giovedì 27 agosto 2009

Danno Morale e Danno Biologico: autonomia delle voci di danno anche dopo le SS. UU.

Danno morale e danno biologico: autonomia delle voci di danno anche dopo le S.U.
Articolo di Domenico Chindemi 13.07.2009

In controtendenza con le sentenze delle Sezioni Unite del novembre 2008 (Cass. civile S.U., 11.11.2008, n. 26972-26975) la Suprema Corte afferma l’autonomia del danno morale rispetto al danno biologico in una fattispecie di danno non patrimoniale da grave lesione del rapporto parentale, in quanto ontologicamente diverso dal danno morale soggettivo contingente che è stato riconosciuto a favore dei congiunti.

L’importanza della sentenza, in contrasto con l’orientamento delle Sezioni Unite, peraltro già evidenziato da giurisprudenza di merito successiva alle SS.UU., si segnala per l’affermata differenza concettuale tra il danno morale e il danno biologico, insufficiente, nella definizione normativa del codice delle assicurazioni, a ricomprendere anche il pregiudizio morale che va, comunque, risarcito, anche autonomamente, in virtù del principio dell’integrale risarcimento del danno alla persona, principio affermato anche dalle Sezioni Unite e che , nell’ottica della sentenza in commento, , prevale sulle esemplificazioni risarcitoria delle voci di danno non patrimoniale operate dalle Sentenze delle Sezioni Unite con l’accorpamento delle ritenute sottovoci del danno morale e esistenziale all’interno del danno biologico.

Vi è, quindi, spazio per un nuovo intervento delle Sezioni Unite per un a chiarificazione in ordine al ritenuto contrasto tra l’orientamento emerso con le sentenze del novembre 2008 e la definizione normativa di danno biologica che, essendo prevista dalle legge, non può essere modificata o interpretata dalle Sezioni Unite in maniera non conforme alla normativa.



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Danno morale e danno biologico: autonomia delle voci di danno anche dopo le S.U del novembre 2008

di Domenico Chindemi

RISARCIMENTO DEL DANNO - PATRIMONIALE E NON PATRIMONIALE (DANNO MORALI) - Danno morale - Autonomia dal danno biologico - Sussistenza

Nella valutazione del danno morale contestuale alla lesione del diritto della salute, la valutazione di tale voce, dotata di logica autonomia in relazione alla diversità del bene protetto, che pure attiene ad un diritto inviolabile della persona deve tener conto delle condizioni soggettive della persona umana e della gravità del fatto, senza che possa considerarsi il valore della integrità morale una quota minore del danno alla salute. Cass. civ. 12 dicembre 2008, n. 29191.

Riferimenti normativi: Cod. Civ. art. 2043

Cod. Civ. art. 2056

Cod. Civ. art. 2059

Precedenti: conformi: Cass. 6 giugno 2008, n. 15029; Cass 6/07/2006, n. 15358; Cass. 12/05/2006, n. 11039, Difformi: Cass, SS.UU., 11.11.2008, n. 26972-26975

Danno morale: alla morte segue la resurrezione.

Sommario: 1) Autonomia del danno morale rispetto al danno biologico; 2) Criteri risarcitori del danno morale e relativa prova.

1. Autonomia del danno morale rispetto al danno biologico

La sentenza, in controtendenza con le pronunce delle S.U., 11.11.2008, n. 26972-26975, afferma l’autonomia del danno biologico rispetto al danno morale.1

Si rileva, coerentemente e logicamente,anche se implicitamente, che il danno non patrimoniale da grave lesione del rapporto parentale, in quanto ontologicamente diverso dal danno morale soggettivo contingente, può essere riconosciuto a favore dei congiunti unitamente a quest'ultimo, senza che possa ravvisarsi una duplicazione di risarcimento.2

Va rilevato che non trattasi dell’unica sentenza in controtendenza in relazione al principio dell’unitaria liquidazione del danno non patrimoniale, in quanto si è già sostenuto, dopo le pronunce delle SS.UU., che, costituendo nel contempo funzione e limite del risarcimento del danno alla persona, unitariamente considerata, la riparazione del pregiudizio effettivamente subito, il giudice di merito, nel caso di attribuzione, quale autonoma voce del danno morale soggettivo, disgiunto dal pregiudizio esistenziale, ove ritenuto anche sussistenzte dovrà considerare, la più limitata funzione di ristoro della sofferenza contingente che gli va riconosciuta, poiché, diversamente, sarebbe concreto il rischio di duplicazione del risarcimento.

In altri termini, dovrà il giudice assicurare che sia raggiunto un giusto equilibrio tra le varie voci che concorrono a determinare il complessivo risarcimento. 3

Il danno morale è costituito dalla sofferenza soggettiva cagionata dal reato, ove ritenuto sussistente, in sé considerata. Sofferenza la cui intensità e durata nel tempo non assumono rilevanza ai fini della esistenza del danno, ma solo della quantificazione del risarcimento.

Precisano le SS.UU che nell'ipotesi in cui il fatto illecito si configuri (anche solo astrattamente: S.U. n. 6651/1982) come reato, è risarcibile il danno non patrimoniale, sofferto dalla persona offesa e dagli ulteriori eventuali danneggiati (nel caso di illecito plurioffensivo: sent. n. 4186/1998; S.u. n. 9556/2002), nella sua più ampia accezione di danno determinato dalla lesione di interessi inerenti la persona non connotati da rilevanza economica.4

La selezione degli interessi, come chiaramente specificato dalle citate SS.UU., avviene a livello normativo, negli specifici casi determinati dalla legge, o in via di interpretazione da parte del giudice, chiamato ad individuare la sussistenza, alla stregua della Costituzione, di uno specifico diritto inviolabile della persona necessariamente presidiato dalla minima tutela risarcitoria.

Tuttavia va specificato che il danno morale non è solo dolore e sofferenza.

La Costituzione. Europea colloca il danno morale sotto il valore universale della dignità umana (art. II-61) dotata di inviolabilità e garanzia giurisdizionale e risarcitoria piena (art.II-107);5 La Cassazione lo ricollega alla integrità morale della persona, “integrità” che esprime la centralità dell’uomo nell’ordine Costituzionale italiano ed europeo.6

Viene affermata la risarcibilità del danno “morale”, quale autonoma voce di danno non patrimoniale, in favore dei genitori di un neonato rimasto paraplegico, a causa di un errore medico, in forza della interpretazione costituzionalmente orientata dell'art. 2059 c.c..

Le Sezioni Unite, nelle sentenze citate, hanno negato valenza autonoma al danno morale, relegandolo al rango di sottocategoria, all’interno del danno non patrimoniale, ben specificando che la limitazione alla tradizionale figura del ed. danno morale soggettivo transeunte va definitivamente superata. La figura, recepita per lungo tempo dalla pratica giurisprudenziale, aveva fondamento normativo assai dubbio, poiché né l'art. 2059 c.c. né l'art. 185 c.p. parlano di danno morale, e tantomeno lo dicono rilevante solo se sia transitorio, ed era carente anche sul piano della adeguatezza della tutela, poiché la sofferenza morale cagionata dal reato non è necessariamente transeunte, ben potendo l'effetto penoso protrarsi anche per lungo tempo (lo riconosceva quella giurisprudenza che, nel caso di morte del soggetto danneggiato nel corso del processo, commisurava il risarcimento sia del danno biologico che di quello morale, postulandone la permanenza. al tempo di vita effettiva: n. 19057/2003; n. 3806/2004; n. 21683/2005).

Va conseguentemente affermato che, nell'ambito della categoria generale del danno non patrimoniale, la formula "danno morale" non individua una autonoma sottocategoria di danno, ma descrive, tra i vari possibili pregiudizi non patrimoniali, un tipo di pregiudizio, costituito dalla sofferenza soggettiva cagionata dal reato in sé considerata. Sofferenza la cui intensità e durata nel tempo non assumono rilevanza ai fini della esistenza del danno, ma solo della quantificazione del risarcimento.7

Senza apparenti tentennamenti le Sezioni unite affermano che la congiunta attribuzione del danno biologico e del danno morale determina duplicazione di risarcimento.

Definitivamente accantonata la figura del ed. danno morale soggettivo, la sofferenza morale, senza ulteriori connotazioni in termini di durata, integra pregiudizio non patrimoniale. Deve tuttavia trattarsi di sofferenza soggettiva in sé considerata, non come componente di più complesso pregiudizio non patrimoniale. Ricorre il primo caso ove sia allegato il turbamento dell'animo, il dolore intimo sofferti, ad esempio, dalla persona diffamata o lesa nella identità personale, senza lamentare degenerazioni patologiche della sofferenza. Ove siano dedotte siffatte conseguenze, si rientra nell'area del danno biologico, del quale ogni sofferenza, fisica o psichica, per sua natura intrinseca costituisce componente.

Determina quindi duplicazione di risarcimento la congiunta attribuzione del danno biologico e del danno morale nei suindicati termini inteso, sovente liquidato in percentuale (da un terzo alla metà) del primo. Esclusa la praticabilità di tale operazione, dovrà il giudice, qualora si avvalga delle note tabelle, procedere ad adeguata personalizzazione della liquidazione del danno biologico, valutando nella loro effettiva consistenza le sofferenze fisiche e psichiche patite dal soggetto leso, onde pervenire al ristoro del danno nella sua interezza. Egualmente determina duplicazione di risarcimento la congiunta attribuzione del danno morale, nella sua rinnovata configurazione, e del danno da perdita del rapporto parentale, poiché la sofferenza patita nel momento in cui la perdita è percepita e quella che accompagna l'esistenza del soggetto che l'ha subita altro non sono che componenti del complesso pregiudizio, che va integralmente ed unitariamente ristorato.8

Occorre, quindi, ai fini dell’integrale risarcimento del danno alla persona, la adeguata personalizzazione della liquidazione del danno biologico, valutando nella loro effettiva consistenza le sofferenze fisiche e psichiche patite dal soggetto leso, onde pervenire al ristoro del danno nella sua interezza.

In tale ottica, peraltro disattesa dalla sentenza in commento, il danno morale, così il danno esistenziale sono una sottocategoria con valenza meramente descrittiva, in quanto, rilevano le SS.UU., né l'art. 2059 c.c. né l'art. 185 c.p. parlano di danno morale, e tantomeno lo dicono rilevante solo se sia transitorio rilevando come la limitazione alla tradizionale figura del ed. danno morale soggettivo transeunte vada definitivamente superata.

La sentenza in rassegna, pur indicando quale precedente a cui far riferimento anche Cass.,SS.UU., 11.11.2008, n. 26972, in realtà se ne discosta, anche se con riferimento a principi internazionali che tutelano la integrità morale della persona, specificamente individuati nell’art. art. 2 della Costituzione in relazione allo art. 1 della Carta di Nizza, che il Trattato di Lisbona, ratificato dall'Italia con legge 2 agosto 2008, n. 190, collocando la Dignità umana come la massima espressione della sua integrità morale e biologica.

Il principio espresso dalla pronuncia in commento afferma, senza equivoci, due importanti principi: 1) autonomia del danno morale, quale autonoma voce di danno, dotata di logica autonomia in relazione alla diversità del bene protetto, che pure attiene ad un diritto inviolabile della persona,2) non subordinazione al danno biologico del danno morale, affermando che, nella liquidazione del danno morale si deve tener conto delle condizioni soggettive della persona umana e della gravità del fatto, senza che possa considerarsi il valore della integrità morale una quota minore del danno alla salute.

Si tratta di un ritorno all’antico (pre Sezioni Unite del novembre 2008) con l’aggiunta della autonomia ontologica del danno morale rispetto al danno alla salute, non necessariamente ancorato ad una percentuale del danno biologico.

La sentenza ricalca un recente precedente specifico della Suprema Corte, antecedente, tuttavia, alle pronunce delle Sezioni Unite, in cui si affermava il medesimo principio e cioè “Il danno morale, in relazione alla rilevante entità della lesione, conserva un'autonomia antologica di valutazione e pertanto non può essere liquidato pro quota in relazione al danno biologico in quanto la costituzione italiana non stabilisce il minor valore del danno morale rispetto alla valutazione del danno alla salute” 9

Quindi, il danno morale ritorna da sottovoce di danno non patrimoniale, non dotata di autonomia, in base alla sentenza delle SS.UU., alla sua originaria posizione di autonomia rispetto al danno biologico.

Come giustificare tale apparente antinomia?

Anzitutto le sentenze delle Sezioni unite possono indirizzare ad una interpretazione del sistema risarcitoria a condizione che non sia in contrasto con la legge.

Orbene, se si considera la nozione di danno biologico del codice delle assicurazioni (artt. 138 e 139, d.lgs. n. 209/2005) in base alla quale, si qualifica il danno biologico nella "lesione temporanea o permanente all'integrità psicofisica della persona suscettibile di accertamento medico-legale che esplica un'incidenza negativa sulle attività quotidiane e sugli aspetti dinamico-relazionali della vita del danneggiato, indipendentemente da eventuali ripercussioni sulla sua capacità di reddito", si evince chiaramente, sia dalla stessa definizione, sia dai lavori preparatori alla legge, sia dalla costante interpretazione della giurisprudenza, che le tabelle delle micropermanenti non contengono alcun riferimento al danno o pregiudizio morale che, pertanto, deve ritenersi autonomamente liquidabile in forza del principio generale, affermato dalle stesse Sezioni Unite, della integrale risarcibilità del danno alla persona, a meno che non si voglia ritenere (ma è una interpretazione aberrante e incostituzionale), abrogando implicitamente l’art. 185 c.p., così come interpretato da una giurisprudenza decennale, che il danno non patrimoniale, conseguenza di sinistro stradale, non comprenda il pregiudizio morale.

La diversità ontologica e l’autonomia del danno morale dal danno biologico vengono affermatae dalla Cassazione con riferimento alla nostra carta costituzionale che tutela la integrità morale (art.2 della Costituzione) e anche in base a principi sopranazionali espressamente individuati, nell’ art. l della Carta di Nizza e nel Trattato di Lisbona, ratificato dall'Italia con legge 2 agosto 2008, n. 190, collocando la dignità umana come la massima espressione della sua integrità morale e biologica

La Sentenza delle Sezione Unite va, quindi, interpretata, individuando i principi generale (tra cui l’integrale risarcimento del danno, l’unicità dell’illecito sia patrimoniale che non patrimoniale), prestando attenzione ai pericoli di duplicazione risarcitoria paventati dalla Corte, e distinguendoli dai corollari che attengono alle modalità di risarcimento, anch’ esse individuate dalla S.C., ma subordinati, logicamente, alla osservanza dei principi generali.

Nell'ipotesi in cui il fatto illecito si configuri (anche solo astrattamente: S.u. n. 6651/1982) come reato- affermano le Sezioni Unite- è risarcibile il danno non patrimoniale, sofferto dalla persona offesa e dagli ulteriori eventuali danneggiati (nel caso di illecito plurioffensivo: sent. n. 4186/1998; S.u. n. 9556/2002), nella sua più ampia accezione di danno determinato dalla lesione di interessi inerenti la persona non connotati da rilevanza economica.

Un giudice illuminato ed attento privilegia e cerca di ottemperare alla svolta di civiltà giuridica che le SS.UU, hanno indicato con i principi generali affermati nella sentenza, questi si ineludibili, mentre la esemplificazione risarcitoria costituisce solamente un momento della attuazione di tali principi generali che possono essere osservati dal giudice, così come ha fatto la stessa Cassazione, anche mediante una autonomia concettuale tra le varie voci di danno, se tale distinzione è sottesa al perseguimento del principio generale dell’integralità del risarcimento, in base ad una autonomia concettuale delle voci di danno che si ravvisa nella stessa sentenza della Corte Costituzionale n. 233 del 11.7.2003, non soggetta al vincolo delle Sezioni Unite e confortata anche dalle stesse sentenze gemelle del 2003 (n. 8827-8828) che hanno affermato, tra l’altro, autonomia del danno biologico rispetto al danno morale.

Se il legislatore avesse ottemperato al suo compito elaborando anche la tabella risarcitoria delle macropermanenti non vi sarebbe spazio per una autonomia risarcitoria del giudice, quantomeno per quanto riguarda i sinistri compresi nel codice delle assicurazione, e ben potrebbe, in attuazione del principio sopra indicato, liquidare autonomamnente il danno morale, ove il risarcimento del danno biologico non comprenda tale pregiudizio, non ricopreso nella definizione di danno biologico, ma ontologicamente esistente in natura, venendo meno, altrimenti, la suo ruolo di determinare l’equo risarcimento del danno che deve essere comprensivo di ogni pregiudizio non patrimoniale subito dalla vittima.

I giudici sono custodi dei principi costituzionali e non liquidare il danno morale è un comportamento lesivo dei diritti delle vittime,a meno che non lo si accorpi con altre voci di danno, come propugna la Corte allorché parla di personalizzazione delle tabelle del danno biologico.

Forse, al fine di interpretare questa sentenza, più che interpretare la Sentenza delle Sezioni Unite, occorre far riferimento ad un principio di fede cristiana: alla morte (del danno morale) segue la resurrezione.

Le Sezioni Unite, anziché proseguire nella strada tracciata dalla Corte Costituzionale nella sentenza n. 233/2003, relativa alla autonomia concettuale delle voci di danno, sembra aderire alla nozione di danno biologico come danno apparentemente onnicomprensivo di ogni pregiudizio subito dalla vittima, ma non considerando la definizione normativa che ostacola tale principio, peraltro suscettibile di allargarsi anche al pregiudizio patrimoniale in quanto alla violazione della salute non conseguono soltanto pregiudizi non patrimoniali, ama anche patrimoniali, come nel caso evidente del rapporto di lavoro e potrebbe anche perorarsi l’idea di un revirement del danno biologico nel’alveo anch del danno patrimoniale, in forza del principio generale, affermato dalle SS.UU, della unicità dell’illecito, sussumibile sotto al clausola generale dell’art. 2043 c.c., di cui l’art. 2059 c.c., costituisce solo una specificazione individualizzante la possibilità di liquidazione di un danno ulteriore.

La sentenza in esame giunge a considerare anche error in iudicando, contraddicendo, apparentemente, le SS.UU. del novembre 2008, valutare automaticamente il danno morale pro quota rispetto al danno biologico, affermando, nella fattispecie, in cui vi sono state conseguenze gravissime con esiti dolorosi anche dal punto di vista psichico, la autonomia ontologia del danno morale che deve essere considerata in relazione alla diversità del bene protetto, che attiene alla sfera della dignità morale delle persona, escludendo meccanismi semplificativi di tipo automatico.

Quindi non solo autonomia ontologica, ma anche autonomia risarcitoria, non vincolata per il danno morale ad una percentuale gabellare del biologico, ma valutata equitativamente dal giudice in base al suo prudente e circostanziato apprezzamento.

2. Criteri risarcitori del danno morale e relativa prova

L’ autonomia antologica di valutazione del danno morale costituisce il primo criterio risarcitorio cui la S.C. fa riferimento nella liquidazione del danno morale.

Anche se le SS.UU, con riferimento a determinati tipi di pregiudizio, in vario modo denominati (danno morale, danno biologico, danno esistenziale danno da perdita del rapporto parentale), precisa che rispondono ad esigenze descrittive, ma non implicano il riconoscimento di distinte categorie di danno, tale indicazione non ha impedito alla giurisprudenza della S.C. di liquidare autonomamente il danno morale, ove vengano rispettati il principio generale dell’integrale risarcimento del danno, senza duplicazioni risarcitorie, essendo compito del giudice accertare l'effettiva consistenza del pregiudizio allegato, a prescindere dal nome attribuitogli, individuando quali ripercussioni negative sul valore-uomo si siano verificate e provvedendo alla loro integrale riparazione.10

Si è, evidentemente, ritenuto, da parte della S.C. che le pronunce delle Sezioni Unite fossero vincolanti in relazione all’osservanza dei principi generali, ma non con riferimento al criterio risarcitorio unitario, imperniato sul danno biologico onnicomprensivo delle sottovoci di danno (morale e esistenziale), ritenuto, evidentemente meramente esemplificativo, (perché altrimenti non si giustificherebbe tale violazione) e finalizzato al raggiungimento del principio generale dell’integralità del risarcimento, senza duplicazioni risarcitorie.

In tale ottica “autonomista” i criteri liquidatori del danno morale possono essere molteplici:1) liquidazione onnicomprensiva del danno biologico e del danno morale in un’unica voce di danno; 2) liquidazione pro-quota rispetto al danno biologico;11 3) liquidazione autonoma personalizzata svincolata dalle tabelle; 4) personalizzazione delle tabelle, a seguito della valutazione del pregiudizio morale; 5) liquidazione personalizzata tabellare con percentuale non predeterminata rispetto al danno biologico, 6) aumento percentuale del danno morale limitato alla percentuale di aumento, rispettivamente prevista per le micro e macropermannenti (rispettivamente 20% e 30%)

L’ulteriore aumento previsto dagli art. 137 e 138 comma 3° CAP, se si ritiene di identificare il relativo pregiudzio nella incidenza rilevante su specifici aspetti dinamico-relazionali personali, può servire, infatti, anche a ristorre il danno morale, senza che ciò possa dirsi costituire duplicazione di alcuna voce già considerata nel procedimento di liquidazione del danno biologico, purchè tale valutazione non costituisca automatismo risarcitorio, ma sia motivata con razionalità logica.

Il giudice è libero, nell’ambito della valutazione equitativa, tipica della voce di danno non patrimoniale, di fare riferimento, al fine di assicurare una uniformità risarcitoria di base anche al criterio tabellare standardizzato che prevede la liquidazione del danno biologico in una forbice tra 1/3 e la metà del biologico, così come potrà accorpare in un ‘unica valutazione entrambi i pregiudizi, oppure personalizzare la tabella con un aumento del valore punto.

Il criterio risarcitorio del danno morale potrà anche consistere, come nella tradizione, nella liquidazione percentuale gabellare costituita da una frazione del danno biologico, in quanto è sempre possibile stabilire, in termini generali ed astratti, una proporzione tra il danno biologico, collegato prevalentemente ad una lesione fisica e il danno morale, quale sofferenza rapportata percentualmente alla lesione fisica.

Tuttavia non sempre una tale proporzionalità si ravvisa, potendo sussistere una sofferenza molto alta anche in caso di non rilevanti lesioni fisiche. In tale ultimo caso soccorre la valutazione equitativa e personalizzata del giudice.

Appare, quindi, evidente, indipendentemente dalla valenza descrittiva loro attribuita dalla Corte, che ciascuna voce di danno non patrimoniale abbia una sua autonomia logica e concettuale e possa sussistere indipendentemente dal danno biologico. 12

Nonostante tale evidenza la Corte ha preferito negare, in termini generali, ogni autonomia a tali voci di danno, anche se, in concreto, a parte le differenze terminologiche, non mutano, con la sola eccezione del danno bagatellare, i pregiudizi in concreto tutelabili all’interno del danno non patrimoniale, ma solo i criteri risarcitori del danno che appaiono più riduttivi.

La Corte ritiene che il pregiudizio morale, così come quello esistenziale, non abbiano una autonomia ontologica che li differenzino dal danno biologico e vadano ricompresi entrambi all’interno del danno biologico.

Sulla determinazione del danno non patrimoniale, a seguito di una richiesta risarcitoria di un soldato coinvolto in operazioni militari all'estero, il Tribunale di Firenze, ha ritenuto che sofferenza morale soggettiva, turbamento dell'animo, dolore intimo sofferti, perdita del rapporto parentale, ecc, costituiscono "voci" del danno biologico nel suo aspetto dinamico e ben possono riconoscersi ed identificarsi con la rilevanza e specificità dell’incidenza della menomazione sugli aspetti dinamico-relazionali personali, prevista dal Codice delle Assicurazioni private, necessitando di adeguata personalizzazione della liquidazione del danno biologico, onde pervenire all’integrale ristoro del danno, mediante distinto ed ulteriore aumento e con equo e motivato apprezzamento delle condizioni soggettive del danneggiato.13

La legge dunque -in base alla interpretazione del giudice fiorentino- deve essere interpretata nel senso che, lungi dal contemplare al 3° comma dell’art. 138 CPA un limite generale di aumento fino al 30% dell’ammontare del danno determinato ai sensi della tabella, ben può ritenersi prevedere un distinto ed ulteriore aumento, non tacciabile di alcuna duplicazione risarcitoria, per la rilevanza e specificità dell’incidenza della menomazione sugli aspetti dinamico-relazionali personali. Come si è detto, infatti, per quanto attiene alle normali conseguenze incidenti sulle attività quotidiane e sugli aspetti dinamico-relazionali della vita del danneggiato, l’aumento potrebbe essere addirittura ulteriormente “tabellato” a priori, incrementando “in modo più che proporzionale” i valori economici previsti dalla tabella unica nazionale, differenziandosi così dall’incremento previsto dal 3° comma dell’art. 138 CPA, che può essere aumentato solo dal giudice.14

La legge prevede che tale ultimo ed esaustivo aumento possa essere effettuato dal giudice sino al trenta per cento dell’ammontare del danno determinato ai sensi della tabella unica nazionale, ponendo così un limite alla sua entità.

È tuttavia da rilevare che da una parte tale limite, per la sedes materiae in cui è inserita la previsione, riguardi esclusivamente le ipotesi di risarcimento del danno cagionato dalla circolazione stradale e non anche tutte le altre ipotesi di risarcimento del danno non patrimoniale sub speciem biologico; dall’altra che il limite dell’aumento fino al 30% sia intrinsecamente connesso alla redigenda tabella unica nazionale.15

Tuttavia le compromissioni morali e/o esistenziali, come anche ritenuto dalla Corte, possano anche sussistere in assenza di un danno biologico, come nel caso di danno da morte di soggetto deceduto senza apprezzabile lasso temporale tra le lesioni e la morte, ma che sia rimasto vigile ed abbia atteso lucidamente la morte.16

In tale ultimo caso le Sezioni Unite del novembre 2008, riconoscono la possibilità, per il giudice, di riconoscere e liquidare il solo danno morale, a ristoro della sofferenza psichica provata dalla vittima di lesioni fisiche, alle quali sia seguita dopo breve tempo la morte, che sia rimasta lucida durante l'agonia in consapevole attesa della fine.17

Il danno terminale non patrimoniale è quello sostanzialmente biologico e morale che la vittima di un sinistro subisce nell'apprezzabile lasso di tempo tra la lesione e la conseguente morte, è un danno nel quale i fattori della personalizzazione debbono valere in un grado assai elevato e, per questa ragione, non può essere liquidato attraverso l'applicazione di criteri contenuti in tabelle, che, per quanto dettagliate, nella generalità dei casi, sono predisposte per la liquidazione del danno biologico o delle invalidità temporanee o permanenti di soggetti che sopravvivono all'evento dannoso. Il danno terminale è differente da queste due ultime voci.

Nel danno biologico o da invalidità temporanea o permanente, fatta eccezione delle invalidità permanenti assai gravi, infatti, la salute del danneggiato tende a regredire o, almeno, a stabilizzarsi;in quello terminale, invece, si assistere ad un danno che tende ad aggravarsi progressivamente. Questa differenza deve essere tenuta nel dovuto conto, per non mettere nel nulla il principio della personalizzazione del danno, che è l'elemento cardine della valutazione del danno alla persona e consente liquidazioni commisurate alla gravità delle conseguenze letali per la vittima.18

Il giudice, quindi, deve personalizzare il danno senza alcun automatismo risarcitorio commisurato alla durata della sopravvivenza, considerando adeguatamente la gravità delle lesioni e l'intensità del dolore della vittima.19

Il criterio normale di liquidazione di tale voce di danno non può essere che quello equitativo, stante la pratica impossibilità di procedere alla relativa determinazione con assoluta precisione. Su tale attività, il giudice del merito ha un ampio potere di apprezzamento e di valutazione, e la pronunzia al riguardo emessa non é suscettibile di censura in sede di legittimità, qualora essa sia sorretta da motivazione congrua ed esente da vizi logici e di diritto.

Il danno morale, pur essendo un danno areddittuale, allorché viene liquidato, assume pur sempre connotazioni economiche, sicché deve ragguagliarsi alla realtà socio-economica in cui vivono i danneggiati.20

La realtà socio economica in cui vive il danneggiato costituisce uno degli elementi di fatto di cui tener conto nella determinazione quantitativa dell'obbligazione risarcitoria del responsabile, da effettuarsi, attesa la sua funzione non sanzionatoria ma riparatoria , con riguardo alle sofferenze ed alla posizione del danneggiato, in quanto il risarcimento ha funzione meramente surrogante e compensativa delle sofferenze indotte dal fatto illecito costituente reato e se l'entità delle soddisfazioni compensative ritraibili dalla disponibilità di una somma di denaro è diversa a seconda dell'area nella quale il denaro è destinato ad essere speso, non l'entità delle soddisfazioni deve variare, ma la quantità di denaro necessaria a procurarle.

Ove , nella determinazione del pregiudizio morale, si faccia riferimento anche alla realtà socioeconomica della zona di residenza del danneggiato occorre far riferimento alla somma riconosciuta dovuta in termini generali e poi adeguarla al parametro di ulteriore valutazione, determinando la somma finale in considerazione di quella diversa , poi sottoposta a revisione in base al parametro della realtà socioeconomica, consentendo di individuare l’iter logico-giuridico seguito dal giudice nella determinazione dell’importo finale, determinando i valori alternativi assunti come equi e poi ridotti in riferimento al contesto socio economico dell'area geografica di residenza del danneggiato.21

Se il giudice abbia fatto riferimento al contesto socio-economico dell'area territoriale in cui vive il danneggiato come ad un fattore giustificativo della determinazione in misura particolarmente contenuta della somma liquidata a titolo di risarcimento del danno morale subiettivo, deve giustificare tale riduzione del risarcimento, con adeguata motivazione.

L’operazione di valutazione di corrispondenza di tale importo al particolarmente elevato potere di acquisto del denaro nella zona in cui esso è presumibilmente destinato ad essere speso assume, allora, connotazioni meramente economiche ed è collegata a parametri non già indefinibili, ma anche numericamente accertabili in base all’ indice del costo della vita nelle varie aree del territorio nazionale ed aritmeticamente calcolabili.

In presenza di reato con evento letale, il giudice non può procedere ad una determinazione complessiva ed unitaria del pregiudizio morale ed alla conseguente ripartizione dell'intero importo in modo automaticamente proporzionale tra tutti gli aventi diritto, dovendo, invece, determinare in concreto il pregiudizio morale per ciascuno dei congiunti, tenendo conto delle effettive sofferenze patite da ciascuno, in modo da rendere la somma riconosciuta adeguata al particolare caso concreto, liquidata sotto la voce onnicomprensiva del danno non patrimoniale parentale.22

Il danno morale va risarcito anche in caso di illecito commesso dall'organo di vertice di una persona giuridica o da terzi in danno dell’ente, sia privato che pubblico, per la diminuzione della considerazione della persona giuridica o dell'ente che si esprime la sua immagine, sia sotto il profilo della incidenza negativa che tale diminuzione comporta nell'agire delle persone fisiche che ricoprano gli organi della persona giuridica o dell'ente e, quindi, nell'agire dell'ente, sia sotto il profilo della diminuzione della considerazione da parte dei consociati in genere o di settori o categorie di essi con le quali la persona giuridica o l'ente di norma interagisca.23

Va, quindi, risarcito il danno non patrimoniale se il fatto lesivo incida su una situazione giuridica della persona giuridica o dell'ente che sia equivalente ai diritti fondamentali della persona umana garantiti dalla Costituzione, e fra tali diritti rientra l'immagine della persona giuridica.24

I pregiudizi morale e esistenziale possono essere risarciti, anche nel caso di mancanza del danno biologico (es: immissioni rumorose, ove non si ravvisi alcuna alterazione fisio-psichica del danneggiato), così come è possibile che non sia ravvisabile alcuna lesione di natura morale anche in presenza di danno biologico.25

Quale che sia il criterio usato la valutazione di tale voce, dotata di logica autonomia in relazione alla diversità del bene protetto, che pure attiene ad un diritto inviolabile della persona, deve tener conto delle condizioni soggettive della persona umana e della gravità del fatto, senza che possa considerarsi il valore della integrità morale, come ben specificato dalla S.C., una quota minore del danno alla salute.

Del resto, anche se in modo contraddittorio, le Sezioni unite del novembre 2008 affermano che non emergono, nell'ambito della categoria generale "danno non patrimoniale", distinte sottocategorie, ma si concretizzano soltanto specifici casi determinati dalla legge, al massimo livello costituito dalla Costituzione, di riparazione del danno non patrimoniale.

Con una sentenza successiva alle Sezioni Unite del 2008 la S.C. in un caso di responsabilità sanitario (per responsabilità aquiliana o contrattuale, nel rispetto del principio del devolutum) da cui è derivata una lesione gravissima alla salute del neonato, ha affermato che il danno morale richiesto iure proprio dai genitori deve essere comunque risarcito (vedi punto 4.1. delle SU 26972cit.) come danno non patrimoniale, nell'ampia accezione ricostruita dalle SU come principio informatore della materia (vedi punto 3.12 delle SU 26972 cit.).

Il risarcimento deve avvenire secondo equità circostanziata (art. 2056 cc), tenendosi conto (punto 4.8 delle SU cit.) che anche per il danno non patrimoniale il risarcimento deve essere integrale, e tanto più elevato quanto maggiore è la lesione che determina la doverosità dell'assistenza familiare ed un sacrificio totale ed amorevole verso il macroleso (vedi punto 4.9 delle SU citate).26

Il risarcimento del danno non patrimoniale (ora nell'ampia accezione definita dalle Ss UU del 2008 nella parte introduttiva e sistematica) e, quindi,anche del danno morale in esso ricompresso autonomamente liquidato, non richiede che la responsabilità dell'autore del fatto illecito sia stata accertata in un procedimento penale o sia stata accertata con una imputabilità soggettiva in esclusiva, ma comprende tutte le fattispecie (inclusa quella del concorso di colpa anche in via di presunzione) corrispondenti alla astratta previsione di una figura di reato (nella specie lesioni colpose da fatto delle circolazioni). 27

Ulteriore principio di portata rilevante è la qualificazione del danno non patrimoniale quale danno conseguenza, che deve essere allegato e provato. anche quando sia determinato dalla lesione di diritti inviolabili della persona.

Anche il danno morale, quale voce o sottovoce del danno non patrimoniale, non sfugge a tale principio, innovandosi una tradizione consolidata che vedeva il danno morale, ove correlato ad una lesione fisica e, quindi, in presenza di danno biologico, liquidato in una percentuale del biologico (da 1/3 alla metà).

Le Sezioni Unite del novembre 2008, chiariscono, in relazione ai mezzi di prova che per il danno biologico la vigente normativa (artt. 138 e 139 d.lgs. n. 209/2005) richiede l'accertamento medico-legale. Si tratta del mezzo di indagine al quale correntemente si ricorre, ma la norma non lo eleva a strumento esclusivo e necessario. Così come è nei poteri del giudice disattendere, motivatamente, le opinioni del consulente tecnico, del pari il giudice potrà non disporre l'accertamento medico- legale, non solo nel caso in cui l'indagine diretta sulla persona non sia possibile (perchè deceduta o per altre cause), ma anche quando lo ritenga, motivatamente, superfluo, e porre a fondamento della sua decisione tutti gli altri elementi utili acquisiti al processo (documenti, testimonianze), avvalersi delle nozioni di comune esperienza e delle presunzioni. Per gli altri pregiudizi non patrimoniali potrà farsi ricorso alla prova testimoniale, documentale e presuntiva. Attenendo il pregiudizio (non biologico) ad un bene immateriale, il ricorso alla prova presuntiva è destinato ad assumere particolare rilievo, e potrà costituire anche l'unica fonte per la formazione del convincimento del giudice, non trattandosi di mezzo di prova di rango inferiore agli altri (v., tra le tante, sent. n. 9834/2002).

Il danneggiato dovrà tuttavia allegare tutti gli elementi che, nella concreta fattispecie, siano idonei a fornire la serie concatenata di fatti noti che consentano di risalire al fatto ignoto.

Occorre, tuttavia, considerare che il grado di sofferenza può essere diverso da soggetto a soggetto, in forza della resilienza che è la capacità soggettiva, quindi diversa da soggettoa soggetto, di reagire a stimoli dolorosi o ad avvenimenti avversi della vita, ed è compito del giudice liquidare il danno effettivo, in base alle prove offerte.

In conseguenza della morte di persona causata da reato, ciascuno dei suoi familiari prossimi congiunti è titolare di un autonomo diritto per il conseguente risarcimento del danno morale, il quale deve essere liquidato in rapporto al pregiudizio da ognuno individualmente patito per effetto dell'evento lesivo, in modo da rendere la somma riconosciuta adeguata al particolare caso concreto, rimanendo ed è esclusa la possibilità per il giudice di procedere ad una determinazione complessiva ed unitaria del suddetto danno morale ed alla conseguente ripartizione dell'intero importo in modo automaticamente proporzionale tra tutti gli aventi diritto.28

Un significativo principio è stato introdotto dalla Corte di legittimità in relazione al danno morale per la morte del figlio psichicamente instabile - affidato ad una struttura sanitaria che non riuscì colpevolmente ad impedirne il suicidio- che non può essere valutato in una somma inferiore rispetto a quella che verrebbe liquidata in riferimento alla morte di un figlio sano.29

Tuttavia, deve ritenersi, non è necessaria una prova specifica ove sia esistita tra la vittima, quando era in vita, ed i parenti, un legame giuridico affettivo particolarmente intenso, in tale ultimo caso potrà anche farsi ricorso alla prova per presunzioni, anche senza allegazioni particolari, ma limitandosi a segnalare tale intenso legame.30

Una eccezione al principio del danno conseguenza, con la necessità di allegazione degli elementi di prova, da valutare anche in base a presunzione è data nel caso di danno da morte ove l'intensità del vincolo familiare può già di per sé costituire un utile elemento presuntivo su cui basare la ritenuta prova dell'esistenza del menzionato danno morale, in assenza di elementi contrari,mentre l’accertata mancanza di convivenza dei soggetti danneggiati con il congiunto deceduto può rappresentare soltanto un idoneo elemento indiziario da cui desumere un più ridotto danno morale.31

In forza dei medesimi principi, tuttavia,a nche a fini esemplificativi e per non intasare gli uffici dei giudici con improbabili testimoni, va riconosciuta la prova presuntiva, anche senza specifiche allegazioni, per il danno morale, quale sofferenza fisio-psichica conseguenza di una lesione fisica, essendo intuibile la sofferenza, in base alla comune esperienza, come nel caso,a d esempio, di normali sofferenze conseguenti alla rottura di una gamba.

Nel caso in cui, invece, vengano richiesti danni morali particolari, come nel caso di lunga e imprevedibile rieducazione, fratture scomposte, maggiore degenza in ospedale rispetto a quella media, occorrerà fornire al prova specifica di tale ulteriore danno, anche mediante consulenza medica-legale di parte, prima o d’ufficio dopo, quale utile strumento probatorio, dovendosi considerare la imposibilità di deduzione di capitoli di prova per testi, fondati essenzialmente su valutazioni della intensità delle sofferenze e non su dati obiettivi.

Per le cause instaurate prima del 11 novembre 2008, la valutazione del giudice, in relazione al ricorso alle presunzione dovrà essere meno rigorosa, non essendo necessaria la prova del danno morale collegato alla lesione fisica, prima delle pronunce delle Sezioni Unite, ricorrendo anche, su richiesta di parte, alla remissione in termini, sia pure atipica, per la deduzione di capitoli di prova al riguardo.

Sussiste,invece, sempre la necessità di allegazione e prova per il danno morale conseguente ad un illecito non collegato ad una lesione fisica.

_________________

1 Si riteneva, prima delle SS.UU. del novembre 2008, che benché il danno biologico fosse riconducibile, come il danno morale, nell'ampia categoria del danno non patrimoniale di cui all'art. 2059 cod. civ., il danno morale subiettivo non costituisse tuttavia una componente di esso, configurandosi invece come una voce autonoma di danno non patrimoniale, Cass., 10.8.2004, n. 15434.

2 Cfr. Cass. 19/08/2003 n. 12124, in Resp. civ. prev., 2003, 1329, con nota di ZIVIZ, Brevi riflessioni sull'ingiustizia del danno non patrimoniale.

3 Trib. Lecce, sez. Maglie, 29.11.2008 n. 368. Trattasi di giudizio intentato dai figli di un settantaduenne deceduto in conseguenza di un sinistro stradale, ai fini del riconoscimento e della liquidazione del danno non patrimoniale.

4 Cass. civile S.U., 11.11.2008, n. 26972-26975.

5 Cass. civile 12.7.2006, n. 15760.

6 Cass. civile , sez. U., 26.1.2004,n. 1338,Cass. civile 12.12,2003, n. 19057.

7 Cass, SS.UU., 11.11.2008, n. 26972-26975.

8 Cass. civile S.U., 11.11.2008, n. 26972-26975.

9 Cass. civile 6.6.2008,n. 15029, con commento di CHINDEMI, Criteri di liquidazione del danno morale, in Questa Rivista, 2008, 2244.

10 Cass, SS.UU., 11.11.2008, n. 26972-26975.

11 Il ricorso da parte dei giudici di merito al criterio di determinazione della somma dovuta a titolo di risarcimento del danno morale in una frazione dell'importo riconosciuto per il risarcimento del danno biologico, è stato, in precedenza, ritenuto legittimo, purché il giudice abbia tenuto conto delle peculiarità del caso concreto, effettuando la necessaria personalizzazione di detto criterio alla fattispecie e dando atto di non aver applicato i valori tabellari con mero automatismo, Cass. 9.11.2006, n. 23918, in Resp. civ. prev, 2007, 284.

12 Sulla distinzione tra le due figure di danno, CHINDEMI, Danno non patrimoniale: il doppio binario del danno biologico ed esistenziale in Volume “Dialoghi sul danno alla persona” a cura dell’Università degli Sudi di Trento, Trento, 2006,7-56.

13 Tribunale Firenze, 17.12.2008. L’Amministrazione della Difesa è stata ritenuta responsabile del danno alla salute subito da un soldato, danno che, consistendo in lesioni personali gravissime cagionate da comportamento colpevole dell’amministrazione, integra necessariamente gli estremi del correlativo reato Si è ritenuto che il Ministero della Difesa sapeva dunque, doveva ed era tenuto a sapere avendone l’obbligo giuridico, dell’uso di ordigni all’uranio impoverito, della sua pericolosità e dei rischi ad esso collegati, e doveva conseguentemente ispirare la propria azione ai principi di cautela e protezione, nella salvaguardia del personale inviato col contingente italiano, da pericoli incombenti e diffusi, ulteriori e diversi dall’ineliminabile rischio insito nel “mestiere di soldato”, in quel precipuo teatro di guerra, come si è detto connotato da forte presenza di sostanze nocive ed idonee ad innescare, su un numero indeterminato di persone, per le notizie al tempo già disponibili, processi eziopatogenetici.

14 Tribunale Firenze, Sentenza 17.12.2008.

15 Tribunale Firenze, Sentenza 17.12.2008.

16 Assume, tuttavia, rilievo, nel danno da morte, il danno non patrimoniale da perdita del congiunto, che si riflette, per i familiari, sotto l’aspetto dell'interesse all'intangibilità della sfera degli affetti e della reciproca solidarietà nell'ambito della famiglia ed all'inviolabilità della libera e piena esplicazione delle attività realizzatrici della persona umana nell'ambito della peculiare formazione sociale costituita dalla famiglia, diritti che trovano riconoscimento e tutela nelle norme di cui agli artt. 2, 29 e 30 Cost. e si differenziano, sotto il profilo logico, sia dall'interesse alla salute tutelato attraverso il risarcimento del danno biologico da altro articolo della Carta Costituzionale (art. 32 Cost.), sia dall'interesse all'integrità morale, ai sensi dell'art. 2 Cost., cui si riferisce il risarcimento del danno morale soggettivo, Cass. 19.05.2006, n. 11761.

17 La voce di danno non patrimoniale al rapporto parentale si distingue concettualmente dal danno morale, che è pure dovuto, indipendentemente dalla astratta configurazione di ipotesi di reato e la valutazione di tale danno dovrà comunque tenere conto del già avvenuto ristoro della posizione soggettiva lesa e della natura transeunte, che lo caratterizza, Trib. Monza, 23.4.2007.

18 Cfr. Cass. 14.7.2003, n. 11003.

19 Cass., 30/1/2006, n. 1877. Rileva la S.C. che Il danno biologico e morale che la vittima di un sinistro subisce nell'ap- prezzabile lasso di tempo tra la lesione e la conseguente morte (cosiddetto danno terminale) è un danno nel quale, stante la tendenza ad un aggravamento progressivo, i fattori della personalizzazione debbono valere in grado assai elevato; esso, pertanto, non può essere liquidato attraverso la meccanica applicazione di criteri contenuti in tabelle che, per quanto dettagliate, nella generalità dei casi sono predisposte per la liquidazione del danno biologico o delle invalidità, temporanee o permanenti, di soggetti che sopravvivono all'evento dannoso. Cfr anche Cass. 27/11/2006, n. 25124.

20 Cass., 14/02/2000, n. 1637, in Resp. civ. prev., 2000, 609, con nota di ZIVIZ, Valutazione del danno morale e realtà socio-economica: un connubio inedito.

21 Il consolidato principio secondo il quale il giudice non è tenuto ad indicare analiticamente l'incidenza di ognuno degli elementi che ha tenuto presenti allorché procede alla liquidazione equitativa del danno morale subiettivo trova la sua ratio nell'impossibilità di conferire un valore numerico a considerazioni non direttamente ed autonomamente suscettibili di esprimere un preciso indice di ragguaglio sulla misura del danno che tuttavia deve essere liquidato in una somma pur sempre correlata con le premesse di fatto in ordine alla natura ed all'entità delle sofferenze subite.

Il momento di adeguamento dell'importo al particolare contesto socio-economico dell'area geografica in cui vive il danneggiato, invece, presuppone che una somma di denaro, intesa come espressione di un valore in base al suo potere d'acquisto medio, sia già stata concettualmente assunta come equa ai fini riparatori del danno morale, a seguito dell'esclusivo apprezzamento delle sofferenze e dei patemi subiti dal danneggiato, Cass., 14/02/2000, n. 1637, cit..

22 Cass. 19/01/2007, n. 1203.

23 - Cass. civile 26.06.2007, n. 14766; Cass. civile 4.6.2007, n. 12929.

24 Cass. civile 4.06.2007, n. 12929.

25 Per un approfondimento su tale questione di rinvia a CHINDEMI, I danni non patrimoniali da immissioni con particolare riferimento al danno esistenziale:prova del danno e criteri risarcitori, in Dir. ec. Ass., 2005, 455 e CHINDEMI Danno esistenziale da immissioni rumorose, in M.A. Mazzola (a cura di) Le immissioni, Milano, 2004,45-62.

26 Cass. civile 13 gennaio 2009, n. 469.

27 Cass. civile 20.1.2009, n. 1343; SU n. 6973.2008 punto 3.4.1; Cass. civile 24 aprile 2007 n. 13953; Cass. civile 6 agosto 2007 n. 17180.la Corte ha, anche, precisato per quanto riguarda l'illecito della circolazione e le regole di cui all'art. 2054 cod. civ., che la presunzione stabilita dal secondo comma dall'art. 2054 c.c. non configura a carico dei conducenti antagonisti una ipotesi di responsabilità oggettiva, ma una responsabilità presunta da cui essi possono liberarsi dando la prova di aver fatto tutto il possibile per evitare il danno secondale circostanze del caso concreto (cfr. Cass. civile 29 aprile 2006 n. 10031, Cass. civile 4 febbraio 2002 n. 1432).

28 Cass. civile 19.01.2007, n. 1203.

29 Cass. civile 28.2.2008 n. 5282.

30 Cass. civile 11.05.2007, n. 10823.

31 Cass 22.07.2008, n. 20188; Cass. civile 19.01.2007, n. 1203.

Fondazioni: Possono partecipare a gare pubbliche

Fondazioni: è ammessa la partecipazione a gare pubbliche
Consiglio di Stato , sez. VI, decisione 16.06.2009 n° 3897 (Francesco Logiudice)

E’ legittima la partecipazione di una fondazione ad una gara d’appalto?

La disposizione del Codice dei Contratti pubblici, oggetto di interpretazione da parte dei Giudici di Palazzo Spada, è l’art. 34, rubricata Soggetti a cui possono essere affidati i contratti pubblici, la quale non contempla espressamente il modello fondazionale tra i soggetti ammessi a partecipare alle gare.

Mentre secondo i giudici di prime cure la natura giuridica della fondazione impedirebbe qualsiasi assimilazione delle fondazioni alle società commerciali, con la conseguente non ammissibilità delle prime alle gare pubbliche - anche per la natura tassativa dell’elencazione contenuta nell’art. 34 del d.lgs. 163/2006 e s.m. che non le prevede espressamente - secondo il Consesso, invece, l’elencazione dell’art. 34 non è tassativa.

Tale conclusione trova conforto in altre norme del Codice dei Contratti pubblici che definiscono la figura dell’imprenditore o fornitore o prestatore di servizi nell’ambito degli appalti pubblici (art. 3, commi 19 e 20) e nelle disposizioni comunitarie (art. 1, commi 8, 4 e 44 della direttiva 2004/18/CE). Dette norme indicano che il soggetto abilitato a partecipare alle gare pubbliche è l’"operatore economico" che offre sul mercato lavori, prodotti o servizi, secondo un principio di libertà di forme (persone fisiche o persone giuridiche).

La sez. VI, pertanto, afferma che anche soggetti economici senza scopo di lucro, quali le fondazioni, possono soddisfare i necessari requisiti ed essere qualificati come “imprenditori”, “fornitori” o "prestatori di servizi", considerata la personalità giuridica che le fondazioni vantano nonché la loro capacità di esercitare anche attività di impresa, qualora funzionali ai loro scopi e sempre che quest'ultima possibilità trovi riscontro nella disciplina statutaria del singolo soggetto giuridico.

In tal senso, infatti, depone anche il rilievo che la definizione comunitaria di “impresa” abilitata a partecipare alle commesse pubbliche, non discende da presupposti soggettivi, quali la pubblicità dell’ente o l’assenza di lucro, bensì da elementi oggettivi, quali l’offerta di beni e servizi da scambiare con altri soggetti, nell’ambito di un’attività di impresa realizzata dall’organizzazione non necessariamente svolta come attività principale, con la conseguenza che tale qualificazione è riferibile anche alle fondazioni.

E’ pur vero che, in tema di partecipazione a gare da parte di persone giuridiche non aventi scopo di lucro, recentemente, il TAR Sardegna, sez. I, con ordinanza 10 luglio 2009 n. 66, ha ritenuto di sottoporre alla Corte di Giustizia la seguente questione pregiudiziale: se le disposizioni dell’ordinamento italiano di cui all’articolo 3, commi 22 e 19, del Codice dei Contratti pubblici (secondo le quali, rispettivamente, "Il termine "operatore economico" comprende l'imprenditore, il fornitore e il prestatore di servizi o un raggruppamento o consorzio di essi"; e "I termini "imprenditore", "fornitore" e "prestatore di servizi" designano una persona fisica, o una persona giuridica, o un ente senza personalità giuridica, ivi compreso il gruppo europeo di interesse economico (GEIE) costituito ai sensi del decreto legislativo 23 luglio 1991, n. 240, che offra sul mercato, rispettivamente, la realizzazione di lavori o opere, la fornitura di prodotti, la prestazione di servizi") e dell’art. 34 del medesimo Codice dei Contratti pubblici (che elenca i soggetti ammessi a partecipare alle procedure di affidamento dei contratti pubblici) si pongano in contrasto con la direttiva n. 2004/18/CE, ove interpretate nel senso di limitare la partecipazione ai prestatori professionali di tali attività con esclusione di enti pubblici che abbiano preminenti finalità diverse da quelle di lucro, quali, ad esempio, la ricerca.

Staremo a vedere.

(Altalex, 24 luglio 2009. Nota di Francesco Logiudice)




Consiglio di Stato

Sezione VI

Decisione 16 giugno 2009, n. 3897

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la seguente

DECISIONE

sui ricorsi riuniti in appello nn. 8146/2008, e 8299/2008 proposti rispettivamente

1) ric. n. 8146/2008 da FOND. CENTRO SAN RAFFAELE DEL MONTE TABOR IN PR. E Q. MAND. ATI e ATI - IBAMOLECULAR ITALY S.R.L., in persona dei rispettivi legali rappresentanti p.t., rappresentati e difesi dagli Avv. Vincenzo Avolio e Vittoria Luciano con domicilio eletto in Roma piazza Capo di Ferro n. 13, presso le Segreterie Giurisdizionali del Consiglio di Stato;

contro

ADVANCE ACCELERATOR APPLICATIONS (ITALY) S.R.L., in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dagli Avv. Andrea Manzi e Antonio Finocchiaro con domicilio eletto in Roma via F. Confalonieri n. 5, presso lo studio del primo;

e nei confronti di

UNIVERSITA' DEGLI STUDI DI MILANO – BICOCCA, in persona del Rettore p.t., rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato con domicilio in Roma via dei Portoghesi n. 12;

2) ric. n. 8299/2008 da UNIVERSITA' DEGLI STUDI DI MILANO, in persona del Rettore p.t., rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato con domicilio eletto in Roma via dei Portoghesi n. 12;

contro

ADVANCED ACCELERATOR APPLICATIONS ITALY S.R.L., in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dagli Avv. Andrea Manzi e Antonio Finocchiaro con domicilio eletto in Roma via Federico Confalonieri n. 5, presso lo studio del primo;

e nei confronti di

IBA MOLECULAR ITALY S.R.L., MINISTERO DELLA SALUTE e FONDAZIONE SAN RAFFAELE DEL MONTE TABOR DI MILANO, in persona dei rispettivi legali rappresentanti p.t., non costituitisi;

per l'annullamento

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio sede di Roma Sez. III n. 7591/2008.

Visti i ricorsi con i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio delle parti intimate;

Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;

Visti gli atti tutti della causa;

Alla pubblica udienza del 24 marzo 2009 relatore il Consigliere Marcella Colombati. Uditi gli avv. Quinto per delega dell’avv. Avolio, l’avv. Mauri e l’avv. dello Stato Tortora;

Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue:

RITENUTO IN FATTO

I. Con bando pubblicato il 9.6.2007 l’Università degli studi di Milano – Bicocca ha indetto una gara d’appalto, sotto la forma della procedura aperta, da aggiudicarsi con il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa, per la fornitura, per un periodo di 12 mesi prorogabile per ulteriori 6 mesi, di un radiofarmaco (fluorodesossiglucosio) utilizzato a scopo diagnostico nella tomografia ad emissione di positroni (c.d. PET – Positron Emission Tomography).

Alla gara ha partecipato, insieme ad altri due concorrenti, la costituenda ATI, formata dalla s.r.l. Iba Molecular Italy s.r.l e dalla Fondazione San Raffaele del Monte Tabor, che è risultata aggiudicataria.

II. L’aggiudicazione è stata impugnata dalla seconda classificata, la Advanced Accelerator Applications Italy s.r.l. (per semplicità in seguito denominata “A.A.A.”), in un primo momento dinanzi al Tar della Lombardia e, poi, previo regolamento di competenza concordato, dinanzi al Tar del Lazio, sulla base di una serie di motivi di cui si dirà.

Insieme all’aggiudicazione della gara sono stati impugnati:

-il provvedimento di ammissione della Fondazione e del costituendo gruppo di cui essa fa parte;

-la disciplina di gara nella parte in cui non prescrive le condizioni di ammissione e di presentazione delle domande e, in particolare: il bando, art. III.2.3; il disciplinare di gara, p. 7, n. 3; il capitolato, art. 6, B n. 3 sulle condizioni di ammissione;

-l’art. 8, comma 2, del disciplinare che detta i parametri di valutazione, tra i quali i parametri qualitativi e quelli del “tempo di latenza” definito come il tempo intercorrente tra la conclusione della produzione e il momento della consegna del prodotto (con assegnazione di punti 20 su 100), criterio di aggiudicazione incongruo e illogico;

-la disciplina di gara, nella parte in cui non valuta il periodo di stabilità/durata del farmaco ai fini della determinazione del tempo concreto di utilizzabilità del farmaco;

-ove occorra, l’art. 1 del d.m. 19.11.2003 (attività di preparazione del radiofarmaco), come interpretato dalla controparte, nel senso di consentire alle strutture sanitarie pubbliche o accreditate di compravendere e produrre il radiofarmaco in assenza di autorizzazione all’immissione in commercio e di autorizzazione alla produzione.

La società ricorrente A.A.A. ha chiesto anche la dichiarazione di inefficacia o di nullità dell’eventuale contratto stipulato a seguito dell’aggiudicazione della gara nonché la condanna dell’Università al risarcimento dei danni.

III. Costituitisi in giudizio, l’Università degli studi di Milano e la costituenda ATI tra la soc. IBA Molecular Italy s.r.l e la Fondazione San Raffaele del Monte Tabor si sono opposte al ricorso chiedendone la reiezione.

IV. Il Tar del Lazio, con la sentenza n. 7591 del 2008 ha accolto il ricorso della soc. A.A.A. ritenendo fondata la censura (quinto motivo) della violazione dell’art. 34 del codice dei contratti pubblici approvato con d. lgs. n. 163 del 2006, e cioè la illegittima partecipazione alla gara, nel raggruppamento aggiudicatario, di una fondazione, ed ha assorbito tutti gli altri motivi.

Al riguardo il Tar ha ritenuto che l’elencazione dei soggetti ammessi alle gare (art. 34) sia tassativa e che, in mancanza di espressa previsione, le fondazioni non possano essere ammesse alle gare pubbliche; ciò in quanto esse, ai sensi dell’art 14 e seguenti c.c., hanno specifiche peculiarità: “si tratta di un soggetto, costituito da un patrimonio, personificato dall’ordinamento per la realizzazione di uno scopo determinato, considerato di utilità sociale…..; la rilevanza sociale dello scopo, di carattere non lucrativo, impedisce qualsiasi assimilazione delle fondazioni alle società commerciali, il cui elemento fondamentale è costituito invece dalla divisione degli utili tra i soci”; la sentenza del Consiglio di Stato n. 2785 del 2003, che sembrerebbe ammettere alle gare pubbliche le fondazioni, “è precedente alla previsione espressa nell’art. 34 del codice degli appalti”; la nuova scelta del legislatore del codice di non far partecipare le fondazioni si spiega anche per il regime fiscale di favore di cui esse godono, con conseguenti riflessi sulla parità di condizioni tra i concorrenti; inoltre “nell’ambito della disciplina civilistica è discussa la natura di imprenditore commerciale delle fondazioni, in quanto, anche se svolgono attività di impresa, questa resta collaterale e comunque finalizzata ad uno scopo non di lucro”; qualora la fondazione assuma il carattere dell’impresa commerciale ai sensi dell’art. 2082 c.c. “sarebbe illegittimo il decreto di riconoscimento e dovrebbe essere disapplicato”; “la previsione dell’art. 34 del codice si riferisce alla nozione di impresa solo per l’imprenditore individuale, mentre per i soggetti collettivi o personificati, fa riferimento espresso alle società commerciali che, com’è noto, sono i tipi previsti dagli artt. 2291 e segg. c.c.”.

Il medesimo Tar invece ha dichiarato inammissibile la domanda di risarcimento del danno, in quanto sfornita di elementi di prova.

V. La sentenza, depositata il 29.7.2008 e non notificata, è appellata sia dalla Fondazione Centro San Raffaele del Monte Tabor e dalla IBA Molecular Italy s.r.l., in proprio e in qualità, rispettivamente, di mandante e mandataria della costituenda ATI (ricorso n. 8146 del 2008), sia dall’Università degli studi di Milano – Bicocca (ricorso n. 8299 del 2008). Entrambi i ricorsi sono notificati il 9.10.2008 e quindi sono tempestivi.

VI. Il primo appello (della Fondazione ed altro) censura la sentenza impugnata ( in relazione all’unico motivo ivi accolto di violazione dell’art. 34 del codice degli appalti) per:

a) violazione e falsa applicazione dell’art. 43 del d. lgs. n. 163 del 2006, degli artt. 3, commi 19 e 20, dello stesso codice, dell’art. 1, commi 2 e 8, e dell’art. 4 della direttiva 2004/18/CE: è infondata l’affermazione che l’elenco dell’art. 34 del codice degli appalti sarebbe tassativo e non contemplerebbe le fondazioni tra i soggetti ammessi a partecipare alle gare; l’art. 3, comma 19, del codice indica che per “imprenditore”, “fornitore” e “prestatore di servizi” si intende “una persona fisica o una persona giuridica o un ente senza personalità giuridica…che offra sul mercato, rispettivamente, la realizzazione di lavori o opere, la fornitura di prodotti, la prestazione di servizi”; il comma 20 precisa poi che per “raggruppamento temporaneo” si intende l’insieme di imprenditori o fornitori o prestatori di servizi costituito allo scopo di partecipare a una specifica gara pubblica; ne consegue che l’art. 34 contiene un’elencazione solo indicativa e ciò anche alla luce delle predette disposizioni comunitarie che hanno introdotto un concetto ampio di imprenditore, quale “operatore economico” (cfr. Corte di giustizia 1.7.2008, causa C-49/07; 10.1.2006, causa C-222/04; 29.9.2007, causa C-119/06), nel senso che è l’elemento oggettivo, e non quello soggettivo, che qualifica la definizione di impresa; la Fondazione ha nel suo statuto lo svolgimento di ogni attività economica per il raggiungimento dello scopo di prestare cura agli infermi, è iscritta alla Camera di commercio dal 1996, è riconosciuta dal 1972 come Istituto di ricovero e cura a carattere scientifico di diritto privato ed è stata accreditata dalla Regione Lombardia dal 1999; esercita, al pari di altre strutture sanitarie, un’attività di carattere imprenditoriale in campo sanitario; il fatto che non persegua un utile, non le impedisce di svolgere un’attività economica sul mercato e di concorrere con altre strutture e società commerciali che operano nel medesimo settore.

VII. In questo primo giudizio ha proposto appello incidentale la soc. A.A.A., confermando i motivi di ricorso, dichiarati assorbiti dalla sentenza del Tar, che qui di seguito si trascrivono:

1) violazione degli artt. 3 e art. 6 del d. lgs. n. 219 del 2006; eccesso di potere per irragionevolezza, illogicità, ingiustizia grave, violazione della par condicio: l’oggetto della fornitura (radiofarmaco) è sottoposto a specifica normativa quanto alla produzione e commercializzazione, nel senso che il soggetto che produce il farmaco deve essere titolare di autorizzazione alla produzione di cui alla direttiva 2001/83/CE e all’art. 50 del d. lgs. n. 219 del 2006, e, ai sensi dell’art. 6, comma 1, del d. lgs. n. 219 del 2006 (attuazione codice comunitario medicinali per uso umano) anche dell’autorizzazione all’immissione in commercio, prevedendo la richiamata norma che “nessun medicinale può essere immesso in commercio sul territorio nazionale senza aver ottenuto un’autorizzazione dell’AIFA (Agenzia italiana del farmaco) o un’autorizzazione comunitaria a norma del regolamento (CE) n. 726 del 2004”; la appellante incidentale A.A.A. è titolare dell’autorizzazione all’immissione in commercio del radiofarmaco sotto il nome commerciale Gluscan (provvedimento AIFA 03714910/M su G.U. n. 89 del 17.4.2007 pag. 46, poi estesa ad uno stabilimento in Italia con provvedimento su G.U. n. 171 del 25.7.2007 pag. 45), mentre l’originaria aggiudicataria (IBA Molecular Italy in ATI con la Fondazione) non sarebbe in possesso dell’autorizzazione alla produzione e all’immissione in commercio del radiofarmaco in Italia, bensì di autorizzazione del radiofarmaco prodotto e distribuito in Francia; inoltre l’autorizzazione all’immissione in commercio riconosciuta in Italia riguarderebbe un farmaco diverso da quello offerto in gara;

1.1.) il bando (art. III.2.3) confonderebbe i presupposti di legge per la produzione e il commercio del prodotto con i requisiti di capacità tecnica e professionale dei concorrenti, ai fini della partecipazione alla gara, dal momento che richiede indifferentemente come condizioni per l’attestazione di livelli minimi di capacità: o il possesso dell’autorizzazione all’immissione in commercio rilasciata dal Ministero della salute (art. 8 d. lgs. n. 178/1991) o dalla Commissione europea/EMEA; o che la preparazione avvenga su richiesta scritta del medico in stabilimenti autorizzati alla produzione di medicinali da autorità sanitarie di paesi membri dell’UE; o che la produzione avvenga secondo il disposto del d.m. 19.11.2003 relativo all’attività di preparazione del radio farmaco; le due ultime condizioni “non hanno alcun significato ai fini dell’ammissione alla gara” sia perché non si tratta di “preparazioni magistrali” realizzate in farmacia, trattandosi di produzione avente natura tipicamente industriale ottenuta in particolari impianti di alta complessità, sia perché l’agevolazione di non richiedere l’autorizzazione vige per l’utilizzazione interna del farmaco tra le strutture sanitarie pubbliche e private accreditate e non riguarda invece l’immissione in commercio della fornitura perché l’ente sanitario non si trasforma in produttore commerciale;

2) violazione degli artt. 50 e 51 del d. lgs. n. 219 del 2006, dell’art. 40 della direttiva 2001/83/CE, della direttiva 8.10.2003 n. 94 in materia di buone prassi di fabbricazione (c.d. GMP) dei farmaci; eccesso di potere per irragionevolezza e incongruità, illogicità, ingiustizia manifesta, violazione della par condicio: la disciplina di gara non richiede la dimostrazione del possesso dell’autorizzazione alla “produzione” del radiofarmaco e del rispetto della disciplina di fabbricazione, richieste dalla legge indipendentemente dall’autorizzazione all’immissione in commercio; non risulta che l’aggiudicataria sia in possesso dell’autorizzazione alla produzione del radiofarmaco oggetto di gara;

3) violazione dell’art. 42 del d. lgs. n. 163 del 2006; eccesso di potere per irragionevolezza, incongruità, illogicità, travisamento dei fatti, disparità di trattamento: le stazioni appaltanti devono richiedere la dimostrazione della capacità tecnica secondo varie modalità (elenco delle principali forniture negli ultimi tre anni, indicazione dei tecnici incaricati dei controlli di qualità, descrizione delle attrezzature tecniche, controllo sulla capacità di produzione, ed altro); il bando non ha richiesto la dimostrazione di nessuno dei requisiti di capacità tecnica;

4) violazione dell’art. 83 del d. lgs. n. 163 del 2006; eccesso di potere per irragionevolezza, incongruità, illogicità, ingiustizia, disparità di trattamento: il criterio di aggiudicazione è quello dell’offerta economicamente più vantaggiosa; tra i criteri di valutazione concorre il tempo di latenza (quello intercorrente tra la produzione e il momento della consegna del prodotto); il valore ponderale di tale criterio (20 punti su 100) è incongruo e illogico, perché ciò che rileva è il tempo di utilizzazione del prodotto (c.d. periodo di stabilità o durata del farmaco), ma questo parametro è stato del tutto ignorato;

5) violazione degli artt. 3, 6, 50 e 51 del d. lgs. 219 del 2006, dell’art. 40 della direttiva 2001/83/CE, della direttiva 94 del 2003, degli artt. 3, 4, 81 e 82 del Trattato CE, degli artt. 41 e 117, secondo comma, lettera e, della Costituzione, eccesso di potere per irragionevolezza, incongruità, ingiustizia, violazione della par condicio: l’aggiudicataria ritiene che il d.m. 19.11.2003 consente alle strutture sanitarie pubbliche e private accreditate, senza autorizzazione alla produzione e senza AIC (autorizzazione all’immissione in commercio), la libera commercializzazione del farmaco, mentre la norma regolamentare facoltizza solo la produzione interna del radiofarmaco tra le strutture sanitarie dotate dei requisiti di legge e non autorizza l’immissione in commercio del radiofarmaco così realizzato da altri; il d.m. 19.11.2003 pone le strutture sanitarie fuori dalla concorrenza perché le legittima a svolgere attività di produzione e commercializzazione di radiofarmaci senza il possesso delle autorizzazioni prescritte per legge;

6) violazione dell’art. 75 del d lgs. n. 163 del 2006, eccesso di potere per irragionevolezza, illogicità, travisamento dei fatti e dei presupposti, disparità di trattamento: la fideiussione dell’aggiudicataria è intestata alla sola IBA Molecular, mentre dovrebbe essere intestata a tutte le componenti dell’ATI costituenda

VIII. Con memorie di udienza le parti hanno ribadito le rispettive pretese, contestando gli assunti avversari.

IX. Il secondo appello (n. 8299 del 2008) è quello dell’Università degli studi Bicocca di Milano– stazione appaltante, la quale si limita a censurare la sentenza del Tar in relazione all’asserita impossibilità per una fondazione di partecipare in ATI ad una gara pubblica di forniture e chiede la riforma della sentenza impugnata.

Anche in questo giudizio la seconda classificata, vincitrice in primo grado, ha proposto appello incidentale in relazione ai motivi svolti in primo grado e non esaminati. Il relativo atto riproduce quello svolto nell’altro appello proposto dall’ ATI tra la IBA Molecular e la Fondazione San Raffaele.

X. All’udienza del 24 marzo i due appelli sono passati in decisione.

Nella stessa data, con atto n. 267 del 2009, è stato pubblicato il dispositivo della sentenza per entrambi gli appelli riuniti.

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. I due appelli vanno riuniti per essere decisi con unica pronuncia, in quanto sono rivolti avverso la medesima sentenza.

2. Posto che la sentenza impugnata ha accolto il ricorso della soc. A.A.A. per l’unico motivo esaminato (violazione dell’art. 34 del codice dei contratti pubblici, approvato con d. lgs. n. 163 del 2006) assorbiti tutti gli altri, e posto che, come si vedrà, devono essere accolti gli appelli principali (ricorsi nn. 8146 e 8299 del 2008) dell’ATI tra IBA Molecular Italy e Fondazione San Raffaele e dell’Università di Milano stazione appaltante, proposti avverso quell’unico motivo condiviso dal primo giudice, deve essere esaminato, in virtù dell’effetto devolutivo, anche l’appello incidentale proposto dalla appellata A.A.A. in entrambi i giudizi, che è invece infondato.

3. Va premesso che la gara è stata indetta (il 9.6.2007) dall’Università in vista della scadenza (13.12.2007) del contratto d’appalto stipulato con la IBA Molecular Italy s.r.l. costituita in ATI con la Fondazione San Raffaele, relativo alla fornitura di radiofarmaco tracciante 18F – fluorodesossiglucosio, per attività diagnostica mediante il tomografo PET/TC situato presso i locali di medicina nucleare dell’Azienda ospedaliera S. Gerardo di Monza.

Nel verbale del Consiglio di amministrazione dell’Università del 22.5.2007, che ha autorizzato l’indizione della gara, si ricorda che, secondo un Accordo di programma, stipulato tra Regione Lombardia, Università e Azienda ospedaliera, si sarebbe dovuto realizzare il progetto della costruzione di un Centro ciclotrone PET, il cui funzionamento e organizzazione sarebbe spettato al Centro di bioimmagini molecolari, consistente nell’acquisto di un tomografo PET/TC, nella costruzione sotterranea di un bunker ove allocare il ciclotrone e i materiali per la radiochimica, e nell’acquisto del macchinario produttore di radio farmaco e cioè di un ciclotrone 18 MeV; nelle more dell’entrata in funzione del ciclotrone, al fine di proseguire l’attività diagnostica, era necessario reperire all’esterno della struttura il radiofarmaco tracciante.

Il che significa che la gara ora in esame si configura come la prosecuzione di una attività di fornitura già assicurata dal medesimo soggetto, ma ora previa una nuova procedura selettiva aperta.

3.1. Secondo il capitolato speciale di appalto la fornitura doveva avvenire (artt. 3 e 4) con consegna giornaliera presso l’Unità operativa di medicina nucleare dell’Azienda ospedaliera San Gerardo di Monza.

Il prodotto (radiofarmaco), conforme alle norme di legge, doveva essere in possesso di almeno una delle seguenti caratteristiche:

-essere autorizzato all’immissione in commercio, rilasciata dal Ministero della salute (ai sensi dell’art. 8 del d. lgs. n. 178/91) o dalla Commissione europea/EMEA (European Medicines Evaluation Agency);

-essere preparato su richiesta scritta del medico (ai sensi dell’art. 25 del d.lgs. n. 178/91) in stabilimenti autorizzati alla produzione di medicinali dalle Autorità sanitarie di Paesi membri della UE;

-essere preparato secondo quanto disposto dal d.m. 19 novembre 2003 “Attività di preparazione del radiofarmaco”.

Tali requisiti o condizioni sono ripetuti nell’art. 6, B, 3 del disciplinare di gara, quanto alla documentazione tecnica da presentare nella busta B.

Lo stesso disciplinare richiedeva talune precisazioni da parte dei partecipanti alla gara, da inserire nella busta B:

-la dichiarazione del periodo di latenza previsto tra produzione e consegna del prodotto;

-i tempi di consegna previsti all’interno di determinate fasce orarie;

-quantità massima di mCi prodotta in più oltre quella giornaliera richiesta da capitolato, nel caso vi fosse richiesta da parte della stazione appaltante;

-le modalità per il trasporto del materiale radioattivo;

-indicazione del sito presso il quale sarebbe stato fatto il backup per garantire continuità operativa.

Sempre nel disciplinare (art. 8) venivano indicati i criteri di valutazione delle offerte e dell’attribuzione dei punteggi, con riferimento anche alle diverse fasce orarie di consegna.

Il bando di gara (punto IV.3.4.) precisava che il termine ultimo per la presentazione delle offerte era il 18.7.2007.

3.2 I soggetti componenti l’ATI (IBA Molecular e Fondazione San Raffaele) dichiaravano (lettera 28.6.2007) il termine di produzione del prodotto presso il centro San Raffaele, il tempo di latenza fra la fine della produzione e la consegna presso l’Ospedale San Gerardo di Monza, le modalità di trasporto, l’orario di consegna, la continuità operativa della fornitura data dalla disponibilità di un secondo ciclotrone in caso di problemi tecnici a quello esistente presso la Fondazione San Raffaele, la eventuale fornitura da altro sito di produzione in Francia del gruppo IBA del medesimo prodotto, registrato anche in Italia con decreto di autorizzazione all’immissione in commercio del 25 ottobre 2006.

Gli stessi soggetti, con altra lettera in pari data, dichiaravano che la produzione avveniva “secondo quanto disposto dal d. m. 19 novembre 2003”.

4. Con riferimento agli appelli principali, va osservato, quanto alla natura dei soggetti legittimati ad accedere ai contratti pubblici, che la previsione legislativa nazionale (art. 3, punto 19, del codice dei contratti) riferisce i termini di imprenditore, fornitore e prestatore di servizi ad “una persona fisica, o una persona giuridica, o un ente senza personalità giuridica, ivi compreso il gruppo europeo di interesse economico ( GEIE ) costituito ai sensi del decreto legislativo 23 luglio 1991, n. 240, che offra sul mercato, rispettivamente, la realizzazione di lavori o opere, la fornitura di prodotti, la prestazione di servizi”; parimenti la norma comunitaria (art. 1, par. 8, della direttiva n. 2004/18/CE) indica che “i termini «imprenditore», «fornitore» e «prestatore di servizi» designano una persona fisica o giuridica o un ente pubblico o un raggruppamento di tali persone e/o enti che offra sul mercato, rispettivamente, la realizzazione di lavori e/o opere, prodotti o servizi”.

Non v’è quindi ragione di escludere che anche soggetti economici senza scopo di lucro, quali le fondazioni, possano soddisfare i necessari requisiti ed essere qualificati come “imprenditori”, “fornitori” o "prestatori di servizi" ai sensi delle disposizioni vigenti in materia, attese la personalità giuridica che le fondazioni vantano e la loro capacità di esercitare anche attività di impresa, qualora funzionali ai loro scopi e sempre che quest'ultima possibilità trovi riscontro nella disciplina statutaria del singolo soggetto giuridico.

Orbene, la sentenza di primo grado ritiene che la natura giuridica della Fondazione, costituita da un patrimonio personificato dall’ordinamento per la realizzazione di uno scopo determinato considerato di utilità sociale, unitamente al carattere non lucrativo della attività svolta dalla persona giuridica di che trattasi, impedirebbe qualsiasi assimilazione delle fondazioni alle società commerciali, il cui elemento fondamentale è costituito dalla ripartizione degli utili tra i soci, con la conseguente non ammissibilità delle prime alle gare pubbliche, anche per la natura tassativa dell’elencazione contenuta nell’art. 34 del codice che non le contempla espressamente.

In accoglimento di entrambi gli appelli, sia della ATI costituenda tra IBA Molecular e Fondazione San Raffaele, sia dell’Università di Milano, la sentenza è errata e va annullata.

Ritiene in proposito il Collegio che l’elencazione dell’art. 34 non sia tassativa e che tale conclusione trovi conforto in altre norme del codice degli appalti che definiscono la figura dell’imprenditore o fornitore o prestatore di servizi nell’ambito degli appalti pubblici (art. 3, commi 19 e 20) e nelle disposizioni comunitarie prima richiamate le quali (art. 1, comma 8, 4 e 44 della direttiva 2004/18/CE) indicano che il soggetto abilitato a partecipare alle gare pubbliche è l’ “operatore economico” che offre sul mercato lavori, prodotti o servizi, secondo un principio di libertà di forme (persone fisiche o persone giuridiche).

5. La giurisprudenza comunitaria ha affermato che per “impresa”, pur in mancanza di una sua definizione nel Trattato, va inteso qualsiasi soggetto che eserciti attività economica, a prescindere dal suo stato giuridico e dalle sue modalità di finanziamento (Sentenza Corte di giustizia 1.7.2008, causa C-49/07, e richiami ivi indicati); che costituisce attività economica qualsiasi attività che consiste nell’offrire beni o servizi su un determinato mercato (Corte di giustizia 10.1.2006, causa C-222/04 relativa a una fondazione bancaria che sia stata autorizzata dal legislatore nazionale a effettuare operazioni necessarie per la realizzazione degli scopi sociali, tra i quali anche la ricerca, l’educazione, l’arte e la sanità); che l’assenza di fine di lucro non esclude che un soggetto giuridico che esercita un’attività economica possa essere considerato impresa (Corte di giustizia 29.11.2007, causa C-119/06, relativa a organizzazioni sanitarie che garantiscono il servizio di trasporto d’urgenza di malati e che possono concorrere con altri operatori nell’aggiudicazione di appalti pubblici, a nulla rilevando che i loro collaboratori agiscono a mezzo di volontari ed esse possono presentare offerte a prezzi notevolmente inferiori a quelli degli altri concorrenti).

5.1. Si deve convenire quindi con gli appellanti che la definizione comunitaria di impresa non discende da presupposti soggettivi, quali la pubblicità dell’ente o l’assenza di lucro, ma da elementi puramente oggettivi quali l’offerta di beni e servizi da scambiare con altri soggetti, nell’ambito quindi di un’attività di impresa anche quando non sia l’attività principale dell’organizzazione.

A diversa conclusione non induce l’osservazione del giudice di primo grado che la Fondazione godrebbe di un regime fiscale di favore idoneo a incidere sulla dinamica concorrenziale, sia perché la Fondazione è solo una delle partecipanti alla costituenda ATI, sia perché il regime fiscale di favore assiste anche altri soggetti, quali le cooperative, senza che si possa sostenere che queste siano escluse dagli appalti pubblici (anzi sono espressamente contemplate nell’art. 34 del codice), ovvero le ONLUS che secondo la recente giurisprudenza amministrativa (Cons. di Stato, VI, n. 185 del 2008; V, n. 1128 del 2009) possono essere ammesse alle gare pubbliche quali “imprese sociali”, cui il d. lgs. 24 marzo 2006 n. 155 ha riconosciuto la legittimazione ad esercitare in via stabile e principale un’attività economica organizzata per la produzione e lo scambio di beni o di servizi di utilità sociale, diretta a realizzare finalità d’interesse generale, anche se non lucrativa.

5.2. Nella specie, la finalità della Fondazione San Raffaele è quella di prestare cura agli infermi e il suo statuto prevede che essa possa svolgere in Italia e all’estero ogni attività utile al raggiungimento dello scopo sociale e quindi ogni attività economica; è iscritta alla Camera di commercio dal luglio del 1996; dal 1972 è riconosciuta come Istituto di ricovero e cura a carattere scientifico e dal 1999 è accreditata dalla Regione Lombardia; esercita dunque un’attività di carattere imprenditoriale nell’ambito sanitario e offre prestazioni sanitarie in favore degli utenti del Servizio sanitario nazionale, ottenendone il rimborso da parte della Regione; il fatto che non persegua utili o che gli utili siano reinvestiti nell’attività non esclude che essa svolga attività di carattere economico con modalità tali da consentirle di permanere sul mercato e di concorrere con altre strutture, enti o società commerciali che operano nello stesso settore.

5.3. Quanto fin qui affermato consente dunque di accogliere gli appelli principali.

6. Si deve passare ora all’esame dell’appello incidentale della soc. A.A.A., vincitrice in primo grado per la fondatezza di un solo motivo, assorbiti tutti gli altri che ora si ripropongono. L’appello incidentale è proposto in entrambi i giudizi ed è del medesimo tenore.

6.1. Riassuntivamente, le questioni poste dall’appello incidentale possono così elencarsi:

a) asserita necessità del possesso del requisito dell’autorizzazione alla produzione e dell’autorizzazione all’immissione in commercio del prodotto oggetto di gara; carenza della disciplina di gara (motivi 1, 2 e 5): secondo l’appellante incidentale, la IBA Molecular Italy è titolare di autorizzazione all’immissione in commercio (A.I.C.) rilasciata in Francia sul presupposto di impianti produttivi esistenti in Francia; l’A.I.C. francese è stata riconosciuta in Italia (provvedimento dell’Agenzia italiana per il farmaco - A.I.F.A. dell’ 8.11.2006) per il fluorodesossiglucosio IBA, ma il prodotto è diverso da quello offerto in gara; 1’aggiudicataria avrebbe potuto concorrere con il radiofarmaco oggetto dell’autorizzazione in Francia, ma poi per il trasporto in Italia si sarebbe avuta una riduzione dei tempi di utilizzazione e un incremento del periodo di consegna, con la conseguenza che l’offerta sarebbe stata meno competitiva;

b) illegittimità del bando che non prevede il possesso di requisiti di capacità tecnica (motivo 3).

c) processo produttivo del radiofarmaco offerto dall’aggiudicataria; valutazione ponderale illogica del tempo di latenza del prodotto (motivo 4).

d) illegittimità del d.m. 19.11.2003 (motivo 6), se consente di prescindere dal possesso dell’autorizzazione alla produzione che è obbligatoria.

e) irregolarità della fideiussione presentata dall’ATI (motivo 7)

6.2 Con riferimento alla prima delle suesposte questioni, la A.A.A. sostiene che sia necessario avere sia l’autorizzazione alla produzione in Italia che l’autorizzazione alla immissione in commercio del farmaco.

Essa però non dimostra di essere in possesso dell’autorizzazione alla produzione in Italia, mentre risulta avere solo l’autorizzazione all’immissione in commercio (n. 425 del 5.4.2007) del prodotto (GLUSCAN) ottenuto in stabilimenti siti in Francia, dal momento che l’estensione di quella autorizzazione in relazione ad un impianto in Italia (peraltro diverso da quello dichiarato nella domanda di partecipazione alla gara) è avvenuta in epoca successiva a quella richiesta dalla disciplina di gara; difatti la modifica dell’autorizzazione all’immissione in commercio è stata pubblicata nella G.U. n. 171 del 25.7.2007 e il provvedimento “entra in vigore il giorno successivo alla sua pubblicazione”. L’ulteriore estensione dell’autorizzazione all’impianto produttivo di Colleretto Giacosa (TO) – che è quello dichiarato nella domanda di partecipazione alla gara – è ancora più recente (nota Agenzia italiana del farmaco del 28.1.2008, depositata in primo grado)

Tale circostanza è stata anche evidenziata dal rappresentante della Ati IBA-Fondazione, come risulta dal verbale di gara n. 3 del 25.7.2007, e ad essa la A.A.A. ha obiettato di essere in possesso del requisito richiesto dall’art. 6, lett. B, punto 3 del disciplinare di gara e cioè “il possesso dell’autorizzazione all’immissione in commercio, rilasciata dal Ministero della salute…o dalla Commissione europea /EMEA”. La Commissione di gara si è riservata ulteriori accertamenti e ha ammesso la società alla selezione.

La posizione di A.A.A., quindi, non è dissimile, all’epoca della domanda, da quella della IBA Molecular Italy, titolare di un’autorizzazione all’immissione in commercio rilasciata in Francia

E non può certo rilevare, come si è già detto, la successiva estensione dell’autorizzazione ad altri stabilimenti dell’A.A.A. in Italia, perché ottenuta per un impianto il 25.7.2007, e per l’altro impianto il 28.1.2008, quando era ormai decorso il termine massimo per la presentazione delle domande (18.7.2007)

6.3. In ogni caso, ai sensi della direttiva n. 2001/83/CE (Codice comunitario relativo ai medicinali per uso umano) è espressamente previsto (art. 6) che “nessun medicinale può essere immesso in commercio in uno Stato membro senza un’autorizzazione all’immissione in commercio delle autorità competenti di detto Stato membro rilasciata a norma della presente direttiva…”.

Il successivo art. 40 dispone poi che “gli Stati membri prendono tutte le opportune disposizioni affinché la fabbricazione dei medicinali sul loro territorio sia subordinata al possesso di un’autorizzazione”; trattasi dell’autorizzazione alla produzione o fabbricazione che dirsi voglia. Lo stesso articolo, però, al comma 2 precisa che “tale autorizzazione non è richiesta per le preparazioni …eseguite soltanto per la fornitura al dettaglio, da farmacisti in farmacia, o da altre persone legalmente autorizzate negli Stati membri ad eseguire dette operazioni”. Questa ultima è la situazione – come si vedrà – della Fondazione San Raffaele che fa parte dell’ATI originaria aggiudicataria.

La successiva direttiva n. 2003/94/CE (linee direttrici delle buone prassi di fabbricazione relative ai medicinali per uso umano) prevede all’art. 10 che “le varie operazioni di produzione sono effettuate secondo istruzioni e procedure prestabilite e in base a buone prassi di fabbricazione”, specie per i medicinali in fase di sperimentazione (che qui non rilevano) e all’art. 4 che “il fabbricante fa sì che le operazioni di fabbricazione siano conformi alle buone prassi di fabbricazione e all’autorizzazione di fabbricazione”; le “buone prassi di fabbricazione” sono dall’art. 2 definite come “la parte di garanzia della qualità che assicura che i medicinali siano prodotti e controllati secondo norme di qualità adeguate all’uso cui sono destinate”.

Nella disciplina di gara era previsto che il prodotto doveva essere in possesso di almeno una delle caratteristiche indicate nel capitolato (art. 3).

Orbene risulta che la ATI IBA-Fondazione, in possesso dell’autorizzazione all’immissione in commercio del prodotto originario al pari della concorrente A.A.A., dichiarava che la sua produzione avveniva secondo quanto disposto dal d.m. 19.11.2003, il che costituiva una delle tre caratteristiche-condizioni contemplate dal capitolato.

Tale decreto, nel definire le “attività di preparazione del radiofarmaco”, che è quello maggiormente utilizzato a scopo diagnostico, e nel ravvisare “la necessità di determinare criteri per l’individuazione dei centri di medicina nucleare dotati di ciclotrone con annesso ambiente adibito all’allestimento di preparazioni radio farmaceutiche e di servizio di farmacia, nonché di profili professionali specializzati per l’espletamento dell’attività di preparazione, di controllo e di distribuzione di radiofarmaci”, favorendo “lo sviluppo e l’attività di un numero sempre più elevato di centri di medicina nucleare dotati di solo tomografo PET, al fine di rendere disponibile il radio-farmaco preparato presso i suddetti centri con ciclotrone…” (v. le premesse del decreto), ha previsto all’art. 1 che la preparazione dello specifico prodotto “possa essere effettuata presso centri di medicina nucleare delle strutture sanitarie pubbliche e private accreditate che risultino dotati di tomografo PET, di ciclotrone con annesso ambiente adibito all’allestimento di preparazioni farmaceutiche, di servizio di farmacia e di personale in possesso dei titoli di specializzazione…”.

Richiede anche requisiti di qualità e di sicurezza della rete di distribuzione “con particolare riferimento a quelli previsti dall’art. 5 della legge 31 gennaio 1962 n. 1860 e successive modificazioni” in tema di trasporti dei materiali radioattivi.

Tale ultima normativa reca prescrizioni per le “preparazioni magistrali”,

6.4. Questa è appunto la situazione della Fondazione, che ha una struttura dotata, oltre che di ciclotrone e PET, anche di un servizio di farmacia e di personale in possesso di titoli di specializzazione nonché di un ambiente adibito all’allestimento di preparazioni radio farmaceutiche, in grado cioè di preparare “formule magistrali” per le quali l’art. 3 del d. lgs. n. 219 del 2006 (di attuazione di direttive comunitarie in tema di medicinali ad uso umano) non prevede l’autorizzazione all’immissione in commercio, evidentemente considerando equipollenti quelle caratteristiche sopra descritte.

Parimenti l’art. 7 del medesimo decreto legislativo n. 219 dispone che l’autorizzazione all’immissione in commercio non è richiesta per i radio-farmaci preparati al momento dell’uso, secondo le istruzioni del produttore, da persone o stabilimenti autorizzati ad usare tali medicinali, in uno dei centri di cura autorizzati.

La Fondazione ha illustrato che, conformemente a quanto avvenuto in virtù del precedente contratto con l’Università di Milano del 2005, IBA Molecular Italy fornisce alla Fondazione medesima il radioisotopo F; che tale radioisotopo è trasformato dalla Fondazione nel radiofarmaco FDG per mezzo del ciclotrone installato presso il proprio servizio di medicina nucleare; che il farmaco così preparato viene consegnato all’Università “pronto per l’uso” mediante trasporto con vettore autorizzato; che la preparazione del radio-farmaco avviene su richiesta del dirigente medico responsabile della Unità operativa di medicina nucleare dell’Azienda ospedaliera S. Gerardo di Monza, convenzionata con l’Università Bicocca di Milano; che, secondo le modalità di produzione previste dal d.m. 19.11.2003, il radio-farmaco in questione è una “preparazione magistrale”, che non necessariamente deve essere estemporanea, perché l’art. 5 del d. l. n. 23 del 1998 esclude l’onere per il medico di indicare nella ricetta le esigenze particolari che giustificano il ricorso alla prescrizione estemporanea, quando (comma 5) “il medicinale è prescritto per indicazioni terapeutiche corrispondenti a quelle dei medicinali industriali autorizzati a base dello stesso principio attivo”.

Orbene, il preparato prodotto ai sensi del d.m. 19.11.2003 è un medicinale pronto per l’uso; è prodotto in uno stabilimento autorizzato ad usare tale medicinale e in un centro di cura autorizzato; quello offerto dall’ATI aggiudicataria è preparato a partire da un radioisotopo, fornito da IBA Molecular Italy, in possesso di regolare autorizzazione all’immissione in commercio.

L’appellante incidentale contesta tutto questo, ma in modo da non indurre il Collegio a condividere le sue censure.

Quanto al fatto che una norma indicata nelle condizioni alternative di ammissibilità sia stata abrogata (art. 25 del d. lgs. n. 178 del 1991), si tratta di mero errore materiale visto che la norma successiva (art. 5 del d. lgs. n. 219 del 2006) riproduce nella sostanza la stessa disposizione, nel senso che l’autorizzazione all’immissione in commercio non è richiesta “per i medicinali preparati industrialmente, su richiesta… del medico a ciò ritenuto idoneo dalle norme in vigore, il quale si impegna a utilizzare i suddetti medicinali…sotto la sua diretta e personale responsabilità”, con la precisazione che in simili casi si applicano “le disposizioni previste per le preparazioni magistrali” dall’art. 5 del d.l. n. 23 del 1998, il quale non prevede che simili preparazioni siano sempre estemporanee, potendo il medicinale essere “prescritto per indicazioni terapeutiche corrispondenti a quelle dei medicinali industriali autorizzati a base dello stesso principio attivo”.

Inoltre, per l’art. 7 del d. lgs. n. 219 del 2006 “l’autorizzazione all’immissione in commercio non è richiesta per i radio-farmaci preparati al momento dell’uso, secondo le istruzioni del produttore, da persone o stabilimenti autorizzati ad usare tali medicinali, in uno dei centri di cura autorizzati e purché il radio farmaco sia preparato a partire da generatori, kit o radio farmaci precursori per i quali sia stata rilasciata l’autorizzazione all’immissione in commercio”.

Che il radiofarmaco sia prodotto in una struttura autorizzata e in un centro di cura abilitato ad usare il ciclotrone in ambiente idoneo, è dimostrato dal fatto che la Fondazione San Raffaele è una struttura accreditata come centro di medicina nucleare titolare di PET e ciò la esonera da ulteriori autorizzazioni, anche quella alla produzione, offrendo già idonee garanzie di sicurezza e qualità nella produzione.

Sono quindi infondati i motivi 1, 2, 5 e 6 dell’appello incidentale (riassunti nelle questioni sub a e sub d).

6.5. Quando poi la A.A.A., appellante incidentale, sostiene che sarebbe illegittimo il bando di gara (art. III.2.3.), nella parte in cui prevede alternativamente almeno una delle condizioni a dimostrazione dei livelli minimi di capacità, dimentica di avere dichiarato, per giustificare la propria ammissione alla gara, di avere il possesso di una di quelle tre condizioni; quindi non si può dolere che la concorrente abbia dichiarato di possederne una delle altre.

In ogni caso le prescrizioni del bando sono espressione di ampia discrezionalità della stazione appaltante quanto al possesso di requisiti di capacità tecnica, non essendoci un solo modo di richiederli e di provarli; né d’altra parte l’appellante incidentale si può sostituire all’amministrazione o può sindacare le relative scelte se non per profili di palese illogicità che nella specie non si rinvengono, dal momento che la disciplina di gara prescrive numerosi requisiti tecnici che le imprese partecipanti devono possedere a garanzia della qualità del prodotto e della loro affidabilità.

E’ pertanto infondato il terzo motivo (questione sub b).

6.6. Quanto alla censura sul c.d. tempo di latenza del prodotto offerto, definito come tempo intercorrente tra la produzione e la consegna, e considerato come parametro principale ai fini dell’attribuzione del punteggio secondo un criterio denunciato come incongruo e illogico particolarmente in relazione al suo eccessivo valore ponderale rispetto agli altri parametri (punti 20 su 100), mentre avrebbe dovuto essere considerato il c.d. tempo di stabilità o di utilizzabilità del prodotto stesso, parimenti il Collegio osserva che la doglianza impinge nel merito delle scelte della p.a., sindacabili dal giudice amministrativo soltanto se effettivamente illogiche e contraddittorie; ma nella specie ciò non avviene, poiché non è illogico che si dia un punteggio rilevante al tempo di consegna di un prodotto che deve essere offerto con frequenza giornaliera ed ogni considerazione su eventuali altri parametri ritenuti più efficaci finisce per sovrapporsi illegittimamente alle determinazioni della stazione appaltante, che peraltro erano conosciute dai partecipanti alla gara e che, se ritenute illegittime, dovevano essere tempestivamente impugnate.

In modo plausibile la stazione appaltante sottolinea che il radiofarmaco, una volta consegnato viene immediatamente e interamente consumato e la durata minima di 8-10 ore di stabilità del prodotto caratterizza tutti i radio-farmaci legittimamente immessi in commercio, per cui risponde a logica premiare il minor tempo di latenza ovvero la più sollecita consegna anche in relazione alla fascia oraria indicata nelle prime ore del mattino.

Né infine la A.A.A. fornisce elementi per dimostrare che un eventuale diverso criterio nell’attribuzione del punteggio avrebbe potuto colmare il divario esistente con l’altra partecipante.

Ne deriva l’infondatezza anche del quarto motivo (questione sub c).

6.7. Per quel che riguarda infine l’irregolarità della fideiussione denunciata nel settimo motivo (questione sub e), è sufficiente osservare che la disciplina di gara (art. 6, punto 3 del disciplinare) richiedeva che, in caso di raggruppamento temporaneo non ancora costituito o già costituito, la garanzia fosse presentata “dalla capogruppo in nome e per conto di tutto il raggruppamento”; il che è puntualmente avvenuto.

7. Conclusivamente l’appello incidentale deve essere respinto per l’infondatezza di tutte le censure. Ne consegue che, in riforma dell’impugnata sentenza, va respinto il ricorso in primo grado.

In considerazione della complessità della vicenda contenziosa le spese processuali devono essere compensate per entrambi i gradi del giudizio.

P.Q.M.

il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, sezione sesta, così provvede:

- riunisce i ricorsi in epigrafe;

- accoglie gli appelli principali, respinge l’appello incidentale e, in riforma della sentenza impugnata, respinge il ricorso in primo grado.

Compensa le spese del doppio grado di giudizio.

Ordina che la presente decisione sia eseguita dall'Autorità amministrativa.

Così deciso in Roma, il 24 marzo 2009 dal Consiglio di Stato, in sede giurisdizionale - Sez.VI - nella Camera di Consiglio, con l'intervento dei Signori:

Giovanni Ruoppolo Presidente

Rosanna De Nictolis Consigliere

Domenico Cafini Consigliere

Roberto Chieppa Consigliere

Marcella Colombati Consigliere est.

Presidente

Consigliere Segretario


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