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martedì 12 maggio 2009

Sanabilità degli abusi su suol pubblico

Le opere poste in essere su suolo di pubblica proprietà sono sanabili

TAR Puglia-Bari, sez. III, sentenza 03.12.2008 n° 2770 (Alessandro Del Dotto)

Dall’art. 32, comma 5, L. 47/85, cui rinvia l’art. 32, d.l. 269/2003, emerge evidentissimo che ai fini del rilascio della sanatoria ex d.l. 269/2003 non è, in via assoluta, ostativo il fatto che gli abusi insistano su suolo pubblico: la sanatoria è anzi possibile anche in questi casi se l’ente interessato sia di fatto disponibile a concedere la porzione di suolo interessata in diritto di superficie all’interessato. In tal caso, effettuato il pagamento del valore dell’area, nella misura determinata dalla Agenzia del Demanio, e stipulata la convenzione, può essere rilasciata la concessione in sanatoria.
La norma in esame evidenzia anche come la sanatoria di che trattasi sia perfettamente ammissibile anche laddove la pratica per la concessione in uso del suolo pubblico non risulti essere già istruita al momento della presentazione della istanza di condono: anzi, la norma pare proprio prendere in considerazione l’eventualità in cui l’interessato presenti la richiesta di disponibilità dell’area demaniale dopo aver già presentato l’istanza di condono. E’ comunque evidente che laddove la richiesta di sanatoria riguardi un abuso realizzato su suolo pubblico, la definizione della concessione in uso del suolo medesimo diventa pregiudiziale rispetto alla definizione del procedimento di sanatoria.
Questa la sostanza dell’importantissima decisione del T.A.R. Puglia Bari, in merito alla illegittimità della definizione di un procedimento di sanatoria straordinaria in senso negativo sol perché le opere per le quali si domanda condono sono ubicate su suolo pubblico.
Simile decisione appare conforme, sotto il profilo logico-giuridico, ad altra sentenza già nota del Giudice amministrativo toscano (TAR Toscana-Firenze, sez. III,
sentenza 06.02.2008 n° 102) e appresta una lettura normativa orientata dell’istituto del condono edilizio meno sfavorevole per il cittadino, posto che la pubblica proprietà dell’immobile sul quale ricadono le opere oggetto di domanda di sanatoria viene letta non come un vincolo ma come un semplice presupposto la cui assenza è causa relativa di improcedibilità della sanatoria e il cui positivo accertamento in termini di concessione del diritto reale all’interessato dal rilascio del titolo sanante rende superabile l’iniziale assenza di titolo.
Resta da capire se simile costruzione giuridica, dal vago sapore di circostanza che allarga le maglie della possibilità di conseguire un condono, oltre che alla sanatoria straordinaria sia applicabile anche a casi di sanatoria ordinaria, nei quali ci si trova di fronte ad opere non sostenute da idoneo titolo ma, per la loro consistenza, sanabili con accertamento di doppia conformità: cosa che appare, logicamente plausibile, ponendo attenzione al fatto che se è vero – come’è – che tale modus procedendi, di carattere derogatorio rispetto alla disciplina tombale (normalmente interpretata restrittivamente in quanto eccezionale, intervenendo laddove manca il titolo edificatorio sia formale che sostanziale), viene riconosciuto in un procedimento (come quello dei condoni) dalle maglie strette e particolarmente rigido nella sua applicazione (e non nei suoi presupposti, che derogano – purtroppo – alle regole vigenti nella normalità delle cose), è altrettanto ammissibile ritenere che tale a regola non faccia eccezione l’accertamento della doppia conformità, istituto ordinario di un particolare tipo di sanatoria che è quello della assenza di titolo formale.

(Altalex, 7 maggio 2009. Nota di Alessandro Del Dotto)

Massima
E’ possibile procedere a sanatoria, anche laddove l’immobile abusivo sia stato realizzato su suolo pubblico.
(Fonte: Altalex Massimario 6/2009. Cfr. nota di Alessandro Del Dotto)



T.A.R.
Puglia - Bari
Sezione III
Sentenza 8 ottobre – 3 dicembre 2008, n. 2770
(Presidente Urbano – Estensore Ravasio)


Fatto
Il Condominio X. ha impugnato, chiedendone la sospensione, gli atti indicati in epigrafe, tutti aventi ad oggetto le opere edilizie indicate nel verbale di contravvenzione 146 del 03/08/2000, eseguite in base ad autorizzazione edilizia rilasciata in data 16/07/1998 ma revocata con atto 04/03/1999, prot. V.E. n. 422: trattasi delle opere di recinzione del Lotto 4 Zona E Piano 167 di Poggiofranco, pertinenziale al Condominio ricorrente, il quale successivamente è stato autorizzato a completarle solo relativamente alla zona retrostante al fabbricato e con esclusione della parte prospiciente la via Tommaso D’Aquino, di proprietà comunale.
Premette la ricorrente di aver altresì proposto impugnativa avverso l’ordinanza che ha ingiunto la demolizione delle opere di cui sopra, con ricorso rubricato al n. 3199/2000 R.G. di Questo Tribunale, il quale ha rigettato la domanda con sentenza confermata, nelle more del giudizio.
Il verbale di accertamento oggetto del ricorso principale viene quindi impugnato:
I.a) per violazione della ordinanza di Questo Tribunale, Sezione II, n. 596 del 03/09/99, violazione della Lg. 47/85 con riferimento alla L.R. 56/80, eccesso di potere per presupposizione e difetto assoluto di motivazione: il verbale, infatti, non tiene in alcun conto il fatto che il provvedimento revocatorio del 04/03/1999 é stato sospeso con ordinanza di Questo Tribunale n. 596/99;
I.b) per violazione dell’art. 7 L. 241/90, stante l’omesso avviso di avvio del procedimento di accertamento del presunto abuso edilizio.
Con il primo ricorso per motivi aggiunti il ricorrente ha impugnato gli ulteriori atti indicati in epigrafe, sia per vizi propri che per vizi derivati. Mentre questi ripropongono le censure già esposte in ricorso introduttivo, in riferimento ai vizi propri si deduce:
II.a) violazione ed omessa applicazione dell’art. 41 DPR 380/01, come sostituito dall’art. 32 comma 49 ter D.L. 269/2003, nonché incompetenza del Comune di Bari: l’esecuzione della demolizione delle opere abusive deve essere infatti disposta dal Prefetto;
II.b) violazione ed omessa applicazione dell’art. 38 l. 47/85, in relazione all’art. 32 D.L. 269/2003, nonché incompetenza del Comune di Bari: il ricorrente ha proposto istanza di sanatoria ex d.l. 269/2003, di guisa che mentre i precedenti provvedimenti repressivi hanno perso efficacia, sussiste l’obbligo del Comune di sospendere il procedimento relativo alla irrogazione delle sanzioni.
Con il secondo ricorso per motivi aggiunti vengono impugnati ulteriori atti, meglio indicati in epigrafe: vengono dedotti, in via derivata, i vizi già dedotti con i primi due ricorsi, nonché i seguenti vizi propri:
III.a) violazione ed omessa applicazione dell’art. 32 comma 25 e segg. d.l. 269/2003, nonché violazione della ordinanza del TAR Puglia-Bari n. 848/2005, eccesso di potere per abnormità procedimentale e per difetto assoluto di istruttoria: il provvedimento impugnato, infatti, non tiene conto del fatto che é pendente istanza di sanatoria ex d.l. 269/2003, non ancora definita, dalla quale discende, ex art. 44 L. 47/85, l’obbligo per il Comune di sospendere i procedimenti amministrativi sanzionatori in corso; vi é inoltre violazione della stessa ordinanza del Collegio n. 848/2005;
III.b) violazione del giudicato formatosi inter partes sulla sentenza di Questo Tribunale n. 5842/2002, confermata dal Consiglio di Stato, nonché violazione della sentenza di Questo Tribunale n. 744 del 16/03/2007: il condominio X. ha presentato istanza al fine di ottenere l’assegnazione della porzione di suolo della quale il Comune non autorizza la recinzione, ed il TAR Bari, con sentenza 2086/2007, ha accertato l’obbligo del Comune di Bari di definire il procedimento avviato con detta istanza, sia pure tenendo conto della posizione e delle aspettative del Condominio contro interessato: il Comune avrebbe pertanto dovuto prima provvedere sulla istanza di assegnazione presentata dalla ricorrente e poi, semmai, proseguire nella esecuzione della ordinanza di demolizione;
III.c) violazione dell’art. 7 L. 241/90, per omesso avviso dell’avvio del procedimento relativo alla demolizione delle opere di che trattasi
Si sono costituiti in giudizio, resistendo al ricorso, sia il Comune di Bari che il contro interessato Condominio Consedil Nova.
Alla udienza del 20/10/2005, con ordinanza n. 848/2005, veniva rigettata la domanda di sospensione dei provvedimenti impugnati con il ricorso introduttivo nonché con il primo ricorso per motivi aggiunti, per mancanza di periculum, stante la obbligatoria sospensione dei procedimenti amministrativi sanzionatori determinata dalla presentazione della istanza di condono presentata dalla ricorrente.
Alla udienza del 14/11/2007 veniva invece accolta la domanda di sospensione del provvedimento impugnato con il terzo ricorso per motivi aggiunti.
Infine, alla udienza pubblica dell’08/10/2008 i tre ricorsi venivano introitati a decisione definitiva.
Diritto
1. Al fine della corretta comprensione di quanto in appresso si dirà è necessario premettere e richiamare i fatti salienti della vicenda portata alla attenzione del Collegio.
Con deliberazione del Consiglio Comunale n. 689 del 17/07/1975 il Comune di Bari assegnava alle Cooperative X. e Consedil Nova, indivisamente tra loro, il diritto di superficie sul lotto edificabile n. 4, settore E, del piano di Zona di Poggiofranco. A tale assegnazione faceva seguito una seconda delibera consiliare, n. 755/77, con la quale, previo frazionamento del lotto, a ciascuna delle cooperative veniva assegnata in via esclusiva una quota parte di esso.
L’accesso ai fabbricati rispettivamente realizzati da parte delle due Cooperative veniva esercitato, per un certo periodo di tempo, in attraversamento del lotto assegnato alla Cooperativa X., in conformità alle previsioni di viabilità del Piano di Zona vigente. Tale sistema suscitava però inconvenienti, sicché, con delibera consiliare n. 520 del 12/05/1989, mai gravata né moficata o ritirata in autotutela, il Comune modificava le previsioni relative alla viabilità della zona istituendo una nuova strada di distribuzione all’interno dei lotti 2, 3 e 4: orbene, come si legge nella comparsa di costituzione del Comune di Bari depositata il 27/09/2005, per effetto di tale variante il lotto assegnato in via esclusiva alla Cooperativa X. si accresceva di quella superficie di 478 mq. - fisicamente situata all’interno del lotto assegnato alla Cooperativa X. e sino ad allora utilizzata per l’accesso ai lotti – che perdeva la propria vocazione a viabilità per diventare area edificatoria all’interno del lotto già assegnato alla Cooperativa X..
Per tale ragione, su richiesta di questa ultima, il Comune di Bari, con provvedimento n. 5133 del 16/07/1998, inizialmente autorizzava la Cooperativa X. a recintare il perimetro esterno del lotto di sua competenza, ivi compresa l’area, in esso situata, prima adibita a viabilità di tutto il lotto 4.
Improvvisamente privato della possibilità di usufruire del passaggio preesistente, in attraversamento del lotto assegnato in via esclusiva al condominio ricorrente, la Cooperativa Consedil Nova, con ricorso 05/11/99 promuoveva, nei confronti di quello, azione civile possessoria onde ottenere la reintegra nel passaggio.
In data 23/02/1999 il Condominio X. depositava istanza per formalizzare con concessione superficiaria il godimento della superficie di mq. 478 sottratta alla viabilità del lotto.
Poco tempo dopo, e precisamente con provvedimento 04/03/99, il Comune di Bari revocava l’autorizzazione già rilasciata, poiché – come si legge sempre a pag. 2 della memoria depositata dalla difesa del Comune di Bari in data 27/09/2005 - “erroneamente rilasciata con riferimento alla mancata definizione, mediante stipula di apposita convenzione, del diritto di superficie sull’area suddetta, ubicata all’interno del lotto assegnato al Condominio X.”: seguiva, il 05/07/1999, nuovo titolo autorizzatorio, mediante il quale il Condominio X. veniva autorizzato a recintare solo la parte del lotto ad esso assegnato retrostante il fabbricato, con esclusione della superficie di mq. 478 rimasta in proprietà comunale, ma sottratta alla viabilità dalla delibera consiliare n. 520 del 12/05/1989.
Non essendosi il Condominio X. adeguato alla nuova autorizzazione, il Comune, con provvedimento 29/08/2000 in. 32050, ingiungeva la demolizione delle opere abusive, che veniva tempestivamente gravata.
Nel frattempo precisamente con istanza 22/12/1999 (cfr. memoria Consedil Nova 19/10/2005 pag. 3), anche la controinteressata depositava istanza per formalizzare concessione superficiaria in relazione all’area di mq. 478 sottratta a viabilità del lotto.
Questa, però, veniva assegnata al Condominio X. con delibera di Giunta Municipale n. 1283 del 20/12/2001, che pure veniva tempestivamente gravata dal controinteressato Condominio Consedil Nova.
Con sentenza n.. 5842/2002, Questo Tribunale respingeva l’impugnativa proposta avverso l’ingiunzione di demolizione delle opere 29/08/2000 ed annullava la delibera di Giunta Municipale 20/12/2001 n. 1283, sul presupposto che il Comune avrebbe dovuto esperire procedura comparativa prima di decidere a quale dei due contendenti assegnare il diritto di superficie già adibito a viabilità del lotto.
Il Tribunale Civile di Bari, invece, si pronunciava sul ricorso possessorio con sentenza 1297 del 10-26/06/2002, dichiarandolo improponibile: nella motivazione ( pagg. 7-8) il Tribunale Civile dà atto che la recinzione collocata dal Condominio X. si allinea ed è perfettamente conforme alle previsioni della variante del piano di zona approvato con delibera consiliare n. 520 del 12/05/1989, deducendone la impossibilità per la Autorità Giudiziaria Ordinaria di adottare qualsivoglia provvedimento di reintegra.
Seguiva, da parte del Comune, il verbale di accertamento 11/06/2003, impugnato con ricorso introduttivo.
Ancora pendente il procedimento volto ad individuare quale dei due condomini avrebbe potuto rendersi assegnatario del diritto di superficie sull’area di 478 mq. già adibita a viabilità del lotto, il condominio ricorrente presentava, nei termini di legge, istanza per la definizione di illeciti edilizi ai sensi del d.l. 269/2003.
Nel 2005 il Comune adottava gli atti gravati con il primo ricorso per motivi aggiunti.
Con sentenza n. 2290/2006 il Consiglio di Stato si pronunciava in sede di appello avverso la sopra ricordata sentenza di Questo Tribunale n. 5842/2002, che confermava integralmente dopo aver negato la sospensione del processo ex art. 295 c.p.c., richiesta dal Condominio X. ex art. 44 L. 47/85.
Su richiesta del Condominio X. Questo Tribunale, con sentenza 744/2007, dichiarava la illegittimità del silenzio serbato dal Comune di Bari sulla istanza 23/02/99 presentata dalla ricorrente per ottenere di diventare assegnataria della residua parte del lotto 4, oggetto di contestazione.
Con sentenza n. 2086 del 05/09/2007, invece, Questo Tribunale accoglieva il ricorso presentato dal Condominio Consedil Nova per l’ottemperanza alla sentenza del Questo Tribunale n. 5842/2002, e per l’effetto dichiarava l’obbligo del Comune di Bari sia di provvedere al riesame della istanza di assegnazione 22/12/99, presentata dal Condominio Consedil Nova, sia di portare ad esecuzione l’ingiunzione di demolizione 29/08/2000.
In esito a ciò il Comune di Bari, senza provvedere sulle istanze delle parti volte alla concessione in diritto superficiario della superficie di mq. 478 rinveniente all’interno del lotto 4 a seguito della modifica della viabilità di zona, adottava il provvedimento impugnato con il secondo ricorso per motivi aggiunti.
Il Consiglio di Stato, infine, con sentenza n. 2988/2008, in sede di appello avverso la sentenza di Questo Tribunale n. 2086/2007, affermava l’infondatezza dell’unico motivo d’appello, a mezzo del quale il Condominio X. aveva sostenuto non potersi portare ad esecuzione l’ingiunzione di demolizione in ragione della istanza di condono nel frattempo depositata.
Tanto premesso in punto di fatto, è ora possibile passare alla disamina dei ricorsi.
2. Va prioritariamente esaminato il secondo dei ricorsi per motivi aggiunti, a mezzo del quale viene dedotta l’illegittimità dell’ultimo avviso relativo all’inizio dei lavori di demolizione, meglio indicato in epigrafe, in quanto adottato dal Comune di Bari prima di aver definito il procedimento relativo alla assegnazione in concessione dell’area di mq. 478 già sede della preesistente viabilità.
La censura è meritevole di accoglimento.
2.1. Il fatto che nel caso di specie sul Comune gravasse, e gravi tuttora, l’obbligo di espletare preliminarmente il procedimento relativo alla assegnazione dell’area già adibita a viabilità del lotto 4, settore E, Piano di Zona di Poggiofranco, emerge dalla constatazione che il Condominio X. ha una aspettativa concreta a diventare concessionario dell’area delimitata dalla recinzione stessa e, perciò, ha anche una aspettativa concreta ad ottenere la sanatoria ex d.l. 269/2003 relativamente alla parte di detta recinzione abusivamente realizzata.
Significativa al proposito è la circostanza, ammessa dal Comune di Bari nelle sue difese, che l’area di mq. 478 sulla quale veniva esercitato l’accesso al lotto da parte del Condominio Consedil Nova, benché di proprietà comunale, di fatto è ubicato all’interno del lotto assegnato in via esclusiva al Condominio X.: l’accesso alle abitazioni del fabbricato Consedil Nova veniva infatti esercitato tramite un sottopassaggio, realizzato sotto al fabbricato X., il quale pertanto si frapponeva tra l’accesso al lotto ed il fabbricato Consedil Nova.
In tale situazione è evidente che nel momento in cui le previsioni di viabilità della zona vengono mutate, con istituzione di una nuova strada che consente la realizzazione di un nuovo accesso al lotto 4, collocato in posizione centrale tra i due fabbricati, vien meno l’esigenza, per gli abitanti del condominio Consedil Nova, di continuare ad accedere in attraversamento del lotto X.. E’ parimenti innegabile che in tale situazione la concessione in uso del sedime non più utilizzato a viabilità di lotto spetta, per “vocazione”, al lotto X., al cui interno è collocato.
Quanto sopra, naturalmente, non vale ad affermare che anche il Condominio Consedil Nova non potesse e non possa ambire a divenire concessionario di questa residua parte del lotto 4, rimasta non assegnata; né implica che il Comune possa procedere alla assegnazione dell’area di che trattasi prescindendo da quella comparazione - tra le istanze presentate dai due condomini – già raccomandata da Questo Tribunale allo scopo di tutelare sia l’interesse pubblico che le aspettative che il Condominio Consedil Nova può aver riposto nel fatto di divenire concessionario. Quanto sopra significa semplicemente che il Condominio X. aveva ed ha una aspettativa particolarmente qualificata a divenire concessionario, trovandosi l’area oggetto di contesa all’interno del lotto di sua esclusiva pertinenza e sussistendo ormai, per il Condominio Consedil Nova, la concreta possibilità di accedere al proprio lotto da altro ingresso. Ed è possibile che la Giunta Municipale, allorché con delibera 1283/2001 decise di assegnare l’area in uso esclusivo al ricorrente, abbia tenuto conto proprio di considerazioni simili.
2.2. La sussistenza, a favore del ricorrente, di una aspettativa di tal sorta, determinata dalla stessa morfologìa dei luoghi, già di per sé doveva indurre il Comune a completare la procedura di affidamento in uso dell’area stessa prima di dare esecuzione alla ingiunzione di demolizione, e ciò in ossequio ai principi generali che impongono alla Pubblica Amministrazione di mantenere, nel proprio agire, una particolare correttezza e ragionevolezza.
2.3. Ma il medesimo principio è anche sotteso ad una norma di legge: si allude all’art. 32 comma 5 L. 47/85, cui rinvia l’art. 32 d.l. 269/2003, a mente del quale “Per le opere eseguite da terzi su aree di proprietà di enti pubblici territoriali, in assenza di un titolo che abiliti al godimento del suolo, il rilascio della concessione o della autorizzazione in sanatoria è subordinato anche alla disponibilità dell’ente proprietario a concedere onerosamente, alle condizioni previste dalle leggi statali o regionali vigenti, l’uso del suolo su cui insiste la costruzione. La disponibilità all’uso del suolo, anche se gravato da usi civici, viene espressa dagli enti pubblici territoriali proprietari entro il termine di 180 giorni dalla richiesta. La richiesta di disponibilità all’uso del suolo deve essere limitata alla superficie occupata dalle costruzioni oggetto della sanatoria e alle pertinenze strettamente necessarie, con un massimo di tre volte rispetto all’area coperta dal fabbricato…. (omissis)…..L’atto di disponibilità, regolato con convenzione di cessione del diritto di superficie per una durata massima di anni sessanta, è stabilito dall’ente proprietario non oltre sei mesi dal versamento dell’importo come sopra determinato.”
Dalla norma dianzi ricordata emerge evidentissimo che ai fini del rilascio della sanatoria ex d.l. 269/2003 non è, in via assoluta, ostativo il fatto che gli abusi insistano su suolo pubblico: la sanatoria è anzi possibile anche in questi casi se l’ente interessato sia di fatto disponibile a concedere la porzione di suolo interessata in diritto di superficie all’interessato. In tal caso, effettuato il pagamento del valore dell’area, nella misura determinata dalla Agenzia del Demanio, e stipulata la convenzione, può essere rilasciata la concessione in sanatoria.
Ma la norma in esame evidenzia anche come la sanatoria di che trattasi sia perfettamente ammissibile anche laddove la pratica per la concessione in uso del suolo pubblico non risulti essere già istruita al momento della presentazione della istanza di condono: anzi, la norma pare proprio prendere in considerazione l’eventualità in cui l’interessato presenti la richiesta di disponibilità dell’area demaniale dopo aver già presentato l’istanza di condono. E’ comunque evidente che laddove la richiesta di sanatoria riguardi un abuso realizzato su suolo pubblico, la definizione della concessione in uso del suolo medesimo diventa pregiudiziale rispetto alla definizione del procedimento di sanatoria.
Nel caso di specie il ricorrente aveva presentato istanza per ottenere l’uso in via esclusiva dell’area già dal 23/02/1999, ed il Comune, con la delibera di Giunta Municipale n. 1283 del 2001 aveva dimostrato di essere concretamente disponibile a cedere in uso non solo il sedime corrispondente alla superficie concretamente occupata dalle opere abusive, ma l’intera superficie di mq. 478. Con questo precedente, e pur tenendo conto della aleatorietà insita nella rinnovazione della procedura di assegnazione dell’area, il Condominio X. a buon diritto riponeva fiducia nella circostanza che anche la domanda di condono sarebbe stata quantomeno correttamente istruita e che il Comune non avrebbe posto in essere comportamenti in grado di pregiudicarne l’esito.
2.4. Per tali ragioni il Comune non avrebbe dovuto adottare gli atti esecutivi della ingiunzione di demolizione, prima di aver espletato la procedura relativa alla concessione in uso dell’area in contestazione e la conseguente pratica di sanatoria: è invero contrario ad ogni logica nonché all’evidente ratio della normativa sul condono l’applicazione di provvedimenti repressivi e sanzionatori ordinari, che frustrano l’effetto della eventuale successiva sanatoria. Non è un caso che la legge sul condono disponga la sospensione dei procedimenti amministrativi e penali aventi ad oggetto abusi edilizi di cui sia stata richiesta la sanatoria: ma, si deve rimarcare, la normativa in parte qua non fa altro che positivizzare un evidente principio di ragionevolezza ed equità sostanziale.
Non si comprende, pertanto, per quale motivo il Comune nel 2005 abbia deciso di “riesumare” il procedimento sanzionatorio degli abusi edilizi, nonostante la contemporanea pendenza sia del procedimento per la sanatoria degli abusi, sia del procedimento - pregiudiziale rispetto a quello - finalizzato alla concessione in uso del suolo interessato dagli abusi: tanto più che ad un canone di comportamento corretto il Comune si era invece attenuto in passato, posto che, pur dopo aver emesso l’ingiunzione di demolizione, si era astenuto dall’adottare ogni provvedimento consequenziale, giungendo nel 2001 ad assegnare l’uso dell’area in via esclusiva al ricorrente.
L’avviso impugnato del cui esame si tratta, in quanto adottato prima della definizione della istanza di concessione in uso esclusivo della superficie recintata nonché prima della definizione della istanza di sanatoria, deve considerarsi illegittimo per violazione di quei principi di correttezza e ragionevolezza che debbono informare l’agire della Pubblica Amministrazione quale mezzo per assicurare il buon andamento dell’amministrazione ai sensi dell’art. 97 Cost.
2.5. Il Comune non può poi giustificarsi adducendo che i provvedimenti impugnati con il ricorso per motivi aggiunti costituiscano mera esecuzione del giudicato contenuto nella sentenza di Questo Tribunale n. 5842/2002: è ben vero che nella specie vengono in considerazione atti di natura vincolata, ma è altrettanto vero che nel momento in cui essi venivano adottati non sussistevano, per i motivi sopra detti, le condizioni per portare ad esecuzione l’ingiunzione di demolizione: al proposito vale la pena sottolineare che l’obbligo di conformarsi ad un giudicato non equivale affatto ad una licenza per l’Amministrazione di porre in essere la necessaria attività conformativa in violazione di normative o in spregio ai canoni di comportamento cui essa deve attenersi.
2.6. Né, infine, il Comune o la controinteressata possono invocare a proprio favore le sentenze del Consiglio di Stato nn. 2290/06 e 2988/08, con le quali è stata affermata la non sanabilità dell’abuso commesso dal ricorrente: sul punto, infatti, i menzionati pronunciamenti non sono idonei a dar luogo a giudicato.
Non è idonea a dar luogo a giudicato la affermazione, contenuta nella motivazione della sentenza n. 2290/06, secondo la quale “..la contestata recinzione del condominio X. ha inglobato un’area di pacifica prorprietà pubblica, perpetrando quindi una tipologìa di abuso non avente carattere propriamente edilizio e quindi non sussumibile nelle ipotesi cui si applica la richiamata normativa”. Trattasi di affermazione resa nel contesto dell’esame di una eccezione di carattere meramente processuale, con la quale il Condominio X. chiedeva la sospensione del processo ex art. 295 c.p.c. in relazione alla pendenza della istanza di sanatoria: la sanabilità o meno dell’abuso non era in quella sede oggetto del thema decidendum e la relativa affermazione deve essere intesa come un mero obiter dictum, sul quale, come noto, non scende il giudicato.
Allo stesso modo non è idonea a dar luogo a giudicato la affermazione medesima, richiamata nella sentenza n. 2988/08, con la quale il Consiglio di Stato ha respinto l’appello del Condominio X. avverso la sentenza di Questo Tribunale n. 2086/2007, pronunciata in sede di ottemperanza. La ragione per cui neppure l’affermazione contenuta nella sentenza in esame è idonea a far scendere un giudicato in ordine alla non sanabilità degli abusi commessi dal ricorrente, è data da ciò: che secondo l’insegnamento della Suprema Corte regolatrice, il giudicato si forma sulla domanda proposta come identificabile dal petitum e dalla causa petendi e non si estende alla motivazione se non nei limiti in cui essa risolve questioni di fatto pregiudiziali in senso logico (ad es. Cass. 14/03/1995 n. 2645; Cass. 23/12/1999 n. 14477, Cass. 18/10/1997 n. 10196): in particolare non rimane coperta da giudicato la interpretazione della norma (Cass. 23/01/1991 n. 660) né l’accertamento meramente incidentale (arg. Ex art. 34 c.p.c.).
La affermazione del Consiglio di Stato che qui si sta esaminando costituisce, a ben vedere, una mera interpretazione della normativa sul condono, della quale il Supremo Collegio si è servito non per valutare la legittimità o meno di un provvedimento avente ad oggetto l’istanza di sanatoria presentata dal ricorrente, bensì per respingere l’eccezione di illegittimità, in relazione all’obbligo di sospensione di tutti i procedimenti amministrativi e penali aventi ad oggetto abusi oggetto di domanda di condono, degli atti esecutivi dell’ordine di demolizione 29/08/2000. Pertanto essa non è idonea a dar luogo a giudicato sia perché, come detto, essa si estrinseca in una interpretazione della normativa sul condono con la quale viene affrontata, in via meramente incidentale, una questione di ordine giuridico ma non anche una questione di fatto di orgine logico-pregiudiziale; sia perché la questione della sanabilità o meno dell’abuso di che trattasi, in quanto involgente un suolo pubblico, non era stata introdotta nel thema decidendum. Va al proposito ricordato che il giudicato amministrativo va riferito solo agli atti oggetto di impugnativa ed ai vizi in concreto dedotti ( si veda l’articolo di A. Travi “Il giudicato amministrativo”, in Dir. Proc. Amm., 4/2006): non è quindi possibile che l’affermazione che si sta esaminando, contenuta nei citati pronunziamenti del Consiglio di Stato, sia idonea a condizionare le valutazioni che il Comune dovrà compiere in sede di decisione sulla istanza di sanatoria presentata dal ricorrente, posto che alcuna decisione su detta istanza è mai stata adottata né portata alla attenzione del Giudice Amministrativo.
A tutto voler concedere, quindi, la sentenza n. 2988/08 del Consiglio di Stato può far stato solo in ordine alla insussistenza di una illegittimità degli atti impugnati per violazione dell’art. 44 L. 47/85. Certamente essa non fa stato sulla affermata – ma non condivisibile – non sanabilità dell’abuso di che trattasi, né preclude una declaratoria di illegittimità degli atti impugnati per violazione dei principi generali di correttezza e ragionevolezza che devono assistere la azione amministrativa.
2.7. Il secondo dei ricorsi per motivi aggiunti può conclusivamente essere accolto per le ragioni sopra esposte, con assorbimento di ogni ulteriore censura.
3. Devono invece essere dichiarati improcedibili i primi due ricorsi per sopravvenuto difetto di interesse.
3.1. Va dichiarato improcedibile il ricorso introduttivo, mediante il quale si impugna il verbale di accertamento di inottemperanza all’ingiunzione di demolizione n. 134 del 11/06/2003: trattasi infatti di atto avente natura meramente accertativa, privo di autonoma lesività e pertanto allo stato insuscettibile di creare pregiudizio al ricorrente, tenuto conto del fatto che, in conseguenza delle statuizioni che precedono, il Comune non potrà riadottare gli atti necessari a portare in esecuzione l’ingiunzione di demolizione 29/08/2000 se non dopo aver esperito la procedura necessaria ad assegnare il suolo conteso ad un delle due Cooperative ed essersi eventualmente pronunciato in senso negativo sulla istanza di condono ex d.l. 269/2003 presentata dal condominio ricorrente.
3.2. Per le medesime ragioni il Collegio ravvisa sopravvenuto difetto di interesse anche relativamente all’annullamento degli atti impugnati con il primo dei ricorsi per motivi aggiunti: il Comune, si ribadisce, non potrà adottare alcun ulteriore atto di esecuzione sintantoché il Comune non abbia espletato la procedura di assegnazione del suolo e quella relativa alla sanatoria delle opere abusive, a meno, evidentemente, di non voler incorrere nella illegittimità censurata con il secondo dei ricorsi per motivi aggiunti.
3.3. Tenuto conto di quanto sopra è possibile prescindere dall’esame dei motivi articolati a mezzo del ricorso introduttivo e del primo ricorso per motivi aggiunti.
4. Sussistono giusti motivi per compensare le spese del giudizio, in relazione agli equivoci che può aver ingenerato l’interpretazione delle sentenze rese inter partes dal Consiglio di Stato.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia-Bari, sezione III, definitivamente pronunciando sui ricorsi in epigrafe:
dichiara improcedibili per sopravvenuto difetto di interesse il ricorso introduttivo del giudizio nonché il ricorso per motivi aggiunti, depositato il 23/09/2005;
accoglie il ricorso per motivi aggiunti depositato il 25/10/2007 e per l’effetto annulla la nota dirigenziale del Comune di Bari, Ripartizione Edilizia Pubblica prot. 264542 del 04/10/2007, recante comunicazione di inizio lavori di demolizione delle opere abusive e ripristino dello stato dei luoghi.
Compensa integralmente tra le parti le spese del giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità.

Sanabilità degli abusi su suol pubblico

Le opere poste in essere su suolo di pubblica proprietà sono sanabili

TAR Puglia-Bari, sez. III, sentenza 03.12.2008 n° 2770 (Alessandro Del Dotto)

Dall’art. 32, comma 5, L. 47/85, cui rinvia l’art. 32, d.l. 269/2003, emerge evidentissimo che ai fini del rilascio della sanatoria ex d.l. 269/2003 non è, in via assoluta, ostativo il fatto che gli abusi insistano su suolo pubblico: la sanatoria è anzi possibile anche in questi casi se l’ente interessato sia di fatto disponibile a concedere la porzione di suolo interessata in diritto di superficie all’interessato. In tal caso, effettuato il pagamento del valore dell’area, nella misura determinata dalla Agenzia del Demanio, e stipulata la convenzione, può essere rilasciata la concessione in sanatoria.
La norma in esame evidenzia anche come la sanatoria di che trattasi sia perfettamente ammissibile anche laddove la pratica per la concessione in uso del suolo pubblico non risulti essere già istruita al momento della presentazione della istanza di condono: anzi, la norma pare proprio prendere in considerazione l’eventualità in cui l’interessato presenti la richiesta di disponibilità dell’area demaniale dopo aver già presentato l’istanza di condono. E’ comunque evidente che laddove la richiesta di sanatoria riguardi un abuso realizzato su suolo pubblico, la definizione della concessione in uso del suolo medesimo diventa pregiudiziale rispetto alla definizione del procedimento di sanatoria.
Questa la sostanza dell’importantissima decisione del T.A.R. Puglia Bari, in merito alla illegittimità della definizione di un procedimento di sanatoria straordinaria in senso negativo sol perché le opere per le quali si domanda condono sono ubicate su suolo pubblico.
Simile decisione appare conforme, sotto il profilo logico-giuridico, ad altra sentenza già nota del Giudice amministrativo toscano (TAR Toscana-Firenze, sez. III,
sentenza 06.02.2008 n° 102) e appresta una lettura normativa orientata dell’istituto del condono edilizio meno sfavorevole per il cittadino, posto che la pubblica proprietà dell’immobile sul quale ricadono le opere oggetto di domanda di sanatoria viene letta non come un vincolo ma come un semplice presupposto la cui assenza è causa relativa di improcedibilità della sanatoria e il cui positivo accertamento in termini di concessione del diritto reale all’interessato dal rilascio del titolo sanante rende superabile l’iniziale assenza di titolo.
Resta da capire se simile costruzione giuridica, dal vago sapore di circostanza che allarga le maglie della possibilità di conseguire un condono, oltre che alla sanatoria straordinaria sia applicabile anche a casi di sanatoria ordinaria, nei quali ci si trova di fronte ad opere non sostenute da idoneo titolo ma, per la loro consistenza, sanabili con accertamento di doppia conformità: cosa che appare, logicamente plausibile, ponendo attenzione al fatto che se è vero – come’è – che tale modus procedendi, di carattere derogatorio rispetto alla disciplina tombale (normalmente interpretata restrittivamente in quanto eccezionale, intervenendo laddove manca il titolo edificatorio sia formale che sostanziale), viene riconosciuto in un procedimento (come quello dei condoni) dalle maglie strette e particolarmente rigido nella sua applicazione (e non nei suoi presupposti, che derogano – purtroppo – alle regole vigenti nella normalità delle cose), è altrettanto ammissibile ritenere che tale a regola non faccia eccezione l’accertamento della doppia conformità, istituto ordinario di un particolare tipo di sanatoria che è quello della assenza di titolo formale.

(Altalex, 7 maggio 2009. Nota di Alessandro Del Dotto)

Massima
E’ possibile procedere a sanatoria, anche laddove l’immobile abusivo sia stato realizzato su suolo pubblico.
(Fonte: Altalex Massimario 6/2009. Cfr. nota di Alessandro Del Dotto)



T.A.R.
Puglia - Bari
Sezione III
Sentenza 8 ottobre – 3 dicembre 2008, n. 2770
(Presidente Urbano – Estensore Ravasio)


Fatto
Il Condominio X. ha impugnato, chiedendone la sospensione, gli atti indicati in epigrafe, tutti aventi ad oggetto le opere edilizie indicate nel verbale di contravvenzione 146 del 03/08/2000, eseguite in base ad autorizzazione edilizia rilasciata in data 16/07/1998 ma revocata con atto 04/03/1999, prot. V.E. n. 422: trattasi delle opere di recinzione del Lotto 4 Zona E Piano 167 di Poggiofranco, pertinenziale al Condominio ricorrente, il quale successivamente è stato autorizzato a completarle solo relativamente alla zona retrostante al fabbricato e con esclusione della parte prospiciente la via Tommaso D’Aquino, di proprietà comunale.
Premette la ricorrente di aver altresì proposto impugnativa avverso l’ordinanza che ha ingiunto la demolizione delle opere di cui sopra, con ricorso rubricato al n. 3199/2000 R.G. di Questo Tribunale, il quale ha rigettato la domanda con sentenza confermata, nelle more del giudizio.
Il verbale di accertamento oggetto del ricorso principale viene quindi impugnato:
I.a) per violazione della ordinanza di Questo Tribunale, Sezione II, n. 596 del 03/09/99, violazione della Lg. 47/85 con riferimento alla L.R. 56/80, eccesso di potere per presupposizione e difetto assoluto di motivazione: il verbale, infatti, non tiene in alcun conto il fatto che il provvedimento revocatorio del 04/03/1999 é stato sospeso con ordinanza di Questo Tribunale n. 596/99;
I.b) per violazione dell’art. 7 L. 241/90, stante l’omesso avviso di avvio del procedimento di accertamento del presunto abuso edilizio.
Con il primo ricorso per motivi aggiunti il ricorrente ha impugnato gli ulteriori atti indicati in epigrafe, sia per vizi propri che per vizi derivati. Mentre questi ripropongono le censure già esposte in ricorso introduttivo, in riferimento ai vizi propri si deduce:
II.a) violazione ed omessa applicazione dell’art. 41 DPR 380/01, come sostituito dall’art. 32 comma 49 ter D.L. 269/2003, nonché incompetenza del Comune di Bari: l’esecuzione della demolizione delle opere abusive deve essere infatti disposta dal Prefetto;
II.b) violazione ed omessa applicazione dell’art. 38 l. 47/85, in relazione all’art. 32 D.L. 269/2003, nonché incompetenza del Comune di Bari: il ricorrente ha proposto istanza di sanatoria ex d.l. 269/2003, di guisa che mentre i precedenti provvedimenti repressivi hanno perso efficacia, sussiste l’obbligo del Comune di sospendere il procedimento relativo alla irrogazione delle sanzioni.
Con il secondo ricorso per motivi aggiunti vengono impugnati ulteriori atti, meglio indicati in epigrafe: vengono dedotti, in via derivata, i vizi già dedotti con i primi due ricorsi, nonché i seguenti vizi propri:
III.a) violazione ed omessa applicazione dell’art. 32 comma 25 e segg. d.l. 269/2003, nonché violazione della ordinanza del TAR Puglia-Bari n. 848/2005, eccesso di potere per abnormità procedimentale e per difetto assoluto di istruttoria: il provvedimento impugnato, infatti, non tiene conto del fatto che é pendente istanza di sanatoria ex d.l. 269/2003, non ancora definita, dalla quale discende, ex art. 44 L. 47/85, l’obbligo per il Comune di sospendere i procedimenti amministrativi sanzionatori in corso; vi é inoltre violazione della stessa ordinanza del Collegio n. 848/2005;
III.b) violazione del giudicato formatosi inter partes sulla sentenza di Questo Tribunale n. 5842/2002, confermata dal Consiglio di Stato, nonché violazione della sentenza di Questo Tribunale n. 744 del 16/03/2007: il condominio X. ha presentato istanza al fine di ottenere l’assegnazione della porzione di suolo della quale il Comune non autorizza la recinzione, ed il TAR Bari, con sentenza 2086/2007, ha accertato l’obbligo del Comune di Bari di definire il procedimento avviato con detta istanza, sia pure tenendo conto della posizione e delle aspettative del Condominio contro interessato: il Comune avrebbe pertanto dovuto prima provvedere sulla istanza di assegnazione presentata dalla ricorrente e poi, semmai, proseguire nella esecuzione della ordinanza di demolizione;
III.c) violazione dell’art. 7 L. 241/90, per omesso avviso dell’avvio del procedimento relativo alla demolizione delle opere di che trattasi
Si sono costituiti in giudizio, resistendo al ricorso, sia il Comune di Bari che il contro interessato Condominio Consedil Nova.
Alla udienza del 20/10/2005, con ordinanza n. 848/2005, veniva rigettata la domanda di sospensione dei provvedimenti impugnati con il ricorso introduttivo nonché con il primo ricorso per motivi aggiunti, per mancanza di periculum, stante la obbligatoria sospensione dei procedimenti amministrativi sanzionatori determinata dalla presentazione della istanza di condono presentata dalla ricorrente.
Alla udienza del 14/11/2007 veniva invece accolta la domanda di sospensione del provvedimento impugnato con il terzo ricorso per motivi aggiunti.
Infine, alla udienza pubblica dell’08/10/2008 i tre ricorsi venivano introitati a decisione definitiva.
Diritto
1. Al fine della corretta comprensione di quanto in appresso si dirà è necessario premettere e richiamare i fatti salienti della vicenda portata alla attenzione del Collegio.
Con deliberazione del Consiglio Comunale n. 689 del 17/07/1975 il Comune di Bari assegnava alle Cooperative X. e Consedil Nova, indivisamente tra loro, il diritto di superficie sul lotto edificabile n. 4, settore E, del piano di Zona di Poggiofranco. A tale assegnazione faceva seguito una seconda delibera consiliare, n. 755/77, con la quale, previo frazionamento del lotto, a ciascuna delle cooperative veniva assegnata in via esclusiva una quota parte di esso.
L’accesso ai fabbricati rispettivamente realizzati da parte delle due Cooperative veniva esercitato, per un certo periodo di tempo, in attraversamento del lotto assegnato alla Cooperativa X., in conformità alle previsioni di viabilità del Piano di Zona vigente. Tale sistema suscitava però inconvenienti, sicché, con delibera consiliare n. 520 del 12/05/1989, mai gravata né moficata o ritirata in autotutela, il Comune modificava le previsioni relative alla viabilità della zona istituendo una nuova strada di distribuzione all’interno dei lotti 2, 3 e 4: orbene, come si legge nella comparsa di costituzione del Comune di Bari depositata il 27/09/2005, per effetto di tale variante il lotto assegnato in via esclusiva alla Cooperativa X. si accresceva di quella superficie di 478 mq. - fisicamente situata all’interno del lotto assegnato alla Cooperativa X. e sino ad allora utilizzata per l’accesso ai lotti – che perdeva la propria vocazione a viabilità per diventare area edificatoria all’interno del lotto già assegnato alla Cooperativa X..
Per tale ragione, su richiesta di questa ultima, il Comune di Bari, con provvedimento n. 5133 del 16/07/1998, inizialmente autorizzava la Cooperativa X. a recintare il perimetro esterno del lotto di sua competenza, ivi compresa l’area, in esso situata, prima adibita a viabilità di tutto il lotto 4.
Improvvisamente privato della possibilità di usufruire del passaggio preesistente, in attraversamento del lotto assegnato in via esclusiva al condominio ricorrente, la Cooperativa Consedil Nova, con ricorso 05/11/99 promuoveva, nei confronti di quello, azione civile possessoria onde ottenere la reintegra nel passaggio.
In data 23/02/1999 il Condominio X. depositava istanza per formalizzare con concessione superficiaria il godimento della superficie di mq. 478 sottratta alla viabilità del lotto.
Poco tempo dopo, e precisamente con provvedimento 04/03/99, il Comune di Bari revocava l’autorizzazione già rilasciata, poiché – come si legge sempre a pag. 2 della memoria depositata dalla difesa del Comune di Bari in data 27/09/2005 - “erroneamente rilasciata con riferimento alla mancata definizione, mediante stipula di apposita convenzione, del diritto di superficie sull’area suddetta, ubicata all’interno del lotto assegnato al Condominio X.”: seguiva, il 05/07/1999, nuovo titolo autorizzatorio, mediante il quale il Condominio X. veniva autorizzato a recintare solo la parte del lotto ad esso assegnato retrostante il fabbricato, con esclusione della superficie di mq. 478 rimasta in proprietà comunale, ma sottratta alla viabilità dalla delibera consiliare n. 520 del 12/05/1989.
Non essendosi il Condominio X. adeguato alla nuova autorizzazione, il Comune, con provvedimento 29/08/2000 in. 32050, ingiungeva la demolizione delle opere abusive, che veniva tempestivamente gravata.
Nel frattempo precisamente con istanza 22/12/1999 (cfr. memoria Consedil Nova 19/10/2005 pag. 3), anche la controinteressata depositava istanza per formalizzare concessione superficiaria in relazione all’area di mq. 478 sottratta a viabilità del lotto.
Questa, però, veniva assegnata al Condominio X. con delibera di Giunta Municipale n. 1283 del 20/12/2001, che pure veniva tempestivamente gravata dal controinteressato Condominio Consedil Nova.
Con sentenza n.. 5842/2002, Questo Tribunale respingeva l’impugnativa proposta avverso l’ingiunzione di demolizione delle opere 29/08/2000 ed annullava la delibera di Giunta Municipale 20/12/2001 n. 1283, sul presupposto che il Comune avrebbe dovuto esperire procedura comparativa prima di decidere a quale dei due contendenti assegnare il diritto di superficie già adibito a viabilità del lotto.
Il Tribunale Civile di Bari, invece, si pronunciava sul ricorso possessorio con sentenza 1297 del 10-26/06/2002, dichiarandolo improponibile: nella motivazione ( pagg. 7-8) il Tribunale Civile dà atto che la recinzione collocata dal Condominio X. si allinea ed è perfettamente conforme alle previsioni della variante del piano di zona approvato con delibera consiliare n. 520 del 12/05/1989, deducendone la impossibilità per la Autorità Giudiziaria Ordinaria di adottare qualsivoglia provvedimento di reintegra.
Seguiva, da parte del Comune, il verbale di accertamento 11/06/2003, impugnato con ricorso introduttivo.
Ancora pendente il procedimento volto ad individuare quale dei due condomini avrebbe potuto rendersi assegnatario del diritto di superficie sull’area di 478 mq. già adibita a viabilità del lotto, il condominio ricorrente presentava, nei termini di legge, istanza per la definizione di illeciti edilizi ai sensi del d.l. 269/2003.
Nel 2005 il Comune adottava gli atti gravati con il primo ricorso per motivi aggiunti.
Con sentenza n. 2290/2006 il Consiglio di Stato si pronunciava in sede di appello avverso la sopra ricordata sentenza di Questo Tribunale n. 5842/2002, che confermava integralmente dopo aver negato la sospensione del processo ex art. 295 c.p.c., richiesta dal Condominio X. ex art. 44 L. 47/85.
Su richiesta del Condominio X. Questo Tribunale, con sentenza 744/2007, dichiarava la illegittimità del silenzio serbato dal Comune di Bari sulla istanza 23/02/99 presentata dalla ricorrente per ottenere di diventare assegnataria della residua parte del lotto 4, oggetto di contestazione.
Con sentenza n. 2086 del 05/09/2007, invece, Questo Tribunale accoglieva il ricorso presentato dal Condominio Consedil Nova per l’ottemperanza alla sentenza del Questo Tribunale n. 5842/2002, e per l’effetto dichiarava l’obbligo del Comune di Bari sia di provvedere al riesame della istanza di assegnazione 22/12/99, presentata dal Condominio Consedil Nova, sia di portare ad esecuzione l’ingiunzione di demolizione 29/08/2000.
In esito a ciò il Comune di Bari, senza provvedere sulle istanze delle parti volte alla concessione in diritto superficiario della superficie di mq. 478 rinveniente all’interno del lotto 4 a seguito della modifica della viabilità di zona, adottava il provvedimento impugnato con il secondo ricorso per motivi aggiunti.
Il Consiglio di Stato, infine, con sentenza n. 2988/2008, in sede di appello avverso la sentenza di Questo Tribunale n. 2086/2007, affermava l’infondatezza dell’unico motivo d’appello, a mezzo del quale il Condominio X. aveva sostenuto non potersi portare ad esecuzione l’ingiunzione di demolizione in ragione della istanza di condono nel frattempo depositata.
Tanto premesso in punto di fatto, è ora possibile passare alla disamina dei ricorsi.
2. Va prioritariamente esaminato il secondo dei ricorsi per motivi aggiunti, a mezzo del quale viene dedotta l’illegittimità dell’ultimo avviso relativo all’inizio dei lavori di demolizione, meglio indicato in epigrafe, in quanto adottato dal Comune di Bari prima di aver definito il procedimento relativo alla assegnazione in concessione dell’area di mq. 478 già sede della preesistente viabilità.
La censura è meritevole di accoglimento.
2.1. Il fatto che nel caso di specie sul Comune gravasse, e gravi tuttora, l’obbligo di espletare preliminarmente il procedimento relativo alla assegnazione dell’area già adibita a viabilità del lotto 4, settore E, Piano di Zona di Poggiofranco, emerge dalla constatazione che il Condominio X. ha una aspettativa concreta a diventare concessionario dell’area delimitata dalla recinzione stessa e, perciò, ha anche una aspettativa concreta ad ottenere la sanatoria ex d.l. 269/2003 relativamente alla parte di detta recinzione abusivamente realizzata.
Significativa al proposito è la circostanza, ammessa dal Comune di Bari nelle sue difese, che l’area di mq. 478 sulla quale veniva esercitato l’accesso al lotto da parte del Condominio Consedil Nova, benché di proprietà comunale, di fatto è ubicato all’interno del lotto assegnato in via esclusiva al Condominio X.: l’accesso alle abitazioni del fabbricato Consedil Nova veniva infatti esercitato tramite un sottopassaggio, realizzato sotto al fabbricato X., il quale pertanto si frapponeva tra l’accesso al lotto ed il fabbricato Consedil Nova.
In tale situazione è evidente che nel momento in cui le previsioni di viabilità della zona vengono mutate, con istituzione di una nuova strada che consente la realizzazione di un nuovo accesso al lotto 4, collocato in posizione centrale tra i due fabbricati, vien meno l’esigenza, per gli abitanti del condominio Consedil Nova, di continuare ad accedere in attraversamento del lotto X.. E’ parimenti innegabile che in tale situazione la concessione in uso del sedime non più utilizzato a viabilità di lotto spetta, per “vocazione”, al lotto X., al cui interno è collocato.
Quanto sopra, naturalmente, non vale ad affermare che anche il Condominio Consedil Nova non potesse e non possa ambire a divenire concessionario di questa residua parte del lotto 4, rimasta non assegnata; né implica che il Comune possa procedere alla assegnazione dell’area di che trattasi prescindendo da quella comparazione - tra le istanze presentate dai due condomini – già raccomandata da Questo Tribunale allo scopo di tutelare sia l’interesse pubblico che le aspettative che il Condominio Consedil Nova può aver riposto nel fatto di divenire concessionario. Quanto sopra significa semplicemente che il Condominio X. aveva ed ha una aspettativa particolarmente qualificata a divenire concessionario, trovandosi l’area oggetto di contesa all’interno del lotto di sua esclusiva pertinenza e sussistendo ormai, per il Condominio Consedil Nova, la concreta possibilità di accedere al proprio lotto da altro ingresso. Ed è possibile che la Giunta Municipale, allorché con delibera 1283/2001 decise di assegnare l’area in uso esclusivo al ricorrente, abbia tenuto conto proprio di considerazioni simili.
2.2. La sussistenza, a favore del ricorrente, di una aspettativa di tal sorta, determinata dalla stessa morfologìa dei luoghi, già di per sé doveva indurre il Comune a completare la procedura di affidamento in uso dell’area stessa prima di dare esecuzione alla ingiunzione di demolizione, e ciò in ossequio ai principi generali che impongono alla Pubblica Amministrazione di mantenere, nel proprio agire, una particolare correttezza e ragionevolezza.
2.3. Ma il medesimo principio è anche sotteso ad una norma di legge: si allude all’art. 32 comma 5 L. 47/85, cui rinvia l’art. 32 d.l. 269/2003, a mente del quale “Per le opere eseguite da terzi su aree di proprietà di enti pubblici territoriali, in assenza di un titolo che abiliti al godimento del suolo, il rilascio della concessione o della autorizzazione in sanatoria è subordinato anche alla disponibilità dell’ente proprietario a concedere onerosamente, alle condizioni previste dalle leggi statali o regionali vigenti, l’uso del suolo su cui insiste la costruzione. La disponibilità all’uso del suolo, anche se gravato da usi civici, viene espressa dagli enti pubblici territoriali proprietari entro il termine di 180 giorni dalla richiesta. La richiesta di disponibilità all’uso del suolo deve essere limitata alla superficie occupata dalle costruzioni oggetto della sanatoria e alle pertinenze strettamente necessarie, con un massimo di tre volte rispetto all’area coperta dal fabbricato…. (omissis)…..L’atto di disponibilità, regolato con convenzione di cessione del diritto di superficie per una durata massima di anni sessanta, è stabilito dall’ente proprietario non oltre sei mesi dal versamento dell’importo come sopra determinato.”
Dalla norma dianzi ricordata emerge evidentissimo che ai fini del rilascio della sanatoria ex d.l. 269/2003 non è, in via assoluta, ostativo il fatto che gli abusi insistano su suolo pubblico: la sanatoria è anzi possibile anche in questi casi se l’ente interessato sia di fatto disponibile a concedere la porzione di suolo interessata in diritto di superficie all’interessato. In tal caso, effettuato il pagamento del valore dell’area, nella misura determinata dalla Agenzia del Demanio, e stipulata la convenzione, può essere rilasciata la concessione in sanatoria.
Ma la norma in esame evidenzia anche come la sanatoria di che trattasi sia perfettamente ammissibile anche laddove la pratica per la concessione in uso del suolo pubblico non risulti essere già istruita al momento della presentazione della istanza di condono: anzi, la norma pare proprio prendere in considerazione l’eventualità in cui l’interessato presenti la richiesta di disponibilità dell’area demaniale dopo aver già presentato l’istanza di condono. E’ comunque evidente che laddove la richiesta di sanatoria riguardi un abuso realizzato su suolo pubblico, la definizione della concessione in uso del suolo medesimo diventa pregiudiziale rispetto alla definizione del procedimento di sanatoria.
Nel caso di specie il ricorrente aveva presentato istanza per ottenere l’uso in via esclusiva dell’area già dal 23/02/1999, ed il Comune, con la delibera di Giunta Municipale n. 1283 del 2001 aveva dimostrato di essere concretamente disponibile a cedere in uso non solo il sedime corrispondente alla superficie concretamente occupata dalle opere abusive, ma l’intera superficie di mq. 478. Con questo precedente, e pur tenendo conto della aleatorietà insita nella rinnovazione della procedura di assegnazione dell’area, il Condominio X. a buon diritto riponeva fiducia nella circostanza che anche la domanda di condono sarebbe stata quantomeno correttamente istruita e che il Comune non avrebbe posto in essere comportamenti in grado di pregiudicarne l’esito.
2.4. Per tali ragioni il Comune non avrebbe dovuto adottare gli atti esecutivi della ingiunzione di demolizione, prima di aver espletato la procedura relativa alla concessione in uso dell’area in contestazione e la conseguente pratica di sanatoria: è invero contrario ad ogni logica nonché all’evidente ratio della normativa sul condono l’applicazione di provvedimenti repressivi e sanzionatori ordinari, che frustrano l’effetto della eventuale successiva sanatoria. Non è un caso che la legge sul condono disponga la sospensione dei procedimenti amministrativi e penali aventi ad oggetto abusi edilizi di cui sia stata richiesta la sanatoria: ma, si deve rimarcare, la normativa in parte qua non fa altro che positivizzare un evidente principio di ragionevolezza ed equità sostanziale.
Non si comprende, pertanto, per quale motivo il Comune nel 2005 abbia deciso di “riesumare” il procedimento sanzionatorio degli abusi edilizi, nonostante la contemporanea pendenza sia del procedimento per la sanatoria degli abusi, sia del procedimento - pregiudiziale rispetto a quello - finalizzato alla concessione in uso del suolo interessato dagli abusi: tanto più che ad un canone di comportamento corretto il Comune si era invece attenuto in passato, posto che, pur dopo aver emesso l’ingiunzione di demolizione, si era astenuto dall’adottare ogni provvedimento consequenziale, giungendo nel 2001 ad assegnare l’uso dell’area in via esclusiva al ricorrente.
L’avviso impugnato del cui esame si tratta, in quanto adottato prima della definizione della istanza di concessione in uso esclusivo della superficie recintata nonché prima della definizione della istanza di sanatoria, deve considerarsi illegittimo per violazione di quei principi di correttezza e ragionevolezza che debbono informare l’agire della Pubblica Amministrazione quale mezzo per assicurare il buon andamento dell’amministrazione ai sensi dell’art. 97 Cost.
2.5. Il Comune non può poi giustificarsi adducendo che i provvedimenti impugnati con il ricorso per motivi aggiunti costituiscano mera esecuzione del giudicato contenuto nella sentenza di Questo Tribunale n. 5842/2002: è ben vero che nella specie vengono in considerazione atti di natura vincolata, ma è altrettanto vero che nel momento in cui essi venivano adottati non sussistevano, per i motivi sopra detti, le condizioni per portare ad esecuzione l’ingiunzione di demolizione: al proposito vale la pena sottolineare che l’obbligo di conformarsi ad un giudicato non equivale affatto ad una licenza per l’Amministrazione di porre in essere la necessaria attività conformativa in violazione di normative o in spregio ai canoni di comportamento cui essa deve attenersi.
2.6. Né, infine, il Comune o la controinteressata possono invocare a proprio favore le sentenze del Consiglio di Stato nn. 2290/06 e 2988/08, con le quali è stata affermata la non sanabilità dell’abuso commesso dal ricorrente: sul punto, infatti, i menzionati pronunciamenti non sono idonei a dar luogo a giudicato.
Non è idonea a dar luogo a giudicato la affermazione, contenuta nella motivazione della sentenza n. 2290/06, secondo la quale “..la contestata recinzione del condominio X. ha inglobato un’area di pacifica prorprietà pubblica, perpetrando quindi una tipologìa di abuso non avente carattere propriamente edilizio e quindi non sussumibile nelle ipotesi cui si applica la richiamata normativa”. Trattasi di affermazione resa nel contesto dell’esame di una eccezione di carattere meramente processuale, con la quale il Condominio X. chiedeva la sospensione del processo ex art. 295 c.p.c. in relazione alla pendenza della istanza di sanatoria: la sanabilità o meno dell’abuso non era in quella sede oggetto del thema decidendum e la relativa affermazione deve essere intesa come un mero obiter dictum, sul quale, come noto, non scende il giudicato.
Allo stesso modo non è idonea a dar luogo a giudicato la affermazione medesima, richiamata nella sentenza n. 2988/08, con la quale il Consiglio di Stato ha respinto l’appello del Condominio X. avverso la sentenza di Questo Tribunale n. 2086/2007, pronunciata in sede di ottemperanza. La ragione per cui neppure l’affermazione contenuta nella sentenza in esame è idonea a far scendere un giudicato in ordine alla non sanabilità degli abusi commessi dal ricorrente, è data da ciò: che secondo l’insegnamento della Suprema Corte regolatrice, il giudicato si forma sulla domanda proposta come identificabile dal petitum e dalla causa petendi e non si estende alla motivazione se non nei limiti in cui essa risolve questioni di fatto pregiudiziali in senso logico (ad es. Cass. 14/03/1995 n. 2645; Cass. 23/12/1999 n. 14477, Cass. 18/10/1997 n. 10196): in particolare non rimane coperta da giudicato la interpretazione della norma (Cass. 23/01/1991 n. 660) né l’accertamento meramente incidentale (arg. Ex art. 34 c.p.c.).
La affermazione del Consiglio di Stato che qui si sta esaminando costituisce, a ben vedere, una mera interpretazione della normativa sul condono, della quale il Supremo Collegio si è servito non per valutare la legittimità o meno di un provvedimento avente ad oggetto l’istanza di sanatoria presentata dal ricorrente, bensì per respingere l’eccezione di illegittimità, in relazione all’obbligo di sospensione di tutti i procedimenti amministrativi e penali aventi ad oggetto abusi oggetto di domanda di condono, degli atti esecutivi dell’ordine di demolizione 29/08/2000. Pertanto essa non è idonea a dar luogo a giudicato sia perché, come detto, essa si estrinseca in una interpretazione della normativa sul condono con la quale viene affrontata, in via meramente incidentale, una questione di ordine giuridico ma non anche una questione di fatto di orgine logico-pregiudiziale; sia perché la questione della sanabilità o meno dell’abuso di che trattasi, in quanto involgente un suolo pubblico, non era stata introdotta nel thema decidendum. Va al proposito ricordato che il giudicato amministrativo va riferito solo agli atti oggetto di impugnativa ed ai vizi in concreto dedotti ( si veda l’articolo di A. Travi “Il giudicato amministrativo”, in Dir. Proc. Amm., 4/2006): non è quindi possibile che l’affermazione che si sta esaminando, contenuta nei citati pronunziamenti del Consiglio di Stato, sia idonea a condizionare le valutazioni che il Comune dovrà compiere in sede di decisione sulla istanza di sanatoria presentata dal ricorrente, posto che alcuna decisione su detta istanza è mai stata adottata né portata alla attenzione del Giudice Amministrativo.
A tutto voler concedere, quindi, la sentenza n. 2988/08 del Consiglio di Stato può far stato solo in ordine alla insussistenza di una illegittimità degli atti impugnati per violazione dell’art. 44 L. 47/85. Certamente essa non fa stato sulla affermata – ma non condivisibile – non sanabilità dell’abuso di che trattasi, né preclude una declaratoria di illegittimità degli atti impugnati per violazione dei principi generali di correttezza e ragionevolezza che devono assistere la azione amministrativa.
2.7. Il secondo dei ricorsi per motivi aggiunti può conclusivamente essere accolto per le ragioni sopra esposte, con assorbimento di ogni ulteriore censura.
3. Devono invece essere dichiarati improcedibili i primi due ricorsi per sopravvenuto difetto di interesse.
3.1. Va dichiarato improcedibile il ricorso introduttivo, mediante il quale si impugna il verbale di accertamento di inottemperanza all’ingiunzione di demolizione n. 134 del 11/06/2003: trattasi infatti di atto avente natura meramente accertativa, privo di autonoma lesività e pertanto allo stato insuscettibile di creare pregiudizio al ricorrente, tenuto conto del fatto che, in conseguenza delle statuizioni che precedono, il Comune non potrà riadottare gli atti necessari a portare in esecuzione l’ingiunzione di demolizione 29/08/2000 se non dopo aver esperito la procedura necessaria ad assegnare il suolo conteso ad un delle due Cooperative ed essersi eventualmente pronunciato in senso negativo sulla istanza di condono ex d.l. 269/2003 presentata dal condominio ricorrente.
3.2. Per le medesime ragioni il Collegio ravvisa sopravvenuto difetto di interesse anche relativamente all’annullamento degli atti impugnati con il primo dei ricorsi per motivi aggiunti: il Comune, si ribadisce, non potrà adottare alcun ulteriore atto di esecuzione sintantoché il Comune non abbia espletato la procedura di assegnazione del suolo e quella relativa alla sanatoria delle opere abusive, a meno, evidentemente, di non voler incorrere nella illegittimità censurata con il secondo dei ricorsi per motivi aggiunti.
3.3. Tenuto conto di quanto sopra è possibile prescindere dall’esame dei motivi articolati a mezzo del ricorso introduttivo e del primo ricorso per motivi aggiunti.
4. Sussistono giusti motivi per compensare le spese del giudizio, in relazione agli equivoci che può aver ingenerato l’interpretazione delle sentenze rese inter partes dal Consiglio di Stato.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia-Bari, sezione III, definitivamente pronunciando sui ricorsi in epigrafe:
dichiara improcedibili per sopravvenuto difetto di interesse il ricorso introduttivo del giudizio nonché il ricorso per motivi aggiunti, depositato il 23/09/2005;
accoglie il ricorso per motivi aggiunti depositato il 25/10/2007 e per l’effetto annulla la nota dirigenziale del Comune di Bari, Ripartizione Edilizia Pubblica prot. 264542 del 04/10/2007, recante comunicazione di inizio lavori di demolizione delle opere abusive e ripristino dello stato dei luoghi.
Compensa integralmente tra le parti le spese del giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità.

giovedì 16 aprile 2009

News dalla Suprema Corte

Nel caso di alienazione immobiliare con garanzia di redditività si applica non l'art. 1468 c.c. (contratto con obbligazioni di una sola parte) bensì l'art. 1467 c.c. (contratto con prestazioni corrispettive)


SENTENZA N. 7225 DEL 25 MARZO 2009



ALIENAZIONE IMMOBILIARE CON GARANZIA DI REDDITIVITA’ – CONTRATTO SINALLAGMATICO – APPLICABILITA’ DELL’ART. 1467 COD. CIV.

L'atipicità della causa di un contratto di alienazione immobiliare determinata dall'assunzione della garanzia di redditività del bene costituente l'oggetto non esclude la corrispettività tra le prestazioni a carico delle parti e la conseguente operatività, nel caso di eccessiva onerosità, anziché del disposto dell'art. 1468 cod. civ., dettato in tema di obbligazioni di una sola parte, di quello previsto dall'art. 1467, primo e terzo comma, cod. civ., secondo cui è attribuito alla parte la cui prestazione sia divenuta eccessivamente onerosa per avvenimenti straordinari e imprevedibili unicamente il potere di chiedere la risoluzione del contratto e soltanto alla parte, contro la quale è domandata la risoluzione, quello di evitarla offrendo di modificare equamente le condizioni del contratto.

Sentenza 25 marzo 2009, n. 7225.
(Sezione Seconda Civile, Presidente L. A. Rovelli, Relatore M. Oddo)

News dalla Suprema Corte

Nel caso di alienazione immobiliare con garanzia di redditività si applica non l'art. 1468 c.c. (contratto con obbligazioni di una sola parte) bensì l'art. 1467 c.c. (contratto con prestazioni corrispettive)


SENTENZA N. 7225 DEL 25 MARZO 2009



ALIENAZIONE IMMOBILIARE CON GARANZIA DI REDDITIVITA’ – CONTRATTO SINALLAGMATICO – APPLICABILITA’ DELL’ART. 1467 COD. CIV.

L'atipicità della causa di un contratto di alienazione immobiliare determinata dall'assunzione della garanzia di redditività del bene costituente l'oggetto non esclude la corrispettività tra le prestazioni a carico delle parti e la conseguente operatività, nel caso di eccessiva onerosità, anziché del disposto dell'art. 1468 cod. civ., dettato in tema di obbligazioni di una sola parte, di quello previsto dall'art. 1467, primo e terzo comma, cod. civ., secondo cui è attribuito alla parte la cui prestazione sia divenuta eccessivamente onerosa per avvenimenti straordinari e imprevedibili unicamente il potere di chiedere la risoluzione del contratto e soltanto alla parte, contro la quale è domandata la risoluzione, quello di evitarla offrendo di modificare equamente le condizioni del contratto.

Sentenza 25 marzo 2009, n. 7225.
(Sezione Seconda Civile, Presidente L. A. Rovelli, Relatore M. Oddo)

martedì 17 giugno 2008

  • Silenzio sulla richiesta di permesso di costruire: sostanza e rimedi

  • TAR Lazio-Roma, sez. II bis, sentenza 03.01.2008 n° 14
  • (Alessandro Del Dotto)

    Per giurisprudenza consolidata, il silenzio serbato integra la violazione di un preciso dovere giuridico sanzionabile in sede giurisdizionale con l’accertamento dell’obbligo dell’Amministrazione di esitare con provvedimento esplicito la richiesta del privato, atteso che il rifiuto di provvedere, senza alcuna giustificazione, si risolve in una grave limitazione delle facoltà del cittadino di esercitare il diritto di edificare, espressione tipica del diritto dominicale.
    Il rifiuto implicito sia per propria natura sempre illegittimo, specie se connesso a situazioni di diritto degradate, come si verifica nel caso di richiesta di concessione edilizia, rispetto alla quale il proprietario del bene fa valere un diritto soggettivo condizionato in attesa di espansione, dal momento che tale comportamento omissivo e di inerzia, oltre a rivelarsi elusivo di un preciso dovere provvedimentale imposto dalla legge, risulta anche carente della dovuta motivazione, precludendo in tal modo anche il diritto di difesa del cittadino che ne viene a subire gli effetti negativi.
    Di qui l’utilizzabilità del procedimento delineato dall’art. 21 bis della L. 1034/71 caratterizzato dalla snellezza e dalla velocità che culmina – nel caso di accoglimento del ricorso – con la declaratoria dell’obbligo di provvedere imponendo pertanto all’Amministrazione inadempiente il rispetto dei principi sul giusto procedimento.
    Del resto la stessa giurisprudenza ha chiarito che – per espressa definizione normativa – il silenzio sull’istanza di rilascio del permesso di costruire si qualifica come silenzio rifiuto e non come silenzio rigetto e che, come tale, può essere oggetto di impugnazione con il procedimento ex art. 21 bis della L. 1034/71.
    La normativa di riferimento non dà adito ad apprezzabili dubbi interpretativi: decorsi i termini di legge per l’adozione del provvedimento conclusivo del procedimento per il rilascio del permesso di costruire, si forma il silenzio-rifiuto (art. 20, nono comma), immediatamente impugnabile in sede giurisdizionale (art. 21, primo comma, ultimo periodo).
    Questi i passaggi fondamentali della decisione del T.A.R. Lazio all’interno di un ricorso promosso per sentir dichiarare l’illegittimità del silenzio serbato dalla p.a. in ordine ad una istanza di rilascio di titolo edificatorio.
    La precisazione operata in massima, in particolare, si è posta quale necessaria premessa onde motivare il non accoglimento della questione di inammissibilità proposta dalla amministrazione resistente, la quale – come implicitamente si evince dalla lettura della motivazione della sentenza in “diritto” – aveva eccepito la pregiudiziale in rito proprio sull’argomento della sostanziale configurazione del silenzio serbato sull’istanza.
    In tal senso, se è vero – com’è vero: cfr. ricostruzione normativa in materia di permessi di costruire – che in tali fattispecie si versa in ipotesi di silenzio-rifiuto (o “inadempimento) e non di silenzio-rigetto, alla medesima fattispecie si possono applicarei rimedi ordinariamente previsti per la tutela contro i silenzi inerti della p.a. (“posti in essere” in violazione manifesta dell’articolo 2 della
    l. n. 241/1990).
    Tuttavia, un ulteriore appunto non può, di certo, essere omesso, nell’occasione che si coglie sul punto dei silenzi-rifiuto della p.a.
    Non si può, infatti, mancare di osservare (accodandosi, peraltro, alle posizioni espresse da numerosi giuristi) come la
    l. n. 241/1990 stabilisca l’obbligo del provvedimento espresso della p.a., e cioé l’obbligo della p.a. di concludere un procedimento amministrativo con una decisione (motivata: art. 3); una formulazione chiara e molto poco equivoca circa l’obbligo per la p.a. italiana di provvedere.
    Ebbene, l’assurdo del sistema di tutela di fronte ai silenzi-inadempimento sta, appunto, nella circostanza che il ricorrente propone domanda al giudice perché, accertata la sussistenza del silenzio inadempimento, condanni l’amministrazione a provvedere, quando il contenuto di tale condanna è già chiaramente e sufficientemente disposto dalla norma di legge che obbliga la p.a. a provvedere sempre ed espressamente.
    Al cittadino, in due parole, tale sistema di tutela processuale non pare offrire alcuna utilità rispetto a quanto stabilito in sede sostanziale.
    Tale notazione – si è ben cosciente – offre il fianco ad appunti, specie in ordine ai poteri che allora, bisognerebbe riconoscere al G.a., dal momento che a quest’ultimo – per esser coerenti e logici, rispetto ai rilievi anzidetti – dovrebbe attribuirsi non solo il potere di sentenziare accertando l’obbligo (invece, inesitato) di provvedere e conseguente condanna, ma anche quello – ben più efficace – di entrare nel merito e delibare la fondatezza dell’istanza nonché giudicare del merito della stessa (pu se, si è ben coscienti, simile soluzione rischia di confondere i ruoli di amministrazione e Giudice).
    E questo non solo per gli atti vincolati – come già esiste e di cui, in generale, i Giudici amministrativi paiono molto dubitare – ma per tutti gli atti che la p.a. deve emanare e non emana a fronte delle legittime istanze del cittadino.
    E’ in ogni caso una scelta di valori: la preservazione dell’ordinamento giurisdizionale o l’efficacia della tutela da accordare al cittadino?


(Altalex, 13 giugno 2008. Nota di Alessandro Del Dotto)


T.A.R.


Lazio - Roma


Sezione II bis

Sentenza 3 gennaio 2008, n. 14

Massima e Testo Integrale

MASSIMA


Permesso di costruire – domanda – risposta della P.A. – silenzio – illegittimità


Di fronte ad una domanda di permesso di costruire, la P.A. non può limitarsi a negare il permesso con il silenzio, ma vi deve essere un provvedimento espresso.


(Fonte: Altalex Massimario 14/2008. Cfr. nota di Alessandro Del Dotto)

T.A.R.

Lazio - Roma

Sezione II bis

Sentenza 3 gennaio 2008, n. 14

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

- Sezione Seconda Bis -

composto dai signori magistrati:
Dott. Francesco Corsaro Presidente
Dott. Francesco Riccio Consigliere
Dott. Stefania Santoleri Consigliere, relatore
ha pronunciato la seguente

SENTENZA

sul ricorso n. 8111/07, proposto da X., rappresentato e difeso dall’Avv. Luisa Totino ed elettivamente domiciliato presso il suo studio sito in Roma, Via G. Ferrari n. 11.
contro
il COMUNE DI ROMA in persona del Sindaco p.t., rappresentato e difeso dall’Avv. Alessandro Rizzo ed elettivamente domiciliato presso gli uffici dell’Avvocatura Comunale siti in Roma, Via del Tempio di Giove n. 21
il COMUNE DI ROMA – Dipartimento IX – in persona del legale rappresentante p.t.
per l'annullamento
del silenzio rifiuto formatosi sulla domanda di rilascio del permesso di costruire in data 12/4/07 prot. n. QI/2007/24270, avente ad oggetto l’ampliamento di un fabbricato residenziale, nonché di ogni atto presupposto, connesso, consequenziale a quello impugnato.
Visto il ricorso con i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio dell’Amministrazione resistente;
Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;
Visti tutti gli atti di causa;
Udita alla Camera di Consiglio del 6 dicembre 2007 la relazione della Dott.ssa Stefania Santoleri, e uditi, altresì, per le parti gli avvocati come da verbale di udienza allegato agli atti del giudizio.
Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue:

FATTO
Il ricorrente è proprietario di un terreno con sovrastante fabbricato destinato ad abitazione propria e del nucleo familiare, sito in Roma, Via Tenuta S. Agata n. 20, distinto in catasto al foglio 193, part. 31 e 32.
Con domanda prot. n. QI/2007/24270 del 12/4/07, il ricorrente ha chiesto il rilascio del permesso di costruire per realizzare l’ampliamento del proprio fabbricato.
Il Comune è rimasto inerte.
Essendo trascorso il termine di cui all’art. 20 del D.P.R. 380/01[1], il ricorrente ha impugnato il silenzio rifiuto deducendo i seguenti motivi:
1) Violazione e falsa applicazione dell’art. 20 del D.P.R. 380/01 e succ. mod. ed integr. Eccesso di potere per carenza assoluta di motivazione.
L’art. 20 del D.P.R. 380/01 assegna all’Amministrazione il termine tassativo entro il quale adottare il provvedimento.
Ai sensi dell’art. 20 comma 9 del D.P.R. 380/01, decorso il termine previsto dalla legge il permesso si intende rifiutato.
Nella fattispecie il Comune non avrebbe adottato alcun provvedimento nei termini previsti dalla legge e quindi si sarebbe formato il silenzio rifiuto impugnabile dinanzi al giudice amministrativo.
2) Violazione degli artt. 2 comma 2 e 3 comma 1 della L. 241/90 e succ. mod. ed integr. Difetto di motivazione.
Il silenzio prestato dall’Amministrazione sarebbe illegittimo dovendo la P.A. concludere il procedimento con un provvedimento espresso e motivato.
Insiste quindi il ricorrente per l’accoglimento del ricorso.
Il Comune di Roma si è costituito in giudizio ed ha chiesto il rigetto del ricorso per infondatezza.
Alla Camera di Consiglio del 6 dicembre 2007 il ricorso è stato trattenuto in decisione.

DIRITTO
Preliminarmente ritiene il Collegio di dover respingere l’eccezione di inammissibilità sollevata da parte resistente atteso che – per giurisprudenza consolidata – il silenzio serbato integra la violazione di un preciso dovere giuridico sanzionabile in sede giurisdizionale con l’accertamento dell’obbligo dell’Amministrazione di esitare con provvedimento esplicito la richiesta del privato, atteso che il rifiuto di provvedere, senza alcuna giustificazione, si risolve in una grave limitazione delle facoltà del cittadino di esercitare il diritto di edificare, espressione tipica del diritto dominicale (cfr. T.A.R. Basilicata n. 145/07; TAR Lazio, Latina, 14 marzo 2001, n.295).
Con riferimento a quanto precisato, ritiene dunque il Collegio che il rifiuto implicito sia per propria natura sempre illegittimo, specie se connesso a situazioni di diritto degradate, come si verifica nel caso di richiesta di concessione edilizia, rispetto alla quale il proprietario del bene fa valere un diritto soggettivo condizionato in attesa di espansione, dal momento che tale comportamento omissivo e di inerzia, oltre a rivelarsi elusivo di un preciso dovere provvedimentale imposto dalla legge, risulta anche carente della dovuta motivazione, precludendo in tal modo anche il diritto di difesa del cittadino che ne viene a subire gli effetti negativi.
Di qui l’utilizzabilità del procedimento delineato dall’art. 21 bis dellaL. 1034/71 [2] caratterizzato dalla snellezza e dalla velocità che culmina – nel caso di accoglimento del ricorso – con la declaratoria dell’obbligo di provvedere imponendo pertanto all’Amministrazione inadempiente il rispetto dei principi sul giusto procedimento.
Del resto la stessa giurisprudenza ha chiarito che – per espressa definizione normativa – il silenzio sull’istanza di rilascio del permesso di costruire si qualifica come silenzio rifiuto e non come silenzio rigetto (T.A.R. Marche n. 413/06) e che come tale può essere oggetto di impugnazione con il procedimento ex art. 21 bis della L. 1034/71.
Ne consegue l’infondatezza della proposta eccezione.
Nel merito il ricorso è fondato.
L’art. 20 (Procedimento di rilascio del permesso di costruire) del D.P.R. n. 380/2001 fissa termini ben definiti per la conclusione del procedimento di rilascio del permesso di costruire, stabilendo in particolare che: a) entro sessanta giorni dalla presentazione della domanda, il responsabile del procedimento, acquisiti i prescritti pareri e valutata la conformità del progetto alla normativa vigente, formula una proposta di provvedimento, corredata da una dettagliata relazione, con la qualificazione tecnico-giuridica dell’intervento richiesto (terzo comma); b) il responsabile del procedimento, qualora ritenga che ai fini del rilascio del permesso di costruire sia necessario apportare modifiche di modesta entità rispetto al progetto originario, può nel predetto termine di sessanta giorni, richiedere tali modifiche, illustrandone le ragioni. L’interessato si pronuncia sulla richiesta di modifica entro il termine fissato e, in caso di adesione, è tenuto ad integrare la documentazione nei successivi quindici giorni. La richiesta del responsabile del procedimento sospende, fino al relativo esito, il decorso del termine di sessanta giorni (quarto comma); c) il termine di sessanta giorni può essere interrotto una sola volta dal responsabile del procedimento entro quindici giorni dalla presentazione della domanda, esclusivamente per la motivata richiesta di documenti che integrino o completino la documentazione presentata e che non siano già nella disponibilità dell’amministrazione o che questa non possa acquisire autonomamente. In tal caso, il termine ricomincia a decorrere dalla data di ricezione della documentazione integrativa (quinto comma); d) nell’ipotesi in cui, ai fini della realizzazione dell’intervento, sia necessario acquisire atti di assenso, comunque denominati, di altre amministrazioni, diverse da quelle di cui all’art. 5 comma 3 (aziende sanitarie e vigili del fuoco), il competente ufficio comunale convoca una conferenza di servizi (sesto comma); e) il provvedimento finale è adottato dal dirigente entro quindici giorni dalla proposta formulata dal responsabile del procedimento ovvero dall’esito della conferenza di servizio (settimo comma); f) i termini di cui ai commi 3 e 5 sono raddoppiati per i comuni con più di 100.000 abitanti, nonché per i progetti particolarmente complessi, secondo la motivata risoluzione del responsabile del procedimento (ottavo comma); g) decorso inutilmente il termine per l’adozione del provvedimento conclusivo, sulla domanda di permesso di costruire si intende formato il silenzio-rifiuto (nono comma).
A sua volta il successivo art. 21 (Intervento sostitutivo regionale) del citato D.P.R. n. 380/2001 oltre ad aver previsto la facoltà per l’interessato di richiedere l’intervento sostitutivo regionale, stabilisce all’ultimo periodo del primo comma che "Resta comunque ferma la facoltà di impugnare in sede giurisdizionale il silenzio-rifiuto formatosi sulla domanda di permesso di costruire".
La riportata normativa di riferimento non dà adito ad apprezzabili dubbi interpretativi: decorsi i termini di legge per l’adozione del provvedimento conclusivo del procedimento per il rilascio del permesso di costruire, si forma il silenzio-rifiuto (art. 20, nono comma), immediatamente impugnabile in sede giurisdizionale (art. 21, primo comma, ultimo periodo).
Nella fattispecie alla domanda di rilascio del permesso di costruire del 12 aprile 2007 non ha fatto seguito alcun atto – neppure istruttorio – da parte del Comune di Roma fino al momento della proposizione del ricorso (e cioè fino al 21 settembre 2007, data di notifica dell’impugnazione).
Sicchè essendo trascorsi i termini previsti dall’art. 20 del D.P.R. 380/91 si è formato il silenzio impugnabile in sede giurisdizionale, ed avendo la P.A. l’obbligo di concludere il procedimento con l’adozione di un provvedimento espresso, che consenta all’interessato di comprendere le ragioni della scelta operata dall’Amministrazione e che quindi gli garantisca idonea tutela giurisdizionale, il silenzio serbato dal Comune di Roma deve ritenersi illegittimo.
Non può infatti assumere rilievo la richiesta di integrazione documentale avanzata dal Comune di Roma in data 2 ottobre 2007, in quanto successiva allo spirare del termine per la conclusione del procedimento e all’instaurazione del giudizio, alla quale, peraltro, non ha fatto seguito l’adozione di alcun provvedimento decisorio, unico elemento in grado di comportare la declaratoria di improcedibilità dell’impugnazione.
Il ricorso va quindi accolto, ai limitati fini di ordinare al Comune di Roma di provvedere all’adozione del provvedimento conclusivo entro il termine di 60 (sessanta) giorni decorrenti dalla comunicazione o dalla notifica, se anteriore, della presente sentenza.
Il Tribunale nomina sin d’ora come Commissario ad acta, il Responsabile dei servizi urbanistici della Regione Lazio, o un funzionario dal medesimo direttamente designato, con l’incarico di provvedere in via sostitutiva nei successivi sessanta giorni, qualora il Comune non provveda nel termine al medesimo assegnato.
Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.


P.Q.M.


Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio - Sezione Seconda Bis -
accoglie
- il ricorso in epigrafe indicato e per l’effetto annulla il silenzio rifiuto e dichiara l’obbligo per l’Amministrazione di provvedere sull’istanza di rilascio del permesso di costruire presentata dal ricorrente in data 12/4/07 prot. n. QI/2007/24270;
- nomina sin d’ora come Commissario ad acta, il Responsabile dei servizi urbanistici della Regione Lazio, o un funzionario dal medesimo direttamente designato, con l’incarico di provvedere in via sostitutiva nei successivi sessanta giorni, qualora il Comune non provveda nel termine al medesimo assegnato;
- condanna il Comune di Roma al pagamento delle spese di lite che liquida complessivamente in € 500 oltre accessori di legge.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'Autorità amministrativa.


Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 6 dicembre 2007.


Francesco Corsaro PRESIDENTE


Stefania Santoleri ESTENSORE


Depositata in Segreteria il 3 gennaio 2008.

  • Silenzio sulla richiesta di permesso di costruire: sostanza e rimedi

  • TAR Lazio-Roma, sez. II bis, sentenza 03.01.2008 n° 14
  • (Alessandro Del Dotto)

    Per giurisprudenza consolidata, il silenzio serbato integra la violazione di un preciso dovere giuridico sanzionabile in sede giurisdizionale con l’accertamento dell’obbligo dell’Amministrazione di esitare con provvedimento esplicito la richiesta del privato, atteso che il rifiuto di provvedere, senza alcuna giustificazione, si risolve in una grave limitazione delle facoltà del cittadino di esercitare il diritto di edificare, espressione tipica del diritto dominicale.
    Il rifiuto implicito sia per propria natura sempre illegittimo, specie se connesso a situazioni di diritto degradate, come si verifica nel caso di richiesta di concessione edilizia, rispetto alla quale il proprietario del bene fa valere un diritto soggettivo condizionato in attesa di espansione, dal momento che tale comportamento omissivo e di inerzia, oltre a rivelarsi elusivo di un preciso dovere provvedimentale imposto dalla legge, risulta anche carente della dovuta motivazione, precludendo in tal modo anche il diritto di difesa del cittadino che ne viene a subire gli effetti negativi.
    Di qui l’utilizzabilità del procedimento delineato dall’art. 21 bis della L. 1034/71 caratterizzato dalla snellezza e dalla velocità che culmina – nel caso di accoglimento del ricorso – con la declaratoria dell’obbligo di provvedere imponendo pertanto all’Amministrazione inadempiente il rispetto dei principi sul giusto procedimento.
    Del resto la stessa giurisprudenza ha chiarito che – per espressa definizione normativa – il silenzio sull’istanza di rilascio del permesso di costruire si qualifica come silenzio rifiuto e non come silenzio rigetto e che, come tale, può essere oggetto di impugnazione con il procedimento ex art. 21 bis della L. 1034/71.
    La normativa di riferimento non dà adito ad apprezzabili dubbi interpretativi: decorsi i termini di legge per l’adozione del provvedimento conclusivo del procedimento per il rilascio del permesso di costruire, si forma il silenzio-rifiuto (art. 20, nono comma), immediatamente impugnabile in sede giurisdizionale (art. 21, primo comma, ultimo periodo).
    Questi i passaggi fondamentali della decisione del T.A.R. Lazio all’interno di un ricorso promosso per sentir dichiarare l’illegittimità del silenzio serbato dalla p.a. in ordine ad una istanza di rilascio di titolo edificatorio.
    La precisazione operata in massima, in particolare, si è posta quale necessaria premessa onde motivare il non accoglimento della questione di inammissibilità proposta dalla amministrazione resistente, la quale – come implicitamente si evince dalla lettura della motivazione della sentenza in “diritto” – aveva eccepito la pregiudiziale in rito proprio sull’argomento della sostanziale configurazione del silenzio serbato sull’istanza.
    In tal senso, se è vero – com’è vero: cfr. ricostruzione normativa in materia di permessi di costruire – che in tali fattispecie si versa in ipotesi di silenzio-rifiuto (o “inadempimento) e non di silenzio-rigetto, alla medesima fattispecie si possono applicarei rimedi ordinariamente previsti per la tutela contro i silenzi inerti della p.a. (“posti in essere” in violazione manifesta dell’articolo 2 della
    l. n. 241/1990).
    Tuttavia, un ulteriore appunto non può, di certo, essere omesso, nell’occasione che si coglie sul punto dei silenzi-rifiuto della p.a.
    Non si può, infatti, mancare di osservare (accodandosi, peraltro, alle posizioni espresse da numerosi giuristi) come la
    l. n. 241/1990 stabilisca l’obbligo del provvedimento espresso della p.a., e cioé l’obbligo della p.a. di concludere un procedimento amministrativo con una decisione (motivata: art. 3); una formulazione chiara e molto poco equivoca circa l’obbligo per la p.a. italiana di provvedere.
    Ebbene, l’assurdo del sistema di tutela di fronte ai silenzi-inadempimento sta, appunto, nella circostanza che il ricorrente propone domanda al giudice perché, accertata la sussistenza del silenzio inadempimento, condanni l’amministrazione a provvedere, quando il contenuto di tale condanna è già chiaramente e sufficientemente disposto dalla norma di legge che obbliga la p.a. a provvedere sempre ed espressamente.
    Al cittadino, in due parole, tale sistema di tutela processuale non pare offrire alcuna utilità rispetto a quanto stabilito in sede sostanziale.
    Tale notazione – si è ben cosciente – offre il fianco ad appunti, specie in ordine ai poteri che allora, bisognerebbe riconoscere al G.a., dal momento che a quest’ultimo – per esser coerenti e logici, rispetto ai rilievi anzidetti – dovrebbe attribuirsi non solo il potere di sentenziare accertando l’obbligo (invece, inesitato) di provvedere e conseguente condanna, ma anche quello – ben più efficace – di entrare nel merito e delibare la fondatezza dell’istanza nonché giudicare del merito della stessa (pu se, si è ben coscienti, simile soluzione rischia di confondere i ruoli di amministrazione e Giudice).
    E questo non solo per gli atti vincolati – come già esiste e di cui, in generale, i Giudici amministrativi paiono molto dubitare – ma per tutti gli atti che la p.a. deve emanare e non emana a fronte delle legittime istanze del cittadino.
    E’ in ogni caso una scelta di valori: la preservazione dell’ordinamento giurisdizionale o l’efficacia della tutela da accordare al cittadino?


(Altalex, 13 giugno 2008. Nota di Alessandro Del Dotto)


T.A.R.


Lazio - Roma


Sezione II bis

Sentenza 3 gennaio 2008, n. 14

Massima e Testo Integrale

MASSIMA


Permesso di costruire – domanda – risposta della P.A. – silenzio – illegittimità


Di fronte ad una domanda di permesso di costruire, la P.A. non può limitarsi a negare il permesso con il silenzio, ma vi deve essere un provvedimento espresso.


(Fonte: Altalex Massimario 14/2008. Cfr. nota di Alessandro Del Dotto)

T.A.R.

Lazio - Roma

Sezione II bis

Sentenza 3 gennaio 2008, n. 14

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

- Sezione Seconda Bis -

composto dai signori magistrati:
Dott. Francesco Corsaro Presidente
Dott. Francesco Riccio Consigliere
Dott. Stefania Santoleri Consigliere, relatore
ha pronunciato la seguente

SENTENZA

sul ricorso n. 8111/07, proposto da X., rappresentato e difeso dall’Avv. Luisa Totino ed elettivamente domiciliato presso il suo studio sito in Roma, Via G. Ferrari n. 11.
contro
il COMUNE DI ROMA in persona del Sindaco p.t., rappresentato e difeso dall’Avv. Alessandro Rizzo ed elettivamente domiciliato presso gli uffici dell’Avvocatura Comunale siti in Roma, Via del Tempio di Giove n. 21
il COMUNE DI ROMA – Dipartimento IX – in persona del legale rappresentante p.t.
per l'annullamento
del silenzio rifiuto formatosi sulla domanda di rilascio del permesso di costruire in data 12/4/07 prot. n. QI/2007/24270, avente ad oggetto l’ampliamento di un fabbricato residenziale, nonché di ogni atto presupposto, connesso, consequenziale a quello impugnato.
Visto il ricorso con i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio dell’Amministrazione resistente;
Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;
Visti tutti gli atti di causa;
Udita alla Camera di Consiglio del 6 dicembre 2007 la relazione della Dott.ssa Stefania Santoleri, e uditi, altresì, per le parti gli avvocati come da verbale di udienza allegato agli atti del giudizio.
Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue:

FATTO
Il ricorrente è proprietario di un terreno con sovrastante fabbricato destinato ad abitazione propria e del nucleo familiare, sito in Roma, Via Tenuta S. Agata n. 20, distinto in catasto al foglio 193, part. 31 e 32.
Con domanda prot. n. QI/2007/24270 del 12/4/07, il ricorrente ha chiesto il rilascio del permesso di costruire per realizzare l’ampliamento del proprio fabbricato.
Il Comune è rimasto inerte.
Essendo trascorso il termine di cui all’art. 20 del D.P.R. 380/01[1], il ricorrente ha impugnato il silenzio rifiuto deducendo i seguenti motivi:
1) Violazione e falsa applicazione dell’art. 20 del D.P.R. 380/01 e succ. mod. ed integr. Eccesso di potere per carenza assoluta di motivazione.
L’art. 20 del D.P.R. 380/01 assegna all’Amministrazione il termine tassativo entro il quale adottare il provvedimento.
Ai sensi dell’art. 20 comma 9 del D.P.R. 380/01, decorso il termine previsto dalla legge il permesso si intende rifiutato.
Nella fattispecie il Comune non avrebbe adottato alcun provvedimento nei termini previsti dalla legge e quindi si sarebbe formato il silenzio rifiuto impugnabile dinanzi al giudice amministrativo.
2) Violazione degli artt. 2 comma 2 e 3 comma 1 della L. 241/90 e succ. mod. ed integr. Difetto di motivazione.
Il silenzio prestato dall’Amministrazione sarebbe illegittimo dovendo la P.A. concludere il procedimento con un provvedimento espresso e motivato.
Insiste quindi il ricorrente per l’accoglimento del ricorso.
Il Comune di Roma si è costituito in giudizio ed ha chiesto il rigetto del ricorso per infondatezza.
Alla Camera di Consiglio del 6 dicembre 2007 il ricorso è stato trattenuto in decisione.

DIRITTO
Preliminarmente ritiene il Collegio di dover respingere l’eccezione di inammissibilità sollevata da parte resistente atteso che – per giurisprudenza consolidata – il silenzio serbato integra la violazione di un preciso dovere giuridico sanzionabile in sede giurisdizionale con l’accertamento dell’obbligo dell’Amministrazione di esitare con provvedimento esplicito la richiesta del privato, atteso che il rifiuto di provvedere, senza alcuna giustificazione, si risolve in una grave limitazione delle facoltà del cittadino di esercitare il diritto di edificare, espressione tipica del diritto dominicale (cfr. T.A.R. Basilicata n. 145/07; TAR Lazio, Latina, 14 marzo 2001, n.295).
Con riferimento a quanto precisato, ritiene dunque il Collegio che il rifiuto implicito sia per propria natura sempre illegittimo, specie se connesso a situazioni di diritto degradate, come si verifica nel caso di richiesta di concessione edilizia, rispetto alla quale il proprietario del bene fa valere un diritto soggettivo condizionato in attesa di espansione, dal momento che tale comportamento omissivo e di inerzia, oltre a rivelarsi elusivo di un preciso dovere provvedimentale imposto dalla legge, risulta anche carente della dovuta motivazione, precludendo in tal modo anche il diritto di difesa del cittadino che ne viene a subire gli effetti negativi.
Di qui l’utilizzabilità del procedimento delineato dall’art. 21 bis dellaL. 1034/71 [2] caratterizzato dalla snellezza e dalla velocità che culmina – nel caso di accoglimento del ricorso – con la declaratoria dell’obbligo di provvedere imponendo pertanto all’Amministrazione inadempiente il rispetto dei principi sul giusto procedimento.
Del resto la stessa giurisprudenza ha chiarito che – per espressa definizione normativa – il silenzio sull’istanza di rilascio del permesso di costruire si qualifica come silenzio rifiuto e non come silenzio rigetto (T.A.R. Marche n. 413/06) e che come tale può essere oggetto di impugnazione con il procedimento ex art. 21 bis della L. 1034/71.
Ne consegue l’infondatezza della proposta eccezione.
Nel merito il ricorso è fondato.
L’art. 20 (Procedimento di rilascio del permesso di costruire) del D.P.R. n. 380/2001 fissa termini ben definiti per la conclusione del procedimento di rilascio del permesso di costruire, stabilendo in particolare che: a) entro sessanta giorni dalla presentazione della domanda, il responsabile del procedimento, acquisiti i prescritti pareri e valutata la conformità del progetto alla normativa vigente, formula una proposta di provvedimento, corredata da una dettagliata relazione, con la qualificazione tecnico-giuridica dell’intervento richiesto (terzo comma); b) il responsabile del procedimento, qualora ritenga che ai fini del rilascio del permesso di costruire sia necessario apportare modifiche di modesta entità rispetto al progetto originario, può nel predetto termine di sessanta giorni, richiedere tali modifiche, illustrandone le ragioni. L’interessato si pronuncia sulla richiesta di modifica entro il termine fissato e, in caso di adesione, è tenuto ad integrare la documentazione nei successivi quindici giorni. La richiesta del responsabile del procedimento sospende, fino al relativo esito, il decorso del termine di sessanta giorni (quarto comma); c) il termine di sessanta giorni può essere interrotto una sola volta dal responsabile del procedimento entro quindici giorni dalla presentazione della domanda, esclusivamente per la motivata richiesta di documenti che integrino o completino la documentazione presentata e che non siano già nella disponibilità dell’amministrazione o che questa non possa acquisire autonomamente. In tal caso, il termine ricomincia a decorrere dalla data di ricezione della documentazione integrativa (quinto comma); d) nell’ipotesi in cui, ai fini della realizzazione dell’intervento, sia necessario acquisire atti di assenso, comunque denominati, di altre amministrazioni, diverse da quelle di cui all’art. 5 comma 3 (aziende sanitarie e vigili del fuoco), il competente ufficio comunale convoca una conferenza di servizi (sesto comma); e) il provvedimento finale è adottato dal dirigente entro quindici giorni dalla proposta formulata dal responsabile del procedimento ovvero dall’esito della conferenza di servizio (settimo comma); f) i termini di cui ai commi 3 e 5 sono raddoppiati per i comuni con più di 100.000 abitanti, nonché per i progetti particolarmente complessi, secondo la motivata risoluzione del responsabile del procedimento (ottavo comma); g) decorso inutilmente il termine per l’adozione del provvedimento conclusivo, sulla domanda di permesso di costruire si intende formato il silenzio-rifiuto (nono comma).
A sua volta il successivo art. 21 (Intervento sostitutivo regionale) del citato D.P.R. n. 380/2001 oltre ad aver previsto la facoltà per l’interessato di richiedere l’intervento sostitutivo regionale, stabilisce all’ultimo periodo del primo comma che "Resta comunque ferma la facoltà di impugnare in sede giurisdizionale il silenzio-rifiuto formatosi sulla domanda di permesso di costruire".
La riportata normativa di riferimento non dà adito ad apprezzabili dubbi interpretativi: decorsi i termini di legge per l’adozione del provvedimento conclusivo del procedimento per il rilascio del permesso di costruire, si forma il silenzio-rifiuto (art. 20, nono comma), immediatamente impugnabile in sede giurisdizionale (art. 21, primo comma, ultimo periodo).
Nella fattispecie alla domanda di rilascio del permesso di costruire del 12 aprile 2007 non ha fatto seguito alcun atto – neppure istruttorio – da parte del Comune di Roma fino al momento della proposizione del ricorso (e cioè fino al 21 settembre 2007, data di notifica dell’impugnazione).
Sicchè essendo trascorsi i termini previsti dall’art. 20 del D.P.R. 380/91 si è formato il silenzio impugnabile in sede giurisdizionale, ed avendo la P.A. l’obbligo di concludere il procedimento con l’adozione di un provvedimento espresso, che consenta all’interessato di comprendere le ragioni della scelta operata dall’Amministrazione e che quindi gli garantisca idonea tutela giurisdizionale, il silenzio serbato dal Comune di Roma deve ritenersi illegittimo.
Non può infatti assumere rilievo la richiesta di integrazione documentale avanzata dal Comune di Roma in data 2 ottobre 2007, in quanto successiva allo spirare del termine per la conclusione del procedimento e all’instaurazione del giudizio, alla quale, peraltro, non ha fatto seguito l’adozione di alcun provvedimento decisorio, unico elemento in grado di comportare la declaratoria di improcedibilità dell’impugnazione.
Il ricorso va quindi accolto, ai limitati fini di ordinare al Comune di Roma di provvedere all’adozione del provvedimento conclusivo entro il termine di 60 (sessanta) giorni decorrenti dalla comunicazione o dalla notifica, se anteriore, della presente sentenza.
Il Tribunale nomina sin d’ora come Commissario ad acta, il Responsabile dei servizi urbanistici della Regione Lazio, o un funzionario dal medesimo direttamente designato, con l’incarico di provvedere in via sostitutiva nei successivi sessanta giorni, qualora il Comune non provveda nel termine al medesimo assegnato.
Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.


P.Q.M.


Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio - Sezione Seconda Bis -
accoglie
- il ricorso in epigrafe indicato e per l’effetto annulla il silenzio rifiuto e dichiara l’obbligo per l’Amministrazione di provvedere sull’istanza di rilascio del permesso di costruire presentata dal ricorrente in data 12/4/07 prot. n. QI/2007/24270;
- nomina sin d’ora come Commissario ad acta, il Responsabile dei servizi urbanistici della Regione Lazio, o un funzionario dal medesimo direttamente designato, con l’incarico di provvedere in via sostitutiva nei successivi sessanta giorni, qualora il Comune non provveda nel termine al medesimo assegnato;
- condanna il Comune di Roma al pagamento delle spese di lite che liquida complessivamente in € 500 oltre accessori di legge.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'Autorità amministrativa.


Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 6 dicembre 2007.


Francesco Corsaro PRESIDENTE


Stefania Santoleri ESTENSORE


Depositata in Segreteria il 3 gennaio 2008.

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