mercoledì 3 marzo 2010

Attribuzioni dell’amministratore. L’esecuzione delle deliberazioni condominiale. La riscossione, anche coattiva, dei contributi. L’attività conservativa delle parti comuni.








di Avv. Azzeccagarbugli




L’amministratore di condominio è il mandatario dei condomini. Come sottolineato dall’art. 1131 c.c., in relazione alle sue attribuzioni, riconosciutegli dalla legge, dal regolamento di condominio o dall’assemblea, egli agisce in nome e per conto dei comproprietari con il fine della gestione e conservazione delle parti comuni dello stabile.






Quali sono le attribuzioni riconosciute dalla legge?






Si occupa di elencarle l’art. 1130 c.c., rubricato per l’appunto (Attribuzioni dell’amministratore) che recita:






“L'amministratore deve:






1) eseguire le deliberazioni dell'assemblea dei condomini e curare l'osservanza del regolamento di condominio;






2) disciplinare l'uso delle cose comuni e la prestazione dei servizi nell'interesse comune, in modo che ne sia assicurato il miglior godimento a tutti i condomini;






3) riscuotere i contributi ed erogare le spese occorrenti per la manutenzione ordinaria delle parti comuni dell'edificio e per l'esercizio dei servizi comuni;






4) compiere gli atti conservativi dei diritti inerenti alle parti comuni dell'edificio.






Egli, alla fine di ciascun anno, deve rendere il conto della sua gestione”.






L’utilizzo del verbo doveresottolinea per l’appunto che quelli riconosciuti dalla legge sono dei veri e propri obblighi cui l’amministratore è tenuto ad adempiere per svolgere correttamente il proprio incarico.






Per fare fronte a queste incombenze, il codice riconosce al legale rappresentante dei condomini una serie di poteri, vale a dire la possibilità di agire attraverso una serie di atti giuridicamente rilevanti per dare seguito al mandato conferitogli.






Vale la pena scorgere in che cosa si sostanzino tali poteri in relazione ai singoli doveri che la legge impone all’amministratore.






Eseguire le deliberazioni dell'assemblea dei condomini e curare l'osservanza del regolamento di condominio






L’esecuzione delle deliberazioni assembleari è il primo dei compiti che spettano ad un amministratore di condominio.






Si pensi, per esempio, a quel caso in cui l’assemblea di condominio deliberi l’esecuzione di alcuni interventi manutentivi; in questo caso l’amministratore sarà tenuto a svolgere tutta quella attività esecutiva finalizzata a dare seguito al deliberato assembleare.






In sostanza il rappresentante dei condomini dovrà: a)contattare la ditta aggiudicataria dei lavori e firmare il contratto d’appalto; b)seguire l’esecuzione dei lavori, se del caso per tramite del direttore dei lavori nominato in sede assembleare, e dare tutte le indicazioni e prescrizioni utili per fare in modo che l’impresa operi nel migliore dei modi, ecc.






Accanto a questa attività, la legge gli impone di far rispettare il regolamento di condominio.






Si supponga che un condomino parcheggi l’autovettura in una zona vietata; l’amministratore dovrà intervenire per fare in modo che cessi l’abuso, se del caso anche attraverso il ricorso all’Autorità Giudiziaria.






Disciplinare l'uso delle cose comuni e la prestazione dei servizi nell'interesse comune, in modo che ne sia assicurato il miglior godimento a tutti i condomini






E’ il caso dell’impianto di riscaldamento centralizzato, per il quale l’assemblea non prende alcuna decisione sulle fasce orarie d’accensione o la vigilanza sul corretto svolgimento dell’incarico da parte della ditta che esegue la pulizia scale, ecc.






E’ naturale, viste le grosse dimensioni che molti studi di amministrazione hanno raggiunto, che questi compiti siano espletati anche grazie alla fattiva collaborazione dei condomini che, sovente, segnalano i problemi in relazione ad alcuni servizi comuni.






Riscuotere i contributi ed erogare le spese occorrenti per la manutenzione ordinaria delle parti comuni dell'edificio e per l'esercizio dei servizi comuni






L’amministratore deve riscuotere i contributi per il normale funzionamento degli impianti comuni e per la regolare erogazione dei servizi comuni (es. utenze quali energia elettrica, acqua potabile, gas,ecc.).






Per fare ciò la legge gli riconosce ampi poteri che spaziano dal semplice sollecito di pagamento, per finire alla possibilità di richiedere un decreto ingiuntivo provvisoriamente esecutivo sulla base dell’ultimo piano di ripartizione approvato (art. 63 disp. att. c.c.).






Compiere gli atti conservativi dei diritti inerenti alle parti comuni dell'edificio






Si tratta sostanzialmente della possibilità di agire in giudizio per la proposizione delle azioni di denuncia di nuova opera o di danno temuto che possano avere ripercussioni negative per le parti comuni. Oltre al potere d’agire in giudizio, si deve riconoscere all’amministratore il potere di porre in essere tutte le azioni collaterali e preparatorie (es. nomina di un consulente di parte per redazione di perizie, ecc.)






Avv. Azzeccagarbugli










Attribuzioni dell’amministratore. L’esecuzione delle deliberazioni condominiale. La riscossione, anche coattiva, dei contributi. L’attività conservativa delle parti comuni.




di Avv. Azzeccagarbugli


L’amministratore di condominio è il mandatario dei condomini. Come sottolineato dall’art. 1131 c.c., in relazione alle sue attribuzioni, riconosciutegli dalla legge, dal regolamento di condominio o dall’assemblea, egli agisce in nome e per conto dei comproprietari con il fine della gestione e conservazione delle parti comuni dello stabile.



Quali sono le attribuzioni riconosciute dalla legge?



Si occupa di elencarle l’art. 1130 c.c., rubricato per l’appunto (Attribuzioni dell’amministratore) che recita:



“L'amministratore deve:



1) eseguire le deliberazioni dell'assemblea dei condomini e curare l'osservanza del regolamento di condominio;



2) disciplinare l'uso delle cose comuni e la prestazione dei servizi nell'interesse comune, in modo che ne sia assicurato il miglior godimento a tutti i condomini;



3) riscuotere i contributi ed erogare le spese occorrenti per la manutenzione ordinaria delle parti comuni dell'edificio e per l'esercizio dei servizi comuni;



4) compiere gli atti conservativi dei diritti inerenti alle parti comuni dell'edificio.



Egli, alla fine di ciascun anno, deve rendere il conto della sua gestione”.



L’utilizzo del verbo doveresottolinea per l’appunto che quelli riconosciuti dalla legge sono dei veri e propri obblighi cui l’amministratore è tenuto ad adempiere per svolgere correttamente il proprio incarico.



Per fare fronte a queste incombenze, il codice riconosce al legale rappresentante dei condomini una serie di poteri, vale a dire la possibilità di agire attraverso una serie di atti giuridicamente rilevanti per dare seguito al mandato conferitogli.



Vale la pena scorgere in che cosa si sostanzino tali poteri in relazione ai singoli doveri che la legge impone all’amministratore.



Eseguire le deliberazioni dell'assemblea dei condomini e curare l'osservanza del regolamento di condominio



L’esecuzione delle deliberazioni assembleari è il primo dei compiti che spettano ad un amministratore di condominio.



Si pensi, per esempio, a quel caso in cui l’assemblea di condominio deliberi l’esecuzione di alcuni interventi manutentivi; in questo caso l’amministratore sarà tenuto a svolgere tutta quella attività esecutiva finalizzata a dare seguito al deliberato assembleare.



In sostanza il rappresentante dei condomini dovrà: a)contattare la ditta aggiudicataria dei lavori e firmare il contratto d’appalto; b)seguire l’esecuzione dei lavori, se del caso per tramite del direttore dei lavori nominato in sede assembleare, e dare tutte le indicazioni e prescrizioni utili per fare in modo che l’impresa operi nel migliore dei modi, ecc.



Accanto a questa attività, la legge gli impone di far rispettare il regolamento di condominio.



Si supponga che un condomino parcheggi l’autovettura in una zona vietata; l’amministratore dovrà intervenire per fare in modo che cessi l’abuso, se del caso anche attraverso il ricorso all’Autorità Giudiziaria.



Disciplinare l'uso delle cose comuni e la prestazione dei servizi nell'interesse comune, in modo che ne sia assicurato il miglior godimento a tutti i condomini



E’ il caso dell’impianto di riscaldamento centralizzato, per il quale l’assemblea non prende alcuna decisione sulle fasce orarie d’accensione o la vigilanza sul corretto svolgimento dell’incarico da parte della ditta che esegue la pulizia scale, ecc.



E’ naturale, viste le grosse dimensioni che molti studi di amministrazione hanno raggiunto, che questi compiti siano espletati anche grazie alla fattiva collaborazione dei condomini che, sovente, segnalano i problemi in relazione ad alcuni servizi comuni.



Riscuotere i contributi ed erogare le spese occorrenti per la manutenzione ordinaria delle parti comuni dell'edificio e per l'esercizio dei servizi comuni



L’amministratore deve riscuotere i contributi per il normale funzionamento degli impianti comuni e per la regolare erogazione dei servizi comuni (es. utenze quali energia elettrica, acqua potabile, gas,ecc.).



Per fare ciò la legge gli riconosce ampi poteri che spaziano dal semplice sollecito di pagamento, per finire alla possibilità di richiedere un decreto ingiuntivo provvisoriamente esecutivo sulla base dell’ultimo piano di ripartizione approvato (art. 63 disp. att. c.c.).



Compiere gli atti conservativi dei diritti inerenti alle parti comuni dell'edificio



Si tratta sostanzialmente della possibilità di agire in giudizio per la proposizione delle azioni di denuncia di nuova opera o di danno temuto che possano avere ripercussioni negative per le parti comuni. Oltre al potere d’agire in giudizio, si deve riconoscere all’amministratore il potere di porre in essere tutte le azioni collaterali e preparatorie (es. nomina di un consulente di parte per redazione di perizie, ecc.)



Avv. Azzeccagarbugli





lunedì 1 marzo 2010

Multe, ammessa l'opposizione al verbale che costa all'automobilista ben 6 punti

Cassazione civile , SS.UU., sentenza 21.10.2009 n° 22235 (Gesuele Bellini)

E’ ammissibile l’opposizione avverso la sanzione accessoria della decurtazione dei punti da parte dell’automobilista multato per aver attraversato col semaforo rosso.

Lo hanno stabilito le Sezioni Unite della Corte di Cassazione nella sentenza 21 ottobre 2009, n. 22235.

La questione ha riguardato un automobilista, multato per essere passato col rosso, senza contestazione immediata dell’infrazione, al quale è stata comminata la sanzione amministrativa del pagamento di una determinata somma e la sanzione accessoria della decurtazione di sei punti sulla patente.

L’interessato ha proposto ricorso per vedersi riconoscere l’annullamento del verbale, ma la sua richiesta è stata rigettata con la conseguenza di essere soggetto per l’infrazione accertata al pagamento della sanzione amministrativa e alla decurtazione dei punti sulla patente.

Proprio quest’ultimo aspetto, tra gli altri, è stato portato all’attenzione della Suprema Corte che ha assegnato la decisione alle Sezioni Unite.

Gli ermellini, al riguardo, hanno innanzitutto richiamato la loro precedente giurisprudenza (Cass., SS.UU., sentenza 29 luglio 2008, n. 20544) secondo cui la decurtazione dei punti, che ha natura di sanzione accessoria, non può essere sottratta al mezzo di opposizione in sede giurisdizionale, poiché ciò risulterebbe privo di ogni ragionevole giustificazione e non compatibile con i principi stabiliti dagli artt. 3 e 24 Costituzione.

Inoltre, addentrandosi nella fattispecie in argomento, le Sezioni Unite hanno ricordato che la Corte Costituzionale (Corte Cost., sentenza 21 gennaio 2005, n. 27) era già intervenuta in merito cancellando la decurtazione dei punti per il proprietario non individuato come responsabile dell’infrazione o per omessa comunicazione da parte di quest’ultimo dell’identità del conducente.

Sulla base di quest’ultima decisione, in attuazione al divieto di applicazione delle norme dichiarate illegittime previsto dall’art. 136 Cost, le Sezioni Unite hanno accolto il ricorso dell’automobilista, cassando la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto.

(Altalex, 17 dicembre 2009. Nota di Gesuele Bellini)

La responsabilità civile della stazione appaltante

Profili processuali e sostanziali

Roma 15 aprile - Cons. Avv. Serafino Ruscica - ACCREDITATE 4 ORESUPREMA CORTE DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE CIVILI

Sentenza 6 - 21 ottobre 2009, n. 22235

(Presidente Carbone - Relatore Bucciante)



Svolgimento del processo



D. L. ha proposto ricorso per cassazione, in base a quattro motivi, contro la sentenza indicata in epigrafe, con la quale è stata respinta l'opposizione che egli aveva proposto avverso il verbale della polizia municipale di Foggia in data 5 ottobre 2004, di accertamento dell'inosservanza del segnale semaforico a luce rossa, avvenuta il 13 aprile 2004 da parte del conducente di un autoveicolo di proprietà dello stesso D. L..

Il Comune di Foggia non ha svolto attività difensive nel giudizio di legittimità.


 
Motivi della decisione



Il Procuratore generale ha contestato l'ammissibilità del ricorso, in considerazione dell'inadeguatezza dei quesiti di diritto che sono stati formulati a conclusione dell'illustrazione di ognuno dei motivi.

L'eccezione non è fondata, poiché la sentenza impugnata è stata depositata in cancelleria il 21 aprile 2005, sicché non è applicabile in questo giudizio l'art. 366 bis c.p.c., che richiede il requisito di cui si tratta soltanto per i ricorsi per cassazione proposti contro provvedimenti pubblicati a decorrere dal 2 marzo 2006 (art. 27 del d.lgs. 2 febbraio 2006, n. 40).

Con il primo motivo di impugnazione D. L. lamenta che il Giudice di pace ha erroneamente ritenuto valido il verbale di accertamento in questione, pur se l'infrazione non era stata contestata immediatamente, a norma degli artt. 200 e 201 del codice della strada e dell'art. 384 del relativo regolamento di esecuzione e di attuazione.

La doglianza va disattesa.

Il ricorrente ha sostenuto che nella specie la contestazione immediata, contrariamente a quanto si legge nel verbale, era senz'altro possibile, come si sarebbe potuto accertare nel giudizio a quo mediante l'audizione degli agenti operanti, da disporre di ufficio. L'assunto non è congruente con l'assorbente ratio decidendi posta a fondamento, sul punto, della sentenza impugnata, con la quale si è rilevato che “la contestazione immediata, per legge, poteva essere omessa”, indipendentemente dalla eventuale sua materiale possibilità, poiché l'attraversamento di un incrocio con il semaforo indicante la luce rossa è uno dei casi in cui la contestazione può comunque avvenire successivamente, per il disposto del comma 1 bis dell'art. 201 del codice della strada, in vigore dal 27 giugno 2003. A questo decisivo rilievo nulla è stato obiettato nel ricorso.

Il secondo e il terzo motivo di impugnazione possono essere presi in esame congiuntamente, poiché attengono entrambi alla determinazione della sanzione pecuniaria: secondo D. L. essa era stata indicata nel verbale in misura ingiustificatamente maggiorata rispetto al minimo edittale, senza la precisazione dei criteri che avrebbero dovuto essere applicati ai sensi dell'art. 195 del codice della strada, sicché si era dato luogo a una indebita deroga alla norma contenuta nell'art. 202 dello stesso codice, che fa riferimento appunto al minimo edittale, ai fini dell'esercizio della facoltà del pagamento in misura ridotta.

Neppure questa censura può essere accolta.

Nel verbale la somma da versare era stata quantificata nell'importo di 137,55 Euro, esattamente corrispondente all'entità minima stabilita, per la violazione contestata a D. L., dal comma 3 dell'art. 146 del codice della strada, nel testo in vigore dal 27 giugno 2003. Sono dunque inconferenti le critiche rivolte dal ricorrente a ciò che il Giudice di pace, superfluamente, ha osservato in via generale a proposito dei poteri che competono all'autorità amministrativa e a quella giudiziaria, nella determinazione delle sanzioni irrogabili per la violazione delle norme in materia di circolazione stradale

Con il quarto motivo di ricorso D. L. si duole del rigetto della sua richiesta di annullamento del verbale, nella parte in cui vi era indicata, come conseguenza dell'infrazione accertata, la decurtazione di sei punti dalla patente di guida del proprietario del veicolo.

È con riguardo a questo motivo di impugnazione che la causa è stata assegnata alle sezioni unite, perché si pronuncino sulla questione, risolta negativamente con alcune sentenze della II sezione, relativa all'ammissibilità di opposizioni proposte ai sensi dell'art. 204 bis del codice della strada, per contestare la legittimità della decurtazione dei punti dalla patente di guida.

Il tema è però precluso in questa sede, poiché il Giudice di pace, prendendo in esame e respingendo nel merito le argomentazioni che sul punto erano state svolte da D. L., ha implicitamente deciso in senso affermativo in ordine alla loro deducibilità: decisione che non può comunque essere sindacata, non avendo formato oggetto di impugnazione da parte del Comune di Foggia.

Peraltro, in proposito le sezioni unite si sono già pronunciate con la sentenza 29 luglio 2008 n. 20544, enunciando il principio - dal quale non vi sarebbe ragione di discostarsi - secondo cui la decurtazione dei punti ha natura di sanzione amministrativa accessoria ed è pertanto anch'essa soggetta al mezzo di impugnazione dell'opposizione in sede giurisdizionale, che nel sistema sanzionatorio del codice della strada ha carattere generale, sicché l'esclusione della sua esperibilità nella materia di cui si tratta sarebbe priva di ogni ragionevole giustificazione e non compatibile con i principi sanciti dagli artt. 3 e 24 della Costituzione.

Il motivo di ricorso in esame è fondato.

Con la sentenza 21 gennaio 2005 n. 27 la Corte costituzionale ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 126 bis del codice della strada, nella parte in cui disponeva che la decurtazione dei punti dalla patente di guida, in caso di mancata individuazione del conducente e di omessa comunicazione della sua identità da parte del proprietario del veicolo, dovesse essere effettuata a carico di quest'ultimo. Pur dando atto di tale pronuncia, il Giudice di pace ha inspiegabilmente ritenuto che anche relativamente alla decurtazione dei punti “il provvedimento impugnato va convalidato”, facendo menzione di una circolare del Ministero dell'interno del 4 febbraio 2005, che invece aveva riconosciuto l'estensione degli effetti della citata sentenza a tutte le procedure ancora in corso:

estensione derivante peraltro dal disposto dell'art. 136 della Costituzione, che impedisce di fare applicazione di norme dichiarate costituzionalmente illegittime.

La sentenza impugnata va pertanto cassata in relazione al motivo accolto.

Non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, si deve decidere nel merito, annullando il verbale oggetto dell'opposizione, nella parte relativa alla decurtazione dei punti dalla patente di guida di D. L..

Stante la decisione adottata, occorre provvedere in questa sede sulle spese dell'intero giudizio, le quali vengono compensate tra le parti, stante la reciproca loro soccombenza.

P.Q.M.

La Corte rigetta i primi tre motivi di ricorso; accoglie il quarto; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto; decidendo nel merito, annulla il verbale oggetto dell'opposizione, nella parte relativa alla decurtazione dei punti dalla patente; compensa tra le parti le spese dell'intero giudizio.
Multe, ammessa l'opposizione al verbale che costa all'automobilista ben 6 punti
Cassazione civile , SS.UU., sentenza 21.10.2009 n° 22235 (Gesuele Bellini)
E’ ammissibile l’opposizione avverso la sanzione accessoria della decurtazione dei punti da parte dell’automobilista multato per aver attraversato col semaforo rosso.
Lo hanno stabilito le Sezioni Unite della Corte di Cassazione nella sentenza 21 ottobre 2009, n. 22235.
La questione ha riguardato un automobilista, multato per essere passato col rosso, senza contestazione immediata dell’infrazione, al quale è stata comminata la sanzione amministrativa del pagamento di una determinata somma e la sanzione accessoria della decurtazione di sei punti sulla patente.
L’interessato ha proposto ricorso per vedersi riconoscere l’annullamento del verbale, ma la sua richiesta è stata rigettata con la conseguenza di essere soggetto per l’infrazione accertata al pagamento della sanzione amministrativa e alla decurtazione dei punti sulla patente.
Proprio quest’ultimo aspetto, tra gli altri, è stato portato all’attenzione della Suprema Corte che ha assegnato la decisione alle Sezioni Unite.
Gli ermellini, al riguardo, hanno innanzitutto richiamato la loro precedente giurisprudenza (Cass., SS.UU., sentenza 29 luglio 2008, n. 20544) secondo cui la decurtazione dei punti, che ha natura di sanzione accessoria, non può essere sottratta al mezzo di opposizione in sede giurisdizionale, poiché ciò risulterebbe privo di ogni ragionevole giustificazione e non compatibile con i principi stabiliti dagli artt. 3 e 24 Costituzione.
Inoltre, addentrandosi nella fattispecie in argomento, le Sezioni Unite hanno ricordato che la Corte Costituzionale (Corte Cost., sentenza 21 gennaio 2005, n. 27) era già intervenuta in merito cancellando la decurtazione dei punti per il proprietario non individuato come responsabile dell’infrazione o per omessa comunicazione da parte di quest’ultimo dell’identità del conducente.
Sulla base di quest’ultima decisione, in attuazione al divieto di applicazione delle norme dichiarate illegittime previsto dall’art. 136 Cost, le Sezioni Unite hanno accolto il ricorso dell’automobilista, cassando la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto.
(Altalex, 17 dicembre 2009. Nota di Gesuele Bellini)
La responsabilità civile della stazione appaltante
Profili processuali e sostanziali
Roma 15 aprile - Cons. Avv. Serafino Ruscica - ACCREDITATE 4 ORESUPREMA CORTE DI CASSAZIONE
SEZIONI UNITE CIVILI
Sentenza 6 - 21 ottobre 2009, n. 22235
(Presidente Carbone - Relatore Bucciante)

Svolgimento del processo

D. L. ha proposto ricorso per cassazione, in base a quattro motivi, contro la sentenza indicata in epigrafe, con la quale è stata respinta l'opposizione che egli aveva proposto avverso il verbale della polizia municipale di Foggia in data 5 ottobre 2004, di accertamento dell'inosservanza del segnale semaforico a luce rossa, avvenuta il 13 aprile 2004 da parte del conducente di un autoveicolo di proprietà dello stesso D. L..
Il Comune di Foggia non ha svolto attività difensive nel giudizio di legittimità.

 
Motivi della decisione

Il Procuratore generale ha contestato l'ammissibilità del ricorso, in considerazione dell'inadeguatezza dei quesiti di diritto che sono stati formulati a conclusione dell'illustrazione di ognuno dei motivi.
L'eccezione non è fondata, poiché la sentenza impugnata è stata depositata in cancelleria il 21 aprile 2005, sicché non è applicabile in questo giudizio l'art. 366 bis c.p.c., che richiede il requisito di cui si tratta soltanto per i ricorsi per cassazione proposti contro provvedimenti pubblicati a decorrere dal 2 marzo 2006 (art. 27 del d.lgs. 2 febbraio 2006, n. 40).
Con il primo motivo di impugnazione D. L. lamenta che il Giudice di pace ha erroneamente ritenuto valido il verbale di accertamento in questione, pur se l'infrazione non era stata contestata immediatamente, a norma degli artt. 200 e 201 del codice della strada e dell'art. 384 del relativo regolamento di esecuzione e di attuazione.
La doglianza va disattesa.
Il ricorrente ha sostenuto che nella specie la contestazione immediata, contrariamente a quanto si legge nel verbale, era senz'altro possibile, come si sarebbe potuto accertare nel giudizio a quo mediante l'audizione degli agenti operanti, da disporre di ufficio. L'assunto non è congruente con l'assorbente ratio decidendi posta a fondamento, sul punto, della sentenza impugnata, con la quale si è rilevato che “la contestazione immediata, per legge, poteva essere omessa”, indipendentemente dalla eventuale sua materiale possibilità, poiché l'attraversamento di un incrocio con il semaforo indicante la luce rossa è uno dei casi in cui la contestazione può comunque avvenire successivamente, per il disposto del comma 1 bis dell'art. 201 del codice della strada, in vigore dal 27 giugno 2003. A questo decisivo rilievo nulla è stato obiettato nel ricorso.
Il secondo e il terzo motivo di impugnazione possono essere presi in esame congiuntamente, poiché attengono entrambi alla determinazione della sanzione pecuniaria: secondo D. L. essa era stata indicata nel verbale in misura ingiustificatamente maggiorata rispetto al minimo edittale, senza la precisazione dei criteri che avrebbero dovuto essere applicati ai sensi dell'art. 195 del codice della strada, sicché si era dato luogo a una indebita deroga alla norma contenuta nell'art. 202 dello stesso codice, che fa riferimento appunto al minimo edittale, ai fini dell'esercizio della facoltà del pagamento in misura ridotta.
Neppure questa censura può essere accolta.
Nel verbale la somma da versare era stata quantificata nell'importo di 137,55 Euro, esattamente corrispondente all'entità minima stabilita, per la violazione contestata a D. L., dal comma 3 dell'art. 146 del codice della strada, nel testo in vigore dal 27 giugno 2003. Sono dunque inconferenti le critiche rivolte dal ricorrente a ciò che il Giudice di pace, superfluamente, ha osservato in via generale a proposito dei poteri che competono all'autorità amministrativa e a quella giudiziaria, nella determinazione delle sanzioni irrogabili per la violazione delle norme in materia di circolazione stradale
Con il quarto motivo di ricorso D. L. si duole del rigetto della sua richiesta di annullamento del verbale, nella parte in cui vi era indicata, come conseguenza dell'infrazione accertata, la decurtazione di sei punti dalla patente di guida del proprietario del veicolo.
È con riguardo a questo motivo di impugnazione che la causa è stata assegnata alle sezioni unite, perché si pronuncino sulla questione, risolta negativamente con alcune sentenze della II sezione, relativa all'ammissibilità di opposizioni proposte ai sensi dell'art. 204 bis del codice della strada, per contestare la legittimità della decurtazione dei punti dalla patente di guida.
Il tema è però precluso in questa sede, poiché il Giudice di pace, prendendo in esame e respingendo nel merito le argomentazioni che sul punto erano state svolte da D. L., ha implicitamente deciso in senso affermativo in ordine alla loro deducibilità: decisione che non può comunque essere sindacata, non avendo formato oggetto di impugnazione da parte del Comune di Foggia.
Peraltro, in proposito le sezioni unite si sono già pronunciate con la sentenza 29 luglio 2008 n. 20544, enunciando il principio - dal quale non vi sarebbe ragione di discostarsi - secondo cui la decurtazione dei punti ha natura di sanzione amministrativa accessoria ed è pertanto anch'essa soggetta al mezzo di impugnazione dell'opposizione in sede giurisdizionale, che nel sistema sanzionatorio del codice della strada ha carattere generale, sicché l'esclusione della sua esperibilità nella materia di cui si tratta sarebbe priva di ogni ragionevole giustificazione e non compatibile con i principi sanciti dagli artt. 3 e 24 della Costituzione.
Il motivo di ricorso in esame è fondato.
Con la sentenza 21 gennaio 2005 n. 27 la Corte costituzionale ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 126 bis del codice della strada, nella parte in cui disponeva che la decurtazione dei punti dalla patente di guida, in caso di mancata individuazione del conducente e di omessa comunicazione della sua identità da parte del proprietario del veicolo, dovesse essere effettuata a carico di quest'ultimo. Pur dando atto di tale pronuncia, il Giudice di pace ha inspiegabilmente ritenuto che anche relativamente alla decurtazione dei punti “il provvedimento impugnato va convalidato”, facendo menzione di una circolare del Ministero dell'interno del 4 febbraio 2005, che invece aveva riconosciuto l'estensione degli effetti della citata sentenza a tutte le procedure ancora in corso:
estensione derivante peraltro dal disposto dell'art. 136 della Costituzione, che impedisce di fare applicazione di norme dichiarate costituzionalmente illegittime.
La sentenza impugnata va pertanto cassata in relazione al motivo accolto.
Non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, si deve decidere nel merito, annullando il verbale oggetto dell'opposizione, nella parte relativa alla decurtazione dei punti dalla patente di guida di D. L..
Stante la decisione adottata, occorre provvedere in questa sede sulle spese dell'intero giudizio, le quali vengono compensate tra le parti, stante la reciproca loro soccombenza.
P.Q.M.
La Corte rigetta i primi tre motivi di ricorso; accoglie il quarto; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto; decidendo nel merito, annulla il verbale oggetto dell'opposizione, nella parte relativa alla decurtazione dei punti dalla patente; compensa tra le parti le spese dell'intero giudizio.

venerdì 26 febbraio 2010

E' legittimo il rifiuto del locatore di accettare la restituzione della cosa locata sino a quando il conduttore non l'abbia rimessa in pristino stato



(02/07/2009)

Cass.Civ., Sez. III, 2 aprile 2009 n. 7992





"Il conduttore ha l'obbligo di restituire la cosa nello stato in cui l'ha ricevuta.





E conclude che, risultando provata la circostanza delle modifiche apportate all'immobile e la mancata remissione in pristino dello stesso, le doglianze a suo tempo formulate sul punto erano senz'altro fondate, in quanto tale situazione di fatto, da un lato legittimava la mancata restituzione del deposito cauzionale; dall'altro doveva portare a ritenere priva di efficacia l'offerta di restituzione dell'immobile effettuata ex art. 1216 c.c., in quanto sarebbe stato cosi' restituito un immobile non rimesso in pristino stato.

La persistenza delle modifiche in discussione costituiva un danno risarcibile, se non altro per il fatto di avere costretto il proprietario a provvedere lui stesso alla rimessione in pristino, con le relative spese.

La tesi del ricorrente e' fondata e trova conferma nella giurisprudenza di questa Corte che considera legittimo il rifiuto del locatore, ai sensi degli art. 1176 e 1218 c.c., di accettare la restituzione della cosa locata sino a quando il conduttore non l'abbia rimessa in pristino stato, rendendosi altrimenti inadempiente all'obbligazione di cui all'art. 1590 c.c.."
E' legittimo il rifiuto del locatore di accettare la restituzione della cosa locata sino a quando il conduttore non l'abbia rimessa in pristino stato

(02/07/2009)
Cass.Civ., Sez. III, 2 aprile 2009 n. 7992


"Il conduttore ha l'obbligo di restituire la cosa nello stato in cui l'ha ricevuta.


E conclude che, risultando provata la circostanza delle modifiche apportate all'immobile e la mancata remissione in pristino dello stesso, le doglianze a suo tempo formulate sul punto erano senz'altro fondate, in quanto tale situazione di fatto, da un lato legittimava la mancata restituzione del deposito cauzionale; dall'altro doveva portare a ritenere priva di efficacia l'offerta di restituzione dell'immobile effettuata ex art. 1216 c.c., in quanto sarebbe stato cosi' restituito un immobile non rimesso in pristino stato.
La persistenza delle modifiche in discussione costituiva un danno risarcibile, se non altro per il fatto di avere costretto il proprietario a provvedere lui stesso alla rimessione in pristino, con le relative spese.
La tesi del ricorrente e' fondata e trova conferma nella giurisprudenza di questa Corte che considera legittimo il rifiuto del locatore, ai sensi degli art. 1176 e 1218 c.c., di accettare la restituzione della cosa locata sino a quando il conduttore non l'abbia rimessa in pristino stato, rendendosi altrimenti inadempiente all'obbligazione di cui all'art. 1590 c.c.."

mercoledì 24 febbraio 2010

Difesa personale della parte, spese liquidate e ritenuta di acconto

PROPRIETA’. Azione di nunciazione. La violazione delle norme edilizie costituisce illecito civile ai sensi dell’art.872 c.c., sanzionato con la condanna al risarcimento dei danni causati. Sussiste il diritto a chiedere la riduzione in pristino, art.957 c.c. – le norme del piano regolatore non tendono soltanto a realizzare il pubblico interesse di un ordinato assetto urbanistico ma sono integrative dell’art.873 c.c. , disciplinano anche i rapporti intersoggettivi di vicinato e i limiti legali della proprietà, art.872 – la concessione edilizia non può autorizzare comportamenti lesivi dell’altrui diritto di proprietà - sussiste la giurisdizione del G.O. quando non si tratta di atti amministrativi o di potestà pubbliche – gli edifici insistenti in zone urbanisticamente non omogenee sono soggetti a due diversi regimi di distanze costruttive – ai fini della proponibilità dell’azione l’opera si considera terminata quando l’intero edificio è completato – la concessione in sanatoria mentre rileva per le conseguenze penali e amministrative, non rileva per quelle civili – il piano seminterrato dell’edificio non totalmente interrato è tenuto al rispetto delle distanze di costruzione la violazione della volumetria non consente la demolizione dell’opera ma solo il risarcimento del danno – la distanza di rispetto dalle strade pubbliche non rientra nelle distanze tra edifici o confini alieni tutelate dall’art.873 c.c. . [Tribunale di Nola, ordinanza del 19.02.04]






_________________________________________________________________














TRIBUNALE DI NOLA






seconda sezione civile






Il Giudice Delegato






nel giudizio N.4362/02 R.G. contenzioso civile, ha emesso la seguente














ORDINANZA


Sciolta la riserva disposta all'udienza del 15.1.04, osserva quanto segue.






La ricorrente è proprietaria di un immobile sito in Palma Campania, Via Xxxx ed afferma che su un fondo finitimo i resistenti hanno iniziato la costruzione di un fabbricato urbanisticamente illegittimo sia perché difforme dalla C.E. ottenuta, sia perché tale C.E. ha assentito una volumetria superiore a quella consentita dal R.E., sia perché il fabbricato non rispetta le distanze di costruzione previste dal R.E..






Chiedono, pertanto, la sospensione dei lavori di costruzione del medesimo.






Ciò premesso si osserva che il ctu ha rilevato quanto segue.






L’immobile della ricorrente, costituito da un piano terra ed un piano primo, si trova in zona classificata come D2 (artigianale) nel vigente R.E. comunale.






Tale immobile è stato oggetto di vari atti concessori ed in sanatoria ed è da considerarsi, in sostanza, urbanisticamente regolare.






Il R.E. prevede che in zona D2 debba rispettarsi la distanza di costruzione prevista dalla tabella generale.






Tale distanza è pari alla metà dell’altezza del fabbricato dal confine, salva la possibilità di costruire sul confine o in aderenza.






Il fabbricato in questione è alto m 11,25, pertanto dovrebbe distare dal confine m 5,625.






Esso si trova, invece, ad una distanza dal confine col fondo dei resistenti variabile tra m 4,90 e m 5,00.






L’immobile dei resistenti è costituito da un piano seminterrato destinato a deposito ed autorimessa, un piano terra destinato a strutture produttive, un piano primo destinato ad abitazione ed un sottotetto avente caratteristiche di abitabilità.






Dell’immobile risultano completate le sole strutture e tompagnature.






Esso si trova in zona classificata come E (agricola) nel vigente R.E. comunale.






L’edificio è oggetto della C.E. n. 133/02.






Per quanto riguarda la sua regolarità urbanistica l’immobile, allo stato, risulta grosso modo conforme alla C.E..






La C.E., invece, risulta illegittima in quanto assente una cubatura superiore a quella consentita dal R.E. (3.773 mc anziché 2.137); inoltre sono stati destinati a residenza mc 500 laddove ne erano assentibili mc 165 non avendo il resistente dimostrato le proprie necessità abitative quale imprenditore agricolo e non potendo, quindi, operare l’accorpamento dei volumi insistenti su comuni limitrofi.






Per quanto riguarda le distanze di costruzione il R.E. prevede che in zona E debba essere rispettata la distanza dal confine pari a metà dell’altezza del fabbricato con un minimo di m 5,00 per la parte residenziale e di m 20,00 per la parte produttiva.






L’immobile è ubicato alla distanza di m 10,20 dal confine ed è alto m 7,30.






La distanza da rispettare è, quindi, di m 20,00 per la parte produttiva e di m 5,00 per quella abitativa mentre la parte seminterrata non è soggetta al rispetto di distanze.






I resistenti eccepiscono quanto segue:






1. il difetto di giurisdizione del giudice adito in quanto ai sensi dell’art. 34 d.lgs. 31 marzo 1998 n. 80, modificato dall’art. 7 l. 21 luglio 2000 n. 205, sono devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo tutte le controversie aventi per oggetto i provvedimenti della pubblica amministrazione in materia di edilizia e, nella fattispecie, si controverte proprio della validità di una concessione edilizia;






2. gli edifici in questione insistono su zone di terreno urbanisticamente non omogenee, pertanto non possono applicarsi le distanze previste dal R.E. ma, in assenza di una disposizione specifica del R.E. suddetto, deve applicarsi in via suppletiva l’art. 41 quinquies l. 1150/42, norma che prevede la distanza minima di m 10,00 tra edifici confinanti;






3. il piano seminterrato ed il piano terraneo dell’edificio erano già completati al momento della proposizione del ricorso, pertanto l’azione proposta è inammissibile;






4. l’art. 32 comma 25 d.l. 269/03 consente la sanatoria di opere abusive ultimate entro il 31.3.03 mentre l’art. 44 d.l. cit. dispone la sospensione dei procedimenti giurisdizionali in corso in relazione a tali opere sino alla data di scadenza per la presentazione delle domande di condono, 31.3.04.






Pertanto i resistenti chiedevano il rigetto della domanda o, in subordine, la sospensione del procedimento.






La ricorrente, a sua volta contestava le conclusioni del ctu dai seguenti punti di vista:






5. il piano seminterrato dell’edificio dei resistenti è tenuto al rispetto delle distanze trattandosi di piano non totalmente interrato;






6. l’accorpamento di fondi non contigui, operato ai fini del rilascio della concessione in esame, è consentito al solo fine di soddisfare le necessità abitative dell’imprenditore agricolo e non anche per fini produttivi, pertanto la cubatura realizzabile è ancora minore;






7. l’edificio in questione non rispetta neppure la distanza di m 30,00 dalla confinante strada provinciale Via Xxxx prevista dal Codice della Strada.






Tutto ciò premesso quanto al punto 1. si osserva che la violazione delle norme edilizie costituisce illecito civile ai sensi dell’art. 872 cc. sanzionato con la condanna al risarcimento dei danni causati.






Inoltre, all’art. 873, il codice civile riconosce un vero e proprio diritto soggettivo al rispetto delle distanze di costruzione la cui violazione è sanzionata col diritto a chiedere la riduzione in pristino.






Tali facoltà sono estrinsecazione della pienezza del diritto di proprietà, la cui integrità è lesa anche da comportamenti che riducano il valore commerciale del bene in proprietà.






Infatti le norme del piano regolatore non tendono soltanto a realizzare il pubblico interesse di un ordinato assetto urbanistico ma sono integrative dell'art. 873 c.c.; pertanto disciplinano anche i rapporti intersoggettivi di vicinato nonché, in virtù del rinvio stabilito dall'art. 872 del c.c., i limiti legali della proprietà.






Tra i limiti suddetti si annoverano le norme che stabiliscono una determinata distanza delle costruzioni tra i contrapposti edifici o dal confine del fondo.






Pertanto la classificazione di un terreno in una determinata zona del piano regolatore, oltre ad imprimere al terreno stesso determinate caratteristiche di edificabilità, influisce sui rapporti di vicinato facendo sorgere diritti ed obblighi reciproci nei confronti dei proprietari limitrofi.






Ne consegue che la concessione edilizia non può autorizzare comportamenti lesivi dell’altrui diritto di proprietà poiché si tradurrebbe, altrimenti, in un atto espropriativo.






La sua sussistenza e regolarità sono, quindi, irrilevanti nelle cause inerenti ai rapporti di vicinato in quanto il proprietario confinante è titolare di un autonomo diritto soggettivo al rispetto delle norme urbanistiche che non può essere leso dal provvedimento concessorio.






Al riguardo la Suprema Corte è chiara; citiamo, tra le tante, Cassazione civile, sez. II, 30 luglio 1984 n. 4519 secondo cui Il carattere di norma integrativa rispetto alla disciplina dettata dal codice civile ad una norma del piano regolatore non deriva dall'inderogabilità della stessa, ma dallo scopo della norma regolamentare, con la conseguenza che la stessa è integrativa se è dettata nelle materie disciplinate dagli art. 873 ss. c.c. e tende a completare, rafforzare e armonizzare col pubblico interesse di un ordinato assetto urbanistico la disciplina dei rapporti intersoggettivi di vicinato; mentre non è integrativa se ha come scopo principale la tutela di interessi generali urbanistici, quali la limitazione del volume, dell'altezza, della densità degli edifici, le esigenze dell'igiene e della viabilità, la conservazione dell'ambiente etc. Appartengono pertanto alle norme integrative del codice civile, che, se violate, conferiscono al vicino la facoltà di ottenere la riduzione in pristino, le disposizioni del piano regolatore che stabiliscono una determinata distanza delle costruzioni dal confine del fondo, anziché fra i contrapposti edifici, pur ammettendo la possibilità di costruzione in aderenza sull'accordo delle parti (da tradurre in atto notarile con intervento del comune), trattandosi di disposizioni che tendono a disciplinare i rapporti di vicinato e ad assicurare in modo equo l'utilizzazione edilizia dei suoli privati.






Sussiste, pertanto, la giurisdizione del giudice ordinario per la causa in esame non riguardando la suddetta, in realtà, atti amministrativi o potestà pubbliche.






Quanto al punto 2. si osserva che gli edifici in questione insistono su zone di terreno urbanisticamente non omogenee e, pertanto, sono soggetti a due diversi regimi di distanze costruttive.






La ricorrente afferma che i resistenti sono tenuti a rispettare le distanze previste per la zona su cui insiste il loro immobile.






I resistenti affermano che la mancanza di una previsione specifica costituisce una lacuna del R.E. che va colmata con il ricorso alle norme suppletive della cd. legge – ponte.






Tale ultimo assunto non è accoglibile perché il R.E. ha compiutamente regolato i criteri costruttivi da seguire in tutto il territorio comunale, fornendo un’adeguata pianificazione urbanistica della zona; pertanto non può parlarsi di lacune ma si porrà soltanto un problema di coordinamento interpretativo delle norme in questione.






Occorre, pertanto, coordinare le normative previste in tema di distanze per le diverse zone su cui insistono i fabbricati finitimi.






La ricorrente cita Cassazione civile, sez. II, 30 luglio 1984 n. 4519 la quale enuncia che in ogni zona del piano regolatore vanno rispettate le norme dettate per ciascuna di esse e pertanto, afferma la ricorrente, ogni edificio deve rispettare le distanze previste per la zona di terreno su cui insiste.






In realtà la sentenza citata non si attaglia precisamente alla fattispecie in questione poiché riguarda il caso in cui un fondo si estenda in più zone omogenee; in tal caso, afferma la Suprema Corte, si dovrà tener conto della zona in cui ricade il confine tra i fondi dei litiganti.






Nella fattispecie, invece, il confine ricade proprio sulla linea di demarcazione tra i due fondi.






Tuttavia la sentenza citata esprime la seguente regola di giudizio: Per stabilire quale sia la distanza applicabile nei singoli casi, occorre fare riferimento alla zona in cui è situato il confine fra i due fondi, in modo da valutare con lo stesso criterio le limitazioni imposte ai due proprietari, mentre non ha rilevanza il fatto che uno dei terreni o degli edifici si estenda in altra zona del piano regolatore, sottoposta a diversa disciplina, dal momento che in ogni zona del piano regolatore vanno rispettate le norme dettate per ciascuna di esse, senza alcuna possibilità di applicare il criterio di prevalenza che si risolve in danno del proprietario confinante allorché il terreno sia compreso in più zone.






Se tale regola è corretta ne consegue che non dovrà utilizzarsi il criterio della prevalenza, che potrebbe portare a conseguenze inique per il proprietario di uno dei due fondi limitrofi, bensì quello della reciprocità, per cui ogni proprietario avrà il diritto di pretendere che il vicino rispetti, nell'esercizio della facoltà di edificare, le norme edilizie disciplinanti l'area di propria appartenenza.






Pertanto l’edificio dei resistenti dovrà rispettare le distanze di costruzione previste per la zona su cui insiste.






Quanto al punto 3. si osserva che l’intero edificio deve essere completato perché il ricorrente sia decaduto dall’azione.






In ogni caso dei piani seminterrato e terraneo dell’edificio sono state realizzate le sole strutture e tompagnature, laddove perché l’opera sia terminata è necessario che essa sia ad uno stadio tale da poter essere utilizzata.






Quanto al punto 4. si osserva che la sospensione dei procedimenti giurisdizionali in corso disposta dall’art. 44 comma 25 d.l. 269/03 non si applica alle cause civili.






La concessione in sanatoria ottenibile in base alla legge citata, infatti, elimina le conseguenze penali ed amministrative dell’illecito commesso ma non quelle civili poiché, come abbiamo visto, il rispetto della normativa urbanistica da parte dei proprietari confinanti costituisce un diritto soggettivo del proprietario del fondo finitimo che non può venir limitato da atti amministrativi non aventi carattere ablatorio.






Pertanto è evidente che la norma in esame non può riferirsi a controversie relative a diritti sui quali la sanatoria non incide.






Quanto al punto 5. si osserva che, effettivamente, il piano seminterrato dell’edificio dei resistenti non è totalmente interrato e, pertanto, è tenuto al rispetto delle distanze di costruzione come affermato da Cassazione civile sez. II, 5 gennaio 2000, n. 45 che recita Ai fini dell'osservanza delle distanze legali nelle costruzioni, prescritte dall'art. 873 c.c. e dalle norme di questo integrative, alla nozione di "costruzione" deve essere ricondotto, avuto riguardo alle finalità della disciplina di regolare i rapporti intersoggettivi di vicinato assicurando in modo equo l'utilizzazione dei fondi limitrofi, qualsiasi manufatto non completamente interrato avente i requisiti della solidità e della immobilizzazione al suolo anche mediante appoggio, incorporazione o collegamento fisso ad una preesistente fabbrica.






Quanto al punto 6. si osserva che la questione della legittimità della volumetria realizzata è irrilevante in questa sede in quanto la violazione di norme urbanistiche che non siano integrative del codice civile in tema di distanze non legittima la proposizione delle azioni di nunciazione poiché non consente la demolizione dell’opera ma solo il risarcimento dei danni.






Quanto al punto 7. si osserva che i ricorrenti non sono legittimati a proporre tale doglianza in quanto la distanza di rispetto da strade pubbliche non rientra nelle distanze tra edifici o confini alieni tutelate dall’art. 873 cc.






In conclusione, considerato tutto quanto sopra esposto e ritenute condivisibili le conclusioni raggiunte dal ctu nei limiti indicati, la costruzione dei resistenti viola le distanze previste dal R.E. in quanto si trova a m 10,00 circa dal confine laddove il piano interrato ed il primo piano dovrebbero trovarsi a m 20,00.






Il ricorso va quindi accolto.






Spese al definitivo.














P.Q.M.






1. ordina ai resistenti di sospendere i lavori di costruzione dell’edificio in questione;






2. fissa il termine di giorni 30 dalla comunicazione del presente provvedimento per l’inizio del giudizio di merito;






3. nulla per le spese;






4. manda alla Cancelleria di darne avviso alle parti costituite.






Nola, 19.2.04






Il Giudice Delegato






dott. Ciro Caccaviello










_________________________________________________

Decreto flussi: le istruzioni per le domande di nulla osta per il lavoro in somministrazione

Le agenzie per il lavoro possono fare domanda di nulla osta per l’ingresso di lavoratori non comunitari per motivi di lavoro in somministraz...