La conversione del contratto di lavoro a progetto in rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato e l'art. 18 dello Statuto dei lavoratori (App. Firenze, n. 173/2007)
M. Ferraro (Approfondimento 12/6/2008)
Corte d'Appello di Firenze, sez. lavoro, sentenza n. 173/2007
La Corte d'appello si occupa della seguente problematica: Il lavoratore che ottiene la trasformazione del contratto di collaborazione coordinata e continuativa a progetto in rapporto di lavoro subordinato, ai sensi dell'art. 69 d.lgs. 276/2003, può chiedere la reintegra ex art. 18, L. 300/1970?
Il fatto
In data 10 dicembre 2003, la Società S.C. s.r.l. ed il sig. C.A. stipulavano un contratto di lavoro a progetto, ai sensi dell'art. 61 del d. lgs. n. 276/2003. Il rapporto di lavoro di fatto durava un anno ed il progetto lavorativo identificato nel contratto e di cui il sig. C. avrebbe dovuto occuparsi, consisteva nella "riorganizzazione e sviluppo del settore ortofrutticolo". Al termine del rapporto di lavoro, il sig. C. presentava ricorso al Giudice del lavoro di Arezzo e poiché le risultanze istruttorie, ed in particolare le prove testimoniali, indicavano che le mansioni effettivamente svolte dal C. all'interno del supermercato della società S. erano sostanzialmente quelle di un lavoratore dipendente (ad es. rifornire con merce gli scaffali, rispettare gli orari di lavoro, ricevere direttive, ecc.), il Tribunale di Arezzo, in data 14.03.2006 emetteva sentenza (n. 167/06) attraverso la quale accertava che il contratto stipulato tra la società S.C. S.r.l. ed il sig. C. A. doveva essere considerato sin dalla costituzione iniziale del rapporto, come un contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato, in quanto non contenente l'idonea enunciazione di un progetto, programma o fase di lavoro, discostandosi dal modello richiesto dall'art. 61 del d.lgs. 276/03 ed inoltre che l'apposizione del termine finale era privo di effetto, quindi la società/datore di lavoro doveva ripristinare la sua esecuzione, risarcire il danno per il recesso, quantificato in via equitativa in Euro 10.000,00) oltre interessi legali e spese di lite.La società S.C. S.r.l. proponeva appello contro la suddetta sentenza ed il sig. C. presentava appello incidentale col quale chiedeva l'applicazione dell'art. 18 della L. 300/70, in virtù della conversione del contratto a progetto in rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato con conseguente condanna per la S.C. s.r.l. a reintegrare il C. nel posto di lavoro ed al risarcimento dei danni in misura pari all'ammontare delle retribuzioni non percepite dalla data di risoluzione del rapporto fino alla effettiva reintegra.
La fattispecie e la normativa: quadro generale
Il contratto di collaborazione coordinata e continuativa a progetto (in breve, contratto di lavoro a progetto) è stato introdotto nel nostro ordinamento con il d.lgs. 276/2003 (la cd. riforma Biagi), il quale attraverso il titolo VII - "Tipologie contrattuali a progetto e occasionali"-, Capo I - "Lavoro a progetto e lavoro occasionale" -, ed in particolare gli artt. 61- 69 [1] ha delineato una nuova disciplina nell'ambito dei rapporti di collaborazione coordinata e continuativa, previsti all'art. 409 c.p.c., i quali, a norma dell'art. 61 del citato d.lgs., attualmente devono essere dunque "riconducibili a uno o più progetti specifici o programmi di lavoro o fasi di esso determinati dal committente e gestiti autonomamente dal collaboratore in funzione del risultato, nel rispetto del coordinamento con la organizzazione del committente e indipendentemente dal tempo impiegato per l'esecuzione della attività lavorativa." L'importanza del progetto e della sua indicazione espressa è sancita, rectius sanzionata, in maniera decisamente rigorosa dall'art. 69 del decreto, a norma del quale "i rapporti di collaborazione coordinata e continuativa instaurati senza l'individuazione di uno specifico progetto, programma di lavoro o fase di esso ai sensi dell'articolo 61, comma 1, sono considerati rapporti di lavoro subordinato a tempo indeterminato sin dalla data di costituzione del rapporto". Come vedremo in seguito, la giurisprudenza ammette che il committente possa fornire in giudizio la prova che il rapporto di lavoro è effettivamente autonomo, quindi in tal caso la conversone non potrà essere disposta, ma quando questa venga applicata il contratto a progetto si trasforma automaticamente ed ex tunc nel rapporto di lavoro subordinato corrispondente alla tipologia contrattuale di fatto realizzatasi tra le parti.
Inquadramento della problematica: aspetto pratico
Come abbiamo visto, l'art. 69 del d.lgs. 276/03 prevede che tutti i contratti a progetto posti in essere "senza l'individuazione di uno specifico progetto, programma di lavoro o fase di esso", ai sensi dell'art. 61 comma 1, siano considerati rapporti di lavoro subordinato a tempo indeterminato ed ex tunc, ovvero dalla data di costituzione del rapporto. Sulla natura della disciplina dettata da tale norma si è ampiamente discusso sia in dottrina che in giurisprudenza, e la Cassazione non è ancora intervenuta sul punto: in ogni caso la prevalente giurisprudenza di merito la considera come una vera e propria sanzione posta a carico del datore di lavoro per non aver correttamente specificato il progetto ed in sostanza aver eluso le finalità della normativa sul contratto a progetto (probabilmente nel tentativo di evitare l'assunzione con contratto di lavoro subordinato) ed in particolare, sempre secondo questo orientamento giurisprudenziale, in questo caso vi sarebbe una presunzione relativa a carico del datore di lavoro, il quale può fornire la prova contraria atta a dimostrare che il rapporto è effettivamente non subordinato e che si tratta di un contratto a progetto vero e proprio. Tale interpretazione maggiormente "garantista", meno rigida, oltre ad essere sostenuta da molta parte della dottrina (fra gli altri G. Santoro Passarelli, Mazzotta) per evidenti dubbi di costituzionalità, è stata accolta dalla giurisprudenza di merito [2] anche sulla scorta di pronunce diametralmente opposte della Corte Costituzionale sulla qualifica di tale presunzione. Il sig. C., partendo da queste premesse e basandosi dunque sul fatto che il rapporto veniva qualificato come di lavoro subordinato ex tunc (cioè sin dall'inizio) a tempo indeterminato, ha ritenuto di poter invocare l'applicazione dell'art. 18 dello Statuto dei lavoratori [3], dato che la società S.C. S.r.l., controllata dalla K. S.p.a., ha più dei 15 dipendenti richiesti come parametro per poter applicare la tutela reale in caso di licenziamento illegittimo, ottenendo anche il relativo risarcimento corrispondente alle retribuzioni non percepite dalla data di risoluzione del rapporto fino al rapporto, fino al momento in cui non avvenga l'effettiva reintegrazione nel posto di lavoro.
La decisione della Corte d'Appello di Firenze (n. 173/2007)
La Corte d'Appello di Firenze ha pienamente confermato la sentenza di primo grado impugnata dalla S.C. S.r.l. ritenendo che il Tribunale di Arezzo avesse correttamente convertito il rapporto di collaborazione a termine tra la suddetta società ed il sig. C. in rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato, in applicazione dell'art. 69, comma primo, del d.lgs. 276/03. Tale rapporto di lavoro, dunque, non si considerava interrotto con la comunicazione aziendale del 6.12.2004 di cessazione del rapporto (allegata agli atti d'appello), così come previsto nel contratto a progetto (12 mesi), proprio in ragione del fatto che quest'ultimo è stato dichiarato nullo. Nella sentenza in esame, si legge inoltre che il Tribunale di Arezzo ha affermato l'obbligo della S.C. s.r.l. di ripristinare il rapporto di lavoro con il sig. C., da intendersi perciò come rapporto di lavoro subordinato posto in essere fin dall'inizio (10.12.2003) ed altrettanto correttamente ha ritenuto non applicabile a questa fattispecie la norma di cui all'art. 18 della legge n. 300/70, bensì la disciplina di diritto comune. In base a quanto appena affermato, secondo la Corte d'Appello al sig. C. non spetta la retribuzione relativa ai periodi in cui non ha svolto la propria attività lavorativa, fino alla effettiva offerta delle proprie prestazioni, in analogia a quanto dettato in generale per il contratto a tempo determinato (e per la Corte "il contratto a progetto è, pur sempre, un contratto a termine"): in tal caso, infatti, non sono dovute le prestazioni relative al periodo intercorrente tra la cessazione del contratto a termine e la propria messa a disposizione da parte del lavoratore, secondo anche l'orientamento della Cassazione (Sezioni Unite sent. nn. 7471 e 2334 del 1991). Nella sentenza in commento, si legge inoltre che si verte in una fattispecie giuridica diversa da quella che emerge in seguito alla declaratoria di illegittimità del licenziamento, con conseguente applicazione dell'art. 18 della Legge n. 300/1970. Il sig. C. dunque aveva invocato l'applicazione della tutela reale accordata dallo Statuto dei lavoratori con l'art. 18, in caso di aziende con più di 15 dipendenti (come in questo caso) ma la Corte d'Appello ha respinto tale richiesta in quanto "nella situazione dedotta, invece, caratterizzata dall'assenza di un atto di licenziamento" il rapporto è cessato per lo spirare del termine, ed anche se il rapporto si converte in rapporto a tempo indeterminato ex tunc, ai sensi dell'art. 69, primo comma, del d.lgs. 276/03, in quanto tale termine è illegittimamente apposto e dunque nullo, tuttavia "dall'accertata illegittimità dell'apposizione del termine e dalla conseguente conversione del rapporto a termine in rapporto a tempo indeterminato non consegue automaticamente il diritto del lavoratore alle retribuzioni relative al periodo successivo alla scadenza del termine: tale diritto, infatti, è sinallagmaticamente correlato alla prestazione lavorativa". La Corte prosegue che qualora il lavoratore attui di fatto il termine nullo non avrà diritto alla retribuzione, finché non provveda ad offrire la propria prestazione, determinando una situazione di "mora accipiendi" del datore di lavoro: quest'ultima sarà l'unica condizione in cui si potrà derogare alla generale regola della effettività e corrispettività delle prestazioni nel rapporto di lavoro (oltre ovviamente ad espresse deroghe legali o contrattuali), in base alla quale la retribuzione spetta solo se la prestazione di lavoro viene eseguita [4].
Conclusioni e osservazioni
La lettura della sentenza in commento suscita non poche perplessità non solo per il risultato pratico a cui giunge, ma soprattutto per il percorso logico seguito che appare francamente discutibile, quantomeno nella parte che riguarda l'applicazione dell'art. 18 dello Statuto dei lavoratori al caso in questione.Nella sentenza, infatti, si legge che in virtù dell'accertata nullità del contratto di lavoro a progetto stipulato tra le parti vi è dunque "l'instaurazione tra le stesse di un rapporto di lavoro subordinato mai validamente interrotto dalla comunicazione aziendale del 6.12.2004 di cessazione del rapporto a seguito della scadenza del termine di dodici mesi prevista (doc. n. 2 di parte appellata)" e la Corte d'Appello prosegue confermando l'obbligo della S.C. s.r.l. di ripristinare il rapporto di lavoro, "da intendersi in essere fin dal 10 dicembre 2003" ovvero ex tunc.Inspiegabilmente, però, subito dopo la stessa Corte, così come i giudici di primo grado, afferma di non ritenere applicabile la tutela ex art. 18 dello Statuto dei lavoratori, invocata dal sig. C., affermando che il caso in questione ricade nella disciplina di diritto comune (sic!).La Corte fa questo, nonostante l'espressa previsione legislativa dell'art. 69 del d.lgs. 276/03, il quale, almeno secondo il modesto parere di scrive, sembrerebbe lasciare poco spazio a libere interpretazioni: in base a questa norma, infatti, il contratto a progetto posto in essere senza l'individuazione di uno specifico progetto, programma di lavoro o fase di esso (ed è proprio il caso di cui parliamo), ai sensi dell'articolo 61, comma 1, è convertito in rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato, sin dalla data di costituzione del rapporto. La Corte d'Appello, invece, affermando che "il contratto a progetto è, pur sempre, un contratto a termine" ha applicato la disciplina del contratto a termine, dimenticando completamente di aver appena confermato la conversione ex tunc del contratto a progetto in contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato!!
Ma non finisce qui, la Corte sostiene che nel caso in questione si verta in una situazione giuridica diversa dalla declaratoria di illegittimità del licenziamento, con conseguente applicazione dell'art. 18 della Legge n. 300/1970, il quale si applicherebbe quando venga accertata "l'illegittimità del recesso datoriale", mentre invece nel caso del sig. C. e della società S.C. s.r.l. vi sarebbe "l'assenza di un atto di licenziamento il rapporto è cessato per lo spirare del termine" ed inoltre che "l'accertata nullità del termine illegittimamente apposto fa sì che il rapporto si converta in rapporto a tempo indeterminato fin dall'inizio "ex art. 69, primo comma, del d.lgs 276/03"[5].In base a queste premesse, la stessa Corte conclude che una volta accertata l'illegittimità dell'apposizione del termine e dalla conseguente conversione del rapporto a termine in rapporto indeterminato, da ciò non consegue automaticamente il diritto del lavoratore alle retribuzioni relative al periodo successivo alla scadenza del termine, in quanto esso è sinallagmaticamente correlato alla prestazione lavorativa e quindi il lavoratore deve offrire la propria prestazione di lavoro, mettendo il datore in situazione di "mora accipiendi" (cosa che tra l'altro il sig. C. ha fatto con lettera raccomandata del 17.12.2004).Ad avviso di chi scrive, la Corte d'Appello ha "mescolato" la disciplina del contratto a termine con quella del contratto subordinato "originato" dalla conversione operata ai sensi dell'art. 69 del d.lgs. 276/03, ma che al momento della decisione va regolamentato come se fosse un contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato (e non a progetto/termine!) nato come tale (data l'efficacia ex tunc), confondendo le due situazioni giuridiche e giungendo ad un risultato paradossale e contraddittorio.Se proprio si voleva "forzare" un dato, forse si poteva ravvisare nella comunicazione da parte della società S.C. S.r.l. del 6.12.2004 una sorta di licenziamento, se non altro perché tale comunicazione in effetti esprimeva la volontà di interrompere il rapporto di lavoro (anche se il motivo ivi dedotto era la scadenza del termine indicato nel contratto a progetto poi convertito).La Corte d'Appello di Firenze forse ha agito con l'intento di stemperare quella che può sembrare di primo acchito una disciplina troppo rigorosa nei confronti del datore di lavoro o forse per altri motivi che onestamente ci sfuggono: ciò che è certo è che all'atto pratico, un lavoratore è stato privato di uno strumento di tutela importantissimo, quale l'art. 18 dello Statuto dei lavoratori, il quale prevede la reintegra nel posto di lavoro (cd. tutela reale), nonché il risarcimento del danno subito dal lavoratore per il licenziamento attraverso un'indennità commisurata alla retribuzione globale di fatto dal giorno del licenziamento sino a quello dell'effettiva reintegrazione con il versamento dei contributi assistenziali e previdenziali dal momento del licenziamento al momento dell'effettiva reintegrazione (minimo 5 mensilità). Al sig. C. sono stati liquidati danni per ? 10.000,00 in via equitativa dal primo giudice (erroneamente, secondo la Corte d'Appello), mentre in secondo grado gli sono state riconosciute le ulteriori retribuzioni maturate dopo la sentenza di primo grado (Euro 10.800,00) oltre valutazione monetaria ed interessi monetari.
Dott.ssa Michela Ferraro
[1] Art. 61. Definizione e campo di applicazione1. Ferma restando la disciplina per gli agenti e i rappresentanti di commercio, i rapporti di collaborazione coordinata e continuativa, prevalentemente personale e senza vincolo di subordinazione, di cui all'articolo 409, n. 3, del codice di procedura civile devono essere riconducibili a uno o più progetti specifici o programmi di lavoro o fasi di esso determinati dal committente e gestiti autonomamente dal collaboratore in funzione del risultato, nel rispetto del coordinamento con la organizzazione del committente e indipendentemente dal tempo impiegato per l'esecuzione della attività lavorativa.2. Dalla disposizione di cui al comma 1 sono escluse le prestazioni occasionali, intendendosi per tali i rapporti di durata complessiva non superiore a trenta giorni nel corso dell'anno solare con lo stesso committente, salvo che il compenso complessivamente percepito nel medesimo anno solare sia superiore a 5 mila euro, nel qual caso trovano applicazione le disposizioni contenute nel presente capo.3. Sono escluse dal campo di applicazione del presente capo le professioni intellettuali per l'esercizio delle quali e' necessaria l'iscrizione in appositi albi professionali, esistenti alla data di entrata in vigore del presente decreto legislativo, nonche' i rapporti e le attività di collaborazione coordinata e continuativa comunque rese e utilizzate a fini istituzionali in favore delle associazioni e società sportive dilettantistiche affiliate alle federazioni sportive nazionali, alle discipline sportive associate e agli enti di promozione sportiva riconosciute dal C.O.N.I., come individuate e disciplinate dall'articolo 90 della legge 27 dicembre 2002, n. 289. Sono altresì esclusi dal campo di applicazione del presente capo i componenti degli organi di amministrazione e controllo delle società e i partecipanti a collegi e commissioni, nonche' coloro che percepiscono la pensione di vecchiaia.4. Le disposizioni contenute nel presente capo non pregiudicano l'applicazione di clausole di contratto individuale o di accordo collettivo più favorevoli per il collaboratore a progetto.Art. 62. F o r m a1. Il contratto di lavoro a progetto e' stipulato in forma scritta e deve contenere, ai fini della prova, i seguenti elementi:a) indicazione della durata, determinata o determinabile, della prestazione di lavoro;b) indicazione del progetto o programma di lavoro, o fasi di esso, individuata nel suo contenuto caratterizzante, che viene dedotto in contratto;c) il corrispettivo e i criteri per la sua determinazione, nonche' i tempi e le modalità di pagamento e la disciplina dei rimborsi spese;d) le forme di coordinamento del lavoratore a progetto al committente sulla esecuzione, anche temporale, della prestazione lavorativa, che in ogni caso non possono essere tali da pregiudicarne l'autonomia nella esecuzione dell'obbligazione lavorativa;e) le eventuali misure per la tutela della salute e sicurezza del collaboratore a progetto, fermo restando quanto disposto dall'articolo 66, comma 4.Art. 63. Corrispettivo1. Il compenso corrisposto ai collaboratori a progetto deve essere proporzionato alla quantità e qualità del lavoro eseguito, e deve tenere conto dei compensi normalmente corrisposti per analoghe prestazioni di lavoro autonomo nel luogo di esecuzione del rapporto.Art. 64. Obbligo di riservatezza1. Salvo diverso accordo tra le parti il collaboratore a progetto può svolgere la sua attività a favore di più committenti.2. Il collaboratore a progetto non deve svolgere attività in concorrenza con i committenti ne', in ogni caso, diffondere notizie e apprezzamenti attinenti ai programmi e alla organizzazione di essi, ne' compiere, in qualsiasi modo, atti in pregiudizio della attività dei committenti medesimi.Art. 65. Invenzioni del collaboratore a progetto1. Il lavoratore a progetto ha diritto di essere riconosciuto autore della invenzione fatta nello svolgimento del rapporto.2. I diritti e gli obblighi delle parti sono regolati dalle leggi speciali, compreso quanto previsto dall'articolo 12-bis della legge 22 aprile 1941, n. 633, e successive modificazioni.Art. 66. Altri diritti del collaboratore a progetto1. La gravidanza, la malattia e l'infortunio del collaboratore a progetto non comportano l'estinzione del rapporto contrattuale, che rimane sospeso, senza erogazione del corrispettivo.2. Salva diversa previsione del contratto individuale, in caso di malattia e infortunio la sospensione del rapporto non comporta una proroga della durata del contratto, che si estingue alla scadenza. Il committente può comunque recedere dal contratto se la sospensione si protrae per un periodo superiore a un sesto della durata stabilita nel contratto, quando essa sia determinata, ovvero superiore a trenta giorni per i contratti di durata determinabile.3. In caso di gravidanza, la durata del rapporto e' prorogata per un periodo di centottanta giorni, salva più favorevole disposizione del contratto individuale.4. Oltre alle disposizioni di cui alla legge 11 agosto 1973, n. 533, e successive modificazioni e integrazioni, sul processo del lavoro e di cui all'articolo 64 del decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151, e successive modificazioni, ai rapporti che rientrano nel campo di applicazione del presente capo si applicano le norme sulla sicurezza e igiene del lavoro di cui al decreto legislativo n. 626 del 1994 e successive modifiche e integrazioni, quando la prestazione lavorativa si svolga nei luoghi di lavoro del committente, nonche' le norme di tutela contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali, le norme di cui all'articolo 51, comma 1, della legge 23 dicembre 1999, n. 488, e del decreto del Ministero del lavoro e della previdenza sociale in data 12 gennaio 2001, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 71 del 26 marzo 2001.Art. 67. Estinzione del contratto e preavviso1. I contratti di lavoro di cui al presente capo si risolvono al momento della realizzazione del progetto o del programma o della fase di esso che ne costituisce l'oggetto.2. Le parti possono recedere prima della scadenza del termine per giusta causa ovvero secondo le diverse causali o modalità, incluso il preavviso, stabilite dalle parti nel contratto di lavoro individuale.Art. 68. Rinunzie e transazioni1. I diritti derivanti dalle disposizioni contenute nel presente capo possono essere oggetto di rinunzie o transazioni tra le parti in sede di certificazione del rapporto di lavoro di cui al Titolo V del presente decreto legislativo.Art. 69. Divieto di rapporti di collaborazione coordinata e continuativa atipici e conversione del contratto1. I rapporti di collaborazione coordinata e continuativa instaurati senza l'individuazione di uno specifico progetto, programma di lavoro o fase di esso ai sensi dell'articolo 61, comma 1, sono considerati rapporti di lavoro subordinato a tempo indeterminato sin dalla data di costituzione del rapporto.2. Qualora venga accertato dal giudice che il rapporto instaurato ai sensi dell'articolo 61 sia venuto a configurare un rapporto di lavoro subordinato, esso si trasforma in un rapporto di lavoro subordinato corrispondente alla tipologia negoziale di fatto realizzatasi tra le parti.3. Ai fini del giudizio di cui al comma 2, il controllo giudiziale e' limitato esclusivamente, in conformità ai principi generali dell'ordinamento, all'accertamento della esistenza del progetto, programma di lavoro o fase di esso e non può essere esteso fino al punto di sindacare nel merito valutazioni e scelte tecniche, organizzative o produttive che spettano al committente. [2] Cfr. Trib. Genova 5 maggio 2006, Trib. Ravenna 25 ottobre 2005, Trib. Torino 5 aprile 2005 (dati tratti da "Manuale breve di diritto del lavoro" di Antonio di Stasi - Giuffré, 2007) e Trib. Torino 23 marzo 2007.[3] Art. 18. - Reintegrazione nel posto di lavoro. (*) I primi 5 commi hanno così sostituito i commi primo e secondo per effetto dell'art.1 - Legge n. 108/1990Ferme restando l'esperibilità delle procedure previste dall'articolo 7 della legge 15 luglio 1966, n. 604, il giudice con la sentenza con cui dichiara inefficace il licenziamento ai sensi dell'articolo 2 della predetta legge o annulla il licenziamento intimato senza giusta causa o giustificato motivo, ovvero ne dichiara la nullità a norma della legge stessa, ordina al datore di lavoro, imprenditore e non imprenditore, che in ciascuna sede, stabilimento, filiale, ufficio o reparto autonomo nel quale ha avuto luogo il licenziamento occupa alle sue dipendenze più di quindici prestatori di lavoro o più di cinque se trattasi di imprenditore agricolo, di reintegrare il lavoratore nel posto di lavoro. Tali disposizioni si applicano altresì ai datori di lavoro, imprenditori e non imprenditori, che nell'ambito dello stesso comune occupano più di quindici dipendenti ed alle imprese agricole che nel medesimo ambito territoriale occupano più di cinque dipendenti, anche se ciascuna unità produttiva, singolarmente considerata, non raggiunge tali limiti, e in ogni caso al datore di lavoro, imprenditore e non imprenditore, che occupa alle sue dipendenze più di sessanta prestatori di lavoro.Ai fini del computo del numero dei prestatori di lavoro di cui primo comma si tiene conto anche dei lavoratori assunti con contratto di formazione e lavoro, dei lavoratori assunti con contratto a tempo indeterminato parziale, per la quota di orario effettivamente svolto, tenendo conto, a tale proposito, che il computo delle unità lavorative fa riferimento all'orario previsto dalla contrattazione collettiva del settore. Non si computano il coniuge ed i parenti del datore di lavoro entro il secondo grado in linea diretta e in linea collaterale.Il computo dei limiti occupazionali di cui al secondo comma non incide su norme o istituti che prevedono agevolazioni finanziarie o creditizie.Il giudice con la sentenza di cui al primo comma condanna il datore di lavoro al risarcimento del danno subito dal lavoratore per il licenziamento di cui sia stata accertata l'inefficacia o l'invalidità stabilendo un'indennità commisurata alla retribuzione globale di fatto dal giorno del licenziamento sino a quello dell'effettiva reintegrazione e al versamento dei contributi assistenziali e previdenziali dal momento del licenziamento al momento dell'effettiva reintegrazione; in ogni caso la misura del risarcimento non potrà essere inferiore a cinque mensilità di retribuzione globale di fatto.Fermo restando il diritto al risarcimento del danno così come previsto al quarto comma, al prestatore di lavoro è data la facoltà di chiedere al datore di lavoro in sostituzione della reintegrazione nel posto di lavoro, un'indennità pari a quindici mensilità di retribuzione globale di fatto. Qualora il lavoratore entro trenta giorni dal ricevimento dell'invito del datore di lavoro non abbia ripreso il servizio, né abbia richiesto entro trenta giorni dalla comunicazione del deposito della sentenza il pagamento dell'indennità di cui al presente comma, il rapporto di lavoro si intende risolto allo spirare dei termini predetti.La sentenza pronunciata nel giudizio di cui al primo comma è provvisoriamente esecutiva.Nell'ipotesi di licenziamento dei lavoratori di cui all'articolo 22, su istanza congiunta del lavoratore e del sindacato cui questi aderisce o conferisca mandato, il giudice, in ogni stato e grado del giudizio di merito, può disporre con ordinanza, quando ritenga irrilevanti o insufficienti gli elementi di prova forniti dal datore di lavoro, la reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro.L'ordinanza di cui al comma precedente può essere impugnata con reclamo immediato al giudice medesimo che l'ha pronunciata. Si applicano le disposizioni dell'articolo 178, terzo, quarto, quinto e sesto comma del codice di procedura civile.L'ordinanza può essere revocata con la sentenza che decide la causa.Nell'ipotesi di licenziamento dei lavoratori di cui all'articolo 22, il datore di lavoro che non ottempera alla sentenza di cui al primo comma ovvero all'ordinanza di cui al quarto comma, non impugnata o confermata dal giudice che l'ha pronunciata, è tenuto anche, per ogni giorno di ritardo, al pagamento a favore del Fondo adeguamento pensioni di una somma pari all'importo della retribuzione dovuta al lavoratore.[4] Nel caso in esame, il sig. C. comunicò la propria disponibilità alla immediata ripresa del lavoro dietro chiamata della S.C. s.r.l. con lettera raccomandata del 17.12.2004, allegata agli atti;[5] Ci permettiamo però di ricordare che l'art. 69 non parla di termini in ambito di contratti di lavoro a tempo determinato, ma di "contratto a progetto posto in essere senza l'individuazione di uno specifico progetto, programma di lavoro o fase di esso, ai sensi dell'articolo 61, comma 1", che è cosa un po' diversa, n.d.r.
In data 10 dicembre 2003, la Società S.C. s.r.l. ed il sig. C.A. stipulavano un contratto di lavoro a progetto, ai sensi dell'art. 61 del d. lgs. n. 276/2003. Il rapporto di lavoro di fatto durava un anno ed il progetto lavorativo identificato nel contratto e di cui il sig. C. avrebbe dovuto occuparsi, consisteva nella "riorganizzazione e sviluppo del settore ortofrutticolo". Al termine del rapporto di lavoro, il sig. C. presentava ricorso al Giudice del lavoro di Arezzo e poiché le risultanze istruttorie, ed in particolare le prove testimoniali, indicavano che le mansioni effettivamente svolte dal C. all'interno del supermercato della società S. erano sostanzialmente quelle di un lavoratore dipendente (ad es. rifornire con merce gli scaffali, rispettare gli orari di lavoro, ricevere direttive, ecc.), il Tribunale di Arezzo, in data 14.03.2006 emetteva sentenza (n. 167/06) attraverso la quale accertava che il contratto stipulato tra la società S.C. S.r.l. ed il sig. C. A. doveva essere considerato sin dalla costituzione iniziale del rapporto, come un contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato, in quanto non contenente l'idonea enunciazione di un progetto, programma o fase di lavoro, discostandosi dal modello richiesto dall'art. 61 del d.lgs. 276/03 ed inoltre che l'apposizione del termine finale era privo di effetto, quindi la società/datore di lavoro doveva ripristinare la sua esecuzione, risarcire il danno per il recesso, quantificato in via equitativa in Euro 10.000,00) oltre interessi legali e spese di lite.La società S.C. S.r.l. proponeva appello contro la suddetta sentenza ed il sig. C. presentava appello incidentale col quale chiedeva l'applicazione dell'art. 18 della L. 300/70, in virtù della conversione del contratto a progetto in rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato con conseguente condanna per la S.C. s.r.l. a reintegrare il C. nel posto di lavoro ed al risarcimento dei danni in misura pari all'ammontare delle retribuzioni non percepite dalla data di risoluzione del rapporto fino alla effettiva reintegra.
La fattispecie e la normativa: quadro generale
Il contratto di collaborazione coordinata e continuativa a progetto (in breve, contratto di lavoro a progetto) è stato introdotto nel nostro ordinamento con il d.lgs. 276/2003 (la cd. riforma Biagi), il quale attraverso il titolo VII - "Tipologie contrattuali a progetto e occasionali"-, Capo I - "Lavoro a progetto e lavoro occasionale" -, ed in particolare gli artt. 61- 69 [1] ha delineato una nuova disciplina nell'ambito dei rapporti di collaborazione coordinata e continuativa, previsti all'art. 409 c.p.c., i quali, a norma dell'art. 61 del citato d.lgs., attualmente devono essere dunque "riconducibili a uno o più progetti specifici o programmi di lavoro o fasi di esso determinati dal committente e gestiti autonomamente dal collaboratore in funzione del risultato, nel rispetto del coordinamento con la organizzazione del committente e indipendentemente dal tempo impiegato per l'esecuzione della attività lavorativa." L'importanza del progetto e della sua indicazione espressa è sancita, rectius sanzionata, in maniera decisamente rigorosa dall'art. 69 del decreto, a norma del quale "i rapporti di collaborazione coordinata e continuativa instaurati senza l'individuazione di uno specifico progetto, programma di lavoro o fase di esso ai sensi dell'articolo 61, comma 1, sono considerati rapporti di lavoro subordinato a tempo indeterminato sin dalla data di costituzione del rapporto". Come vedremo in seguito, la giurisprudenza ammette che il committente possa fornire in giudizio la prova che il rapporto di lavoro è effettivamente autonomo, quindi in tal caso la conversone non potrà essere disposta, ma quando questa venga applicata il contratto a progetto si trasforma automaticamente ed ex tunc nel rapporto di lavoro subordinato corrispondente alla tipologia contrattuale di fatto realizzatasi tra le parti.
Inquadramento della problematica: aspetto pratico
Come abbiamo visto, l'art. 69 del d.lgs. 276/03 prevede che tutti i contratti a progetto posti in essere "senza l'individuazione di uno specifico progetto, programma di lavoro o fase di esso", ai sensi dell'art. 61 comma 1, siano considerati rapporti di lavoro subordinato a tempo indeterminato ed ex tunc, ovvero dalla data di costituzione del rapporto. Sulla natura della disciplina dettata da tale norma si è ampiamente discusso sia in dottrina che in giurisprudenza, e la Cassazione non è ancora intervenuta sul punto: in ogni caso la prevalente giurisprudenza di merito la considera come una vera e propria sanzione posta a carico del datore di lavoro per non aver correttamente specificato il progetto ed in sostanza aver eluso le finalità della normativa sul contratto a progetto (probabilmente nel tentativo di evitare l'assunzione con contratto di lavoro subordinato) ed in particolare, sempre secondo questo orientamento giurisprudenziale, in questo caso vi sarebbe una presunzione relativa a carico del datore di lavoro, il quale può fornire la prova contraria atta a dimostrare che il rapporto è effettivamente non subordinato e che si tratta di un contratto a progetto vero e proprio. Tale interpretazione maggiormente "garantista", meno rigida, oltre ad essere sostenuta da molta parte della dottrina (fra gli altri G. Santoro Passarelli, Mazzotta) per evidenti dubbi di costituzionalità, è stata accolta dalla giurisprudenza di merito [2] anche sulla scorta di pronunce diametralmente opposte della Corte Costituzionale sulla qualifica di tale presunzione. Il sig. C., partendo da queste premesse e basandosi dunque sul fatto che il rapporto veniva qualificato come di lavoro subordinato ex tunc (cioè sin dall'inizio) a tempo indeterminato, ha ritenuto di poter invocare l'applicazione dell'art. 18 dello Statuto dei lavoratori [3], dato che la società S.C. S.r.l., controllata dalla K. S.p.a., ha più dei 15 dipendenti richiesti come parametro per poter applicare la tutela reale in caso di licenziamento illegittimo, ottenendo anche il relativo risarcimento corrispondente alle retribuzioni non percepite dalla data di risoluzione del rapporto fino al rapporto, fino al momento in cui non avvenga l'effettiva reintegrazione nel posto di lavoro.
La decisione della Corte d'Appello di Firenze (n. 173/2007)
La Corte d'Appello di Firenze ha pienamente confermato la sentenza di primo grado impugnata dalla S.C. S.r.l. ritenendo che il Tribunale di Arezzo avesse correttamente convertito il rapporto di collaborazione a termine tra la suddetta società ed il sig. C. in rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato, in applicazione dell'art. 69, comma primo, del d.lgs. 276/03. Tale rapporto di lavoro, dunque, non si considerava interrotto con la comunicazione aziendale del 6.12.2004 di cessazione del rapporto (allegata agli atti d'appello), così come previsto nel contratto a progetto (12 mesi), proprio in ragione del fatto che quest'ultimo è stato dichiarato nullo. Nella sentenza in esame, si legge inoltre che il Tribunale di Arezzo ha affermato l'obbligo della S.C. s.r.l. di ripristinare il rapporto di lavoro con il sig. C., da intendersi perciò come rapporto di lavoro subordinato posto in essere fin dall'inizio (10.12.2003) ed altrettanto correttamente ha ritenuto non applicabile a questa fattispecie la norma di cui all'art. 18 della legge n. 300/70, bensì la disciplina di diritto comune. In base a quanto appena affermato, secondo la Corte d'Appello al sig. C. non spetta la retribuzione relativa ai periodi in cui non ha svolto la propria attività lavorativa, fino alla effettiva offerta delle proprie prestazioni, in analogia a quanto dettato in generale per il contratto a tempo determinato (e per la Corte "il contratto a progetto è, pur sempre, un contratto a termine"): in tal caso, infatti, non sono dovute le prestazioni relative al periodo intercorrente tra la cessazione del contratto a termine e la propria messa a disposizione da parte del lavoratore, secondo anche l'orientamento della Cassazione (Sezioni Unite sent. nn. 7471 e 2334 del 1991). Nella sentenza in commento, si legge inoltre che si verte in una fattispecie giuridica diversa da quella che emerge in seguito alla declaratoria di illegittimità del licenziamento, con conseguente applicazione dell'art. 18 della Legge n. 300/1970. Il sig. C. dunque aveva invocato l'applicazione della tutela reale accordata dallo Statuto dei lavoratori con l'art. 18, in caso di aziende con più di 15 dipendenti (come in questo caso) ma la Corte d'Appello ha respinto tale richiesta in quanto "nella situazione dedotta, invece, caratterizzata dall'assenza di un atto di licenziamento" il rapporto è cessato per lo spirare del termine, ed anche se il rapporto si converte in rapporto a tempo indeterminato ex tunc, ai sensi dell'art. 69, primo comma, del d.lgs. 276/03, in quanto tale termine è illegittimamente apposto e dunque nullo, tuttavia "dall'accertata illegittimità dell'apposizione del termine e dalla conseguente conversione del rapporto a termine in rapporto a tempo indeterminato non consegue automaticamente il diritto del lavoratore alle retribuzioni relative al periodo successivo alla scadenza del termine: tale diritto, infatti, è sinallagmaticamente correlato alla prestazione lavorativa". La Corte prosegue che qualora il lavoratore attui di fatto il termine nullo non avrà diritto alla retribuzione, finché non provveda ad offrire la propria prestazione, determinando una situazione di "mora accipiendi" del datore di lavoro: quest'ultima sarà l'unica condizione in cui si potrà derogare alla generale regola della effettività e corrispettività delle prestazioni nel rapporto di lavoro (oltre ovviamente ad espresse deroghe legali o contrattuali), in base alla quale la retribuzione spetta solo se la prestazione di lavoro viene eseguita [4].
Conclusioni e osservazioni
La lettura della sentenza in commento suscita non poche perplessità non solo per il risultato pratico a cui giunge, ma soprattutto per il percorso logico seguito che appare francamente discutibile, quantomeno nella parte che riguarda l'applicazione dell'art. 18 dello Statuto dei lavoratori al caso in questione.Nella sentenza, infatti, si legge che in virtù dell'accertata nullità del contratto di lavoro a progetto stipulato tra le parti vi è dunque "l'instaurazione tra le stesse di un rapporto di lavoro subordinato mai validamente interrotto dalla comunicazione aziendale del 6.12.2004 di cessazione del rapporto a seguito della scadenza del termine di dodici mesi prevista (doc. n. 2 di parte appellata)" e la Corte d'Appello prosegue confermando l'obbligo della S.C. s.r.l. di ripristinare il rapporto di lavoro, "da intendersi in essere fin dal 10 dicembre 2003" ovvero ex tunc.Inspiegabilmente, però, subito dopo la stessa Corte, così come i giudici di primo grado, afferma di non ritenere applicabile la tutela ex art. 18 dello Statuto dei lavoratori, invocata dal sig. C., affermando che il caso in questione ricade nella disciplina di diritto comune (sic!).La Corte fa questo, nonostante l'espressa previsione legislativa dell'art. 69 del d.lgs. 276/03, il quale, almeno secondo il modesto parere di scrive, sembrerebbe lasciare poco spazio a libere interpretazioni: in base a questa norma, infatti, il contratto a progetto posto in essere senza l'individuazione di uno specifico progetto, programma di lavoro o fase di esso (ed è proprio il caso di cui parliamo), ai sensi dell'articolo 61, comma 1, è convertito in rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato, sin dalla data di costituzione del rapporto. La Corte d'Appello, invece, affermando che "il contratto a progetto è, pur sempre, un contratto a termine" ha applicato la disciplina del contratto a termine, dimenticando completamente di aver appena confermato la conversione ex tunc del contratto a progetto in contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato!!
Ma non finisce qui, la Corte sostiene che nel caso in questione si verta in una situazione giuridica diversa dalla declaratoria di illegittimità del licenziamento, con conseguente applicazione dell'art. 18 della Legge n. 300/1970, il quale si applicherebbe quando venga accertata "l'illegittimità del recesso datoriale", mentre invece nel caso del sig. C. e della società S.C. s.r.l. vi sarebbe "l'assenza di un atto di licenziamento il rapporto è cessato per lo spirare del termine" ed inoltre che "l'accertata nullità del termine illegittimamente apposto fa sì che il rapporto si converta in rapporto a tempo indeterminato fin dall'inizio "ex art. 69, primo comma, del d.lgs 276/03"[5].In base a queste premesse, la stessa Corte conclude che una volta accertata l'illegittimità dell'apposizione del termine e dalla conseguente conversione del rapporto a termine in rapporto indeterminato, da ciò non consegue automaticamente il diritto del lavoratore alle retribuzioni relative al periodo successivo alla scadenza del termine, in quanto esso è sinallagmaticamente correlato alla prestazione lavorativa e quindi il lavoratore deve offrire la propria prestazione di lavoro, mettendo il datore in situazione di "mora accipiendi" (cosa che tra l'altro il sig. C. ha fatto con lettera raccomandata del 17.12.2004).Ad avviso di chi scrive, la Corte d'Appello ha "mescolato" la disciplina del contratto a termine con quella del contratto subordinato "originato" dalla conversione operata ai sensi dell'art. 69 del d.lgs. 276/03, ma che al momento della decisione va regolamentato come se fosse un contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato (e non a progetto/termine!) nato come tale (data l'efficacia ex tunc), confondendo le due situazioni giuridiche e giungendo ad un risultato paradossale e contraddittorio.Se proprio si voleva "forzare" un dato, forse si poteva ravvisare nella comunicazione da parte della società S.C. S.r.l. del 6.12.2004 una sorta di licenziamento, se non altro perché tale comunicazione in effetti esprimeva la volontà di interrompere il rapporto di lavoro (anche se il motivo ivi dedotto era la scadenza del termine indicato nel contratto a progetto poi convertito).La Corte d'Appello di Firenze forse ha agito con l'intento di stemperare quella che può sembrare di primo acchito una disciplina troppo rigorosa nei confronti del datore di lavoro o forse per altri motivi che onestamente ci sfuggono: ciò che è certo è che all'atto pratico, un lavoratore è stato privato di uno strumento di tutela importantissimo, quale l'art. 18 dello Statuto dei lavoratori, il quale prevede la reintegra nel posto di lavoro (cd. tutela reale), nonché il risarcimento del danno subito dal lavoratore per il licenziamento attraverso un'indennità commisurata alla retribuzione globale di fatto dal giorno del licenziamento sino a quello dell'effettiva reintegrazione con il versamento dei contributi assistenziali e previdenziali dal momento del licenziamento al momento dell'effettiva reintegrazione (minimo 5 mensilità). Al sig. C. sono stati liquidati danni per ? 10.000,00 in via equitativa dal primo giudice (erroneamente, secondo la Corte d'Appello), mentre in secondo grado gli sono state riconosciute le ulteriori retribuzioni maturate dopo la sentenza di primo grado (Euro 10.800,00) oltre valutazione monetaria ed interessi monetari.
Dott.ssa Michela Ferraro
[1] Art. 61. Definizione e campo di applicazione1. Ferma restando la disciplina per gli agenti e i rappresentanti di commercio, i rapporti di collaborazione coordinata e continuativa, prevalentemente personale e senza vincolo di subordinazione, di cui all'articolo 409, n. 3, del codice di procedura civile devono essere riconducibili a uno o più progetti specifici o programmi di lavoro o fasi di esso determinati dal committente e gestiti autonomamente dal collaboratore in funzione del risultato, nel rispetto del coordinamento con la organizzazione del committente e indipendentemente dal tempo impiegato per l'esecuzione della attività lavorativa.2. Dalla disposizione di cui al comma 1 sono escluse le prestazioni occasionali, intendendosi per tali i rapporti di durata complessiva non superiore a trenta giorni nel corso dell'anno solare con lo stesso committente, salvo che il compenso complessivamente percepito nel medesimo anno solare sia superiore a 5 mila euro, nel qual caso trovano applicazione le disposizioni contenute nel presente capo.3. Sono escluse dal campo di applicazione del presente capo le professioni intellettuali per l'esercizio delle quali e' necessaria l'iscrizione in appositi albi professionali, esistenti alla data di entrata in vigore del presente decreto legislativo, nonche' i rapporti e le attività di collaborazione coordinata e continuativa comunque rese e utilizzate a fini istituzionali in favore delle associazioni e società sportive dilettantistiche affiliate alle federazioni sportive nazionali, alle discipline sportive associate e agli enti di promozione sportiva riconosciute dal C.O.N.I., come individuate e disciplinate dall'articolo 90 della legge 27 dicembre 2002, n. 289. Sono altresì esclusi dal campo di applicazione del presente capo i componenti degli organi di amministrazione e controllo delle società e i partecipanti a collegi e commissioni, nonche' coloro che percepiscono la pensione di vecchiaia.4. Le disposizioni contenute nel presente capo non pregiudicano l'applicazione di clausole di contratto individuale o di accordo collettivo più favorevoli per il collaboratore a progetto.Art. 62. F o r m a1. Il contratto di lavoro a progetto e' stipulato in forma scritta e deve contenere, ai fini della prova, i seguenti elementi:a) indicazione della durata, determinata o determinabile, della prestazione di lavoro;b) indicazione del progetto o programma di lavoro, o fasi di esso, individuata nel suo contenuto caratterizzante, che viene dedotto in contratto;c) il corrispettivo e i criteri per la sua determinazione, nonche' i tempi e le modalità di pagamento e la disciplina dei rimborsi spese;d) le forme di coordinamento del lavoratore a progetto al committente sulla esecuzione, anche temporale, della prestazione lavorativa, che in ogni caso non possono essere tali da pregiudicarne l'autonomia nella esecuzione dell'obbligazione lavorativa;e) le eventuali misure per la tutela della salute e sicurezza del collaboratore a progetto, fermo restando quanto disposto dall'articolo 66, comma 4.Art. 63. Corrispettivo1. Il compenso corrisposto ai collaboratori a progetto deve essere proporzionato alla quantità e qualità del lavoro eseguito, e deve tenere conto dei compensi normalmente corrisposti per analoghe prestazioni di lavoro autonomo nel luogo di esecuzione del rapporto.Art. 64. Obbligo di riservatezza1. Salvo diverso accordo tra le parti il collaboratore a progetto può svolgere la sua attività a favore di più committenti.2. Il collaboratore a progetto non deve svolgere attività in concorrenza con i committenti ne', in ogni caso, diffondere notizie e apprezzamenti attinenti ai programmi e alla organizzazione di essi, ne' compiere, in qualsiasi modo, atti in pregiudizio della attività dei committenti medesimi.Art. 65. Invenzioni del collaboratore a progetto1. Il lavoratore a progetto ha diritto di essere riconosciuto autore della invenzione fatta nello svolgimento del rapporto.2. I diritti e gli obblighi delle parti sono regolati dalle leggi speciali, compreso quanto previsto dall'articolo 12-bis della legge 22 aprile 1941, n. 633, e successive modificazioni.Art. 66. Altri diritti del collaboratore a progetto1. La gravidanza, la malattia e l'infortunio del collaboratore a progetto non comportano l'estinzione del rapporto contrattuale, che rimane sospeso, senza erogazione del corrispettivo.2. Salva diversa previsione del contratto individuale, in caso di malattia e infortunio la sospensione del rapporto non comporta una proroga della durata del contratto, che si estingue alla scadenza. Il committente può comunque recedere dal contratto se la sospensione si protrae per un periodo superiore a un sesto della durata stabilita nel contratto, quando essa sia determinata, ovvero superiore a trenta giorni per i contratti di durata determinabile.3. In caso di gravidanza, la durata del rapporto e' prorogata per un periodo di centottanta giorni, salva più favorevole disposizione del contratto individuale.4. Oltre alle disposizioni di cui alla legge 11 agosto 1973, n. 533, e successive modificazioni e integrazioni, sul processo del lavoro e di cui all'articolo 64 del decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151, e successive modificazioni, ai rapporti che rientrano nel campo di applicazione del presente capo si applicano le norme sulla sicurezza e igiene del lavoro di cui al decreto legislativo n. 626 del 1994 e successive modifiche e integrazioni, quando la prestazione lavorativa si svolga nei luoghi di lavoro del committente, nonche' le norme di tutela contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali, le norme di cui all'articolo 51, comma 1, della legge 23 dicembre 1999, n. 488, e del decreto del Ministero del lavoro e della previdenza sociale in data 12 gennaio 2001, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 71 del 26 marzo 2001.Art. 67. Estinzione del contratto e preavviso1. I contratti di lavoro di cui al presente capo si risolvono al momento della realizzazione del progetto o del programma o della fase di esso che ne costituisce l'oggetto.2. Le parti possono recedere prima della scadenza del termine per giusta causa ovvero secondo le diverse causali o modalità, incluso il preavviso, stabilite dalle parti nel contratto di lavoro individuale.Art. 68. Rinunzie e transazioni1. I diritti derivanti dalle disposizioni contenute nel presente capo possono essere oggetto di rinunzie o transazioni tra le parti in sede di certificazione del rapporto di lavoro di cui al Titolo V del presente decreto legislativo.Art. 69. Divieto di rapporti di collaborazione coordinata e continuativa atipici e conversione del contratto1. I rapporti di collaborazione coordinata e continuativa instaurati senza l'individuazione di uno specifico progetto, programma di lavoro o fase di esso ai sensi dell'articolo 61, comma 1, sono considerati rapporti di lavoro subordinato a tempo indeterminato sin dalla data di costituzione del rapporto.2. Qualora venga accertato dal giudice che il rapporto instaurato ai sensi dell'articolo 61 sia venuto a configurare un rapporto di lavoro subordinato, esso si trasforma in un rapporto di lavoro subordinato corrispondente alla tipologia negoziale di fatto realizzatasi tra le parti.3. Ai fini del giudizio di cui al comma 2, il controllo giudiziale e' limitato esclusivamente, in conformità ai principi generali dell'ordinamento, all'accertamento della esistenza del progetto, programma di lavoro o fase di esso e non può essere esteso fino al punto di sindacare nel merito valutazioni e scelte tecniche, organizzative o produttive che spettano al committente. [2] Cfr. Trib. Genova 5 maggio 2006, Trib. Ravenna 25 ottobre 2005, Trib. Torino 5 aprile 2005 (dati tratti da "Manuale breve di diritto del lavoro" di Antonio di Stasi - Giuffré, 2007) e Trib. Torino 23 marzo 2007.[3] Art. 18. - Reintegrazione nel posto di lavoro. (*) I primi 5 commi hanno così sostituito i commi primo e secondo per effetto dell'art.1 - Legge n. 108/1990Ferme restando l'esperibilità delle procedure previste dall'articolo 7 della legge 15 luglio 1966, n. 604, il giudice con la sentenza con cui dichiara inefficace il licenziamento ai sensi dell'articolo 2 della predetta legge o annulla il licenziamento intimato senza giusta causa o giustificato motivo, ovvero ne dichiara la nullità a norma della legge stessa, ordina al datore di lavoro, imprenditore e non imprenditore, che in ciascuna sede, stabilimento, filiale, ufficio o reparto autonomo nel quale ha avuto luogo il licenziamento occupa alle sue dipendenze più di quindici prestatori di lavoro o più di cinque se trattasi di imprenditore agricolo, di reintegrare il lavoratore nel posto di lavoro. Tali disposizioni si applicano altresì ai datori di lavoro, imprenditori e non imprenditori, che nell'ambito dello stesso comune occupano più di quindici dipendenti ed alle imprese agricole che nel medesimo ambito territoriale occupano più di cinque dipendenti, anche se ciascuna unità produttiva, singolarmente considerata, non raggiunge tali limiti, e in ogni caso al datore di lavoro, imprenditore e non imprenditore, che occupa alle sue dipendenze più di sessanta prestatori di lavoro.Ai fini del computo del numero dei prestatori di lavoro di cui primo comma si tiene conto anche dei lavoratori assunti con contratto di formazione e lavoro, dei lavoratori assunti con contratto a tempo indeterminato parziale, per la quota di orario effettivamente svolto, tenendo conto, a tale proposito, che il computo delle unità lavorative fa riferimento all'orario previsto dalla contrattazione collettiva del settore. Non si computano il coniuge ed i parenti del datore di lavoro entro il secondo grado in linea diretta e in linea collaterale.Il computo dei limiti occupazionali di cui al secondo comma non incide su norme o istituti che prevedono agevolazioni finanziarie o creditizie.Il giudice con la sentenza di cui al primo comma condanna il datore di lavoro al risarcimento del danno subito dal lavoratore per il licenziamento di cui sia stata accertata l'inefficacia o l'invalidità stabilendo un'indennità commisurata alla retribuzione globale di fatto dal giorno del licenziamento sino a quello dell'effettiva reintegrazione e al versamento dei contributi assistenziali e previdenziali dal momento del licenziamento al momento dell'effettiva reintegrazione; in ogni caso la misura del risarcimento non potrà essere inferiore a cinque mensilità di retribuzione globale di fatto.Fermo restando il diritto al risarcimento del danno così come previsto al quarto comma, al prestatore di lavoro è data la facoltà di chiedere al datore di lavoro in sostituzione della reintegrazione nel posto di lavoro, un'indennità pari a quindici mensilità di retribuzione globale di fatto. Qualora il lavoratore entro trenta giorni dal ricevimento dell'invito del datore di lavoro non abbia ripreso il servizio, né abbia richiesto entro trenta giorni dalla comunicazione del deposito della sentenza il pagamento dell'indennità di cui al presente comma, il rapporto di lavoro si intende risolto allo spirare dei termini predetti.La sentenza pronunciata nel giudizio di cui al primo comma è provvisoriamente esecutiva.Nell'ipotesi di licenziamento dei lavoratori di cui all'articolo 22, su istanza congiunta del lavoratore e del sindacato cui questi aderisce o conferisca mandato, il giudice, in ogni stato e grado del giudizio di merito, può disporre con ordinanza, quando ritenga irrilevanti o insufficienti gli elementi di prova forniti dal datore di lavoro, la reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro.L'ordinanza di cui al comma precedente può essere impugnata con reclamo immediato al giudice medesimo che l'ha pronunciata. Si applicano le disposizioni dell'articolo 178, terzo, quarto, quinto e sesto comma del codice di procedura civile.L'ordinanza può essere revocata con la sentenza che decide la causa.Nell'ipotesi di licenziamento dei lavoratori di cui all'articolo 22, il datore di lavoro che non ottempera alla sentenza di cui al primo comma ovvero all'ordinanza di cui al quarto comma, non impugnata o confermata dal giudice che l'ha pronunciata, è tenuto anche, per ogni giorno di ritardo, al pagamento a favore del Fondo adeguamento pensioni di una somma pari all'importo della retribuzione dovuta al lavoratore.[4] Nel caso in esame, il sig. C. comunicò la propria disponibilità alla immediata ripresa del lavoro dietro chiamata della S.C. s.r.l. con lettera raccomandata del 17.12.2004, allegata agli atti;[5] Ci permettiamo però di ricordare che l'art. 69 non parla di termini in ambito di contratti di lavoro a tempo determinato, ma di "contratto a progetto posto in essere senza l'individuazione di uno specifico progetto, programma di lavoro o fase di esso, ai sensi dell'articolo 61, comma 1", che è cosa un po' diversa, n.d.r.
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