giovedì 28 agosto 2008

La realizzazione di balcone e distribuzione delle aperture sulla facciata.


La motivazione addotta dal Comune non può ritenersi in ogni caso idonea a legittimare il diniego della modifica della finestra in balcone, laddove i ricorrenti nel realizzare tale intervento hanno peraltro dimostrato di essersi attenuti alle medesime caratteristiche costruttive degli altri balconi esistenti sulla medesima facciata, ed hanno altresì inteso riequilibrare la facciata medesima attraverso un riallineamento con altro analogo balcone già esistente al piano superiore.
Con siffatta motivazione, il T.A.R. campano ha accolto il ricorso di coloro che chiedevano la cassazione del diniego di sanatoria di un balcone realizzato a partire dalla trasformazione di una apertura esistente, sulla facciata interna del fabbricato di interesse.
Secondo quanto è dato evincere dalla pronuncia in commento, trattandosi di un fabbricato “ottocentesco” (sic, considerato in fatto), il Comune aveva opposto il diniego di concessione edilizia in sanatoria poiché (a suo dire, in sintesi) si trattava di un intervento edilizio posto in essere pregiudicando l’armonica e preesistente distribuzione delle aperture sulla facciata dell’immobile.
Tale motivazione, tuttavia, è parsa – al Collegio – illegittima poiché l’apertura di cui trattasi era stata operata su una porzione della facciata che esiste internamente all’immobile (oltre al fatto che i ricorrenti hanno dimostrato, documentalmente, l’infondatezza del rilevato pregiudizio all’impianto distributivo delle aperture esistenti.
(Altalex, 21 agosto 2008. Nota di Alessandro Del Dotto)
T.A.R.Campania – NapoliSezione IV
Sentenza 7 marzo 2008, n. 952(Pres. Pasanisi, Est. Ianigro)
REPUBBLICA ITALIANA
“IN NOME DEL POPOLO ITALIANO”
IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE PER LA CAMPANIA
QUARTA SEZIONE DI NAPOLIcomposto dai Magistrati:Pasanisi LeonardoPresidenteRenata Emma IanigroComponente, rel. Ines PisanoComponente
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA

sul ricorso n. 5264/2007 proposto da:
R. A. e V. A. M. rappresentati e difesi, giusta mandato a margine del ricorso, dall’avv. Bartolo G. Senatore ed elettivamente domiciliati in Napoli alla via Toledo n. 205;
CONTRO
COMUNE DI NAPOLI in persona del Sindaco p.t. rappresentato e difeso dagli avv.ti Giuseppe Tarallo, Barbara Accattatis Chalons D’Oranges, Antonio Andreottola, Eleonora Carpentieri, Bruno Crimaldi, Annalisa Cuomo, A. Ivana Furnari, Giacomo Pizza, A. Pulcini, Bruno Ricci, giusta mandato a margine dell’atto di costituzione, ed elettivamente domiciliato in Napoli p.zo S.Giacomo presso l’Avvocatura Municipale;
per l’annullamento
della disposizione dirigenziale n. 155 del 2.04.2007 con cui il Comune di Napoli respingeva l’istanza di concessione edilizia in sanatoria, ed ordinava il ripristino dello stato dei luoghi;
di ogni altro atto preordinato, collegato, connesso e conseguente se ed in quanto lesivo degli interessi del ricorrente;
della delibera di G.C. n. 2987 del 4.08.2003;
del parere espresso dalla commissione edilizia nella seduta del 7.12.2006;
Relatore la dott.ssa Renata Emma Ianigro;
Letto il ricorso ed i relativi allegati;
Vista la costituzione dell’amministrazione intimata;
sentito per il Comune di Napoli l’avv. Ricci alla udienza pubblica del 19.12.2007;
Premesso in fatto
Con ricorso iscritto al n.5264/2007, R. A. e V. A. M., quali comproprietari di un immobile sito in Napoli al corso San Giovanni a Teduccio n. 954 della estensione di m.q. 75,00 e costituente parte integrante di un edificio in muratura composto di cinque livelli fuori terra con un’unica cassa scala posta lateralmente all’androne di ingresso, premesso di aver inoltrato richiesta di permesso di costruire in sanatoria per gli interventi di cui all’ordine di ripristino ingiunto dal Comune di Napoli con disposizione n.1404 del 6.06.2006, impugnavano il provvedimento con cui lo stesso Comune respingeva la predetta istanza deducendone la illegittimità per i seguenti motivi di diritto:
1) Violazione e falsa applicazione della legge, art. 79 comma 4 lettera c) della variante generale al p.r.g., eccesso di potere;
Il provvedimento impugnato si fonda su un’erronea interpretazione dell’art. 79 delle norme di attuazione della variante al p.r.g. che consente la modifica di immobili identificabili come unità di base ottocentesca originaria o di ristrutturazione a blocco, “ove si persegua il recupero di assetti precedenti e riconoscibili, al fine di ricondurre a essi la composizione di prospetto, ma solo nel contesto di una operazione unitaria afferente l’intera unità edilizia, o almeno all’interezza dei suoi fronti e fermo restando che modifiche e ripristini di aperture sono consentiti solo se, mediante saggi e scrostature di intonaci, ovvero esauriente documentazione storica, si dimostrino preesistenti coerenti con l’impianto complessivo dell’unità edilizia”.
La situazione attuale presenta un sistema distributivo articolato sulla sequenza portone-androne-scala; la maglia strutturale doppia e l’altezza di edificazione pari a quattro piani fuori terra, il prospetto principale caratterizzato dall’allineamento verticale dei balconcini e da una distribuzione degli stessi simmetricamente rispetto al portone.
Di qui consegue l’ammissibilità indubbia dello sporto balcone in quanto rivolto ad operare un riequilibrio della facciata interessata che presenta già una lunga balconata al piano superiore, peraltro incidente soltanto su un prospetto interno del fabbricato non visibile dalla pubblica via, in funzione quindi di omogeneizzazione rispetto ai balconi dell’intero edificio.
Inoltre nella zona ove ricade l’immobile sono comunque consentiti interventi di manutenzione ordinaria, straordinaria , nonché di restauro e risanamento conservativo dell’esistente. Il balcone realizzato è di modeste dimensioni ed è per questo incapace di apportare modifiche consistenti all’edificio ed all’assetto edilizio urbanistico del territorio comunale. Gli interventi di restauro e risanamento conservativo sono suscettibili di includere altresì l’inserimento degli elementi accessori e degli impianti richiesti dalle esigenze d’uso.
2) Violazione di legge; art. 33 comma IV del d.p.r. 380/2001, art. 79 comma 4 lettera c) della variante generale al p.r.g., eccesso di potere;
Il responsabile del procedimento non ha richiesto il parere vincolante dl Ministero dei beni culturali ed ambientali.
3) Violazione e falsa applicazione della legge: art. 36 d.p.r. n. 380/2001, art. 3 della legge n. 241/1990, eccesso di potere, motivazione insufficiente;
La motivazione del provvedimento è palesemente scarna, specie nel caso in esame, ove è evidente che non vi è contrasto con gli strumenti urbanistici.
Concludeva quindi per l’accoglimento del ricorso e per l’annullamento del provvedimento impugnato.
L’amministrazione si costituiva per resistere al ricorso.
Alla udienza pubblica del 19.12.2007 il ricorso veniva discusso e ritenuto per la decisione.
Considerato in Diritto
1. Con il presente gravame i ricorrenti impugnano, chiedendone l’annullamento la disposizione dirigenziale n. 155 del 2.04.2007 con cui il Comune di Napoli respingeva la istanza di accertamento di conformità inoltrata ai sensi dell’art. 36 del d.p.r. n. 380/2001 per la realizzazione abusiva di un balcone di circa 4,70 metri x 1,30 metri, prospettante sul cortile interno dell’edificio, con accesso ottenuto previa demolizione del parapetto della finestra preesistente, nonché per l’apertura di due piccoli finestrini sul prospetto interno del fabbricato.
Con il provvedimento di diniego in questa sede gravato, il Comune di Napoli respingeva la istanza di sanatoria in oggetto poiché l’intervento in questione, inerente un immobile disciplinato quale unità di base ottocentesca o di ristrutturazione a blocco dagli artt. 63 e 79 delle n.t.a. della variante generale al P.r.g. approvata con D.P.C.R.C. n. 323 dell’11.06.2004, non è sanabile a norma dell’art. 79 comma 4 lettera c) trattandosi di un intervento sporadico non riferito all’intero fronte e non indirizzato a recuperare assetti preesistenti e documentati.
I ricorrenti lamentano la illegittimità del diniego impugnato assumendo la riconducibilità degli interventi oggetto di sanatoria alle opere assentibili ai sensi della normativa di cui all’art. 79 lettera c) opposta dalla stesso Comune.
2. Il ricorso è solo in parte fondato e merita accoglimento limitatamente al diniego di sanatoria dello sporto balcone, ed in tale parte va annullato secondo quanto di seguito precisato.
Innanzitutto occorre premettere, con riferimento alla normativa di attuazione del p.r.g. richiamata nel provvedimento impugnato, che l’art. 79 comma 4, per gli immobili costituenti unità edilizia di base ottocentesca o di ristrutturazione a blocco, ammette la esecuzione di interventi di restauro e valorizzazione degli assetti e degli elementi architettonici originari, nonché il ripristino degli elementi alterati attraverso le opere ivi elencate alle lettere a), b), c), d) e) ed f). In particolare per le opere di restauro e di ripristino di fronti esterni ed interni, alla lettera c), è prescritta la conservazione delle aperture esistenti nel loro numero, nella loro forma dimensione e posizione, ove corrispondano alla logica distributiva propria dell’unità edilizia interessata, ovvero a organiche trasformazioni della stessa, consolidate nel tempo secondo una storicizzata configurazione, e l’insieme degli interventi tenda al mantenimento dell’assetto conseguito. La modifica di aperture è consentita ove si persegua il recupero di assetti precedenti e riconoscibili, al fine di ricondurre ad essi la composizione di prospetto, ma solo nel contesto di una operazione unitaria afferente l’intera unità edilizia o almeno l’interezza dei suoi fronti e fermo restando che modifiche e ripristini di aperture sono consentiti solo se, mediante saggi e scrostature di intonaci, ovvero esauriente documentazione storica, si dimostrino preesistenze coerenti con l’impianto complessivo dell’unità edilizia.
Circa la tipologia architettonica delle unità edilizie di base ottocentesca originaria o di ristrutturazione a blocco, la scheda 21 delle n.t.a. del p.r.g. del Comune di Napoli-, richiamata nella consulenza tecnica allegata alla istanza di sanatoria - contempla un corpo di fabbrica tendenzialmente rettangolare, parallelo all’asse stradale, con un’articolazione della sequenza portone-androne– scala orientata al massimo utilizzo del volume su strada e con il corpo scala generalmente situato nella maglia interna. Per tale tipologia costruttiva l’aspetto esteriore del fabbricato viene ivi descritto con riferimento alla partitura del prospetto principale, che deve essere articolato attraverso allineamenti verticali di finestre generalmente in numero dispari da 5 a 9 , con asse di simmetria sul portone, improntata a regolarità e simmetria, pariteticità delle bucature, basamento a fasce orizzontali esteso fino all’altezza del portone.
2.1 Ciò posto, occorre considerare che i ricorrenti, attraverso la documentazione tecnica e fotografica allegata alla istanza di sanatoria ed al fascicolo di causa, hanno attestato, innanzitutto, che l’unità immobiliare interessata dagli interventi oggetto di sanatoria, situata in zona A centro storico, è ricompresa in un edificio di cinque piani fuori terra con una struttura portante in muratura articolata secondo un sistema distributivo composto dalla sequenza portone-androne-scala, ove la scala unica è posta lateralmente all’androne di ingresso.
Per ciò che concerne l’impianto distributivo della facciata interessata dagli interventi in oggetto, i ricorrenti hanno altresì documentato, attraverso i rilievi grafici e fotografici in atti a suo tempo allegati alla istanza di sanatoria, che le aperture realizzate non riguardano il prospetto principale esterno del fabbricato che affaccia sulla strada principale e precisamente su San Giovanni a Teduccio, bensì interessano una facciata interna del fabbricato che prospetta su un cortile.
A ben vedere le aperture esistenti su detta facciata interna, come ricavabile dalla documentazione fotografica allegata in atti, non rispecchiano quel sistema regolare di allineamento verticale e simmetrico suscettibile - come riportato nella scheda tecnica descrittiva sopra richiamata - di essere interrotto o alterato da un intervento sporadico non coerente né conforme al sistema distributivo preesistente. Dalla visione delle riproduzioni fotografiche dello stato dei luoghi è evidente che la modifica della preesistente finestra in balcone, operata attraverso l’abbattimento del parapetto e la apposizione di una ringhiera metallica, non altera l’impianto distributivo delle aperture esistenti. Ed infatti, come innanzi precisato, la facciata del fabbricato che prospetta sul cortile interno non presenta un sistema distributivo di aperture caratterizzato da simmetria e linearità, essendo composta in varia parte sia da finestre che da balconi collocate secondo una sequenza non ordinata né organica, sicchè non si comprende quale impianto distributivo il Comune abbia inteso preservare attraverso il diniego in oggetto sia rispetto alla logica distributiva propria dell’unità edilizia interessata, sia rispetto ad eventuali trasformazioni intervenute nel tempo. Pertanto la motivazione addotta dal Comune di Napoli non può ritenersi in ogni caso idonea a legittimare il diniego della modifica della finestra in balcone, laddove i ricorrenti nel realizzare tale intervento hanno peraltro dimostrato di essersi attenuti alle medesime caratteristiche costruttive degli altri balconi esistenti sulla medesima facciata, ed hanno altresì inteso riequilibrare la facciata medesima attraverso un riallineamento con altro analogo balcone già esistente al piano superiore. Sotto tale profilo il Comune intimato avrebbe potuto assentire la modifica di un’apertura esistente, in assenza di un accertato pregiudizio all’aspetto architettonico esteriore del fabbricato ed alla sua conformazione originaria come tutelata dalla norma tecnica di attuazione, mentre, correttamente ha escluso la sanabilità delle “nuove aperture” la cui realizzabilità è radicalmente esclusa dalla normativa medesima.
Per tali ragioni il provvedimento va annullato in parte qua, limitatamente al diniego di sanatoria dello sporto balcone, e, quanto alle spese processuali ricorrono giusti motivi per disporne la integrale compensazione tra le parti.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania, sede di Napoli sez. IV^, definitivamente pronunciandosi, sul ricorso iscritto al n. 5264/2007 proposto da R. A. e V. A. M., così provvede:
- accoglie il ricorso, nei limiti di cui in motivazione, e per l’effetto annulla “in parte qua” il provvedimento impugnato;
- spese compensate.
- ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Napoli, nella Camera di Consiglio del 19 dicembre 2007.
La presente decisione è depositata presso la Segreteria del Tribunale che provvederà a darne comunicazione alle parti.
dott. Leonardo Pasanisi – Presidente
dott. Renata Emma Ianigro – Primo Referendario estensore

La realizzazione di balcone e distribuzione delle aperture sulla facciata.


La motivazione addotta dal Comune non può ritenersi in ogni caso idonea a legittimare il diniego della modifica della finestra in balcone, laddove i ricorrenti nel realizzare tale intervento hanno peraltro dimostrato di essersi attenuti alle medesime caratteristiche costruttive degli altri balconi esistenti sulla medesima facciata, ed hanno altresì inteso riequilibrare la facciata medesima attraverso un riallineamento con altro analogo balcone già esistente al piano superiore.
Con siffatta motivazione, il T.A.R. campano ha accolto il ricorso di coloro che chiedevano la cassazione del diniego di sanatoria di un balcone realizzato a partire dalla trasformazione di una apertura esistente, sulla facciata interna del fabbricato di interesse.
Secondo quanto è dato evincere dalla pronuncia in commento, trattandosi di un fabbricato “ottocentesco” (sic, considerato in fatto), il Comune aveva opposto il diniego di concessione edilizia in sanatoria poiché (a suo dire, in sintesi) si trattava di un intervento edilizio posto in essere pregiudicando l’armonica e preesistente distribuzione delle aperture sulla facciata dell’immobile.
Tale motivazione, tuttavia, è parsa – al Collegio – illegittima poiché l’apertura di cui trattasi era stata operata su una porzione della facciata che esiste internamente all’immobile (oltre al fatto che i ricorrenti hanno dimostrato, documentalmente, l’infondatezza del rilevato pregiudizio all’impianto distributivo delle aperture esistenti.
(Altalex, 21 agosto 2008. Nota di Alessandro Del Dotto)
T.A.R.Campania – NapoliSezione IV
Sentenza 7 marzo 2008, n. 952(Pres. Pasanisi, Est. Ianigro)
REPUBBLICA ITALIANA
“IN NOME DEL POPOLO ITALIANO”
IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE PER LA CAMPANIA
QUARTA SEZIONE DI NAPOLIcomposto dai Magistrati:Pasanisi LeonardoPresidenteRenata Emma IanigroComponente, rel. Ines PisanoComponente
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA

sul ricorso n. 5264/2007 proposto da:
R. A. e V. A. M. rappresentati e difesi, giusta mandato a margine del ricorso, dall’avv. Bartolo G. Senatore ed elettivamente domiciliati in Napoli alla via Toledo n. 205;
CONTRO
COMUNE DI NAPOLI in persona del Sindaco p.t. rappresentato e difeso dagli avv.ti Giuseppe Tarallo, Barbara Accattatis Chalons D’Oranges, Antonio Andreottola, Eleonora Carpentieri, Bruno Crimaldi, Annalisa Cuomo, A. Ivana Furnari, Giacomo Pizza, A. Pulcini, Bruno Ricci, giusta mandato a margine dell’atto di costituzione, ed elettivamente domiciliato in Napoli p.zo S.Giacomo presso l’Avvocatura Municipale;
per l’annullamento
della disposizione dirigenziale n. 155 del 2.04.2007 con cui il Comune di Napoli respingeva l’istanza di concessione edilizia in sanatoria, ed ordinava il ripristino dello stato dei luoghi;
di ogni altro atto preordinato, collegato, connesso e conseguente se ed in quanto lesivo degli interessi del ricorrente;
della delibera di G.C. n. 2987 del 4.08.2003;
del parere espresso dalla commissione edilizia nella seduta del 7.12.2006;
Relatore la dott.ssa Renata Emma Ianigro;
Letto il ricorso ed i relativi allegati;
Vista la costituzione dell’amministrazione intimata;
sentito per il Comune di Napoli l’avv. Ricci alla udienza pubblica del 19.12.2007;
Premesso in fatto
Con ricorso iscritto al n.5264/2007, R. A. e V. A. M., quali comproprietari di un immobile sito in Napoli al corso San Giovanni a Teduccio n. 954 della estensione di m.q. 75,00 e costituente parte integrante di un edificio in muratura composto di cinque livelli fuori terra con un’unica cassa scala posta lateralmente all’androne di ingresso, premesso di aver inoltrato richiesta di permesso di costruire in sanatoria per gli interventi di cui all’ordine di ripristino ingiunto dal Comune di Napoli con disposizione n.1404 del 6.06.2006, impugnavano il provvedimento con cui lo stesso Comune respingeva la predetta istanza deducendone la illegittimità per i seguenti motivi di diritto:
1) Violazione e falsa applicazione della legge, art. 79 comma 4 lettera c) della variante generale al p.r.g., eccesso di potere;
Il provvedimento impugnato si fonda su un’erronea interpretazione dell’art. 79 delle norme di attuazione della variante al p.r.g. che consente la modifica di immobili identificabili come unità di base ottocentesca originaria o di ristrutturazione a blocco, “ove si persegua il recupero di assetti precedenti e riconoscibili, al fine di ricondurre a essi la composizione di prospetto, ma solo nel contesto di una operazione unitaria afferente l’intera unità edilizia, o almeno all’interezza dei suoi fronti e fermo restando che modifiche e ripristini di aperture sono consentiti solo se, mediante saggi e scrostature di intonaci, ovvero esauriente documentazione storica, si dimostrino preesistenti coerenti con l’impianto complessivo dell’unità edilizia”.
La situazione attuale presenta un sistema distributivo articolato sulla sequenza portone-androne-scala; la maglia strutturale doppia e l’altezza di edificazione pari a quattro piani fuori terra, il prospetto principale caratterizzato dall’allineamento verticale dei balconcini e da una distribuzione degli stessi simmetricamente rispetto al portone.
Di qui consegue l’ammissibilità indubbia dello sporto balcone in quanto rivolto ad operare un riequilibrio della facciata interessata che presenta già una lunga balconata al piano superiore, peraltro incidente soltanto su un prospetto interno del fabbricato non visibile dalla pubblica via, in funzione quindi di omogeneizzazione rispetto ai balconi dell’intero edificio.
Inoltre nella zona ove ricade l’immobile sono comunque consentiti interventi di manutenzione ordinaria, straordinaria , nonché di restauro e risanamento conservativo dell’esistente. Il balcone realizzato è di modeste dimensioni ed è per questo incapace di apportare modifiche consistenti all’edificio ed all’assetto edilizio urbanistico del territorio comunale. Gli interventi di restauro e risanamento conservativo sono suscettibili di includere altresì l’inserimento degli elementi accessori e degli impianti richiesti dalle esigenze d’uso.
2) Violazione di legge; art. 33 comma IV del d.p.r. 380/2001, art. 79 comma 4 lettera c) della variante generale al p.r.g., eccesso di potere;
Il responsabile del procedimento non ha richiesto il parere vincolante dl Ministero dei beni culturali ed ambientali.
3) Violazione e falsa applicazione della legge: art. 36 d.p.r. n. 380/2001, art. 3 della legge n. 241/1990, eccesso di potere, motivazione insufficiente;
La motivazione del provvedimento è palesemente scarna, specie nel caso in esame, ove è evidente che non vi è contrasto con gli strumenti urbanistici.
Concludeva quindi per l’accoglimento del ricorso e per l’annullamento del provvedimento impugnato.
L’amministrazione si costituiva per resistere al ricorso.
Alla udienza pubblica del 19.12.2007 il ricorso veniva discusso e ritenuto per la decisione.
Considerato in Diritto
1. Con il presente gravame i ricorrenti impugnano, chiedendone l’annullamento la disposizione dirigenziale n. 155 del 2.04.2007 con cui il Comune di Napoli respingeva la istanza di accertamento di conformità inoltrata ai sensi dell’art. 36 del d.p.r. n. 380/2001 per la realizzazione abusiva di un balcone di circa 4,70 metri x 1,30 metri, prospettante sul cortile interno dell’edificio, con accesso ottenuto previa demolizione del parapetto della finestra preesistente, nonché per l’apertura di due piccoli finestrini sul prospetto interno del fabbricato.
Con il provvedimento di diniego in questa sede gravato, il Comune di Napoli respingeva la istanza di sanatoria in oggetto poiché l’intervento in questione, inerente un immobile disciplinato quale unità di base ottocentesca o di ristrutturazione a blocco dagli artt. 63 e 79 delle n.t.a. della variante generale al P.r.g. approvata con D.P.C.R.C. n. 323 dell’11.06.2004, non è sanabile a norma dell’art. 79 comma 4 lettera c) trattandosi di un intervento sporadico non riferito all’intero fronte e non indirizzato a recuperare assetti preesistenti e documentati.
I ricorrenti lamentano la illegittimità del diniego impugnato assumendo la riconducibilità degli interventi oggetto di sanatoria alle opere assentibili ai sensi della normativa di cui all’art. 79 lettera c) opposta dalla stesso Comune.
2. Il ricorso è solo in parte fondato e merita accoglimento limitatamente al diniego di sanatoria dello sporto balcone, ed in tale parte va annullato secondo quanto di seguito precisato.
Innanzitutto occorre premettere, con riferimento alla normativa di attuazione del p.r.g. richiamata nel provvedimento impugnato, che l’art. 79 comma 4, per gli immobili costituenti unità edilizia di base ottocentesca o di ristrutturazione a blocco, ammette la esecuzione di interventi di restauro e valorizzazione degli assetti e degli elementi architettonici originari, nonché il ripristino degli elementi alterati attraverso le opere ivi elencate alle lettere a), b), c), d) e) ed f). In particolare per le opere di restauro e di ripristino di fronti esterni ed interni, alla lettera c), è prescritta la conservazione delle aperture esistenti nel loro numero, nella loro forma dimensione e posizione, ove corrispondano alla logica distributiva propria dell’unità edilizia interessata, ovvero a organiche trasformazioni della stessa, consolidate nel tempo secondo una storicizzata configurazione, e l’insieme degli interventi tenda al mantenimento dell’assetto conseguito. La modifica di aperture è consentita ove si persegua il recupero di assetti precedenti e riconoscibili, al fine di ricondurre ad essi la composizione di prospetto, ma solo nel contesto di una operazione unitaria afferente l’intera unità edilizia o almeno l’interezza dei suoi fronti e fermo restando che modifiche e ripristini di aperture sono consentiti solo se, mediante saggi e scrostature di intonaci, ovvero esauriente documentazione storica, si dimostrino preesistenze coerenti con l’impianto complessivo dell’unità edilizia.
Circa la tipologia architettonica delle unità edilizie di base ottocentesca originaria o di ristrutturazione a blocco, la scheda 21 delle n.t.a. del p.r.g. del Comune di Napoli-, richiamata nella consulenza tecnica allegata alla istanza di sanatoria - contempla un corpo di fabbrica tendenzialmente rettangolare, parallelo all’asse stradale, con un’articolazione della sequenza portone-androne– scala orientata al massimo utilizzo del volume su strada e con il corpo scala generalmente situato nella maglia interna. Per tale tipologia costruttiva l’aspetto esteriore del fabbricato viene ivi descritto con riferimento alla partitura del prospetto principale, che deve essere articolato attraverso allineamenti verticali di finestre generalmente in numero dispari da 5 a 9 , con asse di simmetria sul portone, improntata a regolarità e simmetria, pariteticità delle bucature, basamento a fasce orizzontali esteso fino all’altezza del portone.
2.1 Ciò posto, occorre considerare che i ricorrenti, attraverso la documentazione tecnica e fotografica allegata alla istanza di sanatoria ed al fascicolo di causa, hanno attestato, innanzitutto, che l’unità immobiliare interessata dagli interventi oggetto di sanatoria, situata in zona A centro storico, è ricompresa in un edificio di cinque piani fuori terra con una struttura portante in muratura articolata secondo un sistema distributivo composto dalla sequenza portone-androne-scala, ove la scala unica è posta lateralmente all’androne di ingresso.
Per ciò che concerne l’impianto distributivo della facciata interessata dagli interventi in oggetto, i ricorrenti hanno altresì documentato, attraverso i rilievi grafici e fotografici in atti a suo tempo allegati alla istanza di sanatoria, che le aperture realizzate non riguardano il prospetto principale esterno del fabbricato che affaccia sulla strada principale e precisamente su San Giovanni a Teduccio, bensì interessano una facciata interna del fabbricato che prospetta su un cortile.
A ben vedere le aperture esistenti su detta facciata interna, come ricavabile dalla documentazione fotografica allegata in atti, non rispecchiano quel sistema regolare di allineamento verticale e simmetrico suscettibile - come riportato nella scheda tecnica descrittiva sopra richiamata - di essere interrotto o alterato da un intervento sporadico non coerente né conforme al sistema distributivo preesistente. Dalla visione delle riproduzioni fotografiche dello stato dei luoghi è evidente che la modifica della preesistente finestra in balcone, operata attraverso l’abbattimento del parapetto e la apposizione di una ringhiera metallica, non altera l’impianto distributivo delle aperture esistenti. Ed infatti, come innanzi precisato, la facciata del fabbricato che prospetta sul cortile interno non presenta un sistema distributivo di aperture caratterizzato da simmetria e linearità, essendo composta in varia parte sia da finestre che da balconi collocate secondo una sequenza non ordinata né organica, sicchè non si comprende quale impianto distributivo il Comune abbia inteso preservare attraverso il diniego in oggetto sia rispetto alla logica distributiva propria dell’unità edilizia interessata, sia rispetto ad eventuali trasformazioni intervenute nel tempo. Pertanto la motivazione addotta dal Comune di Napoli non può ritenersi in ogni caso idonea a legittimare il diniego della modifica della finestra in balcone, laddove i ricorrenti nel realizzare tale intervento hanno peraltro dimostrato di essersi attenuti alle medesime caratteristiche costruttive degli altri balconi esistenti sulla medesima facciata, ed hanno altresì inteso riequilibrare la facciata medesima attraverso un riallineamento con altro analogo balcone già esistente al piano superiore. Sotto tale profilo il Comune intimato avrebbe potuto assentire la modifica di un’apertura esistente, in assenza di un accertato pregiudizio all’aspetto architettonico esteriore del fabbricato ed alla sua conformazione originaria come tutelata dalla norma tecnica di attuazione, mentre, correttamente ha escluso la sanabilità delle “nuove aperture” la cui realizzabilità è radicalmente esclusa dalla normativa medesima.
Per tali ragioni il provvedimento va annullato in parte qua, limitatamente al diniego di sanatoria dello sporto balcone, e, quanto alle spese processuali ricorrono giusti motivi per disporne la integrale compensazione tra le parti.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania, sede di Napoli sez. IV^, definitivamente pronunciandosi, sul ricorso iscritto al n. 5264/2007 proposto da R. A. e V. A. M., così provvede:
- accoglie il ricorso, nei limiti di cui in motivazione, e per l’effetto annulla “in parte qua” il provvedimento impugnato;
- spese compensate.
- ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Napoli, nella Camera di Consiglio del 19 dicembre 2007.
La presente decisione è depositata presso la Segreteria del Tribunale che provvederà a darne comunicazione alle parti.
dott. Leonardo Pasanisi – Presidente
dott. Renata Emma Ianigro – Primo Referendario estensore

lunedì 11 agosto 2008

Il diritto di accesso agli atti alla luce della giurisprudenza comunitaria

Nota a Corte di Giustizia Europea
Sezione III
Sentenza 14 febbraio 2008, C-450/06
Nuove prospettive per il diritto di accesso agli atti delle procedure di gara
(commento a margine di C.G.E., Sezione III,
sentenza 14.2.2008, C-450/06)
di
Alessandro Del Dotto

Sommario: 1. La “legge di Good” e il “nocciolo della questione” – 2. Il diritto di accesso nel codice dei contratti pubblici – 3. Il diritto di accesso nelle direttive comunitarie – 4. La discrasia legislativa fra l’Italia e l’Unione – 5. Possibili soluzioni (per l’operatore e per il legislatore)

1. La “legge di Good” e il “nocciolo della questione”
Arthur Bloch, noto umorista statunitense, rammenta come la “Legge di Good” costituisca una norma “naturale” fondamentale: «se hai un problema che deve essere risolto da una burocrazia, ti conviene cambiare problema».
Mi rendo conto che, ai “massimalisti” del diritto e, in specie, alle “vestali” del diritto amministrativo, simile citazione possa risultare sconveniente, un pò approssimativa e magari troppo profana.
Non è mia intenzione, tuttavia, urtare la sensibilità di alcuno; anzi, il tentativo è quello di porre un accento “meno amaro” su una realtà che, talora, più che lasciare – ritraendosi – stupiti e disorientati, finisce – agendo – per gettare nello sconcerto più assoluto.
Ecco, allora, che niente più della citazione sopra riportata è capace di esprimere il senso che, di fondo, tratteggia l’animo di chi si confronta – soprattutto a livello operativo più che teorico – con la vigente disciplina in materia di contratti pubblici di lavori, servizi e forniture e con le relative regole dell’evidenza pubblica.
Le continue variazioni normative, le diverse indicazioni pratiche dei giudici e delle autorità (Ministeri, Autorità di vigilanza, etc.) rendono spesso impossibile all’operatore affrontare con serenità lo svolgimento di una gara e l’indizione di una procedura ad evidenza pubblica.
E se questa è un’osservazione che vale per tutto il Codice (si rammentano: i tre decreti “correttivi”, la finanziaria, la sentenza della
Corte Costituzionale 401/2007 e, da poco, la procedura di infrazione – la quale ultima, pur senza effetti modificativi diretti, giustifica e prefigura l’ennesimo intervento di modificazione normativa da parte dell’insediando XV legislatore), ci si trova, in questa sede, nuovamente all’esame di un ulteriore aspetto critico della normativa.
Nella recentissima pronuncia che qui si annota, di fatti, ad essere posto in discussione è – ora – il meccanismo dell’accesso agli atti o, quanto meno, l’accesso agli atti “all’italiana” che – stando ad una pronuncia della Corte di Giustizia, pur relativamente all’assetto legislativo prescelto da un altro Stato membro – potrebbe non risultare particolarmente rispettoso dei principi e delle regole della trasparenza (almeno, nell’accezione che di quest’ultima hanno le istituzioni comunitarie).
Più nello specifico, ad essere posto nel dubbio di compatibilità con il panorama normativo comunitario è il diritto di accedere alle informazioni e ai dati relativi all’offerta tecnica.
La vicenda è sintetizzabile nel quesito pregiudiziale alla soluzione della controversia, posto dal Giudice del rinvio: l’organo responsabile delle procedure di ricorso (in questo caso, un Giudice) deve garantire la riservatezza e il rispetto dei segreti commerciali contenuti nei fascicoli ad esso trasmessi dalle parti in causa, tra le quali rientra anche l’amministrazione aggiudicatrice, pur avendo esso allo stesso tempo il diritto di venire a conoscenza di siffatte informazioni e di prenderle in considerazione?
In effetti, se – come nel caso oggetto di sindacato – il ricorrente intende accedere agli atti relativi ai dati dell’offerta tecnica e si vede negare tale facoltà dall’amministrazione, viene il dubbio se tale accesso possa concretamente avvenire laddove, pendente il ricorso, sia l’autorità giudiziaria adita a consentire l’accesso ai dati in un primo tempo negati alla visione.
Ciò può, comunque, avvenire soltanto laddove si abbia una chiara nozione dell’oggetto dell’accesso e una idea certa sulla disciplina di questo oggetto; in sintesi, è implicito che, per rispondere alla domanda poc’anzi riportata, vi sia da chiedersi se, comunque, quelle informazioni sono normalmente accessibili oppure no.
2. Il diritto di accesso nel codice dei contratti pubblici
Nel nostro Codice dei contratti pubblici (
d.lgs. n. 163/2006) il diritto di accesso è disciplinato dall’art. 13 (“Accesso agli atti e divieti di divulgazione”); questo articolo, in parte, recepisce alcune delle indicazioni normative preesistenti al Codice, fra le quali l’art. 22 della l. n. 109/1994, l’art. 10 del d.P.R. n. 554/1999 e costituisce il recepimento delle disposizioni dettate sul punto dalla normativa comunitaria (da cui, com’è noto, il Codice ha avuto origine).
Com’è noto, al primo comma del citato articolo il legislatore nazionale inquadra l’istituto nella più generale disciplina dell’accesso agli atti, disposta dalla
l. n. 241/1990 e dal relativo regolamento (d.P.R. n. 184/2006; entrambe queste norme sono state recentemente modificate); in tal senso, dunque, il diritto di accesso, per come disciplinato dall’art. 13 del d.lgs. n. 163/2006, costituisce norma speciale rispetto a quella generale della l. n. 241/1990 (artt. 22 e sgg.).
Non disponendo diversamente, dunque, l’articolo 13 – quanto a presupposti e condizioni per poter essere titolari del (e poter esercitare concretamente il) diritto di accesso – fa riferimento alla legge sul procedimento amministrativo.
Una prima serie di deroghe all’ordinaria disciplina della
l. n. 241/1990, tuttavia, la si trova già al comma secondo dell’art. 13: sono i casi del c.d. “differimento” dell’accesso.
Ebbene, il potere di differimento è previsto e disciplinato in via generale dall’art. 24, comma 6, della
l. n. 241/1990 e dall’art. 9, comma 2, del d.P.R. n. 184/2006: sostanzialmente, «il differimento dell'accesso è disposto ove sia sufficiente per assicurare una temporanea tutela agli interessi di cui all'articolo 24, comma 6, della legge, o per salvaguardare specifiche esigenze dell'amministrazione, specie nella fase preparatoria dei provvedimenti, in relazione a documenti la cui conoscenza possa compromettere il buon andamento dell'azione amministrativa».
In materia di appalti, comunque, il differimento è previsto in specifici casi e con termini massimi temporali (rectius, termini conclusivi del periodo di differimento) ben delineati e precisi, a seconda del tipo di procedura di selezione del contraente che sia stata selezionata dall’amministrazione procedente:
1) nelle procedure aperte, il diritto di accesso viene temporaneamente sterilizzato fino a che non è spirato il termine per la presentazione delle offerte ma solo in relazione al numero e all’identità dei soggetti che hanno fino a quel momento inviato i propri plichi e, dunque, la propria proposta contrattuale (“all’elenco dei soggetti che hanno presentato offerte”: art. 13, comma 2, lett. a);
2) nelle altre tipologie di procedure concorsuali la disciplina è la medesima (resta fermo il termine ultimo della presentazione delle offerte, n.d.r.) con l’aggiunta che, all’accesso, – oltre al numero e all’identità degli offerenti – sono sottratti anche il numero e i nominativi dei soggetti che hanno presentato istanza di partecipazione e che sono stati invitati ad offrire (tale differimento, tuttavia, è derogato per i soggetti non ammessi ad offrire nonostante abbiano formulato istanza di partecipazione: art. 13, comma 2, lett. b);
3) in ogni caso, il diritto di accesso viene temporaneamente compresso se esercitato per conoscere del contenuto e delle informazioni relative alle offerte, mentre l’interessato potrà tornare a godere pienamente di tale diritto solo dopo l’avvenuta approvazione dell’aggiudicazione (definitiva, n.d.a.: art. 13, comma 2, lett. c).
Siffatto impianto normativo, del resto, non è sconosciuto al nostro ordinamento, nel quale – fra l’altro – si è sempre sostenuto che «limiti speciali in materia di diritto di accesso, orientati, rispettivamente, alla esclusione dell'accesso e al suo differimento possono rinvenirsi soltanto nell'art. 4 d.m. lavori pubblici 14 marzo 2001, n. 292 (il quale si limita a differire l'accesso "...ai sotto elencati documenti sino a quando la conoscenza degli stessi possa impedire o gravemente ostacolare lo svolgimento dell'azione amministrativa: a), b), c), d), e), f), (omissis) g) documenti relativi a procedure concorsuali per l'aggiudicazione di lavori e forniture di beni e servizi, nonché atti che possano pregiudicare la sfera di riservatezza dell'impresa o ente in ordine ai propri interessi professionali, finanziari, industriali e commerciali"). L'ultimo comma dell'art. 4 citato precisa, significativamente, che, "per una adeguata tutela degli interessi richiamati, l'accesso è consentito mediante estratto esclusivamente per notizie riguardanti la stessa impresa o ente richiedente, fino alla conclusione delle procedure di scelta del contraente"» (ex multis, T.A.R. Puglia-Bari, sez. I, sentenza 3 settembre 2002, n. 3827).
Solo per precisione, merita rammentare che l’inoltro di una istanza di accesso nelle more di una delle circostanze di cui al comma 2 non legittima l’amministrazione interessata ad opporre un diniego all’accesso agli atti, ma consente soltanto l’attivazione dei poteri di differimento in capo all’ufficio: di modo che, all’istante, potrà comunicarsi che “è possibile accedere solo dopo il ...” e non che “non è possibile accedere” (da sempre, del resto, si sostiene che «non può essere negato il diritto di una impresa che ha partecipato ad una gara di appalto di accedere a tutti i documenti della procedura di gara sulla base dell'esigenza di tutelare la riservatezza delle imprese partecipanti, (in assenza di specifiche disposizioni regolamentari che annettano tutela preminente alla tutela di quella riservatezza), visto che deve senz'altro ammettersi che tale esigenza possa giustificare il solo differimento dell'accesso sino alla conclusione delle procedure di scelta del contraente, ma non anche il diniego di accesso a gara conclusa»: T.A.R. Puglia-Bari, sent. cit.).
Sul differimento, infine, il legislatore ha disposto – sostanzialmente – che chiunque (specie nel caso di cui all’art. 13, comma 2, lett. b) viene a contatto con informazioni che – all’epoca del contatto stesso – non sarebbero accessibili, ha l’obbligo e il dovere di non divulgare tali informazioni (art. 13, commi 3 e 4), cosicché si configura un sistema di responsabilità condivise fra il pubblico ufficiale e il soggetto che espleta l’accesso in una fase tanto particolare.
Una seconda serie di deroghe all’ordinaria disciplina dell’accesso agli atti nelle gare di appalto, poi, è prevista al comma 5 dell’art. 13, relativamente ai casi di esclusione della possibilità di accedere a talune informazioni.
Per chiarezza, si osservi che – stando al dettato normativo – i quattro casi di esclusione vanno, comunque, distinti in casi di “esclusione assoluta” del diritto di accesso e casi di “esclusione relativa”.
Fra i primi rientrano quelle fattispecie concrete in cui si chiede di accedere:
1) ai pareri legali acquisiti dai soggetti tenuti all’applicazione del codice, che siano stati dati per la soluzione di liti, potenziali o in atto, relativamente alla procedura e al contratto pubblico in questione (art. 13, comma 5, lett. c);
2) alle relazioni riservate del direttore dei lavori e dell’organo di collaudo sulle domande e sulle riserve del soggetto esecutore del contratto (art. 13, comma 5, lett. d).
Pur concernendo fattispecie evidentemente particolari, appare doveroso specificare che l’esclusione di cui alla lett. c) del comma 5 non appare del tutto condivisibile, quantomeno in riferimento ad un caso particolare che potrebbe, certamente, verificarsi: si pensi all’occasione in cui un’impresa sia stata ammessa in virtù di un parere legale che ha risolto talune incertezze che l’amministrazione procedente aveva riscontrato, e che contro tale ammissione altra impresa (che sarebbe stata vincitrice in caso di non ammissione della prima anzidetta) intenda proporre ricorso; in simile fattispecie, se l’amministrazione – da sola e come spesso accade – non ha palesato le motivazioni dell’ammissione, disposta in sede di gara, ma ha fatto semplicemente rinvio a quanto espresso nel parere legale acquisito, non è illogico ritenere che il parere costituisca ex se motivazione del provvedimento di ammissione, pur restando materialmente e fisicamente distinta da esso, e appare plausibile ritenere che su tale motivazione (parere legale, n.d.a.) il soggetto che intende adire le competenti sedi di tutela non possa vedere compresso il proprio diritto di accesso se non a pena di una (ingiustificabile e incomprensibile) compressione del sotteso diritto, costituzionalmente garantito, di difesa.
Se tali, dunque, sono le esclusioni che abbiamo detto “assolute”, altre sono – invece – quelle “relative”: il riferimento è alle disposizioni di cui all’art. 13, comma 5, lett. a) e b), nelle quali è contemplata, per l’amministrazione, la possibilità di opporre un diniego di accesso ove si cerchi la libera disponibilità
1) di informazioni fornite dagli offerenti nell'ambito delle offerte ovvero a giustificazione delle medesime, che rappresentino, sulla base di una motivata e comprovata dichiarazione dell'offerente, segreti tecnici o commerciali, oppure
2) di ulteriori aspetti riservati delle offerte, da individuarsi in sede di regolamento.
Pur se, ad un primo e sommario esame del testo del d.P.R. 28 gennaio 2008 (recante il nuovo regolamento di attuazione ed esecuzione del
Codice dei contratti pubblici, emesso ai sensi dell’art. 5 di quest’ultima norma), la previsione di cui alla lett. b) pare del tutto inadempiuta e – mi si passi il termine – “vuota” (configurando, in tal senso, una norma “aperta” per rinvio ai futuri sviluppi della fonte regolamentare) essa – assieme alla previsione della lett. a) – trova una eccezione nel comma 6 dell’art. 13, a ragione del quale «è comunque consentito l'accesso al concorrente che lo chieda in vista della difesa in giudizio dei propri interessi in relazione alla procedura di affidamento del contratto nell'ambito della quale viene formulata la richiesta di accesso».
Volendo aprire ad un ragionamento puramente giuridico, se l’accesso è diritto dell’interessato, ammesso in via generale dalla norma della
l. n. 241/1990, le compressioni di cui ai commi 2 e 5 dell’art. 13 del d.lgs. n. 163/2006 altro non sono se non norma speciale e, comunque, eccezionale rispetto alla lex generalis, da interpretarsi – come l’operatore ben sa – in modo restrittivo (attenendosi a quanto tassativamente ed espressamente contenuto in esse); mentre le deroghe a tali eccezioni, contenute nel secondo periodo della lett. b), comma 2, dell’art. 13 e nel comma 6 di tale ultima disposizione, consentendo una riespansione e riaffermazione del diritto generalmente riconosciuto nel nostro ordinamento di accedere agli atti, possono ben essere considerate “eccezioni all’eccezione” e, dunque – nuovamente –, regola.
Orbene, è proprio sulla disposizione che crea queste “eccezione all’eccezione”, e cioè sul comma 6 dell’art. 13, che si appuntano le critiche e le censure della sentenza del Giudice comunitario da cui prendono le mosse le riflessioni e le conclusioni cui si cercherà di addivenire in questo scritto: è, in sintesi, su quel diritto di accedere ad informazioni commerciali e tecniche dell’altro offerente, motivato con la volontà di tutelare giurisdizionalmente la propria posizione giuridica, che si concentra la portata della decisione in commento.
3. Il diritto di accesso nelle direttive comunitarie
Prima, però, di cimentarsi nella (forse) risolutiva analisi della questione, preme rammentare – pur brevemente (e con le indispensabili scuse allo studioso) – quali siano le indicazioni in ordine all’espletamento dell’accesso ai documenti e alle informazioni della gara nel quadro normativo comunitario.
La direttiva 2004/18/CE, ad esempio, prevede che “fatte salve le disposizioni della presente direttiva, in particolare quelle relative agli obblighi in materia di pubblicità sugli appalti aggiudicati e di informazione dei candidati e degli offerenti, previsti rispettivamente all’Articolo 35, paragrafo 4, e all’Articolo 41, e conformemente alla legislazione nazionale cui è soggetta l’amministrazione aggiudicatrice, quest’ultima non rivela informazioni comunicate dagli operatori economici e da essi considerate riservate; tali informazioni comprendono in particolare segreti tecnici o commerciali, nonché gli aspetti riservati delle offerte” (art. 6, “Riservatezza”).
In sostanza, dunque, oltre alla disposizione specificamente dettata dall’art. 35, comma 4 (“talune informazioni relative all'aggiudicazione dell'appalto o alla conclusione dell’accordo quadro possono non essere pubblicate qualora la loro divulgazione ostacoli l'applicazione della legge, sia contraria all'interesse pubblico, pregiudichi i legittimi interessi commerciali di operatori economici pubblici o privati oppure possa recare pregiudizio alla concorrenza leale tra questi”) e dall’art. 41 (“le amministrazioni aggiudicatrici possono decidere di non divulgare talune informazioni relative all'aggiudicazione degli appalti, alla conclusione di accordi quadro o all'ammissione ad un sistema dinamico di acquisizione di cui al paragrafo 1, qualora la loro diffusione ostacoli l'applicazione della legge, sia contraria all'interesse pubblico, pregiudichi i legittimi interessi commerciali di operatori economici pubblici o privati oppure possa recare pregiudizio alla concorrenza leale tra questi”), la norma dell’art. 6 – letteralmente simmetrica a quella del comma 5, dell’art. 13 – manifesta una fondamentale apertura delle istituzioni comunitarie ad altre e ulteriori forme di garanzia del rispetto dei diritti e delle prerogative sviluppate da ciascun operatore commerciale nel settore di operatività.
Non risulta, invece, contemplata la “mitigazione” invece contenuta nell’art. 13, comma 6.
Solo in modo alquanto “forzato”, si potrebbero intravedere segnali di un’apertura simile a quella dell’art. 6 nel considerando n. 29 della direttiva 2004/18/CE ove – disponendo che “le specifiche tecniche fissate dai committenti pubblici dovrebbero permettere l’apertura degli appalti pubblici alla concorrenza” e che “a questo scopo deve essere possibile la presentazione di offerte che riflettano la pluralità di soluzioni tecniche. Pertanto le specifiche tecniche devono poter essere fissate in termini di prestazioni e di requisiti funzionali e, in caso di riferimento alla norma europea, o, in mancanza di quest’ultima, alla norma nazionale, le amministrazioni aggiudicatrici devono prendere in considerazione offerte basate su altre soluzioni equivalenti che soddisfano i requisiti delle amministrazioni aggiudicatrici e sono equivalenti in termini di sicurezza” – “per dimostrare l’equivalenza, gli offerenti dovrebbero poter utilizzare qualsiasi mezzo di prova”, non escludendo (almeno apparentemente) il ricorso all’accesso diretto alle informazioni contenute nell’offerta.
Parimenti, da altro contesto, è dato desumere – pur non con gli stessi termini letterali – che la reale incisività del diritto di difesa deve essere sempre garantita: è il caso della c.d. “direttiva ricorsi” (direttiva CEE 89/665/CEE del 21 dicembre 1989, recante norme di “coordinamento delle disposizioni legislative, regolamentari e amministrative relative all'applicazione delle procedure di ricorso in materia di aggiudicazione degli appalti pubblici di forniture e di lavori”, pubblicata nella G.U.C.E. n. L395 del 30 dicembre 1989).
Tale ultima norma, del resto, dispone espressamente che “le decisioni prese dalle autorità aggiudicatrici possano essere oggetto di un ricorso efficace” (artt. 1 e 2), tale potendosi ritenere – a parere di chi scrive – non solo un ricorso che sia contenuto nei tempi e negli adempimenti istruttori richiesti ma anche quello che sia ben mirato nei contenuti, con tale ultimo carattere presupponendo la conoscibilità più ampia delle informazioni relative al procedimento di gara e all’offerta e, dunque, l’accessibilità di quest’ultima da parte di chi intende tutelarsi evitando i c.d. “ricorsi al buio”.
4. La discrasia legislativa fra l’Italia e l’Unione
La sentenza della Corte di giustizia, tuttavia, apre uno scenario di assai problematica composizione.
I giudici comunitari, infatti, non paiono aver preso nella benché minima considerazione le riflessioni che, pur brevemente, si sono poc’anzi fatte sulla normativa del contesto comunitario. Anzi.
Nella vicenda concreta, oggetto di sindacato, i Giudici sono giunti ad affermare che, in sostanza, non è importante che il ricorrente abbia libero accesso alle informazioni relative all’offerta del controinteressato (ivi da intendersi in senso atecnico), bensì che tale accesso sia garantito all’organo chiamato a giudicare.
Detto altrimenti, è plausibile negare l’accesso ai dati tecnici di un’offerta.
La base di tale assunto è costituita dal fatto che già l’ex art. 15 della direttiva 93/36/CEE «prevede che le amministrazioni aggiudicatrici hanno l’obbligo di rispettare il carattere confidenziale di qualsiasi informazione fornita dai fornitori» (par. 37, sent. cit.).
Secondo la Corte, infatti, «l’obiettivo principale delle norme comunitarie in materia di appalti pubblici comprende l’apertura ad una concorrenza non falsata in tutti gli Stati membri» e «per conseguire tale obiettivo, è necessario che le amministrazioni aggiudicatici non divulghino informazioni relative a procedure di aggiudicazione di appalti pubblici il cui contenuto potrebbe essere utilizzato per falsare la concorrenza, sia in una procedura di aggiudicazione in corso, sia in procedure di aggiudicazioni successive»; «inoltre, le procedure di aggiudicazione di appalti pubblici, per loro natura e per il sistema di regolamentazione comunitario in materia, sono fondate su un rapporto di fiducia tra le amministrazioni aggiudicatici e gli operatori economici che partecipano ad esse. Questi ultimi devono poter comunicare a tali amministrazioni aggiudicatici qualsiasi informazione utile nell’ambito della procedura di aggiudicazione, senza temere che esse rivelino a terzi elementi di informazione la cui divulgazione potrebbe recare pregiudizio a tali operatori» (parr. 34, 35 e 36, sent. cit.).
Insomma, leale e reale concorrenza, prima di ogni altra cosa.
E se anche, come nel caso in esame, sono in questione i caratteri tecnico-qualitativi dell’offerta «il principio del contraddittorio non implica che le parti abbiano un diritto di accesso illimitato e assoluto al complesso delle informazioni relative alla procedura di aggiudicazione dei mercati di cui trattasi che sono state presentate all’organo responsabile del ricorso» (par. 51, sent. cit.); in tal senso, la soluzione suggerita dal Giudice europeo è che, stante che «che l’organismo competente a conoscere dei ricorsi deve necessariamente poter disporre di tutte le informazioni necessarie per essere in grado di decidere con piena cognizione di causa, ivi comprese le informazioni riservate e i segreti commerciali» (par. 53, sent. cit.), «tale organo, prima di comunicare tali informazioni ad una parte nella controversia, deve dare all’operatore economico di cui trattasi la possibilità di opporre il loro carattere riservato o di segreto commerciale» (par. 54, sent. cit.) nonostante che essa debba, comunque, «garantire la riservatezza e il diritto al rispetto dei segreti commerciali con riferimento alle informazioni contenute nei fascicoli che le vengono comunicate dalle parti in causa, in particolare dall’amministrazione aggiudicatrice, pur potendo essa stessa esaminare tali informazioni e tenerne conto» (par. 55, sent. cit.).
Né più né meno un meccanismo simile a quello c.d. “del controinteressato” previsto nel nostro ordinamento con riguardo all’accesso ai dati personali e sensibili (meglio nota come privacy).
Simile meccanismo, però, non sussiste nel caso italiano.
Il
Codice dei contratti – a differenza di quanto affermato, in linea di principio, dalla Corte di giustizia – afferma, da un lato, una generale inaccessibilità di talune informazioni e ne prevede, d’altro lato, la (incondizionata, n.d.a.) accessibilità quando, invece, si faccia valere la ragione dell’accesso ad una tutela (“difesa in giudizio”) dei propri diritti e interessi.
Contrariamente proprio a quanto affermato dalla Corte (cfr. parr. 39 e 40), in Italia è sufficiente che un soggetto interessato formuli una richiesta di accesso adducendo, a motivazione, la indispensabilità degli atti domandati ai fini di costituire idonea “difesa in giudizio” che – quasi in via automatica – l’amministrazione è obbligata per legge a concedere l’accesso (ignorando qualsivoglia problematica di leale concorrenza).
Un unico limite poteva essere rappresentato dal fatto che costruire una difesa “in giudizio” avrebbe potuto presupporre la sussistenza dei termini per ricorrere in giudizio, di modo che – ad esempio – se sono spirati i centoventi giorni, l’accesso agli atti potrebbe essere negato perché è in re ipsa che nessun tipo di giudizio può ormai essere attivato: tuttavia, anche siffatta costruzione può entrare in crisi solo ove si pensi all’attuale fermento e dibattito intorno alla eliminazione della c.d. “pregiudiziale amministrativa” (per la quale, in sintesi, l’annullamento dell’atto amministrativo è conditio sine qua non per l’accesso alla successiva tutela risarcitoria); onde per cui, il termine per esercitare il diritto di accesso ancorato a tale motivazione slitterebbe, nei termini, fino a quello ordinario di prescrizione dell’esercizio del diritto al risarcimento del danno.
Almeno in apparenza, dunque, i due ordinamenti (quello comunitario e quello nazionale, n.d.a.) paiono molto meno allineati di quanto non sembri, determinando, in questo senso, l’ennesima situazione di incertezza del diritto ancora una volta sul
Codice dei contratti pubblici.
E si tratta, inoltre, di una fattispecie che alimenta anche un’antinomia pure interna all’ordinamento italiano, che da un lato protegge i diritti della proprietà industriale e intellettuale e dall’altro li rende accessibili nel settore dei contratti pubblici; e, se tecnicamente ciò trova una soluzione con il principio di due lex entrambe specialis, ma l’una (contratti pubblici) posterior all’altra (proprietà industriale), ragionando di principi e valori tale soluzione non pare minimamente condivisibile.
5. Possibili soluzioni (per l’operatore e per il legislatore)
Di fronte a tali (ed ennesime) problematiche, si pongono interrogativi non solo per il cultore del diritto, ma anche – e soprattutto – per l’operatore (specie, la P.A.) che di quelle norme su cui grava l’incertezza deve fare applicazione.
Una prima soluzione sta nella lettura “comunitariamente orientata” della norma di cui all’art. 13, comma 6.
Del resto, ove si statuisce che l’accesso è consentito “al concorrente che lo chieda in vista della difesa in giudizio dei propri interessi” non pare impossibile che la locuzione “in giudizio” sia da intendersi quale “giudizio instaurato”, sostanzialmente rendendo la fattispecie del comma 6 simile a quella conclusivamente disposta dal Giudice comunitario, laddove le informazioni – normalmente riservate – sarebbero nella disponibilità di un Giudice che ne regolerebbe modi e quantità di accesso.
A ben vedere, tuttavia, siffatta ricostruzione rischia – però – di palesarsi eccessivamente forzata, in quanto pone in gioco una visione dell’istituto dell’accesso che, sicuramente, non è quella posta alla base del nostro ordinamento in materia.
Una seconda soluzione potrebbe, poi, essere quella di ritenere che si applichi al caso di accesso alle informazioni richiamate nell’art. 13, comma 5, lett. a) l’istituto della chiamata del controinteressato, già conosciuto dalla disciplina dell’ordinario accesso agli atti relativamente alla tutela degli aspetti della riservatezza (sic, Tessaro, Una ulteriore spallata al codice dei contratti in sede europea (stavolta in materia di accesso, in La Gazzetta degli enti locali, 2008, Maggioli ed.).
Tale impostazione, in sostanza, consentirebbe l’accesso ad informazioni rispetto alle quali, pendendo una richiesta, il titolare e produttore di esse è chiamato dalla P.A. (la quale in quel momento dette informazioni detiene) a dare il proprio assenso all’accesso richiesto (il riferimento cade sul fatto che il comma 5, lett. a) dell’art. 13 si richiama a una “motivata e comprovata dichiarazione dell’offerente” che dichiara sostanzialmente inaccessibile l’offerta ed i suoi elementi); in caso di non prestazione del consenso, la P.A., bilanciando le posizioni (e, comunque, ponderando gli interessi e decidendo quale – fra l’interesse ad accedere e l’interesse a mantenere riservato – prevale), dovrebbe – allora – decidere se far prevalere l’una o l’altra pretesa.
Pure tale soluzione, comunque, mantiene alcuni profili di dubbia percorribilità.
In primo luogo, sostenere tale tesi significa sostenere l’applicabilità in via analogica dell’istituto della “notifica dell’accesso al controinteressato”, il quale – invece – si configura, come noto, quale istituto di eccezionale applicazione nel sistema dell’accesso agli atti (e infatti, lo si ammette solo per la tutela della riservatezza dei dati ex
d.lgs. n. 196/2003) che, in Italia, ammette (almeno teoricamente) ben poche eccezioni alla regola generale della più assoluta reperibilità degli atti della P.A.; tale impossibilità di percorrere le vie dell’analogia per risolvere il problema, del resto, la si ricava – ad esempio – dalla ben nota inammissibilità dell’estensione dell’istituto della notifica a fattispecie non espressamente contemplate dall’ordinamento giuridico (si pensi alle frequenti – e illegittime – prassi di estendere lo strumento anche al caso di accesso ad atti quali i permessi di costruire o i titoli edilizi).
In secondo luogo, tale tesi “estensiva” pecca in difetto rispetto alla sentenza, che dichiara come vi siano informazioni totalmente e assolutamente inaccessibili rispetto agli aspetti dell’offerta, mentre nel meccanismo della “notifica al controinteressato” permane un margine di discrezionalità (il titolare delle informazioni cui si intende accedere potrebbe negare l’accessibilità, ma la P.A. potrebbe comunque riconoscere l’accesso) che la Corte di giustizia ha riconosciuto solo ad un giudice e non anche alla P.A., troppo direttamente coinvolta nella decisione sull’accessibilità delle informazioni.
E’, però, vero che tale sistema potrebbe divenire soluzione al problema se espressamente previsto e codificato dal legislatore (con l’ennesima modificazione normativa al
Codice dei contratti).
Una terza soluzione – forse maggiormente percorribile e che non impegna, nel breve periodo, il legislatore in alcuna modifica – è quella che, nella pratica, la P.A. – in sede di enumerazione dei documenti necessari alla partecipazione alla gara indetta (e, dunque, in sede di bando) – preveda che l’offerente che stia producendo un’offerta costituente “segreto tecnico o commerciale” ai sensi e per gli effetti dell’art. 13, comma 5, lett. a), alleghi apposita dichiarazione in sede di offerta, nella quale motiva e documenta (motivare e documentare come due autonome e distinte attività, n.d.a.) siffatto carattere di segretezza della propria offerta.
In questo modo, a fronte della richiesta pervenuta, la P.A. potrebbe invocare detta dichiarazione a sostegno di un proprio diniego “giocato” sull’esigenza di tutela di un interesse che trova la propria fonte e il proprio riconoscimento nel contesto internazionale, ad opporsi al quale – giunti a quel punto – avrebbe titolo solo (e davvero, non pretestuosamente, come nei timori della Corte che prefigura scenari in cui si fanno ricorsi a posta per avere informazioni, n.d.a.) un Giudice realmente adito da un soggetto interessato.
Ciò – rispetto a qualsiasi altra soluzione e, comunque, in attesa dell’intervento risolutivo del legislatore – potrebbe almeno per ora “tamponare” questa nuova “falla” che il diritto comunitario ha (di nuovo) aperto nella già compromessa “barca” della legislazione nazionale italiana, semplicemente non risolvendo il conflitto tra P.A. e soggetto istante ma deresponsabilizzando la prima e spostando i problemi dell’istante ad un confronto con chi, quella dichiarazione, l’ha composta e motivata.
Sempre in attesa del provvidenziale, prossimo ed ennesimo “decreto correttivo.”
Diritto di accesso, legittimità, assolutezza, insussistenza, precisazioni
Corte di Giustizia UE , sez. II, sentenza 14.02.2008 n° C-450/06

Diritto di accesso - legittimità - assolutezza - insussistenza - precisazioni
Il diritto di accesso non ha valore assoluto e privo di deroghe, in quanto è sempre necessaria una ponderazione rispetto ad altri diritti-interessi opposti, come quello alla riservatezza. (1) (2) (3) (4) (5) (6)
(1) In materia di accesso ad atti di vigilanza e controllo, si veda Tar Lazio 3677/2008.(2) In tema di accesso agli atti e limiti, si veda Consiglio di Stato 82/2008.(3) In materia di accesso e riservatezza, si veda Consiglio di Stato 4999/2007.(4) In tema di accesso agli atti e preavviso di rigetto, si veda TAR Lazio, 71/2008.(5) In tema di accesso e atti di organizzazione, si veda Consiglio di stato 5569/2007.(6) In tema di accesso ai test psicoattitudinali, si veda Consiglio di Stato 5467/2007.
(Fonte:
Altalex Massimario 25/2008. Cfr. nota di Alessandro Del Dotto)

Corte di Giustizia Europea
Sezione III
Sentenza 14 febbraio 2008, C-450/06

«Appalti pubblici – Ricorso – Direttiva 89/665/CEE – Ricorso efficace – Nozione – Equilibrio tra il principio del contradittorio e il diritto al rispetto dei segreti commerciali – Tutela, da parte dell’organo responsabile dei ricorsi, della riservatezza delle informazioni fornite dagli operatori economici»
Nel procedimento C 450/06,
avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, ai sensi dell’art. 234 CE, dal Conseil d’État (Belgio) con decisione 24 ottobre 2006, pervenuta in cancelleria il 6 novembre 2006, nella causa tra
Varec SA
e
Stato belga,
con l’intervento di:
Diehl Remscheid GmbH & Co.,
LA CORTE (Terza Sezione),
composta dal sig. A. Rosas, presidente di sezione, dai sigg. J.N. Cunha Rodrigues (relatore), J. Klučka, dalla sig.ra P. Lindh e dal sig. A. Arabadjiev, giudici,
avvocato generale: sig.ra E. Sharpston
cancelliere: sig. R. Grass
vista la fase scritta del procedimento,
considerate le osservazioni presentate:
– per la Varec SA, dai sigg. J. Bourtembourg e C. Molitor, avocats;
– per il governo belga, dalla sig.ra A. Hubert, in qualità di agente, assistita dal sig. N. Cahen, avocat;
– per il governo austriaco, dal sig. M. Fruhmann, in qualità di agente;
– per la Commissione delle Comunità europee, dai sigg. B. Stromsky e D. Kukovec, in qualità di agenti,
sentite le conclusioni dell’avvocato generale, presentate all’udienza del 25 ottobre 2007,
ha pronunciato la seguente
Sentenza
1 La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull’interpretazione dell’art. 1, n. 1, della direttiva del Consiglio 21 dicembre 1989, 89/665/CEE, che coordina le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative relative all’applicazione delle procedure di ricorso in materia di aggiudicazione degli appalti pubblici di forniture e di lavori (GU L 395, pag. 33), nel testo risultante dalla direttiva del Consiglio 18 giugno 1992, 92/50/CEE, che coordina le procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di servizi (GU L 209, pag. 1; in prosieguo: la «direttiva 89/665»).
2 Tale domanda è stata presentata nell’ambito di una controversia tra la Varec SA (in prosieguo: la «Varec») e lo Stato belga, rappresentato dal Ministro della Difesa, in merito all’aggiudicazione di un appalto pubblico per la fornitura di maglie per cingoli destinati a carri del tipo «Léopard».
Contesto normativo
La normativa comunitaria
3 L’art. 1, n. 1, della direttiva 89/665 così dispone:
«Gli Stati membri prendono i provvedimenti necessari per garantire che, per quanto riguarda le procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici disciplinati dalle direttive 71/305/CEE, 77/62/CEE e 92/50/CEE (…), le decisioni prese dalle amministrazioni aggiudicatrici possano essere oggetto di ricorsi efficaci e, in particolare, quanto più rapidi possibile, secondo le condizioni previste negli articoli seguenti, in particolare nell’articolo 2, paragrafo 7, qualora violino il diritto comunitario in materia di appalti pubblici o le norme nazionali che lo recepiscono».
4 L’art. 33 della direttiva Consiglio 14 giugno 1993, 93/36/CEE, che coordina le procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di forniture (GU L 199, pag. 1), abroga la direttiva del Consiglio 21 dicembre 1976, 77/62/CEE, che coordina le procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di forniture (GU 1977, L 13, pag. 1), e prevede che i riferimenti alla direttiva abrogata si intendono come compiuti alla direttiva 93/36. Analogamente, l’art. 36 della direttiva del Consiglio 14 giugno 1993, 93/37/CEE, che coordina le procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di lavori (GU L 199, pag. 54), abroga la direttiva del Consiglio 26 luglio 1971, 71/305/CEE, che coordina le procedure di aggiudicazione degli appalti di lavori pubblici (GU L 185, pag. 5), e prevede che i riferimenti a quest’ultima direttiva si intendono come compiuti alla direttiva 93/37.
5 L’art. 2, n. 8, della direttiva 89/665 così recita:
«Se gli organi responsabili delle procedure di ricorso non sono organi giudiziari, le loro decisioni devono essere sempre motivate per iscritto. In questo caso inoltre devono essere adottate disposizioni mediante cui ogni misura presunta illegittima presa dall’organo di base competente oppure ogni presunta infrazione nell’esercizio dei poteri che gli sono conferiti possa essere oggetto di un ricorso giurisdizionale o di un ricorso presso un altro organo che sia una giurisdizione ai sensi dell’articolo [234 CE] e che sia indipendente dalle autorità aggiudicatrici e dall’organo di base.
La nomina dei membri di tale organo indipendente e la cessazione del loro mandato sono soggetti a condizioni uguali a quelle applicabili ai giudici, per quanto concerne l’autorità responsabile della nomina, la durata del loro mandato e la loro revocabilità. Per lo meno il presidente di tale organo indipendente deve avere le stesse qualifiche giuridiche e professionali di un giudice. L’organo indipendente prende le proprie decisioni all’esito di una procedura in contraddittorio e tali decisioni producono, tramite i mezzi determinati da ciascuno Stato membro, effetti giuridici vincolanti».
6 Ai sensi dell’art. 7, n. 1, della direttiva 93/36, come modificata dalla direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 13 ottobre 1997, 97/52/CE (GU L 328, pag. 1; in prosieguo: la «direttiva 93/36»):
«1. Entro il termine di quindici giorni dal ricevimento di una domanda scritta, l’amministrazione aggiudicatrice comunica ad ogni candidato od offerente respinto i motivi del rigetto della sua candidatura o offerta e comunica ad ogni offerente che abbia fatto un’offerta selezionabile le caratteristiche e i vantaggi relativi dell’offerta selezionata e il nome dell’offerente cui è stato aggiudicato l’appalto.
Tuttavia, le amministrazioni aggiudicatrici possono decidere che alcune delle informazioni relative all’aggiudicazione dell’appalto di cui al primo comma non siano comunicate, qualora la loro diffusione ostacoli l’applicazione della legge, o sia contraria al pubblico interesse, pregiudichi i legittimi interessi commerciali di imprese, pubbliche o private, ovvero possa compromettere la concorrenza leale tra i prestatori di servizi».
7 L’art. 9, n. 3, della direttiva 93/36 dispone:
«Le amministrazioni che hanno aggiudicato un appalto ne comunicano il risultato con apposito avviso. In determinati casi, possono tuttavia non essere pubblicate le informazioni relative all’aggiudicazione di appalti la cui divulgazione impedisca l’applicazione della legge, o sia altrimenti contraria all’interesse pubblico, o pregiudichi i legittimi interessi commerciali di imprese pubbliche o private oppure possa recar pregiudizio alla lealtà della concorrenza tra fornitori».
8 L’art. 15, n. 2, della stessa direttiva prevede quanto segue:
«Le amministrazioni aggiudicatrici devono rispettare il carattere riservato di tutte le informazioni date dai fornitori».
9 Le disposizioni degli artt. 7, n. 1, 9, n. 3, e 15, n. 2, della direttiva 93/36 sono state sostanzialmente riprese agli artt. 6, 35, n. 4, quinto comma, e 41, n. 3, della direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 31 marzo 2004, 2004/18/CE, relativa al coordinamento delle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di lavori, di forniture e di servizi (GU L 134, pag. 114).
La normativa nazionale
10 L’art. 87 del regio decreto 23 agosto 1948 che disciplina la procedura dinanzi alla sezione amministrativa del Conseil d’Etat (arrêté du Régent déterminant la procédure devant la section d’administration du Conseil d’État) (Moniteur belge del 23-24 agosto 1948, pag. 6821), prevede quanto segue:
«Le parti, i loro avvocati e il commissario del governo possono esaminare il fascicolo della causa presso la cancelleria».
11 Ai sensi dell’art. 21, terzo e quarto comma, delle leggi coordinate 12 gennaio 1973, relative al Conseil d’État (Moniteur belge del 21 marzo 1973, pag. 3461):
«Qualora il convenuto non trasmetta il fascicolo amministrativo entro il termine stabilito, fatto salvo quanto previsto all’art. 21 bis, i fatti addotti dal ricorrente devono essere considerati come provati a meno che non siano manifestamente inesatti.
Qualora il fascicolo amministrativo non sia in possesso del convenuto, quest’ultimo deve informarne la sezione investita del ricorso. Essa può ordinare il deposito del fascicolo amministrativo, infliggendo in caso di inadempienza una penalità conformemente a quanto previsto all’art. 36».
La causa principale e la questione pregiudiziale
12 Il 14 dicembre 2001, lo Stato belga ha avviato la procedura di aggiudicazione di un appalto pubblico per la fornitura di maglie per cingoli destinati a carri del tipo «Léopard». Sono state ricevute due offerte, e cioè quella della Varec e quella della Diehl Remscheid GmbH & Co. (in prosieguo: la «Diehl»).
13 Al momento dell’esame di tali offerte, lo Stato belga ha ritenuto che quella presentata dalla Varec non rispondesse ai requisiti di selezione di carattere tecnico e che tale offerta fosse irregolare. Per contro, ha ritenuto che l’offerta della Diehl soddisfacesse tutti i criteri di selezione, che fosse regolare e che i suoi prezzi fossero normali. Di conseguenza, lo Stato belga ha aggiudicato l’appalto alla Diehl con decisione del Ministro della Difesa 28 maggio 2002 (in prosieguo: la «decisione di aggiudicazione dell’appalto»).
14 Il 29 luglio 2002, la Varec ha proposto un ricorso diretto all’annullamento della decisione di aggiudicazione dell’appalto dinanzi al Conseil d’État. L’intervento della Diehl è stato ammesso.
15 Il fascicolo trasmesso al Conseil d’État dallo Stato belga non conteneva l’offerta della Diehl.
16 La Varec ha chiesto che tale offerta fosse allegata al fascicolo. La stessa richiesta è stata formulata dall’Auditeur del Conseil d’État, incaricato di predisporre una relazione (in prosieguo: l’«Auditeur»).
17 Il 17 dicembre 2002, lo Stato belga ha allegato l’offerta della Diehl al fascicolo, precisando che essa non conteneva i piani generali della maglia proposta e neppure gli elementi costitutivi di quest’ultima. Detto Stato ha indicato che, in conformità del capitolato d’oneri e della richiesta della Diehl, aveva rinviato tali elementi a quest’ultima, aggiungendo che, per questo motivo, non era in grado di allegare tali elementi al fascicolo e che, se era indispensabile che vi figurassero, sarebbe stato allora opportuno chiedere alla Diehl di fornirli. Lo Stato belga ha anche ricordato che la Varec e la Diehl controvertono sui diritti di proprietà intellettuale collegati ai piani di cui trattasi.
18 Con lettera in pari data, la Diehl ha informato l’Auditeur che la sua offerta, come allegata al fascicolo dallo Stato belga, contiene dati e informazioni riservati e che, di conseguenza, essa si opponeva a che terzi, compresa la Varec, venissero a conoscenza di tali dati e informazioni riservati collegati a segreti commerciali inclusi in tale offerta. Infatti, secondo la Diehl, taluni passaggi degli allegati 4, 12 e 13 della sua offerta contengono dati precisi per quanto riguarda le revisioni esatte dei piani di fabbricazione applicabili e del procedimento industriale.
19 Nella sua relazione in data 23 febbraio 2006, l’Auditeur ha chiesto l’annullamento della decisione di aggiudicazione dell’appalto in quanto, «in mancanza di una collaborazione leale della controparte alla buona amministrazione della giustizia e all’equità del processo, la sola sanzione consiste nell’annullamento dell’atto amministrativo di cui non è stata accertata la legittimità in seguito ad un comportamento che consiste nel sottrarre taluni atti al contraddittorio».
20 Lo Stato belga ha contestato tale conclusione, chiedendo al Conseil d’État di pronunciarsi sulla questione del rispetto della riservatezza dei documenti relativi all’offerta della Diehl contenenti informazioni collegate a segreti commerciali che erano state allegati al fascicolo nel contesto del procedimento dinanzi a tale giudice.
21 Ciò premesso, il Conseil d’État ha deciso di sospendere la decisione e di presentare alla Corte la seguente questione pregiudiziale:
«Se l’art 1, n. 1, della direttiva 89/665 (…), letto in combinato disposto con gli artt. 15, n. 2, della direttiva 93/36 (…) e 6 della direttiva 2004/18 (…), debba essere interpretato nel senso che l’organo responsabile delle procedure di ricorso previste da tale norma deve garantire la riservatezza e il rispetto dei segreti commerciali contenuti nei fascicoli ad esso trasmessi dalle parti in causa, tra le quali rientra anche l’amministrazione aggiudicatrice, pur avendo esso allo stesso tempo il diritto di venire a conoscenza di siffatte informazioni e di prenderle in considerazione».
Sulla ricevibilità
22 La Varec afferma che per la soluzione della controversia pendente dinanzi al Conseil d’État non è necessario che la Corte si pronunci sulla questione pregiudiziale.
23 A tale riguardo si deve ricordare che, nell’ambito di un procedimento in forza dell’art. 234 CE, basato sulla netta separazione di funzioni tra i giudici nazionali e la Corte, ogni valutazione dei fatti di causa rientra nella competenza del giudice nazionale. Parimenti, spetta esclusivamente al giudice nazionale, cui è stata sottoposta la controversia e che deve assumersi la responsabilità dell’emananda decisione giurisdizionale, valutare, alla luce delle particolari circostanze della causa, sia la necessità di una pronuncia pregiudiziale per essere in grado di pronunciare la propria sentenza sia la rilevanza delle questioni che sottopone alla Corte. Di conseguenza, se le questioni sollevate vertono sull’interpretazione del diritto comunitario, la Corte, in via di principio, è tenuta a statuire (v., in particolare, sentenza 25 febbraio 2003, causa C 326/00, IKA, Racc. pag. I 1703, punto 27; 12 aprile 2005, causa C 145/03, Keller, Racc. pag. I 2529, punto 33, e 22 giugno 2006, causa C 419/04, Conseil général de la Vienne, Racc. pag. I 5645, punto 19).
24 Tuttavia la Corte ha anche affermato che, in ipotesi eccezionali, le spetta esaminare le condizioni alle quali è adita dal giudice nazionale al fine di verificare la propria competenza (v., in questo senso, sentenza 16 dicembre 1981, causa 244/80, Foglia, Racc. pag. 3045, punto 21). La Corte può rifiutare di pronunciarsi su una questione pregiudiziale sollevata da un giudice nazionale solo qualora risulti manifestamente che l’interpretazione del diritto comunitario richiesta non ha alcuna relazione con l’effettività o con l’oggetto della causa principale oppure qualora il problema sia di natura ipotetica, oppure nel caso in cui la Corte non disponga degli elementi di fatto o di diritto necessari per fornire una soluzione utile alle questioni che le vengono sottoposte (v., in particolare, sentenze 13 marzo 2001, causa C 379/98, PreussenElektra, Racc. pag. I 2099, punto 39; 22 gennaio 2002, causa C 390/99, Canal Satélite Digital, Racc. pag. I 607, punto 19, e Conseil général de la Vienne, cit., punto 20).
25 Occorre rilevare che ciò non avviene nel caso di specie. A tale proposito, si può osservare che, se il Conseil d’État farà sue le conclusioni dell’Auditeur, sarà indotto ad annullare la decisione di aggiudicazione dell’appalto impugnata dinanzi ad esso, senza esaminare la controversia nel merito. Invece, se le disposizioni del diritto comunitario di cui il giudice del rinvio chiede l’interpretazione giustificano il trattamento confidenziale degli elementi del fascicolo di cui trattasi nella causa principale, quest’ultimo potrà esaminare il merito della controversia. Detti motivi permettono di ritenere che l’interpretazione delle disposizioni in parola sia necessaria per la soluzione della controversia principale.
Sul merito
26 Nella questione sottoposta alla Corte dal giudice del rinvio, quest’ultimo menziona sia la direttiva 93/36 sia la direttiva 2004/18. Poiché essa ha sostituito la direttiva 93/36, occorre stabilire rispetto a quale di queste due direttive debba essere esaminata la questione.
27 Si deve ricordare che, secondo la costante giurisprudenza, le norme di procedura si applicano, come si ritiene in generale, a tutte le controversie pendenti all’atto della loro entrata in vigore, a differenza delle norme sostanziali, che, secondo la comune interpretazione, non riguardano, in linea di principio, rapporti giuridici definiti anteriormente alla loro entrata in vigore (v. sentenza 23 febbraio 2006, causa C 201/04, Molenbergnatie, Racc. pag. I 2049, punto 31 e giurisprudenza ivi citata).
28 La causa principale riguarda il diritto alla tutela delle informazioni riservate. Come l’avvocato generale ha rilevato al paragrafo 31 delle sue conclusioni, tale diritto è essenzialmente un diritto sostanziale, anche se la sua attuazione può avere effetti processuali.
29 Tale diritto si è concretizzato quando la Diehl ha presentato la sua offerta nell’ambito della procedura di aggiudicazione dell’appalto di cui si tratta alla causa principale. Poiché tale data non è stata precisata nella decisione di rinvio, occorre supporre ch’essa si collochi tra il 14 dicembre 2001, data del bando di gara, e il 14 gennaio 2002, data dell’apertura delle offerte.
30 A quell’epoca la direttiva 2004/18 non era ancora stata adottata. Ne consegue che occorre considerare, ai fini della controversia di cui alla causa principale, le disposizioni della direttiva 93/36.
31 La direttiva 89/665 non contiene alcuna disposizione che disciplini esplicitamente la questione della tutela delle informazioni riservate. A tale proposito è necessario fare riferimento alle disposizioni generali di tale direttiva e, in particolare, all’art. 1, n. 1, di quest’ultima.
32 Quest’ultima disposizione prevede che gli Stati membri, per quanto riguarda le procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici disciplinati dalla direttiva 93/36, prendano i provvedimenti necessari per garantire che le decisioni adottate dalle amministrazioni aggiudicatici possano essere oggetto di un ricorso efficace in quanto tali decisioni hanno violato il diritto comunitario in materia di appalti pubblici o le norme nazionali che recepiscono tale diritto.
33 Poiché la direttiva 89/665 ha lo scopo di garantire il rispetto del diritto comunitario in materia di appalti pubblici, occorre interpretare il suo art. 1, n. 1, alla luce sia delle disposizioni della direttiva 93/36 sia delle altre disposizioni del diritto comunitario in materia di appalti pubblici.
34 L’obiettivo principale delle norme comunitarie in materia di appalti pubblici comprende l’apertura ad una concorrenza non falsata in tutti gli Stati membri (v., in tal senso, sentenza 11 gennaio 2005, causa C 26/03, Stadt Halle e RPL Lochau, Racc. pag. I 1, punto 44).
35 Per conseguire tale obiettivo, è necessario che le amministrazioni aggiudicatici non divulghino informazioni relative a procedure di aggiudicazione di appalti pubblici il cui contenuto potrebbe essere utilizzato per falsare la concorrenza, sia in una procedura di aggiudicazione in corso, sia in procedure di aggiudicazioni successive.
36 Inoltre, le procedure di aggiudicazione di appalti pubblici, per loro natura e per il sistema di regolamentazione comunitario in materia, sono fondate su un rapporto di fiducia tra le amministrazioni aggiudicatici e gli operatori economici che partecipano ad esse. Questi ultimi devono poter comunicare a tali amministrazioni aggiudicatici qualsiasi informazione utile nell’ambito della procedura di aggiudicazione, senza temere che esse rivelino a terzi elementi di informazione la cui divulgazione potrebbe recare pregiudizio a tali operatori.
37 Per queste ragioni, l’art. 15, n. 2, della direttiva 93/36 prevede che le amministrazioni aggiudicatici hanno l’obbligo di rispettare il carattere confidenziale di qualsiasi informazione fornita dai fornitori.
38 Nell’ambito specifico della comunicazione ad un candidato o ad un offerente escluso dei motivi per cui la sua offerta è stata respinta e in quello della pubblicazione dell’avviso di aggiudicazione di un appalto, gli artt. 7, n. 1, e 9, n. 3, di tale direttiva riconoscono alle amministrazioni aggiudicatici la facoltà di non comunicare talune informazioni allorché la loro diffusione danneggerebbe gli interessi commerciali legittimi di imprese pubbliche o private o potrebbe nuocere ad una concorrenza leale tra fornitori.
39 È vero che tali disposizioni riguardano il comportamento delle amministrazioni aggiudicatrici. Tuttavia, occorre riconoscere che il loro effetto utile sarebbe gravemente compromesso se, in occasione di un ricorso proposto contro una decisione adottata da un’amministrazione aggiudicatrice relativa ad una procedura di aggiudicazione di un appalto pubblico, il complesso delle informazioni concernenti tale procedura di aggiudicazione dovesse indiscriminatamente essere messo a disposizione dell’autore di tale ricorso, o addirittura di altre persone come gli intervenienti.
40 In tale ipotesi, la mera proposizione di un ricorso darebbe accesso a informazioni che potrebbero essere utilizzate per falsare la concorrenza o per nuocere agli interessi legittimi di operatori economici che hanno preso parte alla procedura di aggiudicazione dell’appalto pubblico di cui trattasi. Tale possibilità potrebbe persino incitare taluni operatori economici a proporre ricorsi al solo scopo di accedere ai segreti commerciali dei loro concorrenti.
41 In un ricorso di questo tipo, il convenuto è l’amministrazione aggiudicatrice, mentre l’operatore economico i cui interessi rischiano di essere lesi non è necessariamente parte nella controversia né è citato in giudizio per difenderli. Per tale motivo, è tanto più importante prevedere meccanismi che salvaguardino in modo adeguato gli interessi di tali operatori economici.
42 Gli obblighi previsti dalla direttiva 93/36 per quanto riguarda il rispetto della riservatezza delle informazioni da parte delle amministrazioni aggiudicatici sono assunti, nel contesto di un ricorso, dall’organo investito del procedimento di ricorso. La prescrizione di un ricorso efficace prevista all’art. 1, n. 1, della direttiva 89/665, letto in combinato disposto con gli artt. 7, n. 1, 9, n. 3, e 15, n. 2, della direttiva 93/36, impone quindi a tale organo di adottare tutti i provvedimenti necessari per garantire l’effetto utile di tali disposizioni e, in tal modo, di assicurare il mantenimento di una concorrenza leale e la tutela degli interessi legittimi degli operatori economici di cui trattasi.
43 Ne consegue che, nell’ambito di un procedimento di ricorso riguardante l’aggiudicazione di un appalto pubblico, l’organo responsabile di tale procedimento deve poter disporre che le informazioni contenute nel fascicolo relativo a tale aggiudicazione non siano trasmesse alle parti e ai loro avvocati, se ciò è necessario ad assicurare la tutela della concorrenza leale o degli interessi legittimi degli operatori economici perseguita dal diritto comunitario.
44 Sorge la questione se tale interpretazione sia conforme alla nozione di processo equo ai sensi dell’art. 6 della Convenzione europea sulla salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950 (in prosieguo: la «CEDU»).
45 Infatti, come risulta dalla decisione di rinvio, la Varec ha sostenuto dinanzi al Conseil d’État che il diritto ad un equo processo comporta che sia garantito il carattere contraddittorio di qualsiasi procedimento giurisdizionale, che il principio del contraddittorio costituisce un principio generale del diritto, che esso trova un fondamento nell’art. 6 della CEDU e che tale principio implica il diritto delle parti in un processo di prendere conoscenza di tutte le prove o osservazioni presentate al giudice per influire sulla sua decisione e di discuterle.
46 A tale riguardo occorre sottolineare che l’art. 6, n. 1, della CEDU prevede segnatamente che «[o]gni persona ha diritto a che la sua causa sia esaminata equamente, pubblicamente ed entro un termine ragionevole da un tribunale indipendente e imparziale (…)». Secondo costante giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, il carattere contraddittorio di un procedimento costituisce uno degli elementi che consentono di valutare la sua equità, ma può essere bilanciato con altri diritti e interessi.
47 Il principio del contraddittorio implica, in generale, il diritto delle parti in un processo di prendere conoscenza delle prove e delle osservazioni presentate dinanzi al giudice e di discuterle. Tuttavia, in taluni casi, può essere necessario non comunicare talune informazioni alle parti per salvaguardare i diritti fondamentali di un terzo o tutelare un interesse pubblico importante (v. sentenze della Corte europea dei diritti dell’uomo 16 febbraio 2000, Rowe e Davis/Regno Unito, Raccolta delle sentenze e delle decisioni 2000-II, § 61, e 24 aprile 2007, V. c. Finlandia, non ancora pubblicata nella Raccolta delle sentenze e delle decisioni, § 75).
48 Tra i diritti fondamentali suscettibili di essere in tal modo protetti figura il diritto al rispetto della vita privata, sancito dall’art. 8 della CEDU e che nasce dalle tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri ed è riaffermato all’art. 7 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000 (GU C 364, pag. 1) (v., in particolare, sentenze 8 aprile 1992, causa C 62/90, Commissione/Germania, Racc. pag. I 2575, punto 23, e 5 ottobre causa C 404/92 P, X/Commissione, Racc. pag. I 4737, punto 17). A tale proposito, dalla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo risulta che non può ritenersi che la nozione di vita privata debba essere interpretata in modo da escludere le attività professionali o commerciali delle persone fisiche o giuridiche (v. sentenze della Corte europea dei diritti dell’uomo 16 dicembre 1992, Niemietz c. Germania, serie A, n. 251-B, § 29; 16 aprile 2002, Société Colas Est e a. c. Francia, Raccolta delle sentenze e delle decisioni 2002-II, § 41, nonché 28 gennaio 2003, Peck/Regno Unito, Raccolta delle sentenze e delle decisioni 2003-I, § 57), attività che possono comprendere la partecipazione ad una procedura di aggiudicazione di un appalto pubblico.
49 D’altronde, la Corte di giustizia ha riconosciuto la tutela dei segreti commerciali come un principio generale (v. sentenze 24 giugno 1986, causa 53/85, AKZO Chemie e AKZO Chemie UK/Commissione, Racc. pag. 1965, punto 28, nonché 19 maggio 1994, causa C 36/92 P, SEP/Commissione, Racc. pag. I 1911, punto 37).
50 Infine, il mantenimento di una concorrenza leale nell’ambito delle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici costituisce un interesse pubblico importante la cui salvaguardia è ammessa in base alla giurisprudenza citata al punto 47 della presente sentenza.
51 Ne consegue che, nell’ambito di un ricorso proposto contro una decisione adottata da un’amministrazione aggiudicatrice relativa ad una procedura di aggiudicazione di un appalto pubblico, il principio del contraddittorio non implica che le parti abbiano un diritto di accesso illimitato e assoluto al complesso delle informazioni relative alla procedura di aggiudicazione dei mercati di cui trattasi che sono state presentate all’organo responsabile del ricorso. Al contrario, tale diritto di accesso dev’essere ponderato con il diritto di altri operatori economici alla tutela delle informazioni riservate e dei loro segreti commerciali.
52 Il principio della tutela delle informazioni riservate e dei segreti commerciali deve essere attuato in modo da conciliarlo con le esigenze di effettività della tutela giurisdizionale e con il rispetto del diritto di difesa delle parti della controversia (v., per analogia, sentenza 13 luglio 2006, causa C 438/04, Mobistar, Racc. pag. I 6675, punto 40) e, in caso di un ricorso giurisdizionale o di un ricorso presso un organo che è una giurisdizione ai sensi dell’art. 234 CE, in modo da garantire che il procedimento, nel suo insieme, rispetti il diritto ad un equo processo.
53 A tal riguardo, occorre rilevare che l’organismo competente a conoscere dei ricorsi deve necessariamente poter disporre di tutte le informazioni necessarie per essere in grado di decidere con piena cognizione di causa, ivi comprese le informazioni riservate e i segreti commerciali (v., per analogia, sentenza Mobistar, cit., punto 40).
54 Alla luce del danno estremamente grave che potrebbe risultare dalla comunicazione non corretta di talune informazioni ad un concorrente, tale organo, prima di comunicare tali informazioni ad una parte nella controversia, deve dare all’operatore economico di cui trattasi la possibilità di opporre il loro carattere riservato o di segreto commerciale (v., per analogia, sentenza AKZO Chemie e AKZO Chemie UK/Commissione, cit., punto 29).
55 Pertanto, occorre risolvere la questione proposta dichiarando che l’art. 1, n. 1, della direttiva 89/665, letto in combinato disposto con l’art. 15, n. 2, della direttiva 93/36, deve essere interpretato nel senso che l’organo responsabile dei ricorsi previsti al detto art. 1, n. 1, deve garantire la riservatezza e il diritto al rispetto dei segreti commerciali con riferimento alle informazioni contenute nei fascicoli che le vengono comunicate dalle parti in causa, in particolare dall’amministrazione aggiudicatrice, pur potendo essa stessa esaminare tali informazioni e tenerne conto. È compito di tale organo decidere in che misura e secondo quali modalità occorra garantire la riservatezza e il segreto di tali informazioni, per le esigenze di tutela giudica effettiva e dei diritti di difesa delle parti nella controversia e, in caso di ricorso giurisdizionale o di un ricorso presso un organo che è una giurisdizione ai sensi dell’art. 234 CE, in modo che il procedimento rispetti, nel suo complesso, il diritto ad un equo processo.
Sulle spese
56 Nei confronti delle parti nella causa principale il presente procedimento costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione.
Per questi motivi,
la Corte (Terza Sezione) dichiara:
L’art. 1, n. 1, della direttiva del Consiglio 21 dicembre 1989, 89/665/CEE, che coordina le procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di forniture, nel testo risultante dalla direttiva del Consiglio del 18 giugno 1992, 92/50/CEE, che coordina le procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di servizi, letto in combinato disposto con l’art. 15, n. 2, della direttiva del Consiglio 14 giugno 1993, 93/36/CEE, che coordina le procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di forniture, come modificata dalla direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 13 ottobre 1997, 97/52/CE, deve essere interpretato nel senso che l’organo responsabile dei ricorsi previsti al detto art. 1, n. 1, deve garantire la riservatezza e il diritto al rispetto dei segreti commerciali rispetto alle informazioni contenute nei fascicoli che le vengono comunicate dalle parti in causa, in particolare dall’amministrazione aggiudicatrice, pur potendo essa stessa esaminare tali informazioni e tenerne conto. È compito di tale organo decidere in che misura e secondo quali modalità occorra garantire la riservatezza e il segreto di tali informazioni, per le esigenze di tutela giudica effettiva e dei diritti di difesa delle parti nella controversia e, in caso di ricorso giurisdizionale o di un ricorso presso un organo che è una giurisdizione ai sensi dell’art. 234 CE, in modo che il procedimento rispetti, nel suo complesso, il diritto ad un equo processo.
Firme

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