lunedì 5 gennaio 2009

Sicurezza sul Lavoro nel diritto comunitario

Il datore di lavoro e le sue responsabilità in materia di sicurezza e tutela dei lavoratori secondo il diritto comunitario
di Paola Balbo in www.altalex.com

Ogni qualvolta si riaccendono il confronto e la polemica sui temi della sicurezza e della salute dei lavoratori durante il lavoro, potrebbe essere utile ripercorrere la direttiva 391/89/CEE del 12 giugno 1989 che ha segnato il passo in questa materia fissando principi generali e dando il via, in ragione delle modalità della sua applicazione da parte degli Stati membri, ad una serie di interpretazioni pregiudiziali davanti alla Corte di Giustizia delle Comunità europee che oggi appaiono ancor più determinanti guardando ai recenti episodi di ‘morti bianche’ che hanno scosso l’opinione generale italiana.
Il preambolo costituisce, come in ogni caso nelle direttive comunitarie, una fonte preliminare di indicazioni preziose. Poiché esistevano già nei diversi Stati membri delle norme relative a diversi settori, si fa richiamo in prima battuta all’articolo 118 A del trattato che prevede che il Consiglio adotti le prescrizioni minime per promuovere il miglioramento in particolare dell'ambiente di lavoro, per garantire un più elevato livello di protezione della sicurezza e della salute dei lavoratori.
Si precisa inoltre che, posto che negli Stati membri i sistemi legislativi in materia di sicurezza e di salute sul luogo di lavoro sono molto differenti e meritano di essere migliorati e che simili disposizioni nazionali in materia, spesso integrate da disposizioni tecniche e/o da norme volontarie, possono consentire vari livelli di protezione della sicurezza e della salute e dar luogo ad una concorrenza a scapito della sicurezza e della salute, la direttiva in questione non può giustificare l'eventuale riduzione dei livelli di protezione già raggiunti in ciascuno Stato membro, poiché gli Stati membri in virtù del trattato stanno cercando di promuovere il miglioramento delle condizioni esistenti in questo settore e si sono prefissi l'obiettivo dell'armonizzazione di dette condizioni nel progresso.
Nella direttiva del 1989, dunque 17 anni fa, si deplorava il fatto che vi fossero ancora troppi infortuni sul lavoro e malattie professionali a fronte dei quali si è imposta la necessità di adottare o migliorare senza indugio misure preventive per preservare la sicurezza e la salute dei lavoratori in modo da assicurare un miglior livello di protezione. Si stabilisce infine che per garantire un miglior livello di protezione è necessario che i lavoratori e/o i loro rappresentanti siano informati circa i rischi per la sicurezza e la salute e circa le misure occorrenti per ridurre o sopprimere questi rischi e inoltre essi siano in grado di contribuire, con una partecipazione equilibrata, conformemente alle legislazioni e/o prassi nazionali, all'adozione delle necessarie misure di protezione.
Stante la definizione di cui all’art. 3, lett. d) della direttiva 391/89/CEE la prevenzione consta del complesso delle disposizioni o misure prese o previste in tutte le fasi dell'attività nell'impresa per evitare o diminuire i rischi professionali. È con il primo comma dell’art. 5 che si entra nel merito delle prescrizioni in capo ai datori di lavoro. « Il datore di lavoro è obbligato a garantire la sicurezza e la salute dei lavoratori in tutti gli aspetti connessi con il lavoro». « Gli obblighi dei lavoratori nel settore della sicurezza e della salute durante il lavoro non intaccano il principio della responsabilità del datore di lavoro» (comma 3).
«La presente direttiva non esclude la facoltà degli Stati membri di prevedere l'esclusione o la diminuzione della responsabilità dei datori di lavoro per fatti dovuti a circostanze a loro estranee, eccezionali e imprevedibili, o a eventi eccezionali, le conseguenze dei quali sarebbero state comunque inevitabili, malgrado la diligenza osservata (comma 4)».
Gli articoli 6, 7 e 8 dettagliano gli oneri la cui inosservanza, si deduce, comporterà inevitabili responsabilità civili e penali:
Articolo 6 - Obblighi generali dei datori di lavoro
1. Nel quadro delle proprie responsabilità il datore di lavoro prende le misure necessarie per la protezione della sicurezza e della salute dei lavoratori, comprese le attività di prevenzione dei rischi professionali, d'informazione e di formazione, nonché l'approntamento di un'organizzazione e dei mezzi necessari.
Il datore di lavoro deve provvedere costantemente all'aggiornamento di queste misure, per tener conto dei mutamenti di circostanze e mirare al miglioramento delle situazioni esistenti.
2. Il datore di lavoro mette in atto le misure previste al paragrafo 1, primo comma, basandosi sui seguenti principi generali di prevenzione:
a) evitare i rischi;
b) valutare i rischi che non possono essere evitati;
c) combattere i rischi alla fonte;
d) adeguare il lavoro all'uomo, in particolare per quanto concerne la concezione dei posti di lavoro e la scelta delle attrezzature di lavoro e dei metodi di lavoro e di produzione, in particolare per attenuare il lavoro monotono e il lavoro ripetitivo e per ridurre gli effetti di questi lavori sulla salute.
e) tener conto del grado di evoluzione della tecnica;
f) sostituire ciò che è pericoloso con ciò che non è pericoloso o che è meno pericoloso;
g) programmare la prevenzione, mirando ad un complesso coerente che integri nella medesima la tecnica, l'organizzazione del lavoro, le condizioni di lavoro, le relazioni sociali e l'influenza dei fattori dell'ambiente di lavoro;
h) dare la priorità alle misure di protezione collettiva rispetto alle misure di protezione individuale;
i) impartire adeguate istruzioni ai lavoratori.
3. Fatte salve le altre disposizioni della presente direttiva, il datore di lavoro, tenendo conto della natura delle attività dell'impresa e/o dello stabilimento, deve:
a) valutare i rischi per la sicurezza e la salute dei lavoratori, anche nella scelta delle attrezzature di lavoro e delle sostanze o dei preparati chimici e nella sistemazione dei luoghi di lavoro.
A seguito di questa valutazione, e se necessario, le attività di prevenzione, i metodi di lavoro e di produzione adottati dal datore di lavoro devono:
- garantire un miglior livello di protezione della sicurezza e della salute dei lavoratori;
- essere integrate nel complesso delle attività dell'impresa e/o dello stabilimento e a tutti i livelli gerarchici;
b) quando affida dei compiti ad un lavoratore, tener conto delle capacità dello stesso in materia di sicurezza e salute;
c) far sì che la programmazione e l'introduzione di nuove tecnologie formino oggetto di consultazioni con i lavoratori e/o i loro rappresentanti, per quanto riguarda le conseguenze sulla sicurezza e la salute dei lavoratori, connesse con la scelta delle attrezzature, la riorganizzazione delle condizioni di lavoro e l'impatto dei fattori dell'ambiente di lavoro;
d) prendere le misure appropriate affinché soltanto i lavoratori che hanno ricevuto adeguate istruzioni possano accedere alle zone che presentano un rischio grave e specifico.
La lettera g) dell’art. 6 apre il campo a quelle che sono le indicazioni circa il servizio di prevenzione e controllo demandato al datore di lavoro e da questi delegato a lavoratori.
Articolo 7 - Servizi di protezione e prevenzione
1. Fatti salvi gli obblighi di cui agli articoli 5 e 6, il datore di lavoro designa uno o più lavoratori per occuparsi delle attività di protezione e delle attività di prevenzione dei rischi professionali nell'impresa e/o nello stabilimento.
2. I lavoratori designati non possono subire pregiudizio a causa delle proprie attività di protezione e delle proprie attività di prevenzione dei rischi professionali.
I lavoratori designati, al fine di assolvere gli obblighi previsti dalla presente direttiva, devono poter disporre di tempo adeguato.
3. Se le competenze nell'impresa e/o nello stabilimento sono insufficienti per organizzare dette attività di protezione e prevenzione, il datore di lavoro deve fare ricorso a competenze (persone o servizi) esterne all'impresa e/o allo stabilimento.
4. Nel caso in cui il datore di lavoro faccia ricorso a dette competenze, le persone o i servizi interessati devono essere informati dal datore di lavoro circa i fattori che si sa o si suppone abbiano effetti sulla sicurezza e la salute dei lavoratori e devono avere accesso alle informazioni di cui all'articolo 10, paragrafo 2.
5. In ogni caso:
- i lavoratori designati devono possedere le capacità necessarie e disporre dei mezzi richiesti,
- le persone o servizi esterni consultati devono possedere le attitudini necessarie e disporre dei mezzi personali e professionali richiesti, e
- il numero dei lavoratori designati e delle persone o servizi esterni consultati deve essere sufficiente, per assumere le attività di protezione e prevenzione, tenendo conto delle dimensioni dell'impresa e/o dello stabilimento e/o dei rischi a cui i lavoratori sono esposti, nonché della ripartizione dei rischi nell'insieme dell'impresa e/o dello stabilimento.
6. Alla protezione ed alla prevenzione dei rischi per la sicurezza e la salute, oggetto del presente articolo, provvedono uno o più lavoratori, un solo servizio o servizi distinti, siano essi interni o esterni all'impresa e/o allo stabilimento.
Se necessario, il(i) lavoratore(i) e/o il(i) servizio(i) debbono collaborare.
7. Gli Stati membri possono definire, tenuto conto della natura delle attività e delle dimensioni dell'impresa, le categorie di imprese in cui il datore di lavoro, a patto che abbia le capacità necessarie, può assumere personalmente il compito di cui al paragrafo 1.
8. Gli Stati membri definiscono le capacità e le attitudini necessarie di cui al paragrafo 5.
Essi possono definire il numero sufficiente di cui al paragrafo 5.
Articolo 8 - Pronto soccorso, lotta antincendio, evacuazione dei lavoratori e pericolo grave e immediato
1. Il datore di lavoro deve:
- prendere, in materia di pronto soccorso, di lotta antincendio e di evacuazione dei lavoratori, le misure necessarie, adeguate alla natura delle attività ed alle dimensioni dell'impresa e/o dello stabilimento, tenendo conto di altre persone presenti e
- organizzare i necessari rapporti con servizi esterni, in particolare in materia di pronto soccorso, di assistenza medica di emergenza, di salvataggio e di lotta antincendio.
2. In applicazione del paragrafo 1, il datore di lavoro deve in particolare designare per il pronto soccorso, per la lotta antincendio e per l'evacuazione dei lavoratori, i lavoratori incaricati di applicare queste misure.
Questi lavoratori devono essere formati, essere in numero sufficiente e disporre di attrezzatura adeguata, tenendo conto delle dimensioni e/o dei rischi specifici dell'impresa e/o dello stabilimento.
3. Il datore di lavoro deve:
a) informare, il più presto possibile, tutti i lavoratori che sono o che possono essere esposti al rischio di un pericolo grave e immediato circa il rischio stesso e le disposizioni prese o da prendere in materia di protezione;
b) prendere misure e dare istruzioni affinché i lavoratori possano, in caso di pericolo grave, immediato e che non può essere evitato, cessare la loro attività e/o mettersi al sicuro, lasciando immediatamente il luogo di lavoro;
c) salvo eccezione debitamente motivata, astenersi dal chiedere ai lavoratori di riprendere la loro attività in una situazione di lavoro in cui persista un pericolo grave e immediato.
4. Un lavoratore che, in caso di pericolo grave, immediato e che non può essere evitato, si allontana dal posto di lavoro e/o da una zona pericolosa, non può subire pregiudizio alcuno e deve essere protetto da qualsiasi conseguenza dannosa ed ingiustificata, conformemente alle legislazioni e/o prassi nazionali.
5. Il datore di lavoro fa sì che qualsiasi lavoratore in caso di pericolo grave ed immediato per la sua sicurezza e/o quella di altre persone, nell'impossibilità di contattare il competente superiore gerarchico e tenendo conto delle sue conoscenze e dei mezzi tecnici, possa prendere le misure adeguate per evitare le conseguenze di tale pericolo.
La sua azione non comporta nessun pregiudizio nei suoi confronti, a meno che gli non abbia agito sconsideratamente o abbia commesso una grave negligenza.
A fronte delle disposizioni qui riportate si impone una riflessione di carattere generale circa la rispondenza non solo formale delle norme nazionali ma anche teleologica – per uscire da una definizione esclusivamente giuridica – e dunque comprendere se e in quale misura il legislatore nazionale abbia compreso e dato voce ai principi minimi individuati in sede comunitaria. Si tratta di una analisi che vale limitare alla questione dell’organizzazione della sicurezza all’interno di una sede di lavoro. Il secondo limite e parametro di valutazione passa attraverso la giurisprudenza della Corte di giustizia delle Comunità europee. Dalla lettura delle disposizioni soprannazionali e della giurisprudenza avremo modo di constatare che l’attuale impianto nazionale soffre di due lacune: una ridotta capacità di controllo effettivo e di applicazione delle sanzioni in presenza di gravi violazioni, una interpretazione troppo politica e poco sostanziale dei suggerimenti comunitari circa le modalità attuative di alcuni percorsi, che di seguito definiremo, offrendo ampi margini di manovra e di raggiro delle regole da parte dei datori di lavoro.
La decisione che ci riguarda più da vicino è del 20011. In essa la Repubblica italiana venne condannata dal momento che era venuta meno agli obblighi che ad essa incombono in forza degli artt. 6, n. 3, lett. a), e 7, nn. 3, 5 e 8, della direttiva del Consiglio 12 giugno 1989, 89/391/CEE, concernente l'attuazione di misure volte a promuovere il miglioramento della sicurezza e della salute dei lavoratori durante il lavoro:
(i) non avendo prescritto che il datore di lavoro debba valutare tutti i rischi per la salute e la sicurezza esistenti sul luogo di lavoro;
(ii) avendo consentito al datore di lavoro di decidere se fare o meno ricorso a servizi esterni di protezione e di prevenzione quando le competenze interne all'impresa sono insufficienti, e
(iii) non avendo definito le capacità e le attitudini di cui devono essere in possesso le persone responsabili delle attività di protezione e di prevenzione dei rischi professionali per la salute e la sicurezza dei lavoratori.
Si tratta di una decisione derivata dalla individuazione di tre motivi di censura e precisamente:
« prima censura
Secondo la Commissione l'art. 6, n. 3, lett. a), della direttiva istituisce l'obbligo per il datore di lavoro di valutare l'insieme dei rischi per la sicurezza e la salute dei lavoratori sul luogo di lavoro. I tre tipi di rischi enumerati nella disposizione sarebbero una mera elencazione dei rischi specifici che devono essere valutati. E' per tale motivo che, con la sua prima censura, la Commissione sostiene che la norma italiana di trasposizione, vale a dire l'art. 4, primo comma, del decreto legislativo, che si limita ad imporre al datore di lavoro la valutazione di questi tre tipi specifici di rischi, sarebbe in contrasto con la direttiva.
In via preliminare, si deve constatare come risulti sia dall'obiettivo della direttiva, che si applica, ai sensi del suo quindicesimo 'considerando‘, a tutti i rischi, sia dal tenore letterale dell'art. 6, n. 3, lett. a), della medesima che i datori di lavoro sono tenuti a valutare l'insieme dei rischi per la sicurezza e la salute dei lavoratori.
Inoltre, è importante precisare che i rischi professionali che devono essere oggetto di una valutazione da parte dei datori di lavoro non sono stabiliti una volta per tutte, ma si evolvono costantemente in funzione, in particolare, del progressivo sviluppo delle condizioni di lavoro e delle ricerche scientifiche in materia di rischi professionali.
Ne consegue che l'art. 4, primo comma, del decreto legislativo, che prevede, sì, l'obbligo del datore di lavoro di valutare rischi specifici, ma che limita la portata di tale obbligo ai tre tipi di rischi menzionati a titolo di esempio nell'art. 6, n. 3, lett. a), della direttiva, non può costituire una corretta trasposizione di tale norma.
seconda censura
Con la sua seconda censura la Commissione sostiene che l'art. 8, n. 6, del decreto legislativo, che lascia al datore di lavoro la scelta se fare o meno ricorso a servizi esterni quando le capacità dei dipendenti dell'impresa sono insufficienti, è manifestamente in contrasto con la regola imperativa contenuta nell'art. 7, n. 3, della direttiva.
A tale proposito va ricordato che l'art. 7, nn. 1 e 3, della direttiva prevede l'obbligo del datore di lavoro di organizzare un servizio di protezione e di prevenzione dei rischi professionali all'interno dell'impresa ovvero, se le competenze all'interno della medesima sono insufficienti, di far ricorso a competenze esterne.
Ora, ai sensi dell'art. 8, sesto comma, del decreto legislativo, un datore di lavoro ha la facoltà, ma non l'obbligo, di ricorrere a persone o servizi esterni all'impresa se le competenze dei dipendenti all'interno di quest'ultima sono insufficienti.
Dall'art. 8, sesto comma, del decreto legislativo, considerato isolatamente, non risulta quindi che il datore di lavoro sia, in ogni caso, tenuto ad assumere personale in possesso delle adeguate capacità o a ricorrere a persone o servizi esterni per occuparsi delle attività di protezione e di prevenzione dei rischi professionali nell'ambito dell'impresa interessata.
(….) Si deve concludere che l'interpretazione dell'art. 8, sesto comma, del decreto legislativo sostenuta dal governo italiano, secondo cui il datore di lavoro sarebbe, in ogni caso, tenuto ad assumere persone in possesso delle capacità richieste o a ricorrere a persone o servizi esterni all'impresa, non emerge in modo sufficientemente chiaro e preciso dal tenore letterale di detta disposizione, né dal suo contesto giuridico.
terza censura
Con la sua terza censura la Commissione sostiene che, non avendo previsto una disciplina chiara a dettagliata relativa alle competenze richieste alle persone responsabili delle attività di protezione e di prevenzione dei rischi professionali all'interno dell'impresa, la Repubblica italiana ha violato l'art. 7, nn. 5 e 8, della direttiva.
L'esecuzione di tale obbligo implica l'adozione da parte degli Stati membri di provvedimenti legislativi o regolamentari conformi ai requisiti della direttiva e portati a conoscenza delle imprese interessate con mezzi adeguati al fine di consentire a queste ultime di conoscere i loro obblighi in materia e alle autorità nazionali competenti di verificare che tali provvedimenti vengano osservati.
La soluzione adottata dalla Repubblica italiana, consistente nell'attribuire al datore di lavoro la responsabilità di determinare le capacità e le attitudini necessarie per esercitare le attività di protezione e di prevenzione dei rischi professionali, non soddisfa manifestamente i requisiti dell'art. 7, nn. 5 e 8, della direttiva».
Sappiamo che successivamente venne modificato il D.lgs. n. 626/94 e s.m.i. introducendo l’aggettivo ‘tutti’ riferito ai rischi da valutare2, continua a destare perplessità la scelta (a prescindere dalla formazione successiva) delle persone e le rispettive competenze iniziali sulle quali il testo di legge italiano rimane vago pur con le recenti modifiche del 2007. Ciò che viene da chiedersi è se le disposizioni intervenute dopo lunghe concertazioni anche con le Regioni abbiano alla fine prodotto un risultato importante in termini di formazione dei soggetti da incaricare delle verifiche. Se il datore di lavoro è tenuto a creare un servizio occorre che la formazione del personale sia adeguata. Ciò che potrebbe far sorgere dubbi è che la scelta del personale, sebbene potenzialmente dovrebbe prevedere una consultazione preventiva sostanziale del rappresentante dei lavoratori per la sicurezza, di fatto si risolve spesso in una mera comunicazione o in un incontro di facciata. Il personale non sempre viene scelto e, una volta scelto, dotato della autonomia decisionale e finanziaria necessarie, degli aggiornamenti, degli strumenti e posto in una condizione di serenità tale da consentirgli di assumere posizioni precise e soprattutto decise mancando altresì, nello svolgimento di un ruolo così centrale, delle tutele che per contro vengono, a buon conto, date al rappresentante, scelto dai lavoratori e di essi voce. Pressioni psicologiche, possibili sollecitazioni a non verbalizzare segnalazioni o, se verbalizzate, non ufficializzate con protocolli che li rendano per quanto riservati non sottraibili sono aspetti che talora vengono ignorati e taciuti costituendo un’arma assai potente nelle mani di chi dovrebbe operare delle scelte. A ciò si aggiunga la scarsa collaborazione e coinvolgimento del rappresentante al quale gli incaricati del servizio, per timore di ‘dispiacere’ al datore proprio per gli strumenti che questo può legalmente impiegare3, fanno poco riferimento aggravando la situazione.
Il punto essenziale è rappresentato allora dal fatto che (a) il datore di lavoro non è liberato dalle proprie responsabilità qualora ricorra, in applicazione dell’articolo 7, paragrafo 3, a competenze (persone o servizi) esterni all’impresa e/o allo stabilimento; (b) il principio della responsabilità del datore di lavoro non viene intaccata dagli obblighi dei lavoratori nel settore della sicurezza e della salute durante il lavoro; (c) esiste la facoltà degli Stati membri di prevedere l’esclusione o la diminuzione della responsabilità dei datori di lavoro ma, si deduce dalla formulazione del testo, per fati dovuti a circostanze a loro estranee, eccezionali e imprevedibili, o a eventi eccezionali, le conseguenze dei quali sarebbero state comunque inevitabili, malgrado la diligenza osservata. Ciò posto e ricordando anche come nel caso italiano il legislatore non ha fatto ricorso alla facoltà di cui alla lettera (c) dal momento che già il codice civile contempla fattispecie di esclusione di responsabilità in circostanze quali quelle elencate, tra le responsabilità in capo al datore di lavoro e sue proprie vi è quella di prendere le misure necessarie per la protezione della sicurezza e della salute dei lavoratori, comprese le attività di prevenzione dei rischi professionali, di informazione e di formazione, nonché l’approntamento di una organizzazione e dei mezzi necessari provvedendo, aspetto ancora più importante, costantemente all’aggiornamento di queste misure per tenere conto dei mutamenti di circostanze e mirare al miglioramento delle situazioni esistenti (art. 6 Direttiva). Questi passaggi e queste attività, come si evince anche dagli articoli della direttiva su riportati, hanno a base dei principi generali di prevenzione. Quali di questi principi sono ad oggi più a rischio è facile intuirlo. Se infatti si potrebbe dire senza incorrere in una prognosi errata che hanno raggiunto in linea generale un buon livello di adeguamento e applicazione i principi rappresentati dall’adeguare il lavoro all'uomo, in particolare per quanto concerne la concezione dei posti di lavoro e la scelta delle attrezzature di lavoro e dei metodi di lavoro e di produzione, in particolare per attenuare il lavoro monotono e il lavoro ripetitivo e per ridurre gli effetti di questi lavori sulla salute; dal tener conto del grado di evoluzione della tecnica; dal dare la priorità alle misure di protezione collettiva rispetto alle misure di protezione individuale; dall’impartire adeguate istruzioni ai lavoratori; non altrettanto si potrebbe asserire per altri forse ancora più intuitivi e urgenti:
a) evitare i rischi;
b) valutare [aggiungerei: onestamente e pienamente] i rischi che non possono essere evitati;
c) combattere i rischi alla fonte;
d) sostituire ciò che è pericoloso con ciò che non è pericoloso o che è meno pericoloso;
e) programmare la prevenzione, mirando ad un complesso coerente che integri nella medesima la tecnica, l'organizzazione del lavoro, le condizioni di lavoro, le relazioni sociali e l'influenza dei fattori dell'ambiente di lavoro.
In altri termini potrebbero verificarsi ipotesi di interpretazione lata dell’art. 5, n. 1 della direttiva sulle cause di esclusione della responsabilità del datore di lavoro nel contesto lavorativo (e il crescente richiamo alle forme di stress in ambiente di lavoro lo confermerebbero) che, ribaltando la responsabilità sul servizio che è onere del datore realizzare, lo rendano meno responsabile delle conseguenze di ogni evento lesivo della salute e della sicurezza dei lavoratori che si verifichi nella sua impresa4. Avvalora questa lettura anche una ulteriore constatazione applicata al caso Italia e risalente al 20035 con riferimento alla direttiva 89/665/CEE del 30 novembre 1989 riguardante i requisiti minimi di sicurezza e di salute per l’uso delle attrezzature di lavoro. Posto che le protezioni ed i sistemi protettivi:
non devono provocare rischi supplementari,
non devono essere facilmente elusi o resi inefficaci,
devono essere situati ad una sufficiente distanza dalla zona pericolosa,
non devono limitare più del necessario l’osservanza del ciclo di lavoro (All. I, punto 2.3),
e che dette buone prassi, come potremmo definirle, valgono in qualsiasi contesto, in materia di responsabilità del datore di lavoro, non consente misinterpretazioni il richiamo alla normativa nazionale che il giudice comunitario fa ai punti 6: «L’art. 2087 del codice civile italiano recita: ‘L’imprenditore è tenuto ad adottare nell’esercizio dell’impresa le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro’» e 7: «Il decreto legislativo 19 settembre 1994, n. 626 (….) dispone al suo articolo 4, n. 5, quanto segue: ‘Il datore di lavoro, il dirigente e il preposto che esercitano, dirigono o sovrintendono le attività indicate all’art. 1 (…), nell’ambito delle rispettive attribuzioni e competenze, adottano le misure necessarie per la sicurezza e la salute dei lavoratori, ed in particolare: (…..) b) aggiornano le misure di prevenzione in relazione ai mutamenti organizzativi e produttivi che hanno rilevanza ai fini della salute e della sicurezza del lavoro, ovvero in relazione al grado di evoluzione tecnica, della prevenzione e della protezione’». Anzi, al punto 20 la Corte formula un giudizio di particolare peso nella interpretazione di tutta la questione sicurezza e precisamente:
«Occorre rammentare che, secondo una giurisprudenza consolidata, in caso di trasposizione di una direttiva nell’ordinamento giuridico di uno Stato membro, è indispensabile che l’ordinamento nazionale di cui trattasi garantisca effettivamente la piena applicazione della direttiva, che la situazione giuridica scaturente da tale ordinamento sia sufficientemente precisa e chiara e che i destinatari siano posti in grado di conoscere la piena portata dei loro diritti ed eventualmente di avvalersene dinanzi ai giudici nazionali».
In tale contesto e in linea con quanto precisato fino ad ora, va ricordato che la Corte di Giustizia ha altresì avuto modo di ribadire più volte come l’art. 7, n. 1 della direttiva 89/391/CEE imponga al datore di lavoro ‘un obbligo principale, che è quello di designare uno o più lavoratori perché si occupino delle attività di protezione e di prevenzione dei rischi professionali. Con il suo n. 3, esso prevede l’obbligo di fare ricorso a competenze esterne all’impresa (sentenza 15 novembre 2001, causa C-49/00, Commissione /Italia, Racc. pag. I-8575, punto 23). Come la Corte ha già giudicato, tuttavia, quest’ultimo obbligo è solo subordinato rispetto a quello espresso al detto art. 7, n. 1, in quanto esso esiste solo “[s]e le competenze nell’impresa e/o nello stabilimento sono insufficienti per organizzare dette attività di protezione e prevenzione” (vedi sentenza 22 maggio 2003, causa C-441/01, Commissione/Paesi Bassi, Racc. pag. I-5463, punto 20)”6.
________________
1 Corte di Giustizia delle Comunità europee, sentenza del 15 novembre 2001 nella causa C-49/00.
2 Legge 1 marzo 2002, n. 39, Disposizioni per l'adempimento di obblighi derivanti dall'appartenenza dell'Italia alle Comunità europee - Legge comunitaria 2001.
“ART. 21.(Delega al Governo per l'esecuzione della sentenza della Corte di giustizia delle Comunita' europee del 15 novembre 2001, nella causa C-49/00 e parziale attuazione).
1. Il Governo e' delegato ad emanare, nel termine di cui al comma 1 dell'articolo 1 della presente legge, un decreto legislativo recante le modifiche al decreto legislativo 19 settembre 1994, n. 626, e successive modificazioni, necessarie ai fini dell'adeguamento ai principi e criteri affermati dalla sentenza della Corte di giustizia delle Comunita' europee del 15 novembre 2001, nella causa C-49/00. Il decreto legislativo e' emanato con le modalita' di cui ai commi 2 e 3 dell'articolo 1, e nel rispetto dei principi e dei criteri stabiliti nell'articolo 2.
2. L'articolo 4, comma 1, del citato decreto legislativo n. 626 del 1994, e' sostituito dal seguente:"1. Il datore di lavoro, in relazione alla natura dell'attivita' dell'azienda ovvero dell'unita' produttiva, valuta tutti i rischi per la sicurezza e per la salute dei lavoratori, ivi compresi quelli riguardanti gruppi di lavoratori esposti a rischi particolari, anche nella scelta delle attrezzature di lavoro e delle sostanze o dei preparati chimici impiegati, nonche' nella sistemazione dei luoghi di lavoro".
3. All'articolo 8, comma 6, del citato decreto legislativo n. 626 del 1994, dopo la parola: "lavoro", la parola: "puo'" e' sostituita dalla seguente: "deve".
4. Agli eventuali oneri derivanti dall'applicazione dei commi 1, 2 e 3 si provvede ai sensi dell'articolo 2, comma 1, lettera d).”
3 P. BALBO, Il rappresentante dei lavoratori per la sicurezza, in Diritto & Diritti - Rivista giuridica elettronica, pubblicata su Internet all'indirizzo http://www.diritto.it, ISSN 1127-8579, http://www.diritto.it/art.php?file=/archivio/24862.html, http://www.altalex.com/index.php?idnot=38789.
4 Corte di giustizia delle Comunità europee, sentenza 14 giugno 2007, causa C-127/05.
5 Corte di Giustizia delle Comunità europee, sentenza del 10 aprile 2003 su causa C-65/01.
6 Corte di Giustizia delle Comunità europee, sentenza 6 aprile 2006, causa C-428/04.

Decreto Semplificazione


Il Ministro per la semplificazione normativa promuove, assume e coordina le attività volte a realizzare l'informatizzazione e la classificazione della normativa vigente per facilitarne la ricerca e la consultazione gratuita da parte dei cittadini.
E' questa la novità prevista dal Decreto Legge 22 dicembre 2008, n. 200 (pubblicata in Gazzetta Ufficiale 22 dicembre 2008, n. 298) al fine di semplificare il quadro normativo italiano e di creare una banca dati unica, pubblica e gratuita della legislazione statale vigente.
(Altalex, 30 dicembre 2008)

DECRETO-LEGGE 22 dicembre 2008, n. 200
Misure urgenti in materia di semplificazione normativa.
(GU n. 298 del 22-12-2008 - Suppl. Ordinario n. 282)
IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA
Visti gli articoli 77 e 87 della Costituzione;Ritenuta la straordinaria necessita' ed urgenza di emanare disposizioni dirette a consentire il completamento delle procedure per la creazione di una banca dati normativa unica, pubblica e gratuita della legislazione statale vigente, anche mediante un piu' efficace utilizzo delle risorse esistenti;Ritenuta, altresi', la straordinaria necessita' ed urgenza di procedere all'abrogazione di tutte le norme primarie del precedente ordinamento costituzionale ritenute estranee ai principi dell'ordinamento giuridico attuale;Ritenuta, infine, la straordinaria necessita' ed urgenza di sottrarre all'effetto abrogativo previsto dall'articolo 24 del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, alcune disposizioni di cui risulta indispensabile il mantenimento in vigore;Vista la deliberazione del Consiglio dei Ministri, adottata nella riunione del 18 dicembre 2008;Sulla proposta del Presidente del Consiglio dei Ministri, del Ministro per la semplificazione normativa e del Ministro della giustizia, di concerto con i Ministri per la pubblica amministrazione e l'innovazione e dell'economia e delle finanze;
Emana
il seguente decreto-legge:
Art. 1.Banca dati pubblica e gratuita della normativa vigente
1. Sulla base delle intese gia' acquisite tra la Presidenza del Consiglio dei Ministri e le Presidenze della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica, il Ministro per la semplificazione normativa promuove, assume e coordina le attivita' volte a realizzare l'informatizzazione e la classificazione della normativa vigente per facilitarne la ricerca e la consultazione gratuita da parte dei cittadini. Assicura, altresi', la convergenza presso il Dipartimento degli affari giuridici e legislativi della Presidenza del Consiglio dei Ministri di tutti i progetti di informatizzazione e di classificazione della normativa statale e regionale in corso di realizzazione da parte delle amministrazioni pubbliche.2. Al fine di assicurare la piena convergenza delle attivita' connesse all'attuazione del programma di cui al comma 1 e la massima efficienza nell'utilizzo delle relative risorse, il Ministro per la semplificazione normativa adotta, entro centottanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, uno o piu' decreti finalizzati:a) alla razionalizzazione, sentito il Ministro per la pubblica amministrazione e l'innovazione, delle attivita' degli organismi e degli enti operanti nell'ambito delle materie di cui al comma 1 e alla individuazione delle modalita' di utilizzo del personale delle pubbliche amministrazioni gia' impegnato nel programma di cui al comma 1;b) al coordinamento con le attivita' in corso per l'attuazione dell'articolo 14 della legge 28 novembre 2005, n. 246;c) alla determinazione, di concerto con il Ministro della giustizia, dei criteri per l'adozione delle procedure connesse alla pubblicazione telematica degli atti normativi nella prospettiva del superamento dell'edizione a stampa della Gazzetta Ufficiale, anche ai sensi di quanto disposto dall'articolo 27, comma 2, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133.3. Le attivita' del programma sono finanziate con le risorse del fondo istituito ai sensi dell'articolo 107 della legge 23 dicembre 2000, n. 388, ed iscritte nel corrispondente capitolo di spesa del bilancio di previsione della Presidenza del Consiglio dei Ministri.4. Il comma 584 dell'articolo 2 della legge 24 dicembre 2007, n. 244, e successive modificazioni, e' abrogato.
Art. 2.Abrogazioni espresse
1. A decorrere dal sessantesimo giorno successivo alla data di entrata in vigore del presente decreto, sono abrogate le disposizioni elencate nell'Allegato 1.2. Il Governo individua, con atto ricognitivo, le disposizioni di rango regolamentare implicitamente abrogate in quanto connesse esclusivamente alla vigenza degli atti legislativi inseriti nell'Allegato 1.
Art. 3.Modifiche all'Allegato A del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112
1. Sono soppresse dall'Allegato A del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, le disposizioni elencate nell'Allegato 2.
Art. 4.Entrata in vigore
1. Il presente decreto entra in vigore il giorno stesso della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana e sara' presentato alle Camere per la conversione in legge.Il presente decreto, munito del sigillo dello Stato, sara' inserito nella Raccolta ufficiale degli atti normativi della Repubblica italiana. E' fatto obbligo a chiunque spetti di osservarlo e di farlo osservare.Dato a Roma, addi' 22 dicembre 2008
NAPOLITANO
Berlusconi, Presidente del Consiglio dei Ministri Calderoli, Ministro per la semplificazione normativa Alfano, Ministro della giustizia Brunetta, Ministro per la pubblica amministrazione e l'innovazione Tremonti, Ministro dell'economia e delle finanze
Visto, il Guardasigilli: Alfano
Allegati
...omissis...

Decreto Semplificazione


Il Ministro per la semplificazione normativa promuove, assume e coordina le attività volte a realizzare l'informatizzazione e la classificazione della normativa vigente per facilitarne la ricerca e la consultazione gratuita da parte dei cittadini.
E' questa la novità prevista dal Decreto Legge 22 dicembre 2008, n. 200 (pubblicata in Gazzetta Ufficiale 22 dicembre 2008, n. 298) al fine di semplificare il quadro normativo italiano e di creare una banca dati unica, pubblica e gratuita della legislazione statale vigente.
(Altalex, 30 dicembre 2008)

DECRETO-LEGGE 22 dicembre 2008, n. 200
Misure urgenti in materia di semplificazione normativa.
(GU n. 298 del 22-12-2008 - Suppl. Ordinario n. 282)
IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA
Visti gli articoli 77 e 87 della Costituzione;Ritenuta la straordinaria necessita' ed urgenza di emanare disposizioni dirette a consentire il completamento delle procedure per la creazione di una banca dati normativa unica, pubblica e gratuita della legislazione statale vigente, anche mediante un piu' efficace utilizzo delle risorse esistenti;Ritenuta, altresi', la straordinaria necessita' ed urgenza di procedere all'abrogazione di tutte le norme primarie del precedente ordinamento costituzionale ritenute estranee ai principi dell'ordinamento giuridico attuale;Ritenuta, infine, la straordinaria necessita' ed urgenza di sottrarre all'effetto abrogativo previsto dall'articolo 24 del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, alcune disposizioni di cui risulta indispensabile il mantenimento in vigore;Vista la deliberazione del Consiglio dei Ministri, adottata nella riunione del 18 dicembre 2008;Sulla proposta del Presidente del Consiglio dei Ministri, del Ministro per la semplificazione normativa e del Ministro della giustizia, di concerto con i Ministri per la pubblica amministrazione e l'innovazione e dell'economia e delle finanze;
Emana
il seguente decreto-legge:
Art. 1.Banca dati pubblica e gratuita della normativa vigente
1. Sulla base delle intese gia' acquisite tra la Presidenza del Consiglio dei Ministri e le Presidenze della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica, il Ministro per la semplificazione normativa promuove, assume e coordina le attivita' volte a realizzare l'informatizzazione e la classificazione della normativa vigente per facilitarne la ricerca e la consultazione gratuita da parte dei cittadini. Assicura, altresi', la convergenza presso il Dipartimento degli affari giuridici e legislativi della Presidenza del Consiglio dei Ministri di tutti i progetti di informatizzazione e di classificazione della normativa statale e regionale in corso di realizzazione da parte delle amministrazioni pubbliche.2. Al fine di assicurare la piena convergenza delle attivita' connesse all'attuazione del programma di cui al comma 1 e la massima efficienza nell'utilizzo delle relative risorse, il Ministro per la semplificazione normativa adotta, entro centottanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, uno o piu' decreti finalizzati:a) alla razionalizzazione, sentito il Ministro per la pubblica amministrazione e l'innovazione, delle attivita' degli organismi e degli enti operanti nell'ambito delle materie di cui al comma 1 e alla individuazione delle modalita' di utilizzo del personale delle pubbliche amministrazioni gia' impegnato nel programma di cui al comma 1;b) al coordinamento con le attivita' in corso per l'attuazione dell'articolo 14 della legge 28 novembre 2005, n. 246;c) alla determinazione, di concerto con il Ministro della giustizia, dei criteri per l'adozione delle procedure connesse alla pubblicazione telematica degli atti normativi nella prospettiva del superamento dell'edizione a stampa della Gazzetta Ufficiale, anche ai sensi di quanto disposto dall'articolo 27, comma 2, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133.3. Le attivita' del programma sono finanziate con le risorse del fondo istituito ai sensi dell'articolo 107 della legge 23 dicembre 2000, n. 388, ed iscritte nel corrispondente capitolo di spesa del bilancio di previsione della Presidenza del Consiglio dei Ministri.4. Il comma 584 dell'articolo 2 della legge 24 dicembre 2007, n. 244, e successive modificazioni, e' abrogato.
Art. 2.Abrogazioni espresse
1. A decorrere dal sessantesimo giorno successivo alla data di entrata in vigore del presente decreto, sono abrogate le disposizioni elencate nell'Allegato 1.2. Il Governo individua, con atto ricognitivo, le disposizioni di rango regolamentare implicitamente abrogate in quanto connesse esclusivamente alla vigenza degli atti legislativi inseriti nell'Allegato 1.
Art. 3.Modifiche all'Allegato A del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112
1. Sono soppresse dall'Allegato A del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, le disposizioni elencate nell'Allegato 2.
Art. 4.Entrata in vigore
1. Il presente decreto entra in vigore il giorno stesso della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana e sara' presentato alle Camere per la conversione in legge.Il presente decreto, munito del sigillo dello Stato, sara' inserito nella Raccolta ufficiale degli atti normativi della Repubblica italiana. E' fatto obbligo a chiunque spetti di osservarlo e di farlo osservare.Dato a Roma, addi' 22 dicembre 2008
NAPOLITANO
Berlusconi, Presidente del Consiglio dei Ministri Calderoli, Ministro per la semplificazione normativa Alfano, Ministro della giustizia Brunetta, Ministro per la pubblica amministrazione e l'innovazione Tremonti, Ministro dell'economia e delle finanze
Visto, il Guardasigilli: Alfano
Allegati
...omissis...

domenica 4 gennaio 2009

La proroga degli sfratti: esecuzione del rilascio differita fino al 30 giugno 2009


L'esecuzione dei provvedimenti di rilascio per finita locazione degli immobili adibiti ad uso abitativo, già sospesa fino al 15 ottobre 2008 ai sensi del D.L. 31 dicembre 2007, n. 248 (Decreto Milleproroghe), è ulteriormente differita al 30 giugno 2009.
E' quanto prevede il Decreto Legge 20 ottobre 2008, n. 158 convertito con la legge 18 dicembre 2008 n. 199.
In particolare, sono 127 i comuni italiani (comprese le 14 città metropolitane) interessati dal provvedimento che ha l'obiettivo di aiutare i nuclei familiari in difficoltà così come individuati dalla Legge 8 febbraio 2007, n. 9: "conduttori con reddito annuo lordo complessivo familiare inferiore a 27.000 euro, che siano o abbiano nel proprio nucleo familiare persone ultrasessantacinquenni, malati terminali o portatori di handicap con invalidita' superiore al 66 per cento, purche' non siano in possesso di altra abitazione adeguata al nucleo familiare nella regione di residenza".
(Altalex, 21 dicembre 2008)

DECRETO LEGGE 20 ottobre 2008, n. 158
Testo del decreto-legge 20 ottobre 2008, n. 158 (in Gazzetta Ufficiale - serie generale - n. 246 del 20 ottobre 2008), coordinato con la legge di conversione 18 dicembre 2008, n. 199 in questa stessa Gazzetta Ufficiale alla pag. 4 recante: Misure urgenti per contenere il disagio abitativo di particolari categorie sociali.
(G.U. n. 296 del 19-12-2008)

Avvertenza:
Il testo coordinato qui' pubblicato e' stato redatto dal Ministero della giustizia ai sensi dell'art. 11, comma 1, del testo unico delle disposizioni sulla promulgazione delle leggi, sull'emanazione dei decreti del Presidente della Repubblica e sulle pubblicazioni ufficiali della Repubblica italiana, approvato con D.P.R. 28 dicembre 1985, n. 1092, nonche' dell'art. 10, comma 3, del medesimo testo unico, al solo fine di facilitare la lettura sia delle disposizioni del decreto-legge integrate con le modifiche apportate dalla legge di conversione, che di quelle richiamate nel decreto, trascritte nelle note. Restano invariati il valore e l'efficacia degli atti legislativi qui' riportati.
Le modifiche apportate dalla legge di conversione sono stampate con caratteri corsivi.
Tali modifiche sul video sono riportate tra i segni ((...))
A norma dell'art. 15, comma 5, della legge 23 agosto 1988, n. 400:(Disciplina dell'attivita' di Governo e ordinamento della Presidenza del Consiglio dei Ministri), le modifiche apportate dalla legge di conversione hanno efficacia dal giorno successivo a quello della sua pubblicazione.
Art. 1.
1. Al fine di ridurre il disagio abitativo e di favorire il passaggio da casa a casa per le particolari categorie sociali individuate dall'articolo 1, comma 1, della legge 8 febbraio 2007, n. 9, in attesa della realizzazione delle misure e degli interventi previsti dal Piano nazionale di edilizia abitativa di cui all'articolo 11 del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, l'esecuzione dei provvedimenti di rilascio per finita locazione degli immobili adibiti ad uso abitativo, gia' sospesa fino al 15 ottobre 2008 ai sensi dell'articolo 22-ter del decreto-legge 31 dicembre 2007, n. 248, convertito,, con modificazioni, dalla legge 28 febbraio 2008, n. 31, e' ulteriormente differita al 30 giugno 2009, (( nei comuni di cui all'articolo 1, comma 1, della legge 8 febbraio 2007, n. 9.1-bis.
Al comma 8 dell'articolo 11 della legge 9 dicembre 1998, n. 431, e' aggiunto, in fine, il seguente periodo: «I bandi per la concessione dei contributi integrativi devono essere emessi entro il 30 settembre di ogni anno con riferimento alle risorse assegnate, per l'anno di emissione del bando, dalla legge finanziaria».1-ter.
La sospensione di cui al comma 1 non si applica ai provvedimenti esecutivi disposti a seguito di disdetta del contratto da parte del locatore ai sensi dell'articolo 3 della legge 9 dicembre 1998, n. 431. ))
2. Fino alla scadenza del termine di cui al comma 1 trovano applicazione le disposizioni dell'articolo 1, commi 2, 4, 5 e 6 della legge 8 febbraio 2007, n. 9, nonche', (( limitatamente ai comuni di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto-legge 27 maggio 2005, n. 86, convertito, con modificazioni, dalla legge 26 luglio 2005, n. 148, ))i benefici fiscali di cui all'articolo 2 della medesima legge n. 9 del 2007.
3. Alle minori entrate derivanti dall'attuazione del presente articolo, valutate in 2,29 milioni di euro per l'anno 2009 e in 4,54 milioni di euro per l'anno 2010, si provvede mediante corrispondente riduzione dell'autorizzazione di spesa di cui all'articolo 10, comma 5, del decreto-legge 29 novembre 2004, n. 282, convertito, con modificazioni, dalla legge 27 dicembre 2004, n. 307, relativa al Fondo per interventi strutturali di politica economica.
4. Il Ministro dell'economia e delle finanze provvede al monitoraggio degli oneri di cui al presente articolo, anche ai fini dell'adozione dei provvedimenti correttivi di cui all'articolo 11-ter, comma 7, della legge 5 agosto 1978, n. 468, e successive modificazioni.
Il Ministro dell'economia e delle finanze e' autorizzato ad apportare, con propri decreti, le occorrenti variazioni di bilancio.
(( 4-bis. Al fine di adeguare gli strumenti di vigilanza per la realizzazione del Piano casa di cui all'articolo 11 del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, alla voce n. 668 dell'allegato A di cui all'articolo 24 del medesimo decreto-legge n. 112 del 2008, relativa al regio decreto 28 aprile 1938, n. 1165, le parole: «Artt. da 118 a 138» sono sostituite dalle seguenti: «Artt. da 118 a 124». ))
(( Art. 1-bis.
1. I provvedimenti giudiziari di rilascio per finita locazione degli immobili adibiti ad uso abitativo sono valutati ai fini dell'attribuzione del punteggio per la predisposizione delle graduatorie per l'assegnazione degli alloggi di edilizia residenziale pubblica, solo se contengono l'esplicita enunciazione della data di registrazione del contratto di locazione e gli estremi della lettera raccomandata con avviso di ricevimento recante disdetta della locazione da parte del locatore. ))
(( Art. 1-ter.
1. All'articolo 11, comma 12, primo periodo, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, dopo le parole: «comma 1154, della legge 27 dicembre 2006, n. 296,» sono inserite le seguenti: «di cui all'articolo 3, comma 108, della legge 24 dicembre 2003, n. 350, sentite le regioni,». ))
(( Art. 1-quater.
1. Gli immobili sottoposti a procedura esecutiva immobiliare o concorsuale, con le caratteristiche di quelli facenti parte del patrimonio di edilizia residenziale pubblica, e comunque non rientranti nelle categorie catastali A/1 e A/2, occupati a titolo di abitazione principale da un mutuatario insolvente, possono essere ceduti in proprieta' agli istituti autonomi case popolari, comunque denominati o trasformati, che li acquistano a valere su risorse proprie e senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica, con le agevolazioni previste per l'acquisto della prima casa di abitazione, al fine di favorire la riduzione del disagio abitativo e la riduzione delle passivita' delle banche. Gli istituti autonomi case popolari, comunque denominati o trasformati, provvedono a stipulare contratti di locazione a canone sostenibile con i mutuatari che occupano gli alloggi a titolo di abitazione principale.
2. Sono definiti canoni sostenibili, per le finalita' del presente articolo, i canoni di importo pari al 70 per cento del canone concordato calcolato ai sensi dell'articolo 2, comma 3, della legge 9 dicembre 1998, n. 431, e successive modificazioni, e comunque non inferiori al canone di edilizia residenziale pubblica vigente in ciascuna regione e provincia autonoma.
3. Il canone sostenibile corrisposto a fronte del contratto di locazione e' computabile a parziale restituzione delle somme pagate dagli istituti autonomi case popolari, comunque denominati o trasformati, per l'estinzione del mutuo relativo all'immobile e degli oneri accessori corrisposti. Resta ferma la facolta' di riacquisto dell'immobile prioritariamente dal parte del mutuatario insolvente alla scadenza del contratto di locazione secondo le modalita' stabilite da leggi regionali. ))
Art. 2.
1. Il presente decreto entra in vigore il giorno stesso della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana e sara' presentato alle Camere per la conversione in legge.

La proroga degli sfratti: esecuzione del rilascio differita fino al 30 giugno 2009


L'esecuzione dei provvedimenti di rilascio per finita locazione degli immobili adibiti ad uso abitativo, già sospesa fino al 15 ottobre 2008 ai sensi del D.L. 31 dicembre 2007, n. 248 (Decreto Milleproroghe), è ulteriormente differita al 30 giugno 2009.
E' quanto prevede il Decreto Legge 20 ottobre 2008, n. 158 convertito con la legge 18 dicembre 2008 n. 199.
In particolare, sono 127 i comuni italiani (comprese le 14 città metropolitane) interessati dal provvedimento che ha l'obiettivo di aiutare i nuclei familiari in difficoltà così come individuati dalla Legge 8 febbraio 2007, n. 9: "conduttori con reddito annuo lordo complessivo familiare inferiore a 27.000 euro, che siano o abbiano nel proprio nucleo familiare persone ultrasessantacinquenni, malati terminali o portatori di handicap con invalidita' superiore al 66 per cento, purche' non siano in possesso di altra abitazione adeguata al nucleo familiare nella regione di residenza".
(Altalex, 21 dicembre 2008)

DECRETO LEGGE 20 ottobre 2008, n. 158
Testo del decreto-legge 20 ottobre 2008, n. 158 (in Gazzetta Ufficiale - serie generale - n. 246 del 20 ottobre 2008), coordinato con la legge di conversione 18 dicembre 2008, n. 199 in questa stessa Gazzetta Ufficiale alla pag. 4 recante: Misure urgenti per contenere il disagio abitativo di particolari categorie sociali.
(G.U. n. 296 del 19-12-2008)

Avvertenza:
Il testo coordinato qui' pubblicato e' stato redatto dal Ministero della giustizia ai sensi dell'art. 11, comma 1, del testo unico delle disposizioni sulla promulgazione delle leggi, sull'emanazione dei decreti del Presidente della Repubblica e sulle pubblicazioni ufficiali della Repubblica italiana, approvato con D.P.R. 28 dicembre 1985, n. 1092, nonche' dell'art. 10, comma 3, del medesimo testo unico, al solo fine di facilitare la lettura sia delle disposizioni del decreto-legge integrate con le modifiche apportate dalla legge di conversione, che di quelle richiamate nel decreto, trascritte nelle note. Restano invariati il valore e l'efficacia degli atti legislativi qui' riportati.
Le modifiche apportate dalla legge di conversione sono stampate con caratteri corsivi.
Tali modifiche sul video sono riportate tra i segni ((...))
A norma dell'art. 15, comma 5, della legge 23 agosto 1988, n. 400:(Disciplina dell'attivita' di Governo e ordinamento della Presidenza del Consiglio dei Ministri), le modifiche apportate dalla legge di conversione hanno efficacia dal giorno successivo a quello della sua pubblicazione.
Art. 1.
1. Al fine di ridurre il disagio abitativo e di favorire il passaggio da casa a casa per le particolari categorie sociali individuate dall'articolo 1, comma 1, della legge 8 febbraio 2007, n. 9, in attesa della realizzazione delle misure e degli interventi previsti dal Piano nazionale di edilizia abitativa di cui all'articolo 11 del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, l'esecuzione dei provvedimenti di rilascio per finita locazione degli immobili adibiti ad uso abitativo, gia' sospesa fino al 15 ottobre 2008 ai sensi dell'articolo 22-ter del decreto-legge 31 dicembre 2007, n. 248, convertito,, con modificazioni, dalla legge 28 febbraio 2008, n. 31, e' ulteriormente differita al 30 giugno 2009, (( nei comuni di cui all'articolo 1, comma 1, della legge 8 febbraio 2007, n. 9.1-bis.
Al comma 8 dell'articolo 11 della legge 9 dicembre 1998, n. 431, e' aggiunto, in fine, il seguente periodo: «I bandi per la concessione dei contributi integrativi devono essere emessi entro il 30 settembre di ogni anno con riferimento alle risorse assegnate, per l'anno di emissione del bando, dalla legge finanziaria».1-ter.
La sospensione di cui al comma 1 non si applica ai provvedimenti esecutivi disposti a seguito di disdetta del contratto da parte del locatore ai sensi dell'articolo 3 della legge 9 dicembre 1998, n. 431. ))
2. Fino alla scadenza del termine di cui al comma 1 trovano applicazione le disposizioni dell'articolo 1, commi 2, 4, 5 e 6 della legge 8 febbraio 2007, n. 9, nonche', (( limitatamente ai comuni di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto-legge 27 maggio 2005, n. 86, convertito, con modificazioni, dalla legge 26 luglio 2005, n. 148, ))i benefici fiscali di cui all'articolo 2 della medesima legge n. 9 del 2007.
3. Alle minori entrate derivanti dall'attuazione del presente articolo, valutate in 2,29 milioni di euro per l'anno 2009 e in 4,54 milioni di euro per l'anno 2010, si provvede mediante corrispondente riduzione dell'autorizzazione di spesa di cui all'articolo 10, comma 5, del decreto-legge 29 novembre 2004, n. 282, convertito, con modificazioni, dalla legge 27 dicembre 2004, n. 307, relativa al Fondo per interventi strutturali di politica economica.
4. Il Ministro dell'economia e delle finanze provvede al monitoraggio degli oneri di cui al presente articolo, anche ai fini dell'adozione dei provvedimenti correttivi di cui all'articolo 11-ter, comma 7, della legge 5 agosto 1978, n. 468, e successive modificazioni.
Il Ministro dell'economia e delle finanze e' autorizzato ad apportare, con propri decreti, le occorrenti variazioni di bilancio.
(( 4-bis. Al fine di adeguare gli strumenti di vigilanza per la realizzazione del Piano casa di cui all'articolo 11 del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, alla voce n. 668 dell'allegato A di cui all'articolo 24 del medesimo decreto-legge n. 112 del 2008, relativa al regio decreto 28 aprile 1938, n. 1165, le parole: «Artt. da 118 a 138» sono sostituite dalle seguenti: «Artt. da 118 a 124». ))
(( Art. 1-bis.
1. I provvedimenti giudiziari di rilascio per finita locazione degli immobili adibiti ad uso abitativo sono valutati ai fini dell'attribuzione del punteggio per la predisposizione delle graduatorie per l'assegnazione degli alloggi di edilizia residenziale pubblica, solo se contengono l'esplicita enunciazione della data di registrazione del contratto di locazione e gli estremi della lettera raccomandata con avviso di ricevimento recante disdetta della locazione da parte del locatore. ))
(( Art. 1-ter.
1. All'articolo 11, comma 12, primo periodo, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, dopo le parole: «comma 1154, della legge 27 dicembre 2006, n. 296,» sono inserite le seguenti: «di cui all'articolo 3, comma 108, della legge 24 dicembre 2003, n. 350, sentite le regioni,». ))
(( Art. 1-quater.
1. Gli immobili sottoposti a procedura esecutiva immobiliare o concorsuale, con le caratteristiche di quelli facenti parte del patrimonio di edilizia residenziale pubblica, e comunque non rientranti nelle categorie catastali A/1 e A/2, occupati a titolo di abitazione principale da un mutuatario insolvente, possono essere ceduti in proprieta' agli istituti autonomi case popolari, comunque denominati o trasformati, che li acquistano a valere su risorse proprie e senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica, con le agevolazioni previste per l'acquisto della prima casa di abitazione, al fine di favorire la riduzione del disagio abitativo e la riduzione delle passivita' delle banche. Gli istituti autonomi case popolari, comunque denominati o trasformati, provvedono a stipulare contratti di locazione a canone sostenibile con i mutuatari che occupano gli alloggi a titolo di abitazione principale.
2. Sono definiti canoni sostenibili, per le finalita' del presente articolo, i canoni di importo pari al 70 per cento del canone concordato calcolato ai sensi dell'articolo 2, comma 3, della legge 9 dicembre 1998, n. 431, e successive modificazioni, e comunque non inferiori al canone di edilizia residenziale pubblica vigente in ciascuna regione e provincia autonoma.
3. Il canone sostenibile corrisposto a fronte del contratto di locazione e' computabile a parziale restituzione delle somme pagate dagli istituti autonomi case popolari, comunque denominati o trasformati, per l'estinzione del mutuo relativo all'immobile e degli oneri accessori corrisposti. Resta ferma la facolta' di riacquisto dell'immobile prioritariamente dal parte del mutuatario insolvente alla scadenza del contratto di locazione secondo le modalita' stabilite da leggi regionali. ))
Art. 2.
1. Il presente decreto entra in vigore il giorno stesso della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana e sara' presentato alle Camere per la conversione in legge.

venerdì 2 gennaio 2009

Corte Costituzionale
Sentenza 10.10.08, n.335
Corte Costituzionale: se non c'è depurazione non si può chiedere il canone per il servizio

Presidente Giovanni Maria FLICK
Redattore Franco GALLO
Nei giudizi di legittimità costituzionale dell’art. 14, comma 1, della legge 5 gennaio 1994, n. 36 (Disposizioni in materia di risorse idriche), sia nel testo originario che in quello modificato dall’art. 28 della legge 31 luglio 2002, n. 179 (Disposizioni in materia ambientale), promossi con ordinanze del 3 e 31 maggio e del 18 settembre 2007 dal Giudice di pace di Gragnano, rispettivamente iscritte al n. 830 del registro ordinanze 2007 e ai nn. 38 e 184 del registro ordinanze 2008 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 3, 10 e 26, prima serie speciale, dell’anno 2008.Visti gli atti di costituzione della s.p.a. G.O.R.I., nonché gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;udito nell’udienza pubblica del 23 settembre 2008 e nella camera di consiglio del 24 settembre 2008 il Giudice relatore Franco Gallo;uditi gli avvocati Vincenzo Cocozza e Ferdinando Pinto per la s.p.a. G.O.R.I. e l’avvocato dello Stato Gianna Maria De Socio per il Presidente del Consiglio dei ministri. Ritenuto in fatto1. – Nel corso di un giudizio civile, il Giudice di pace di Gragnano – con ordinanza del 3 maggio 2007 (r.o. n. 830 del 2007) – ha sollevato, in riferimento agli articoli 2, 3, 32, 41 e 97 della Costituzione, questioni di legittimità costituzionale dell’art. 14, comma 1, della legge 5 gennaio 1994, n. 36 (Disposizioni in materia di risorse idriche), nel testo modificato dall’art. 28 della legge 31 luglio 2002, n. 179 (Disposizioni in materia ambientale) [in vigore dal 28 agosto 2002 al 28 aprile 2006], nella parte in cui prevede che la quota di tariffa riferita al servizio di pubblica fognatura e di depurazione è dovuta dagli utenti anche nel caso in cui la fognatura sia sprovvista di impianti centralizzati di depurazione o questi siano temporaneamente inattivi.
Il rimettente riferisce che: a) l’oggetto del giudizio principale è la domanda proposta da Savino Cesarano nei confronti della s.p.a. G.O.R.I., società di gestione del servizio idrico integrato nel Comune di Gragnano, affinché sia accertata e dichiarata non dovuta la quota di tariffa riferita alla depurazione di acque reflue da lui pagata per l’anno 2003, con conseguente restituzione della stessa; b) l’attore afferma che la società convenuta aveva richiesto il pagamento del canone di depurazione «pur non avendo effettuato né potendo effettuare il servizio di depurazione delle acque reflue, per essere notoriamente carente degli appositi impianti»; c) la convenuta chiede il rigetto della domanda, in quanto infondata, perché, in base all’art. 14, comma 1, della legge n. 36 del 1994, pur essendosi verificata «la trasformazione della natura del canone di depurazione da tributaria in tariffaria», l’obbligazione di corrispondere il canone è comunque «inderogabile per espressa previsione di legge, e ciò indipendentemente dalla sussistenza o meno di un servizio corrispettivo».Il rimettente osserva che l’art. 14, comma 1, della legge n. 36 del 1994 – il quale prevede che la quota di tariffa riferita al servizio di pubblica fognatura e di depurazione sia dovuta dagli utenti anche nel caso in cui la fognatura sia sprovvista di impianti centralizzati di depurazione o questi siano temporaneamente inattivi e che «i relativi proventi, determinati ai sensi dell’articolo 3, commi da 42 a 47, della legge 28 dicembre 1995, n. 549, aumentati della percentuale di cui al punto 2.3 della delibera CIPE 4 aprile 2001, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 165 del 18 luglio 2001, affluiscono a un fondo vincolato a disposizione dei soggetti gestori del Servizio idrico integrato la cui utilizzazione è vincolata alla attuazione del piano d’ambito» – víola: a) l’art. 2 della Costituzione, perché «importa l’aggressione del diritto inviolabile alla qualificazione dell’individuo come soggetto di diritto», per il quale è esclusa «ogni forma di potere arbitrario e persecutorio, compreso quello che impone una prestazione patrimoniale in assenza della relativa controprestazione», e perché, «non prevedendo […] un limite temporale oltre il quale non sia possibile procedere alla riscossione del canone di depurazione in assenza del servizio, rimette al mero arbitrio degli amministratori locali, deputati all’applicazione della norma, la cessazione del pagamento del canone in assenza del depuratore» e differisce, cosí, «sine die la realizzazione della qualità di soggetto di diritto»; b) l’art. 3 della Costituzione, perché, imponendo irragionevolmente agli utenti di versare la quota di tariffa del servizio di fognatura e depurazione anche in mancanza del servizio stesso, determina una discriminazione dei cittadini che versano la tariffa senza usufruire del servizio di depurazione, rispetto a coloro che versano la tariffa e si giovano, invece, del servizio; c) l’art. 32 Cost., perché incoraggia «il lassismo degli enti locali a spese della salute dei cittadini e delle future generazioni danneggiate dall’inquinamento che ne scaturisce»; d) l’art. 41 Cost., perché il privato cui è affidata la «gestione delle risorse idriche», «imponendo il pagamento di una tariffa pur in assenza del servizio di depurazione, espleta una attività economica in contrasto con la dignità umana e l’utilità sociale» e perché «i valori intangibili della dignità umana e dell’utilità sociale […] risultano ancor di piú compromessi dalla mancata previsione normativa di un limite temporale alla cessazione del pagamento della tariffa senza il corrispondente servizio, oltre che dalla rimessione del predetto limite temporale esclusivamente alla mera discrezionalità degli amministratori locali deputati all’applicazione della norma»; e) l’art. 97 Cost., perché consente alla pubblica amministrazione «d’imporre ai cittadini una sorta di “tassa sine titulo” la cui finalizzazione ad una futura esecuzione degli impianti appare generica ed astratta».In punto di rilevanza delle questioni, il giudice a quo premette di essere giurisdizionalmente competente, rilevando che la causa di fronte a lui instaurata «ha ad oggetto la non debenza e la conseguente restituzione del canone di depurazione pagato per l’anno 2003» e che, «per giurisprudenza costante, sussiste la giurisdizione del giudice ordinario e non piú quella delle commissioni tributarie […], ogni qualvolta la lite giudiziaria sia relativa alla non debenza o alla restituzione del canone di depurazione per un periodo successivo al 3 ottobre 2000».Osserva il rimettente che «la definizione del giudizio di costituzionalità dell’art. 14, legge n. 36/1994, come modificato dall’art. 28, [della legge] 31 luglio 2002, n. 179, è assolutamente rilevante per la risoluzione della controversia, in quanto la predetta norma rappresenta sia la disposizione che dovrà essere applicata in giudizio, sia il riferimento normativo indispensabile per il merito della controversia», perché «dal 28 agosto 2002 fino al 28 aprile 2006, il canone di depurazione è stato […] regolamentato dall’art. 14, comma 1, legge n. 36/1994, come modificato dall’art. 28 della legge 31 luglio 2002, n. 179».2. – Si è costituita la s.p.a. G.O.R.I., eccependo preliminarmente la manifesta inammissibilità delle proposte questioni, perché: a) «è assolutamente generica la valutazione effettuata dal Giudice sulla rilevanza della questione», in quanto egli «si limita […] all’affermazione, tautologica, secondo cui la norma oggetto di sindacato è quella che “dovrà essere applicata in giudizio”»; b) «l’ordinanza è […] contraddittoria e omissiva nella ricostruzione della fattispecie normativa, in riferimento alla situazione concreta», in quanto non tiene conto del fatto che, in caso di mancanza di impianti di depurazione, i canoni vengono utilizzati per l’attuazione del piano d’àmbito; c) è «contraddittoria l’impostazione adottata laddove, da una parte, il Giudice ricostruisce la tariffa in termini di corrispettivo di una prestazione e, dall’altra, ricostruisce i vizi in termini di illegittimo esercizio del potere autoritativo».Nel merito, la s.p.a. G.O.R.I. chiede che le questioni siano dichiarate manifestamente infondate.In riferimento all’evocato art. 2 Cost., rileva la genericità dei rilievi svolti dal rimettente e osserva che l’obbligo del pagamento del canone di depurazione delle acque reflue si inquadra tra i doveri del cittadino verso la comunità, fissati dallo stesso art. 2 Cost., senza che in contrario rilevi la circostanza che il Comune non abbia preventivamente fissato un termine per lo svolgimento dei lavori di realizzazione dell’impianto di depurazione. Infatti – sempre ad avviso della s.p.a. G.O.R.I. – tale ultima circostanza non attiene alla «legittimità di una previsione legislativa astratta e generale», ma alla «efficacia amministrativa di un ente locale cui, al piú, può contestarsi proprio la mancata attuazione del disposto legislativo». Il termine entro il quale «debbano essere utilizzate le somme accantonate non rileva ai fini della imposizione e della conseguente valutazione circa la sua legittimità», perché «non può […] che essere rimesso, in concreto, all’attività amministrativa in funzione del suo svolgersi, condizionato, come è, da elementi che, in quanto tali, non possono valutarsi in astratto e che si differenziano in relazione alle singole realtà fattuali, su cui finiscono per incidere». L’agire amministrativo – sostiene la s.p.a. G.O.R.I. – «non può essere condizionato da tempistiche aprioristicamente ed astrattamente definite», ferma restando, comunque, «la possibilità, per i cittadini anche attraverso le forme associative in cui spesso gli interessi diffusi si organizzano, di sollecitare gli interventi». Tale sollecitazione potrebbe «avvenire anche attraverso strumenti formali, con la fissazione di termini normativamente previsti, quali quelli contenuti nella legge n. 241/90 sull’agire amministrativo». In ogni caso, la controprestazione sarebbe legittimamente strutturata dal legislatore in maniera complessa quale attuazione del piano d’àmbito, «fase prodromica al completamento del servizio relativo al ciclo integrato delle acque».In riferimento all’evocato art. 3 Cost., la s.p.a. G.O.R.I. rileva preliminarmente la genericità della censura per la mancanza di un tertium comparationis e di una «adeguata descrizione della fattispecie concreta da cui emerga una ontologica differenza della ipotesi che giustifichi, ai fini del giudizio di “ragionevolezza”, una differente disciplina». Osserva, inoltre, che – contrariamente a quanto sostenuto dal rimettente – la norma censurata, essendo diretta a rendere concreto, attraverso la raccolta dei fondi con vincolo di destinazione, il diritto dei cittadini a godere di un servizio di depurazione delle acque reflue, realizza effettive condizioni di parità ed uguaglianza dei cittadini, perché elimina la discriminazione che si verifica per la mancanza degli impianti in parte del territorio.In riferimento all’art. 32 Cost., la s.p.a. G.O.R.I. sostiene che la censura è generica, in quanto non è chiaro quale sia il collegamento tra l’affermazione del giudice a quo per cui la disposizione censurata «incoraggia il lassismo degli Enti Locali a spese della salute dei cittadini e delle future generazioni danneggiate dall’inquinamento che ne scaturisce» e il diritto alla salute. La disposizione in questione, anzi, «è diretta attuazione delle norme costituzionali, in quanto costituisce strumento giuridico necessario a realizzare una situazione ambientale piú idonea a garantire il diritto alla salute dei residenti di un determinato territorio».In riferimento all’art. 41 Cost., la s.p.a. G.O.R.I. richiama le considerazione già svolte in relazione agli altri parametri evocati, osservando che «il giudice a quo, lungi dal proporre ulteriori eccezioni di legittimità costituzionale, ripropone le medesime argomentazioni già affrontate in precedenza».In riferimento, infine, al parametro dell’art. 97 Cost., la medesima società per azioni rileva che esso attiene all’imparzialità e al buon andamento della pubblica amministrazione e, pertanto, non ha alcun nesso con «la scelta legislativa di destinare fondi alla realizzazione del Piano d’Ambito, finanziando gli stessi con un parziale contributo dei cittadini». In ogni caso, «proprio lo strumento del vincolo posto ai proventi per la realizzazione dell’impianto, e, dunque, la illegittimità di ogni eventuale differente utilizzazione, dimostra la coerenza della previsione con i generali principi di buon andamento».3. – È intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, concludendo per l’inammissibilità o comunque per l’infondatezza delle questioni.L’Avvocatura generale sostiene, in particolare che: a) «la carente descrizione della fattispecie oggetto del giudizio principale impedisce di comprendere quale sia l’inadempienza accertata ai danni della società GORI s.p.a. gestore del servizio idrico integrato per giustificare l’eventuale ripetizione delle somme corrisposte a titolo di canone di depurazione»; b) il canone di depurazione delle acque reflue ha natura di prestazione patrimoniale imposta; c) non sussiste la violazione dell’art. 2 Cost. lamentata dal rimettente, in quanto «la norma in questione lungi dal mortificare la persona umana come soggetto di diritti, viceversa ne esalta la soggettività giuridica favorendo la prestazione di un servizio pubblico irrinunciabile, quale è la depurazione delle acque reflue»; d) «l’eventuale inerzia nella realizzazione dell’impianto di depurazione da parte degli enti pubblici competenti costituisce una circostanza di mero fatto che non può determinare l’incostituzionalità della norma, ma può eventualmente rilevare nel senso dell’attribuzione della relativa responsabilità agli enti medesimi con le normali conseguenze di legge»; e) «il tributo di cui si controverte presenta […] elementi di forte analogia con la tassa per lo smaltimento dei rifiuti, il cui versamento è dovuto anche laddove l’impianto di smaltimento non sia stato ancora realizzato ed i rifiuti vengano in ipotesi trasportati in impianti situati fuori regione; f) non sussiste la violazione dell’art. 3 Cost., perché l’eventuale disparità di trattamento fra chi usufruisce e chi non usufruisce del servizio di depurazione non discende dalla norma, ma, al piú, dalle modalità della sua applicazione; g) non sussiste la violazione dell’art. 32 Cost., in quanto il prelievo censurato è destinato a finanziare opere ed impianti di depurazione e ha la funzione di supplire ad eventuali carenze di fondi dei Comuni; h) non sussiste la violazione dell’art. 41 Cost., con riferimento all’asserita violazione della dignità umana, perché «la norma è preordinata proprio a garantire la copertura finanziaria per lo svolgimento di un’attività di utilità sociale quale la depurazione delle acque reflue»; i) non sussiste la violazione dell’art. 97 Cost., in quanto la norma realizza l’imparzialità e il buon andamento della pubblica amministrazione, «mediante la predisposizione di una copertura finanziaria per l’erogazione di un servizio pubblico irrinunciabile».4. – Con successiva memoria depositata in prossimità dell’udienza, la s.p.a. G.O.R.I. ha sostanzialmente ribadito, nel merito, quanto già sostenuto nell’atto di costituzione, eccependo la manifesta inammissibilità delle sollevate questioni, sui rilievi che: a) le questioni sono premature, essendo la loro rilevanza «solo futura ed ipotetica ed anzi neanche prevista, giacché […] il giudice rimettente non era ancora nelle condizioni di prospettare alcun esito del giudizio, essendo assenti valutazioni essenziali ai fini della controversia come introdotta dal ricorrente»; b) «assolutamente vago è il riferimento a formule stereotipate per sostenere la violazione dell’art. 2 della Costituzione e della “dignità di soggetto di diritto”»; c) è incoerente la scelta di denunciare, in riferimento al principio di uguaglianza di cui all’art. 3 Cost., una norma che, attraverso il vincolo di destinazione delle somme derivanti dalla riscossione della quota di tariffa riferita alla depurazione all’attuazione del piano d’àmbito, è diretta ad eliminare la disuguaglianza fra chi beneficia della depurazione e chi no; d) è incoerente la censura relativa alla violazione dell’art. 32 Cost., perché basata sulla considerazione non giuridica che la formulazione della norma impugnata «incoraggia il lassismo degli Enti locali a spese della salute dei cittadini e delle future generazioni danneggiate dall’inquinamento che ne scaturisce»; e) i riferimenti del rimettente ai parametri degli artt. 41 e 97 Cost. sono indeterminati e contraddittori.La s.p.a. G.O.R.I. afferma, inoltre, che le sollevate questioni non sono fondate e sostiene, in particolare, in relazione all’evocato art. 2 Cost., che: a) «la circostanza che una delle prestazioni sia differita nel tempo, in considerazione della complessità dell’intervento non solo tecnico, ma anche organizzativo e gestionale, non ne muta la natura corrispettiva, che è garantita dalla circostanza che tutte le somme sino ad ora riscosse sono e saranno vincolate alla specifica finalità individuata dalla legge»; b) la norma censurata risponde a finalità solidaristiche, prevedendo, nell’interesse della collettività degli utenti, il pagamento della quota di tariffa anche da parte di chi non usufruisca del servizio di depurazione.5. – Nel corso di un diverso giudizio civile, il Giudice di pace di Gragnano – con ordinanza del 31 maggio 2007 (r.o. n. 38 del 2008) – ha sollevato, in riferimento agli articoli 2, 3, 32 e 97 Cost., questioni di legittimità costituzionale dell’art. 14, comma 1, della legge n. 36 del 1994, nel testo originario [in vigore dal 3 ottobre 2000 al 27 agosto 2002], nella parte in cui prevede che la quota di tariffa riferita al servizio di pubblica fognatura e di depurazione sia dovuta dagli utenti anche nel caso in cui la fognatura sia sprovvista di impianti centralizzati di depurazione o questi siano temporaneamente inattivi.Il rimettente riferisce che: a) l’oggetto del giudizio principale è la domanda proposta da Vincenzo Sabbatino nei confronti del Comune di Gragnano, affinché sia accertata e dichiarata non dovuta la quota di tariffa riferita alla depurazione di acque reflue da lui pagata per l’anno 2001, con conseguente restituzione della stessa; b) secondo l’attore, il Comune convenuto gli aveva richiesto il pagamento del canone di depurazione pur non avendo assicurato agli utenti la fruizione del servizio di depurazione delle acque reflue, per mancanza degli appositi impianti; c) sempre secondo l’attore, «in assenza di tale fruizione, nella chiara configurazione sia di un inadempimento contrattuale che dei presupposti per la risoluzione per inadempimento limitatamente a singole coppie di prestazioni, il somministrato aveva diritto alla restituzione della somma pagata al convenuto per il servizio di depurazione»; d) il convenuto solleva, in via preliminare, eccezione di difetto di legittimazione passiva, asserendo che «i suoi compiti erano limitati solo alla riscossione del canone in questione per conto della Regione Campania, alla quale venivano versati i corrispettivi incassati» e, nel merito, chiede il rigetto della domanda attorea, in quanto infondata, perché, in base all’art. 14, comma 1, della legge n. 36 del 1994, il canone di depurazione è, comunque, dovuto anche in mancanza dei relativi impianti.Il rimettente osserva che l’art. 14, comma 1, della legge n. 36 del 1994, prevedendo che la quota di tariffa riferita al servizio di pubblica fognatura e di depurazione sia dovuta dagli utenti anche nel caso in cui la fognatura sia sprovvista di impianti centralizzati di depurazione o questi siano temporaneamente inattivi e che «i relativi proventi affluiscono in un fondo vincolato e sono destinati esclusivamente alla realizzazione e alla gestione delle opere e degli impianti centralizzati di depurazione», víola: a) l’art. 2 Cost., perché «importa l’aggressione del diritto inviolabile alla qualificazione dell’individuo come soggetto di diritto», per il quale è esclusa «ogni forma di potere arbitrario e persecutorio, compreso quello che impone una prestazione patrimoniale in assenza della relativa controprestazione», e perché, «non prevedendo […] un limite temporale oltre il quale non sia possibile procedere alla riscossione del canone di depurazione in assenza del servizio, rimette al mero arbitrio degli amministratori locali, deputati all’applicazione della norma, la cessazione del pagamento del canone in assenza del depuratore» e differisce, cosí, «sine die la realizzazione della qualità di soggetto di diritto»; b) l’art. 3 Cost., perché determina una discriminazione dei cittadini che versano il tributo senza usufruire del servizio di depurazione, rispetto a coloro che versano la tariffa e si giovano invece del servizio; c) l’art. 32 Cost., perché incoraggia «il lassismo degli enti locali a spese della salute dei cittadini e delle future generazioni danneggiate dall’inquinamento che ne scaturisce»; d) l’art. 97 Cost., perché consente alla pubblica amministrazione «d’imporre ai cittadini una sorta di “tassa sine titulo” la cui finalizzazione ad una futura esecuzione degli impianti appare generica ed astratta».In punto di rilevanza delle questioni, il giudice a quo premette di essere giurisdizionalmente competente, rilevando che la causa di fronte a lui proposta ha ad oggetto la non debenza e la conseguente restituzione del canone di depurazione pagato per l’anno 2001, periodo in relazione al quale la Corte di cassazione ha affermato la sussistenza della giurisdizione del giudice ordinario e non piú quella delle commissioni tributarie. Premette, altresí, che sussiste la legittimazione passiva del Comune convenuto, «visto che esso all’epoca dei fatti di causa (anno 2001) era il diretto gestore del servizio idrico integrato» ed «ha proceduto alla riscossione del canone di depurazione dall’attore mediante emissione della fattura di pagamento, proprio in qualità di titolare della pretesa creditoria».Osserva il rimettente che «la definizione del giudizio di costituzionalità dell’art. 14, legge n. 36/1994, come modificato dall’art. 28, [della legge] 31 luglio 2002, n. 179, è assolutamente rilevante per la risoluzione della controversia, in quanto la predetta norma rappresenta sia la disposizione che dovrà essere applicata in giudizio, sia il riferimento normativo indispensabile per il merito della controversia», perché dal «3 ottobre del 2000 sino al 27 agosto del 2002, la disciplina del canone di depurazione è stata regolamentata dall’art. 14, comma 1, legge n. 36/1994, nella sua formulazione originaria ».6. – È intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, svolgendo considerazioni analoghe a quelle esposte nel giudizio r.o. n. 830 del 2007 e concludendo per l’inammissibilità o comunque per l’infondatezza delle questioni.7. – I giudizi, la cui trattazione era inizialmente fissata per l’udienza del 6 maggio e la camera di consiglio del 7 maggio 2008, sono stati trattati all’udienza del 23 settembre e alla camera di consiglio del 24 settembre 2008.8. – Nel corso di un altro giudizio civile, il Giudice di pace di Gragnano – con ordinanza del 18 settembre 2007 (r.o. n. 184 del 2008) – ha sollevato, in riferimento agli articoli 2, 3, 32, 41 e 97 Cost., questioni di legittimità costituzionale dell’art. 14, comma 1, della legge n. 36 del 1994, nel testo modificato dall’art. 28 della legge n. 179 del 2002 [in vigore dal 28 agosto 2002 al 28 aprile 2006], nella parte in cui prevede che la quota di tariffa riferita al servizio di pubblica fognatura e di depurazione è dovuta dagli utenti anche nel caso in cui la fognatura sia sprovvista di impianti centralizzati di depurazione o questi siano temporaneamente inattivi.Il rimettente riferisce che: a) l’oggetto del giudizio principale è la domanda proposta da Carmela Alfano nei confronti della s.p.a. G.O.R.I., società di gestione del servizio idrico integrato nel Comune di Gragnano, affinché sia accertata e dichiarata non dovuta la quota di tariffa riferita alla depurazione di acque reflue da lei pagata per l’anno 2003, con conseguente restituzione della stessa; b) l’attrice afferma che la società convenuta le aveva richiesto il pagamento del canone di depurazione «pur non avendo effettuato né potendo effettuare il servizio di depurazione delle acque reflue, per essere notoriamente carente degli appositi impianti»; c) la convenuta chiede il rigetto della domanda attorea, in quanto infondata, perché, in base all’art. 14, comma 1, della legge n. 36 del 1994, pur essendosi verificata «la trasformazione della natura del canone di depurazione da tributaria in tariffaria», l’obbligazione di corrispondere il canone è comunque «inderogabile per espressa previsione di legge, e ciò indipendentemente dalla sussistenza o meno di un servizio corrispettivo».Quanto alle questioni di legittimità costituzionale prospettate e alla motivazione sulla rilevanza e non manifesta infondatezza delle stesse, il giudice a quo svolge considerazioni identiche a quelle esposte nell’ordinanza r.o. n. 830 del 2007, sopra riportate.9. – Si è costituita la s.p.a. G.O.R.I., concludendo per la manifesta inammissibilità o, in subordine, per la manifesta infondatezza delle proposte questioni e svolgendo considerazioni analoghe a quelle esposte nella memoria di costituzione nel giudizio r.o. n. 830 del 2007.10. – È intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, concludendo per l’inammissibilità o comunque per l’infondatezza delle questioni e svolgendo considerazioni analoghe a quelle esposte nel giudizio r.o. n. 830 del 2007.11. – Con memoria depositata in prossimità dell’udienza, la s.p.a. G.O.R.I. ha ribadito quanto già sostenuto nell’atto di costituzione, svolgendo considerazioni analoghe a quelle esposte nella memoria depositata in prossimità dell’udienza nel giudizio r.o. n. 830 del 2007.Considerato in diritto1. – Con le ordinanze r.o. n. 830 del 2007 e n. 184 del 2008, di contenuto sostanzialmente identico, il Giudice di pace di Gragnano dubita, in riferimento agli artt. 2, 3, 32, 41 e 97 della Costituzione, della legittimità dell’art. 14, comma 1, della legge 5 gennaio 1994, n. 36 (Disposizioni in materia di risorse idriche), nel testo modificato dall’art. 28 della legge 31 luglio 2002, n. 179 (Disposizioni in materia ambientale) [in vigore dal 28 agosto 2002 al 28 aprile 2006], nella parte in cui prevede che la quota di tariffa riferita al servizio di pubblica fognatura e di depurazione – quota che affluisce «a un fondo vincolato a disposizione dei soggetti gestori del Servizio idrico integrato la cui utilizzazione è vincolata alla attuazione del piano d’ambito» – è dovuta dagli utenti anche nel caso in cui la fognatura sia sprovvista di impianti centralizzati di depurazione o questi siano temporaneamente inattivi.In particolare, per il rimettente, la norma censurata víola: a) l’art. 2 Cost., perché incide sul «diritto inviolabile alla qualificazione dell’individuo come soggetto di diritto»; b) l’art. 3 Cost., perché irragionevolmente impone agli utenti di versare la quota di tariffa del servizio di fognatura e depurazione anche in mancanza del servizio di depurazione; c) l’art. 32 Cost., perché consente che la salute dei cittadini e delle future generazioni sia danneggiata dall’inquinamento che deriva dal «lassismo degli enti locali»; d) l’art. 41 Cost., perché il gestore delle risorse idriche, imponendo senza limiti temporali il pagamento di una tariffa pur in assenza del servizio di depurazione, «espleta una attività economica in contrasto con la dignità umana e l’utilità sociale»; e) l’art. 97 Cost., perché consente alla pubblica amministrazione «d’imporre ai cittadini una sorta di “tassa sine titulo” la cui finalizzazione ad una futura esecuzione degli impianti appare generica ed astratta».2. – Con l’ordinanza r.o. n. 38 del 2008, lo stesso giudice rimettente dubita – sollevando in riferimento agli artt. 2, 3, 32 e 97 Cost. questioni analoghe a quelle sollevate con le ordinanze r.o. n. 830 del 2007 e n. 184 del 2008 – della legittimità costituzionale dell’art. 14, comma 1, della legge n. 36 del 1994, nel testo originario [in vigore dal 3 ottobre 2000 al 27 agosto 2002], nella parte in cui prevede che la quota di tariffa riferita al servizio di pubblica fognatura e di depurazione – quota che affluisce a un fondo vincolato ed è destinata «esclusivamente alla realizzazione e alla gestione delle opere e degli impianti centralizzati di depurazione» – è dovuta dagli utenti anche nel caso in cui la fognatura sia sprovvista di impianti centralizzati di depurazione o questi siano temporaneamente inattivi.3 – I tre giudizi sopra menzionati vanno riuniti per essere congiuntamente trattati e decisi, in considerazione dell’evidente analogia delle questioni prospettate.4 – Come appena ricordato, nei giudizi r.o. n. 830 del 2007 e n. 184 del 2008, il rimettente denuncia, in riferimento all’art. 3 Cost., l’irragionevolezza della norma censurata, perché essa ingiustificatamente impone agli utenti di versare la quota di tariffa del servizio di fognatura e depurazione anche nel caso in cui gli impianti centralizzati di depurazione manchino o siano temporaneamente inattivi, cosí discriminando tali utenti rispetto a quelli che versano la tariffa e si giovano, invece, della controprestazione costituita dal servizio.4.1. – In detti due giudizi, la costituita s.p.a. G.O.R.I., cioè la società di gestione del servizio idrico integrato nel Comune di Gragnano, eccepisce l’inammissibilità della suddetta questione, per difetto di rilevanza o di motivazione sulla rilevanza, e comunque per la mancata prospettazione di un tertium comparationis. La difesa erariale, a sua volta, eccepisce l’inammissibilità della medesima questione, affermando che «la carente descrizione della fattispecie oggetto del giudizio principale impedisce di comprendere quale sia l’inadempienza accertata ai danni della società GORI s.p.a. gestore del servizio idrico integrato per giustificare l’eventuale ripetizione delle somme corrisposte a titolo di canone di depurazione».Le eccezioni non sono fondate.Entrambe le ordinanze di rimessione, infatti: a) descrivono sufficientemente le fattispecie oggetto dei giudizi a quibus, specificando che esse riguardano richieste di rimborso della quota di tariffa riferita al servizio di depurazione per l’anno 2003; b) muovono dal presupposto che gli utenti hanno pagato la suddetta quota in mancanza del servizio di depurazione delle acque reflue (come del resto riconosciuto dalla stessa s.p.a. G.O.R.I.); c) chiariscono che la norma applicabile ratione temporis alla fattispecie è la norma denunciata; d) denunciano la violazione dell’art. 3 Cost. sia per l’irragionevolezza intrinseca della norma sia per la disparità di trattamento che questa crea, nell’àmbito di coloro che sono tenuti al pagamento della tariffa del servizio idrico integrato, tra chi fruisce e chi non può fruire del servizio di depurazione delle acque.4.2. – La s.p.a. G.O.R.I. eccepisce, altresí, l’inammissibilità della medesima questione, affermandone l’incoerenza, perché essa ha ad oggetto una norma che, attraverso il vincolo di destinazione all’attuazione del piano d’àmbito delle somme derivanti dalla riscossione della quota di tariffa riferita alla depurazione, è diretta proprio ad eliminare la disuguaglianza fra chi beneficia della depurazione e chi no. Tuttavia tale eccezione, allegando la ragionevolezza della norma, si risolve in un rilievo sull’infondatezza della questione e, pertanto, non può essere esaminata in via preliminare, separatamente dal merito della questione medesima.5. – Passando all’esame del merito della dedotta violazione dell’art. 3 Cost., deve innanzi tutto rilevarsi che le censure proposte riguardano solo la quota dell’unitaria tariffa del servizio idrico integrato riferita al servizio di depurazione, quota costituente oggetto esclusivo delle richieste di rimborso degli utenti nei giudizi principali.Ancorché la norma denunciata non distingua espressamente tale quota da quella riferita al servizio di pubblica fognatura, tuttavia l’autonoma rilevanza di essa si desume dall’espresso riferimento che l’art. 3, comma 42, della legge 28 dicembre 1995, n. 549 (Misure di razionalizzazione della finanza pubblica), fa alla quota medesima, determinandone in modo distinto la misura da applicarsi transitoriamente fino alla «entrata in vigore della tariffa del servizio idrico integrato, prevista dall’articolo 13 della legge 5 gennaio 1994, n. 36». Tale distinzione è presente anche nella normativa di attuazione della legge n. 36 del 1994, costituita: a) dal d.m. 1° agosto 1996 (Metodo normalizzato per la definizione delle componenti di costo e la determinazione della tariffa di riferimento del servizio idrico integrato); b) dalla delibera CIPE 19 dicembre 2002, n. 131/02 (Direttive per la determinazione, in via transitoria, delle tariffe dei servizi acquedottistici, di fognatura e di depurazione per l’anno 2002). In particolare, ai fini della determinazione, con il metodo normalizzato, della «componente modellata dei costi operativi» della tariffa di riferimento, il primo dei due suddetti provvedimenti individua, al punto 3.1, «formule di costo» diverse per i tre distinti elementi nei quali si articola il servizio idrico integrato, e cioè il «servizio acque potabili», «il servizio fognature» e il «servizio trattamento reflui» (attinente, appunto, alla depurazione). Il secondo provvedimento, ai fini della determinazione degli investimenti specifici per i singoli servizi, individua interventi distinti per il servizio di fognatura e per quello di depurazione (allegato 1, punti 2.2 e 2.3) e disciplina, all’allegato 2 – significativamente intitolato «Adeguamento parametri per la tariffa di depurazione 2002» – la sola quota di tariffa riferita al servizio di depurazione.Sulla base di tale ricostruzione del quadro normativo, lo scrutinio di questa Corte va, pertanto, circoscritto alla quota dell’unitaria tariffa del servizio idrico integrato riferita al servizio di depurazione.6. – Il giudice a quo denuncia l’irragionevolezza della disposizione censurata, nella parte in cui essa prevede che la suddetta quota di tariffa, pur avendo natura di corrispettivo, sia dovuta dagli utenti anche quando manchi la controprestazione cui essa è collegata, e cioè «anche nel caso in cui la fognatura sia sprovvista di impianti centralizzati di depurazione o questi siano temporaneamente inattivi».La censura è fondata.6.1. – Il rimettente muove dal presupposto interpretativo che nel sistema delineato dalla legge n. 36 del 1994 la tariffa del servizio idrico integrato, articolato in tutte le sue componenti – e, quindi, anche quella relativa al servizio di depurazione – ha natura di corrispettivo di prestazioni contrattuali e non di tributo.Questa Corte ritiene che tale presupposto sia corretto e trovi fondamento nelle seguenti considerazioni.Innanzi tutto, dall’analisi dei lavori preparatori relativi alla norma censurata si desume che il legislatore ha inteso costruire la tariffa in modo tale da coprire i costi del servizio idrico integrato. In tali lavori si afferma che «l’utilità particolare che ogni utente […] ottiene dal servizio dovrà essere pagata per il suo valore economico» e che «la tariffa deve […] essere espressiva del costo industriale del servizio idrico rappresentato […] dall’integrazione dei servizi di captazione, adduzione, distribuzione, collettamento e depurazione» (atti Camera dei deputati, XI legislatura, 6 ottobre 1993, pagina 18599; nello stesso senso, anche atti Camera dei deputati, XI legislatura, VIII Commissione permanente, 15 giugno 1993, pagine 57-58). In coerenza con tale impostazione, l’art. 13, comma 1, della citata legge n. 36 del 1994 stabilisce espressamente che tutte le componenti della tariffa rappresentano «il corrispettivo del servizio idrico integrato», costituito, in base a quanto previsto dall’art. 4, comma 1, lettera f), della stessa legge, «dall’insieme dei servizi pubblici di captazione, adduzione e distribuzione di acqua ad usi civili, di fognatura e di depurazione delle acque reflue».La natura di corrispettivo della tariffa è, poi, confermata dal successivo comma 2 dell’art. 13, il quale stabilisce che essa deve assicurare «la copertura integrale dei costi di investimento e di esercizio». In particolare, essa deve essere determinata in base a criteri sostanzialmente analoghi a quelli stabiliti in via generale per la determinazione delle tariffe dei servizi pubblici locali dall’art. 117 del d.lgs. 18 agosto 2000, n. 267 (Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali), e cioè «tenendo conto della qualità della risorsa idrica e del servizio fornito, delle opere e degli adeguamenti necessari, dell’entità dei costi di gestione delle opere, dell’adeguatezza della remunerazione del capitale investito e dei costi di gestione delle aree di salvaguardia». Tale impostazione legislativa è analoga a quella adottata dal legislatore in altri settori concernenti la determinazione della remunerazione di prestazioni di pubblici servizi e, in particolare, a quella di cui agli artt. 11-nonies e seguenti del decreto-legge 30 settembre 2005, n. 203, convertito, con modificazioni, dalla legge 2 dicembre 2005, n. 248, per la determinazione dei diritti aeroportuali mediante il metodo del cosiddetto price cap. Tali diritti sono stati qualificati come non tributari, con norma di carattere interpretativo, dall’art. 39-bis del decreto-legge 1° ottobre 2007, n. 159, aggiunto dalla legge di conversione 29 novembre, n. 222, e la loro natura di «corrispettivi dovuti in base a contratti» è stata affermata da questa da questa Corte con la sentenza n. 51 del 2008.La natura non tributaria della quota di tariffa disciplinata dalla norma censurata è stata, inoltre, costantemente riconosciuta dalle sezioni unite della Corte di Cassazione, che, con riguardo proprio alle controversie relative alla quota riferita al servizio di depurazione, hanno ritenuto sussistente la giurisdizione del giudice ordinario, sul presupposto che, con il passaggio dalla disciplina previgente a quella della legge n. 36 del 1994, i “canoni” di depurazione delle acque reflue si sono trasformati da tributo a «corrispettivo di diritto privato» (ex plurimis, Cassazione, sezioni unite civili, sentenze n. 6418 del 2005, n. 16426 e n. 10960 del 2004; tutte precedenti all’entrata in vigore dell’art. 3-bis, comma 1, del decreto-legge 30 settembre 2005, n. 203, convertito, con modificazioni, dall’art. 1 della legge 2 dicembre 2005, n. 248, il quale ha espressamente attribuito alla giurisdizione tributaria le controversie relative alla debenza del «canone per lo scarico e la depurazione delle acque reflue», indipendentemente dalla loro qualificazione come tributo o corrispettivo).L’uso legislativo del termine «corrispettivo» e la rilevata struttura sinallagmatica del rapporto con l’utente si armonizzano, altresì, con il disposto dell’alinea e della lettera b) del quinto comma dell’art. 4 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633 (Istituzione e disciplina dell’imposta sul valore aggiunto), come modificato dall’art. 31, comma 30, della legge 23 dicembre 1998, n. 448 (Misure di finanza pubblica per la stabilizzazione e lo sviluppo), i quali considerano le quote di tariffa riferite ai servizi di fognatura e depurazione come veri e propri corrispettivi dovuti per lo svolgimento di attività commerciali, «ancorché esercitate da enti pubblici», come tali assoggettate a IVA. Infatti, la qualificazione, anche ai fini di quest’ultima imposta, di dette quote di tariffa come corrispettivi evidenzia ulteriormente la scelta del legislatore di non ricondurre le quote stesse al novero di quei «diritti, canoni, contributi» che la normativa comunitaria (da ultimo, art. 13, paragrafo 1, primo periodo, della Direttiva n. 2006/112/CE del Consiglio, del 28 novembre 2006) esclude in linea generale dall’assoggettamento a IVA, perché percepiti da enti pubblici «per le attività od operazioni che esercitano in quanto pubbliche autorità».Sempre in questa prospettiva va, infine, interpretata l’inapplicabilità alla tariffa del servizio idrico integrato – disposta dalla stessa legge n. 36 del 1994 contenente la disposizione censurata (in combinato disposto con l’art. 17, ottavo comma, della legge 10 maggio 1976, n. 319, recante «Norme per la tutela delle acque dall’inquinamento») – di quelle modalità di riscossione mediante ruolo, che sono tipiche (anche se non esclusive) dei prelievi tributari. L’art. 15 della citata legge n. 36 del 1994 si limita, infatti, a disporre che «la tariffa è riscossa dal soggetto che gestisce il servizio idrico integrato», eliminando ogni riferimento a quei meccanismi coattivi di riscossione dei tributi che erano, invece, espressamente richiamati dal previgente art. 17, ottavo comma, primo periodo, della legge n. 319 del 1976 – il quale ne prevedeva l’applicabilità solo «fino all’entrata in vigore della tariffa fissata dagli articoli 13, 14, 15 della legge 5 gennaio 1994, n. 36» – e disciplinati dagli artt. 273 e seguenti del regio decreto 14 settembre 1931, n. 1175 e dagli artt. 68 e 69 del d.P.R. 28 gennaio 1988, n. 43.L’interpretazione della legge n. 36 del 1994, condotta alla stregua dei comuni criteri ermeneutici, porta dunque a ritenere che la tariffa del servizio idrico integrato si configura, in tutte le sue componenti, come corrispettivo di una prestazione commerciale complessa, il quale, ancorché determinato nel suo ammontare in base alla legge, trova fonte non in un atto autoritativo direttamente incidente sul patrimonio dell’utente, bensì nel contratto di utenza. L’inestricabile connessione delle suddette componenti è evidenziata, in particolare, dal fatto sopra rilevato che, a fronte del pagamento della tariffa, l’utente riceve un complesso di prestazioni, consistenti sia nella somministrazione della risorsa idrica, sia nella fornitura dei servizi di fognatura e depurazione. Ne consegue che la quota di tariffa riferita al servizio di depurazione, in quanto componente della complessiva tariffa del servizio idrico integrato, ne ripete necessariamente la natura di corrispettivo contrattuale, il cui ammontare è inserito automaticamente nel contratto (art. 13 della legge n. 36 del 1994). 6.2. – Dall’accertata volontà del legislatore di costruire la quota di tariffa riferita al servizio di depurazione come corrispettivo deriva la fondatezza della censura di irragionevolezza della disposizione denunciata, nella parte in cui prevede che la suddetta quota di tariffa è dovuta dagli utenti anche quando manchi il servizio di depurazione.La norma censurata, imponendo l’obbligo di pagamento in mancanza della controprestazione, prescinde dalla natura di corrispettivo contrattuale della quota e, pertanto, si pone ingiustificatamente in contrasto con la sopra delineata ratio del sistema della legge n. 36 del 1994, che, come si è visto, è invece fondata sull’esistenza di un sinallagma che correla il pagamento della tariffa stessa alla fruizione del servizio per tutte le quote componenti la tariffa del servizio idrico integrato, ivi compresa la quota di tariffa riferita al servizio di depurazione.Ad evidenziare il rilevato contrasto vale anche la considerazione che la disciplina della quota di tariffa in questione, da un lato, qualifica detta quota come corrispettivo di una prestazione commerciale, come tale assoggettato ad IVA, e, dall’altro, contraddittoriamente, non consente la tutela civilistica dell’utente. Infatti, mentre l’alinea e la lettera b) del quinto comma dell’art. 4 del d.P.R. n. 633 del 1972 sottopongono ad IVA – come sopra ricordato – la quota di tariffa riferita al servizio di depurazione, perché considerano detta quota in ogni caso come corrispettivo, invece, la disposizione censurata, prescindendo dal sinallagma genetico e funzionale fra la prestazione di pagamento e la controprestazione del servizio, impedisce irragionevolmente all’utente di tutelarsi da eventuali inadempimenti della controparte mediante gli ordinari strumenti civilistici previsti per i contratti a prestazioni corrispettive (quali, ad esempio, l’azione di adempimento, l’exceptio inadimpleti contractus, l’azione di risoluzione per inadempimento).6.2.1. – A tale conclusione non può obiettarsi – come fa la difesa della s.p.a. G.O.R.I. – che la corrispettività fra la suddetta quota e il servizio di depurazione sussisterebbe comunque, perché le somme pagate dagli utenti in mancanza del servizio sarebbero destinate, attraverso un apposito fondo vincolato, all’attuazione del piano d’àmbito, comprendente anche la realizzazione dei depuratori. Va osservato, in contrario, che: a) l’ammontare della quota di tariffa riferita al servizio di depurazione è determinato indipendentemente dal fatto se il depuratore esista o no, essendo esso in ogni caso commisurato al costo del servizio di depurazione, in applicazione del cosiddetto «metodo normalizzato», e non al costo di realizzazione del depuratore (come risulta dall’allegato del citato d.m. 1° agosto 1996, punto 3.1, lettera c, e dall’allegato 1, punto 2.3, della citata delibera CIPE 19 dicembre 2002, n. 131/02); b) il provento costituito dalla quota confluente nel fondo vincolato può essere destinato alla realizzazione di depuratori non utilizzabili dal singolo utente obbligato al pagamento, come nel caso in cui i depuratori siano realizzati in Comuni diversi da quello in cui si trova l’utente, oppure nel caso in cui l’utente, dopo il pagamento della tariffa, si sia trasferito in altro Comune; c) nel caso in cui il Comune non gestisca direttamente il servizio idrico, la scelta del tempo e del luogo di realizzazione dei depuratori è affidata, dall’art. 11, comma 3, della legge n. 36 del 1994, a soggetti terzi rispetto al contratto di utenza, e cioè ai Comuni e alle Province, nell’esercizio della loro competenza a predisporre il piano d’àmbito; d) l’attuazione di tale piano si inserisce nel rapporto fra gestore e autorità d’àmbito e non in quello fra esso e l’utente, perché produce un’utilità riferita all’àmbito territoriale ottimale nel suo complesso e non anche quella «utilità particolare che ogni utente […] ottiene dal servizio», la quale sola – come chiarito dai lavori preparatori richiamati al punto 6.1. – consente di qualificare come corrispettivo la tariffa del servizio idrico integrato; e) il contratto di utenza e il pagamento della quota tariffaria non costituiscono presupposto necessario per l’attuazione dello stesso piano, essendo quest’ultima prevista e disciplinata, anche nei tempi e nelle modalità, non già dal contratto di utenza, ma da moduli procedimentali di diritto amministrativo.Dall’impossibilità di qualificare l’attuazione del piano d’àmbito come controprestazione contrattuale del pagamento della quota di tariffa riferita al servizio di depurazione discende la già evidenziata conseguenza che l’utente può agire contro l’inerzia dell’amministrazione nella realizzazione dei depuratori, non già in forza del rapporto contrattuale di utenza utilizzando gli ordinari strumenti civilistici di tutela, ma solo esercitando il generale potere di denuncia attribuitogli dall’ordinamento uti civis.6.2.2. – Neppure potrebbe opporsi che la denunciata irragionevolezza non sussiste in considerazione di un’adombrata natura di prelievo tributario della quota tariffaria riferita al servizio di depurazione. L’unitarietà della tariffa impedisce, infatti, di ritenere che le sue singole componenti abbiano natura non omogenea, e, conseguentemente, che anche solo una di esse, a differenza delle altre, non abbia natura di corrispettivo contrattuale. E ciò perché il legislatore, per la remunerazione delle varie componenti del servizio idrico integrato, non ha istituito tariffe distinte, ma ha concepito la tariffa di detto servizio come un tutto unico, nell’àmbito del quale la suddivisione in quote risponde solo all’esigenza di una più precisa quantificazione della tariffa stessa, che tenga conto di tutte le prestazioni che il gestore deve erogare.L’armonia di un sistema di finanziamento del servizio idrico integrato, costruito unitariamente dal legislatore sull’esistenza di un nesso sinallagmatico, sulla sufficienza di un contratto di utenza ai fini della nascita dell’obbligo di pagamento e, perciò, su una tariffa unica, sarebbe, in conclusione, lesa dalla previsione, quale mezzo di finanziamento, di un prelievo coattivo, la cui ratio confliggerebbe ingiustificatamente con la logica unitaria sopra detta, in quanto introduce un obbligo di pagamento non correlato alla controprestazione. Solo un autonomo prelievo tributario avulso dalla tariffa e, perciò, del tutto sganciato dal sistema del servizio idrico integrato potrebbe giustificare una tassazione per fini ambientali diretta a far contribuire anche colui che non utilizza il servizio alla spesa pubblica per la depurazione.7. – Nel giudizio r.o. n. 38 del 2008, il rimettente – formulando la stessa censura di cui alle ordinanze r.o. n. 830 del 2007 e n. 184 del 2008 – denuncia l’intrinseca irragionevolezza dell’art. 14, comma 1, della legge n. 36 del 1994, nel testo originario, il quale prevede che la quota di tariffa riferita al servizio di pubblica fognatura e di depurazione – quota i cui «proventi affluiscono in un fondo vincolato e sono destinati esclusivamente alla realizzazione e alla gestione delle opere e degli impianti centralizzati di depurazione» – è dovuta dagli utenti anche nel caso in cui la fognatura sia sprovvista di impianti centralizzati di depurazione o questi siano temporaneamente inattivi. La disposizione denunciata è uguale a quella risultante dalla modifica introdotta dall’art. 28 della legge n. 179 del 2002 ed oggetto delle ordinanze di rimessione sopra esaminate, con la sola differenza che la prima prevede che i proventi della quota di tariffa riferita al servizio di depurazione sono destinati esclusivamente alla realizzazione e alla gestione delle opere e degli impianti centralizzati di depurazione, la seconda – come visto – ne prevede la destinazione a un fondo vincolato per l’attuazione del piano d’àmbito.La censura è fondata, per le stesse ragioni esposte al precedente punto 6, perché la norma denunciata, eliminando ogni diretta relazione tra il pagamento di tale quota e l’effettivo svolgimento del servizio che tale pagamento dovrebbe retribuire, ha irragionevolmente disciplinato il pagamento della quota in modo non coerente con la sua natura di corrispettivo contrattuale.8. – L’accoglimento delle esaminate questioni comporta la dichiarazione di illegittimità costituzionale dell’art. 14, comma 1, della legge n. 36 del 1994, sia nel testo originario, sia nel testo modificato dall’art. 28 della legge n. 179 del 2002, nella parte in cui prevede che la quota di tariffa riferita al servizio di depurazione è dovuta dagli utenti «anche nel caso in cui la fognatura sia sprovvista di impianti centralizzati di depurazione o questi siano temporaneamente inattivi».9. – La riconosciuta fondatezza delle suddette questioni riferite alla violazione dell’art. 3 Cost. comporta l’assorbimento delle altre questioni sollevate dal rimettente.10. – Il censurato art. 14, comma 1, della legge n. 36 del 1994 è stato, con decorrenza dal 29 aprile 2006, abrogato dall’art. 175, comma 1, lettera u), del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (Norme in materia ambientale), e sostituito dall’art. 155, comma 1, primo periodo, dello stesso decreto legislativo, il quale prevede che «Le quote di tariffa riferite ai servizi di pubblica fognatura e di depurazione sono dovute dagli utenti anche nel caso in cui manchino impianti di depurazione o questi siano temporaneamente inattivi. Il gestore è tenuto a versare i relativi proventi, risultanti dalla formulazione tariffaria definita ai sensi dell’articolo 154, a un fondo vincolato intestato all’Autorità d’ambito, che lo mette a disposizione del gestore per l’attuazione degli interventi relativi alle reti di fognatura ed agli impianti di depurazione previsti dal piano d’ambito».L’analogia tra quest’ultima disposizione e quelle sopra dichiarate incostituzionali rende evidente che le considerazioni dianzi svolte, in ordine alla irragionevolezza di queste ultime, valgono anche per la prima.In conclusione, ai sensi dell’art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87, va dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 155, comma 1, primo periodo, del decreto legislativo n. 152 del 2006, nella parte in cui prevede che la quota di tariffa riferita al servizio di depurazione è dovuta dagli utenti «anche nel caso in cui manchino impianti di depurazione o questi siano temporaneamente inattivi».per questi motivi la Corte Costituzionaleriuniti i giudizi,1) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 14, comma 1, legge 5 gennaio 1994, n. 36 (Disposizioni in materia di risorse idriche), sia nel testo originario, sia nel testo modificato dall’art. 28 della legge 31 luglio 2002, n. 179 (Disposizioni in materia ambientale), nella parte in cui prevede che la quota di tariffa riferita al servizio di depurazione è dovuta dagli utenti «anche nel caso in cui la fognatura sia sprovvista di impianti centralizzati di depurazione o questi siano temporaneamente inattivi»;2) dichiara, ai sensi dell’art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87, l’illegittimità costituzionale dell’art. 155, comma 1, primo periodo, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (Norme in materia ambientale), nella parte in cui prevede che la quota di tariffa riferita al servizio di depurazione è dovuta dagli utenti «anche nel caso in cui manchino impianti di depurazione o questi siano temporaneamente inattivi».
Cosí deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, l'8 ottobre 2008.
F.to:Giovanni Maria FLICK, Presidente
Franco GALLO, Redattore
Gabriella MELATTI, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 10 ottobre 2008.

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