sanatoria, con atto ablativo formale, la proprietà delle aree occupate nell'interesse pubblico in carenza di titolo, escludendo così che una simile acquisizione possa avvenire in via di mero fatto" (Consiglio Stato, sez. IV, 21 maggio 2007, n. 2582).
Il TAR, inoltre, afferma che rientra nella giurisdizione esclusiva del G.A., ai sensi dell’art. 34 del
d.lgs. 80/1998, come modificato dall’art. 7, legge 205/2000 - sul punto non inciso dalla sentenza della Consulta n. 204/2004 - un’azione promossa dai proprietari di un’area occupata dalla P.A. nell’ambito di una procedura espropriativa, a seguito dell’annullamento in sede giurisdizionale della dichiarazione di p.u. .
Il Collegio, successivamente, alla luce dei principi testé esposti, specifica che, nella fattispecie de qua, non è intervenuto alcun acquisto da parte del Comune dei terreni di proprietà dei ricorrenti, oggetto di causa, in conseguenza delle opere di trasformazione realizzate su tali beni.
Pertanto, non può essere accolta la domanda diretta ad ottenere il risarcimento danni per la c.d. "occupazione acquisitiva", in assenza dell’avvenuta acquisizione dei terreni dei ricorrenti in favore del Comune (rectius in mancanza di apposito provvedimento di acquisizione sanante ex art. 43,
T.U. espropriazioni per p.u.).
Tuttavia, proprio alla luce della richiamata giurisprudenza del Consiglio di Stato è, invece, fondata la domanda, proposta in via alternativa a quella risarcitoria, di restituzione dei beni di loro proprietà, illegittimamente occupati e detenuti sine titulo dall’amministrazione resistente.
Va, altresì, accolta la domanda di risarcimento dei danni conseguenti all’illegittima occupazione dell’area da parte dell’ amministrazione, a decorrere dalla data di immissione in possesso, atteso che, a seguito dell’annullamento in s.g. degli atti del procedimento espropriativo - segnatamente del decreto di occupazione di tali terreni - è venuto meno il titolo che legittimava il Comune a detenere l’area; conseguentemente la sua detenzione, senza titolo, è fonte di un credito risarcitorio in favore dei proprietari che sono stati ingiustamente privati dell’uso degli stessi terreni.
(Altalex, 15 gennaio 2009. Nota di Francesco Logiudice)


T.A.R.
Sicilia - Palermo
Sezione III
Sentenza 8 gennaio 2009, n. 10
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia
(Sezione Terza)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

Sul ricorso numero di registro generale 4264 del 2004, proposto da:
C. M. (nata il ****), C. Maria (nata il ****), C. A., C. F. e C. L., rappresentati e difesi dall'avv. Franco Lupo, con domicilio eletto in Palermo, piazza G. Amendola 43 presso lo studio dell’avv. Tommaso Raimondo;
contro
Comune di Bagheria, in persona del sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall’avv. Angela Rizzo, elettivamente domiciliato in Palermo, via Caltanissetta N.1 presso lo studio dell’avv. Massimo Fricano;
quanto al ricorso principale:
richiesta risarcimento danni per illecito acquisto di terreno a seguito di accessione invertita, nonché per l’illegittima reiterazione del vincolo destinato all’esproprio;
quanto ai motivi aggiunti:
richiesta di rilascio dei fondi in questione, in alternativa al già richiesto risarcimento;
richiesta risarcimento per l’illegittima occupazione dei fondi in questione a far data dall’agosto 2002.
Visto il ricorso con i relativi allegati;
Visti i motivi aggiunti;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di Comune di Bagheria;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 20/11/2008 il dott. Nicola Maisano e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue:
FATTO
Con ricorso notificato in data 19.7.2004 e depositato il successivo 21.7 i ricorrenti hanno chiesto che il Comune di Bagheria venisse condannato al risarcimento, in loro favore dei danni conseguenti all’illecito acquisto da parte del Comune, del terreno di loro proprietà sito in Bagheria, via ****, a seguito di accessione invertita, nonché per l’illegittima reiterazione del vincolo destinato all’esproprio su detto terreno.
Il Comune si è costituito in giudizio, replicando con memoria alle tesi articolate in ricorso e chiedendo che venga dichiarato inammissibile o comunque respinto.
Successivamente con motivi aggiunti, notificati e depositati nel giugno 2008 i ricorrenti hanno modificato le domande originariamente proposte in quanto: hanno chiesto la restituzione dei terreni indebitamente occupati dal Comune di Bagheria, in alternativa al risarcimento danni per occupazione acquisitiva degli stessi; hanno espressamente rinunziato alla domanda di risarcimento danni per l’illegittima reiterazione del vincolo destinato all’esproprio; hanno chiesto il risarcimento dei danni conseguenti all’illegittima occupazione dei terreni in questione a far data dall’agosto 2002.
All’udienza fissata per la trattazione del ricorso i procuratori delle parti hanno insistito nelle rispettive posizioni ed il ricorso è stato posto in decisione.
DIRITTO
La presente controversia trova origine da un procedimento di espropriazione posto in essere dal Comune di Bagheria, con riguardo ad alcuni terreni dei ricorrenti, per la realizzazione di un parcheggio, in esecuzione delle prescrizioni del p.r.g. - adottato con delibera del commissario ad acta n. 238 del 23.11.1998 ed approvato con decreto dell’Assessore Regionale Territorio ed Ambiente dell’8 aprile 2002 - nonchè del piano parcheggi del Comune.
Sia gli atti di carattere programmatorio che quelli esecutivi dell’espropriazione sono stati impugnati dagli odierni ricorrenti, in via giurisdizionale, ed annullati da questo Tribunale con sentenza, divenuta definitiva, n. 1159/2003.
A seguito di quest’ultima pronunzia i ricorrenti hanno quindi proposto l’attuale controversia con la quale hanno chiesto, con l’iniziale ricorso, il risarcimento del danno conseguente all’occupazione acquisitiva del loro terreno da parte del Comune di Bagheria, nonché di quello derivante dalla reiterazione dei vincoli espropriativi; con i motivi aggiunti hanno poi modificato le domande già proposte, chiedendo la restituzione dei terreni indebitamente occupati dal Comune di Bagheria, in alternativa al risarcimento danni per occupazione acquisitiva degli stessi, nonchè il risarcimento dei danni conseguenti all’illegittima occupazione dei terreni in questione a far data dall’agosto 2002.
In via preliminare, anche con riferimento alla relativa eccezione sollevata dalla difesa del Comune di Bagheria, deve essere chiarito che la presente controversia rientra nella giurisdizione del Giudice Amministrativo, in virtù dell’art. 34 del D.Lvo. n. 80/1998 come modificato dall’art. 5 della legge n. 205/2000, sul punto non inciso dalla pronunzia della Corte Costituzionale n. 204/2004.
Invero l’occupazione dei terreni dei ricorrenti è comunque conseguente ad una dichiarazione di p.u., poi annullata in sede giurisdizionale (cfr. Cons. di Stato, IV 3.9.2008 n. 4112, Cons. di Stato, IV, 16.11.2007 n. 5830), ed anche a seguito dell’assetto conseguente all’intervento del Giudice delle leggi, tali casi rientrano nella giurisdizione del Giudice Amministrativo (Cons. di Stato A. P. n. 2/2006).
Ciò precisato, le domande proposte dai ricorrenti con i motivi aggiunti sono fondate e devono essere accolte, nei sensi che verranno precisati.
Il Consiglio di Stato ha avuto modo di chiarire che “L'istituto giurisprudenziale dell'occupazione espropriativa - secondo il quale, anche in assenza di un atto di natura ablatoria, l'amministrazione acquisirebbe a titolo originario la proprietà dell'area altrui, quando su di essa ha realizzato in tutto o in parte un'opera pubblica, in attuazione della dichiarazione della pubblica utilità, con conseguente decorso, dalla data in cui si verifica tale acquisto, del termine quinquennale per il risarcimento del danno - non può ritenersi vigente, sia in quanto non è conforme ai principi della convenzione europea del diritti dell'uomo e del diritto comunitario, che precludono di ravvisare un'espropriazione "indiretta" o "sostanziale" in assenza di un idoneo titolo legale, sia in quanto è incompatibile con l'art. 43 d.P.R. 327/2001, che attribuisce all'amministrazione il potere discrezionale di acquisire in sanatoria, con atto ablativo formale, la proprietà delle aree occupate nell'interesse pubblico in carenza di titolo, escludendo così che una simile acquisizione possa avvenire in via di mero fatto” (Consiglio Stato, sez. IV, 21 maggio 2007, n. 2582).
Conseguentemente la mera trasformazione di un bene, seppur finalizzata al suo uso pubblico, non ne comporta la sua acquisizione al patrimonio dell’ente pubblico che lo utilizza, che ne può divenire proprietario solo ove esperisca il particolare procedimento previsto dall’art. 43 D.P.R. n. 327/2001 (Cons.di Stato. A.P. n. 2/2005; Cons. di Stato, IV, 16.11.2007 n. 5830 e Cons. di Stato, IV, 27.6.2007 n. 3752).
Alla luce di tali principi che il Collegio ritiene condivisibili, e dai quali non ritiene pertanto di doversi discostare, nella fattispecie per cui è causa non è intervenuto alcun acquisto da parte del Comune di Bagheria dei terreni di proprietà dei ricorrenti, oggetto di causa, in conseguenza dalle opere di trasformazione realizzate su tali beni.
Conseguentemente non può essere accolta la domanda diretta ad ottenere il risarcimento danni per la così detta“occupazione acquisitiva”, in assenza dell’avvenuta acquisizione dei terreni dei ricorrenti in favore del Comune di Bagheria.
Proprio alla luce della richiamata giurisprudenza del Consiglio di Stato, è invece fondata la domanda, proposta in via alternativa a quella risarcitoria, di restituzione dei beni di loro proprietà, illegittimamente occupati e detenuti sine titulo dall’amministrazione resistente.
Invero non risulta che il Comune abbia attivato il particolare procedimento previsto dall’art. 43 del D.P.R. n. 327/2001, volto all’acquisizione dei beni occupati e trasformati, neanche dopo che i ricorrenti hanno avanzato nel presente giudizio – con i motivi aggiunti notificati nel giugno 2008 – espressa domanda di restituzione dei terreni di loro proprietà, oggetto di controversia.
Peraltro, sembra utile precisare, proprio al fine di non pregiudicare le eventuali iniziative di spettanza del Comune resistente, è stata differita la trattazione del presente ricorso, che era già fissata per il 1° luglio 2008, prima che fossero maturati i termini di difesa per tale amministrazione, con riferimento alla proposizione dei motivi aggiunti.
In definitiva è fondata la domanda avanzata dagli odierni ricorrenti di restituzione dei beni in questione di cui sono sempre rimasti proprietari.
Altresì fondata è la domanda di risarcimento dei danni conseguenti all’illegittima occupazione di tali terreni da parte del Comune di Bagheria a decorrere dall’agosto 2002.
Infatti a seguito dell’annullamento giurisdizionale degli atti del procedimento espropriativo intentato dall’amministrazione resistente, e segnatamente del decreto di occupazione di tali terreni, è venuto meno il titolo che legittimava Comune di Bagheria a detenerli; conseguentemente la loro detenzione, senza titolo, è fonte di un credito risarcitorio in favore dei proprietari che sono stati ingiustamente privati dell’uso degli stessi terreni.
La quantificazione del risarcimento spettante ai ricorrenti, sulla base del valore venale dell’utilità sottratta ai proprietari, dovrà essere effettuato dal Comune di Bagheria, ai sensi del secondo comma dell’art. 35 del D.Lvo n. 80/1998, come modificato dall’art. 7 della legge n. 205/2000, entro il termine di sessanta giorni dalla notifica o dalla comunicazione in via amministrativa della presente sentenza.
In conclusione le pretese azionate dai ricorrenti con il ricorso in epigrafe possono essere accolte, nei sensi indicati.
Le spese seguono la soccombenza e devono essere liquidate, in favore dei ricorrenti nella misura di €. 2.500,00 oltre I.V.A. e c.p.a.
P.Q.M.
il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia, Sezione terza, accoglie il ricorso in epigrafe, nei sensi indicati in motivazione.
Pone a carico dell’amministrazione intimata le spese del giudizio, che liquida, in favore dei ricorrenti, nella misura di €. 2.500,00, oltre I.V.A. e c.p.a.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Palermo nella camera di consiglio del giorno 20/11/2008 con l'intervento dei Magistrati:
Calogero Adamo, Presidente
Nicola Maisano, Primo Referendario, Estensore
Maria Cappellano, Referendario
DEPOSITATA IN SEGRETERIA IL 08/01/2009.

L'occupazione acquisitiva non esiste più

Non può ritenersi vigente l’istituto della c.d. occupazione acquisitiva
TAR Sicilia-Palermo, sez. III, sentenza 08.01.2009 n° 10

I Giudici siciliani, con l’arresto in esame, ribadiscono il tramonto dell’istituto, di creazione giurisprudenziale, noto come occupazione acquisitiva o occupazione espropriativa (od ancora come accessione invertita).
Sulla scia di quanto recentemente affermato dai colleghi di Palazzo Spada, il TAR Sicilia- Palermo ritiene che la mera trasformazione di un bene, seppur finalizzata al suo uso pubblico, non ne comporta l’acquisizione al patrimonio dell’ente pubblico che lo utilizza, il quale può divenirne proprietario esclusivamente ove esperisca il particolare procedimento previsto ex art. 43
d.P.R. n. 327/2001 (cfr. Cons.di Stato. A.P. n. 2/2005; Cons. di Stato, IV, n. 5830/2007 e Cons. di Stato, IV, n. 3752/2007).
I Giudici di prime cure richiamano testualmente le parole del Supremo Consesso: "L'istituto giurisprudenziale dell'occupazione espropriativa - secondo il quale, anche in assenza di un atto di natura ablatoria, l'amministrazione acquisirebbe a titolo originario la proprietà dell'area altrui, quando su di essa ha realizzato in tutto o in parte un'opera pubblica, in attuazione della dichiarazione della pubblica utilità, con conseguente decorso, dalla data in cui si verifica tale acquisto, del termine quinquennale per il risarcimento del danno - non può ritenersi vigente, sia in quanto non è conforme ai principi della convenzione europea del diritti dell'uomo e del diritto comunitario, che precludono di ravvisare un'espropriazione "indiretta" o "sostanziale" in assenza di un idoneo titolo legale, sia in quanto è incompatibile con l'art. 43
d.P.R. 327/2001, che attribuisce all'amministrazione il potere discrezionale di acquisire in sanatoria, con atto ablativo formale, la proprietà delle aree occupate nell'interesse pubblico in carenza di titolo, escludendo così che una simile acquisizione possa avvenire in via di mero fatto" (Consiglio Stato, sez. IV, 21 maggio 2007, n. 2582).
Il TAR, inoltre, afferma che rientra nella giurisdizione esclusiva del G.A., ai sensi dell’art. 34 del
d.lgs. 80/1998, come modificato dall’art. 7, legge 205/2000 - sul punto non inciso dalla sentenza della Consulta n. 204/2004 - un’azione promossa dai proprietari di un’area occupata dalla P.A. nell’ambito di una procedura espropriativa, a seguito dell’annullamento in sede giurisdizionale della dichiarazione di p.u. .
Il Collegio, successivamente, alla luce dei principi testé esposti, specifica che, nella fattispecie de qua, non è intervenuto alcun acquisto da parte del Comune dei terreni di proprietà dei ricorrenti, oggetto di causa, in conseguenza delle opere di trasformazione realizzate su tali beni.
Pertanto, non può essere accolta la domanda diretta ad ottenere il risarcimento danni per la c.d. "occupazione acquisitiva", in assenza dell’avvenuta acquisizione dei terreni dei ricorrenti in favore del Comune (rectius in mancanza di apposito provvedimento di acquisizione sanante ex art. 43,
T.U. espropriazioni per p.u.).
Tuttavia, proprio alla luce della richiamata giurisprudenza del Consiglio di Stato è, invece, fondata la domanda, proposta in via alternativa a quella risarcitoria, di restituzione dei beni di loro proprietà, illegittimamente occupati e detenuti sine titulo dall’amministrazione resistente.
Va, altresì, accolta la domanda di risarcimento dei danni conseguenti all’illegittima occupazione dell’area da parte dell’ amministrazione, a decorrere dalla data di immissione in possesso, atteso che, a seguito dell’annullamento in s.g. degli atti del procedimento espropriativo - segnatamente del decreto di occupazione di tali terreni - è venuto meno il titolo che legittimava il Comune a detenere l’area; conseguentemente la sua detenzione, senza titolo, è fonte di un credito risarcitorio in favore dei proprietari che sono stati ingiustamente privati dell’uso degli stessi terreni.
(Altalex, 15 gennaio 2009. Nota di Francesco Logiudice)


T.A.R.
Sicilia - Palermo
Sezione III
Sentenza 8 gennaio 2009, n. 10
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia
(Sezione Terza)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

Sul ricorso numero di registro generale 4264 del 2004, proposto da:
C. M. (nata il ****), C. Maria (nata il ****), C. A., C. F. e C. L., rappresentati e difesi dall'avv. Franco Lupo, con domicilio eletto in Palermo, piazza G. Amendola 43 presso lo studio dell’avv. Tommaso Raimondo;
contro
Comune di Bagheria, in persona del sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall’avv. Angela Rizzo, elettivamente domiciliato in Palermo, via Caltanissetta N.1 presso lo studio dell’avv. Massimo Fricano;
quanto al ricorso principale:
richiesta risarcimento danni per illecito acquisto di terreno a seguito di accessione invertita, nonché per l’illegittima reiterazione del vincolo destinato all’esproprio;
quanto ai motivi aggiunti:
richiesta di rilascio dei fondi in questione, in alternativa al già richiesto risarcimento;
richiesta risarcimento per l’illegittima occupazione dei fondi in questione a far data dall’agosto 2002.
Visto il ricorso con i relativi allegati;
Visti i motivi aggiunti;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di Comune di Bagheria;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 20/11/2008 il dott. Nicola Maisano e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue:
FATTO
Con ricorso notificato in data 19.7.2004 e depositato il successivo 21.7 i ricorrenti hanno chiesto che il Comune di Bagheria venisse condannato al risarcimento, in loro favore dei danni conseguenti all’illecito acquisto da parte del Comune, del terreno di loro proprietà sito in Bagheria, via ****, a seguito di accessione invertita, nonché per l’illegittima reiterazione del vincolo destinato all’esproprio su detto terreno.
Il Comune si è costituito in giudizio, replicando con memoria alle tesi articolate in ricorso e chiedendo che venga dichiarato inammissibile o comunque respinto.
Successivamente con motivi aggiunti, notificati e depositati nel giugno 2008 i ricorrenti hanno modificato le domande originariamente proposte in quanto: hanno chiesto la restituzione dei terreni indebitamente occupati dal Comune di Bagheria, in alternativa al risarcimento danni per occupazione acquisitiva degli stessi; hanno espressamente rinunziato alla domanda di risarcimento danni per l’illegittima reiterazione del vincolo destinato all’esproprio; hanno chiesto il risarcimento dei danni conseguenti all’illegittima occupazione dei terreni in questione a far data dall’agosto 2002.
All’udienza fissata per la trattazione del ricorso i procuratori delle parti hanno insistito nelle rispettive posizioni ed il ricorso è stato posto in decisione.
DIRITTO
La presente controversia trova origine da un procedimento di espropriazione posto in essere dal Comune di Bagheria, con riguardo ad alcuni terreni dei ricorrenti, per la realizzazione di un parcheggio, in esecuzione delle prescrizioni del p.r.g. - adottato con delibera del commissario ad acta n. 238 del 23.11.1998 ed approvato con decreto dell’Assessore Regionale Territorio ed Ambiente dell’8 aprile 2002 - nonchè del piano parcheggi del Comune.
Sia gli atti di carattere programmatorio che quelli esecutivi dell’espropriazione sono stati impugnati dagli odierni ricorrenti, in via giurisdizionale, ed annullati da questo Tribunale con sentenza, divenuta definitiva, n. 1159/2003.
A seguito di quest’ultima pronunzia i ricorrenti hanno quindi proposto l’attuale controversia con la quale hanno chiesto, con l’iniziale ricorso, il risarcimento del danno conseguente all’occupazione acquisitiva del loro terreno da parte del Comune di Bagheria, nonché di quello derivante dalla reiterazione dei vincoli espropriativi; con i motivi aggiunti hanno poi modificato le domande già proposte, chiedendo la restituzione dei terreni indebitamente occupati dal Comune di Bagheria, in alternativa al risarcimento danni per occupazione acquisitiva degli stessi, nonchè il risarcimento dei danni conseguenti all’illegittima occupazione dei terreni in questione a far data dall’agosto 2002.
In via preliminare, anche con riferimento alla relativa eccezione sollevata dalla difesa del Comune di Bagheria, deve essere chiarito che la presente controversia rientra nella giurisdizione del Giudice Amministrativo, in virtù dell’art. 34 del D.Lvo. n. 80/1998 come modificato dall’art. 5 della legge n. 205/2000, sul punto non inciso dalla pronunzia della Corte Costituzionale n. 204/2004.
Invero l’occupazione dei terreni dei ricorrenti è comunque conseguente ad una dichiarazione di p.u., poi annullata in sede giurisdizionale (cfr. Cons. di Stato, IV 3.9.2008 n. 4112, Cons. di Stato, IV, 16.11.2007 n. 5830), ed anche a seguito dell’assetto conseguente all’intervento del Giudice delle leggi, tali casi rientrano nella giurisdizione del Giudice Amministrativo (Cons. di Stato A. P. n. 2/2006).
Ciò precisato, le domande proposte dai ricorrenti con i motivi aggiunti sono fondate e devono essere accolte, nei sensi che verranno precisati.
Il Consiglio di Stato ha avuto modo di chiarire che “L'istituto giurisprudenziale dell'occupazione espropriativa - secondo il quale, anche in assenza di un atto di natura ablatoria, l'amministrazione acquisirebbe a titolo originario la proprietà dell'area altrui, quando su di essa ha realizzato in tutto o in parte un'opera pubblica, in attuazione della dichiarazione della pubblica utilità, con conseguente decorso, dalla data in cui si verifica tale acquisto, del termine quinquennale per il risarcimento del danno - non può ritenersi vigente, sia in quanto non è conforme ai principi della convenzione europea del diritti dell'uomo e del diritto comunitario, che precludono di ravvisare un'espropriazione "indiretta" o "sostanziale" in assenza di un idoneo titolo legale, sia in quanto è incompatibile con l'art. 43 d.P.R. 327/2001, che attribuisce all'amministrazione il potere discrezionale di acquisire in sanatoria, con atto ablativo formale, la proprietà delle aree occupate nell'interesse pubblico in carenza di titolo, escludendo così che una simile acquisizione possa avvenire in via di mero fatto” (Consiglio Stato, sez. IV, 21 maggio 2007, n. 2582).
Conseguentemente la mera trasformazione di un bene, seppur finalizzata al suo uso pubblico, non ne comporta la sua acquisizione al patrimonio dell’ente pubblico che lo utilizza, che ne può divenire proprietario solo ove esperisca il particolare procedimento previsto dall’art. 43 D.P.R. n. 327/2001 (Cons.di Stato. A.P. n. 2/2005; Cons. di Stato, IV, 16.11.2007 n. 5830 e Cons. di Stato, IV, 27.6.2007 n. 3752).
Alla luce di tali principi che il Collegio ritiene condivisibili, e dai quali non ritiene pertanto di doversi discostare, nella fattispecie per cui è causa non è intervenuto alcun acquisto da parte del Comune di Bagheria dei terreni di proprietà dei ricorrenti, oggetto di causa, in conseguenza dalle opere di trasformazione realizzate su tali beni.
Conseguentemente non può essere accolta la domanda diretta ad ottenere il risarcimento danni per la così detta“occupazione acquisitiva”, in assenza dell’avvenuta acquisizione dei terreni dei ricorrenti in favore del Comune di Bagheria.
Proprio alla luce della richiamata giurisprudenza del Consiglio di Stato, è invece fondata la domanda, proposta in via alternativa a quella risarcitoria, di restituzione dei beni di loro proprietà, illegittimamente occupati e detenuti sine titulo dall’amministrazione resistente.
Invero non risulta che il Comune abbia attivato il particolare procedimento previsto dall’art. 43 del D.P.R. n. 327/2001, volto all’acquisizione dei beni occupati e trasformati, neanche dopo che i ricorrenti hanno avanzato nel presente giudizio – con i motivi aggiunti notificati nel giugno 2008 – espressa domanda di restituzione dei terreni di loro proprietà, oggetto di controversia.
Peraltro, sembra utile precisare, proprio al fine di non pregiudicare le eventuali iniziative di spettanza del Comune resistente, è stata differita la trattazione del presente ricorso, che era già fissata per il 1° luglio 2008, prima che fossero maturati i termini di difesa per tale amministrazione, con riferimento alla proposizione dei motivi aggiunti.
In definitiva è fondata la domanda avanzata dagli odierni ricorrenti di restituzione dei beni in questione di cui sono sempre rimasti proprietari.
Altresì fondata è la domanda di risarcimento dei danni conseguenti all’illegittima occupazione di tali terreni da parte del Comune di Bagheria a decorrere dall’agosto 2002.
Infatti a seguito dell’annullamento giurisdizionale degli atti del procedimento espropriativo intentato dall’amministrazione resistente, e segnatamente del decreto di occupazione di tali terreni, è venuto meno il titolo che legittimava Comune di Bagheria a detenerli; conseguentemente la loro detenzione, senza titolo, è fonte di un credito risarcitorio in favore dei proprietari che sono stati ingiustamente privati dell’uso degli stessi terreni.
La quantificazione del risarcimento spettante ai ricorrenti, sulla base del valore venale dell’utilità sottratta ai proprietari, dovrà essere effettuato dal Comune di Bagheria, ai sensi del secondo comma dell’art. 35 del D.Lvo n. 80/1998, come modificato dall’art. 7 della legge n. 205/2000, entro il termine di sessanta giorni dalla notifica o dalla comunicazione in via amministrativa della presente sentenza.
In conclusione le pretese azionate dai ricorrenti con il ricorso in epigrafe possono essere accolte, nei sensi indicati.
Le spese seguono la soccombenza e devono essere liquidate, in favore dei ricorrenti nella misura di €. 2.500,00 oltre I.V.A. e c.p.a.
P.Q.M.
il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia, Sezione terza, accoglie il ricorso in epigrafe, nei sensi indicati in motivazione.
Pone a carico dell’amministrazione intimata le spese del giudizio, che liquida, in favore dei ricorrenti, nella misura di €. 2.500,00, oltre I.V.A. e c.p.a.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Palermo nella camera di consiglio del giorno 20/11/2008 con l'intervento dei Magistrati:
Calogero Adamo, Presidente
Nicola Maisano, Primo Referendario, Estensore
Maria Cappellano, Referendario
DEPOSITATA IN SEGRETERIA IL 08/01/2009.

Decreto Anti Crisi e Mutui prima casa


Mutui prima casa: le novità introdotte dal decreto anticrisi
Circolare Ministero Economia e finanze 29.12.2008 n° 17852

Per i mutui a tasso non fisso erogati entro il 31 ottobre 2008 a persone fisiche per l'acquisto, la costruzione e la ristrutturazione dell'abitazione principale ad eccezione di quelle di categoria A1, A8 e A9, le rate da corrispondere nel 2009 sono calcolate con riferimento al maggiore tra un tasso di interesse pari al 4%, senza spread, spese varie o altro tipo di maggiorazione e il tasso contrattuale alla data di sottoscrizione del contratto e, comunque, per un ammontare non superiore a quanto previsto dalle condizioni contrattuali in essere.
E' quanto spiega la Circolare 29 dicembre 2008, n. 17852 con la quale il Ministero dell'Economia e delle Finanze illustra alcune delle novità introdotte con il decreto-legge 29 novembre 2008, n. 185 in materia di mutui per la prima casa, precisando che la differenza tra gli importi a carico del mutuatario e le rate da corrispondere, in base al contratto di mutuo sottoscritto, è a carico dello Stato.
In particolare, il contributo dello Stato a favore dei mutuatari per la riduzione dell'importo delle rate di mutuo a tasso non fisso nel corso del 2009 viene corrisposto dalle banche mutuanti, senza alcun costo per il cliente, alla data di scadenza di ciascuna rata.Le rate interessate sono tutte quelle da corrispondere nel corso del 2009 ed il criterio di calcolo individuato dalla legge si applica all'intero importo della rata (non solo al rateo riferibile al 2009).
(Altalex, 15 gennaio 2009)


MINISTERO DELL'ECONOMIA E DELLE FINANZE,
CIRCOLARE 29 dicembre 2008, n. 17852

Articolo 2 del decreto-legge 29 novembre 2008, n. 185 - Mutui prima casa.
Agli istituti autorizzati all'esercizio dell'attivita' bancaria
Premessa
L'art. 2, commi da 1 a 3 del decreto-legge 29 novembre 2008, n. 185 prevede che per i mutui a tasso non fisso erogati entro il 31 ottobre 2008 a persone fisiche per l'acquisto, la costruzione e la ristrutturazione dell'abitazione principale ad eccezione di quelle di categoria A1, A8 e A9, le rate da corrispondere nel 2009 siano calcolate con riferimento al maggiore tra un tasso di interesse pari al 4%, senza spread, spese varie o altro tipo di maggiorazione e il tasso contrattuale alla data di sottoscrizione del contratto e, comunque, per un ammontare non superiore a quanto previsto dalle condizioni contrattuali in essere.
Il provvedimento si applica anche ai mutui che sono stati oggetto di operazioni di rinegoziazione di cui all'art. 3 del decreto-legge 28 maggio 2008, n. 93 convertito dalla legge 24 luglio 2008, n. 126.
La differenza tra gli importi a carico del mutuatario ai sensi dell'art. 2 comma 1 del decreto-legge n. 185/2008 e le rate da corrispondere ai sensi del contratto di mutuo sottoscritto, e' posta a carico dello Stato.
E' previsto inoltre che, con provvedimento del direttore dell'Agenzia delle entrate, siano definite le modalita' tecniche per il pagamento della differenza.Nelle more della procedura di conversione del decreto-legge n. 185, si ritiene opportuno fornire alcuni chiarimenti interpretativi per la concreta applicazione delle disposizioni sopra richiamate.
Modalita' per la corresponsione del contributo
Il contributo dello Stato a favore dei mutuatari per la riduzione dell'importo delle rate di mutuo a tasso non fisso nel corso del 2009 - ai sensi dell'art. 2, commi da 1 a 3 del decreto-legge n. 185/2008 - viene corrisposto dalle banche mutuanti, senza alcun costo per il cliente, alla data di scadenza di ciascuna rata.Le rate interessate sono tutte quelle da corrispondere nel corso del 2009.Il criterio di calcolo individuato dalla legge si applica all'intero importo della rata e non solo al rateo riferibile al 2009.
La banca mutuante, a causa di difficolta' di carattere organizzativo, potrebbe non essere in condizioni di corrispondere il contributo gia' per le prime rate in scadenza nel 2009. Si ravvisa l'obbligo di adoperarsi per contenere al massimo eventuali ritardi, che comunque non dovrebbero ragionevolmente estendersi oltre il mese di febbraio 2009.
Il mutuatario deve naturalmente essere tenuto indenne da ogni effetto di tali ritardi. In particolare, ogni contributo deve essere accreditato con valuta del giorno di scadenza della rata cui e' relativo.
In caso di mutui che sono stati oggetto di operazioni di cartolarizzazione o di emissione di obbligazioni bancarie garantite, ai sensi della legge 30 aprile 1999, n. 130, il contributo viene corrisposto dalla banca cedente (originator) ovvero dal soggetto incaricato della riscossione dei crediti ceduti e dei servizi di cassa e di pagamento (servicer).
Roma, 29 dicembre 2008.
Il direttore generale del Tesoro: Grilli

Decreto flussi: le istruzioni per le domande di nulla osta per il lavoro in somministrazione

Le agenzie per il lavoro possono fare domanda di nulla osta per l’ingresso di lavoratori non comunitari per motivi di lavoro in somministraz...