lunedì 9 febbraio 2009

Focus sugli strumenti finanziari introdotti dal nuovo diritto societario: le "azioni correlate"

Dalle tracking shares alle azioni correlate: brevi riflessioni sull'esperienza domestica italiana

* Il presente saggio è stato redatto per la rivista Le Società ed ivi è pubblicato, 2009

di LODOVICO G. BIANCHI DI GIULIO E FERDINANDO BRUNO

Tra gli strumenti finanziari introdotti dalla riforma del diritto societario, le azioni correlate sono una delle fattispecie più interessanti, rappresentando il recepimento nel nostro ordinamento delle tracking shares straniere. Gli Autori esaminano tale tipo di azioni, alla luce dell'esperienza successiva all'introduzione della nuova categoria di strumenti di capitale

Premessa
Oggetto della presente analisi1 sono le tracking shares2, una categoria di azioni caratterizzata dal fatto di seguire (to track)3 da un punto di vista patrimoniale i risultati dell'attività di uno specifico "business group", che può consistere in una divisione interna all'emittente o in una società da questa controllata4. Non esistono limiti alla discrezionalità dell'emittente quanto alle dimensioni del business group che può dunque ricomprendere qualsiasi combinazione di società controllata, segmento geografico o linea produttiva. Per la loro peculiare caratterizzazione e portata innovativa, le tracking shares sono spesso state definite "l'estrema frontiera del finanziamento azionario"5.

Le tracking shares nell'esperienza statunitense
Nell'esperienza statunitense6, alla quale è necessario riferirsi per l'analisi della fattispecie, l'ambito di applicazione delle azioni correlate è quello delle società multidivisionali di dimensioni maggiori o quotate nei mercati regolamentati. Nelle grandi società conglomerate, con varie divisioni che trattano attività non correlate, il titolo tratta spesso a sconto perché riflette il valore dell'intera impresa piuttosto che l'andamento di un singolo settore (il c.d. conglomerate discount). L'emissione di tracking stocks serve a far emergere un valore latente ma non riflesso nel titolo azionario ordinario della società emittente7. Va rilevato come gli azionisti che investono in tracking stocks hanno un interesse finanziario soltanto in un settore della società8: vi potrebbe quindi essere un disinteresse nei confronti della società in sé, ovvero nel settore principale di operatività della predetta società emittente. L'investitore "settoriale" è pertanto un soggetto che, in assenza dell'emissione collegata al proprio settore di interesse, non avrebbe forse mai maturato un'attenzione nei confronti della società de qua.
Sempre con riferimento all'esperienza maturata negli Stati Uniti, l'operazione che può ben essere ritenuta la "madre" delle emissioni di tracking stocks è l'acquisizione effettuata nel 1984 di Electronic Data Systems Corporation (EDS) da parte di General Motors Corporation (GM)9. Gli azionisti di EDS chiesero di ricevere come parte della loro compensazione un titolo che riflettesse il valore del business di EDS concernente l'information technology, piuttosto che l'intero business di GM e per questo fu proposta la creazione e la distribuzione di una nuova classe di "common stock" denominate "Class E Common Stock", che rispecchiassero i risultati del business di EDS.
GM utilizzò lo stesso meccanismo un anno dopo per l'acquisizione di Hughes Aircraft10 e anche in questo caso, come con EDS, si tratta della tipologia di subsidiary shares. Le divisional shares, invece, sono state emesse per la prima volta nel 1991 da USX Corporation nel contesto di un'emissione legata alla divisione di USX, la US Steel and Marathon Oil, ed era stata decisa a seguito della richiesta di uno dei maggiori azionisti di scorporare la divisione al fine di aumentare il valore per gli azionisti.
Altre emissioni note sono state quelle di AT&T nell'aprile 2000 e, per la prima volta in Europa, l'emissione di Alcatel nell'ottobre 2000.
Come sopra evidenziato, le società americane hanno emesso tracking stock principalmente nell'ambito di acquisizioni o per incrementare lo shareholder value. Tracking stocks sono state utilizzate anche come metodo di incentivazione del management e nei piani di stock options, per allineare gli interessi del management con quelli di uno specifico settore.

I diritti spettanti alle tracking shares
Anche se il contenuto delle tracking stocks può essere il più vario, le caratteristiche che generalmente contraddistinguono le tracking stocks negli Stati Uniti sono (i) i diritti agli utili (dividend rights); (ii) diritti di voto (voting rights); (iii) diritti spettanti ai titolari di tracking stocks in caso di liquidazione della società (liquidation rights) e (iv) diritto di recesso o riscatto (exit or redemption rights).
In merito ai dividend rights, si è rilevato come la tracking stock è direttamente collegata al settore (business) "tracked" per il tramite dei suindicati diritti. Nel diritto statunitense, per principio generale, l'ammontare totale delle somme disponibili per il pagamento dei dividendi, dopo la distribuzione dei dividendi di spettanza degli azionisti privilegiati, è diviso tra le due classi di stockholders di una società. Ad esempio, nell'ambito di un aumento di capitale, una società potrebbe emettere 1.000 azioni, di cui 200 tracking stocks con diritti ai dividendi che danno diritto al 60% dei guadagni di uno specifico settore, e 800 common stocks con diritti ai dividendi derivanti dagli altri ricavi della società, compreso il restante 40% del settore c.d. correlato. Nonostante la formazione di due classi di dividendi, le comuni restrizioni legali (quale, ad esempio, quella relativa al momento in cui una società può pagare i dividendi) continuano ad applicarsi. Per esempio, nelle società americane il diritto societario normalmente vieta il pagamento di un dividendo ove ciò possa impattare sullo "stated capital" della società (come definito dallo statuto, spesso basato su un "aggregate par value"). Tale restrizione impedisce il pagamento del dividendo di una classe di common stocks (anche se ci si trovi nell'ambito dell'ammontare disponibile di dividendi per quella specifica categoria) nel caso in cui il pagamento possa ridurre l'ammontare totale disponibile per i dividendi di tutti i common stockholders al di sotto del total stated capital di entrambe le classi di common stocks.
Relativamente ai voting rights, quando viene costituita una tracking stock, è necessario anche determinare il diritto di voto dei tracking stockholders. Dal momento in cui le tracking stocks attribuiscono la qualità di socio dell'emittente, di solito nel diritto americano i portatori di tracking stocks votano congiuntamente ai portatori dell'altra classe di common stock della società, come se fossero una sola classe. Entrambe le classi di stockholders votano congiuntamente per l'elezione degli amministratori della società (cosicché non vi siano direttori rappresentativi di una sola classe di stockholders) e su tutte le materie su cui gli stockholders comunemente votano. In tale contesto, infatti, ai portatori di tracking shares è riconosciuto, per prassi, dallo statuto, dall'atto costitutivo o, in mancanza di esplicite previsioni, dalla legge, il diritto di voto in tutte le ipotesi in cui sono chiamati a votare gli azionisti ordinari della società, salvo diversa previsione. I tracking stockholders votano insieme ai common stockholders nelle materie sottoposte annualmente all'assemblea ordinaria. Tuttavia, su argomenti che possono avere delle conseguenze negative su una classe di common stockholders e non sull'altra, quali la vendita del settore o la quotazione in borsa dell'attività tracked, il voto viene richiesto separatamente a ciascuna class di portatori di tracking shares. Questa articolazione del diritto di voto, apparentemente semplice, trova nella pratica numerose modulazioni. La prima specificazione attiene al voto in assemblea generale: alcune classi di tracking stockholders sono infatti chiamate a pronunciarsi solo su materie individuate al momento dell'emissione nell'atto costitutivo o nello statuto e non sull'insieme degli argomenti all'ordine del giorno. La seconda specificazione attiene invece alla natura del diritto di voto: all'interno della stessa società vi possono essere classi di tracking shares il cui voto è fisso e classi il cui voto è floating. Nel caso di voto fisso, di solito, al momento dell'emissione, si riconosce un singolo voto per azione ma possono comunque esserci azioni che danno diritto ad un quarto o a metà del voto come azioni che attribuiscono dieci voti. L'elemento base è che il voto è fissato nel suo rapporto con l'azione e la modifica di tale rapporto integra di frequente uno di quei casi in cui il voto della categoria viene richiesto as a single class. Ciascuna classe di tracking shares della stessa società può quindi vedersi attribuire un diverso numero di voti11. L'esistenza di una o più categorie di tracking shares dotate di diverso diritto di voto può produrre inoltre conseguenze sul controllo societario, ad esempio, nell'ambito dei gruppi, la possibilità di diversificare il potere di voto fornisce un potente strumento per il mantenimento del controllo: se infatti la capogruppo emette due classi di azioni dotate rispettivamente, di un voto e di dieci voti per azione, risulta possibile mantenere il controllo nell'assemblea della controllata attraverso un ristretto possesso azionario12.
Il terzo diritto chiave per un common stockholder è il c.d. liquidation right, cioè il diritto di partecipare alla distribuzione degli assets della società successivamente alla sua dissolution o liquidation. Di norma negli Stati Uniti nessuna preferenza è concessa ad alcuna tracking stock per ricevere particolari asset della società emittente, anche dove i dividendi attribuiti alla tracking stock riguardano un particolare settore della società. Gli assets del tracked business sono egualmente disponibili per il beneficio di ciascuna classe di common stockholder13. Si noti che la dottrina straniera conosce anche l'ipotesi di "partial tracking stock interest"14.
Infine, ai titolari di tracking stock viene spesso riconosciuto il diritto di liquidare la propria partecipazione al ricorrere di determinati presupposti (exit rights). Il diritto al disinvestimento può scaturire da situazioni oggettive, come ad esempio il (mancato) pagamento di dividendi, una diminuzione della capitalizzazione dell'emittente o il trascorrere di un certo periodo di tempo, o da ipotesi rimesse al discrezionale apprezzamento da parte dell'organo competente. La facoltà di exit può essere assicurata con meccanismi eterogenei dal punto di vista strutturale. Per esempio, al ricorrere di una ipotesi di exit, l'emittente può convertire le tracking shares in azioni ordinarie o in un'altra categoria di azioni dell'emittente, eventualmente con una formula di concambio più o meno favorevole rispetto alla ratio 1:1, a seconda delle ipotesi. Oppure il titolare delle tracking stocks può recedere dalla società.

Le azioni correlate nell'ordinamento italiano
Il nuovo testo dell'art. 2350 c.c. ha consentito l'introduzione nel sistema italiano delle tracking shares, col nome di azioni correlate15. Tale innovazione è da inserirsi nel più generale contesto della moltiplicazione delle categorie di azioni posta in essere dal Legislatore della Riforma nella prospettiva di ampliare gli spazi concessi all'autonomia statutaria in modo da favorire la nascita, la crescita e competitività delle imprese, anche attraverso il loro accesso ai mercati interni ed internazionali di capitali. La nuova normativa, infatti, non ha solo aperto nuovi spazi di autonomia per i privati attraverso la modifica del testo dell'art. 2348 c.c. (ciascuna categoria di azioni presenta oggi un contenuto variabile a seconda delle diverse combinazioni che i soci, grazie all'autonomia societaria, inventeranno, anche all'interno della stessa società16) ma ha anche ampliato la gamma delle azioni speciali tipiche. In questo contesto innovativo, è stato possibile delineare un tipo azionario che non rappresenti un diritto di partecipazione ai risultati economici dell'intera impresa ma attribuisca un diritto all'utile fondato sui risultati dell'attività sociale in un determinato settore. Le azioni correlate, per le quali la diversificazione dell'attività di impresa assume rilievo puramente interno17, possono quindi risultare un ulteriore strumento, oltre a quelli previsti con i patrimoni destinati ad uno specifico affare di cui all'art. 2447–bis c.c.18, per accedere a finanziamenti finalizzati19.

La determinazione del "settore"
Uno degli elementi più controversi della normativa sulle azioni correlate20 riguarda l'utilizzo del termine "settore". I significati che si possono attribuire ad una espressione così generica sono infatti molteplici; ad esempio, ramo d'azienda21 (intendendo con questa definizione un apparato organizzativo di beni e servizi che riproduca in scala ridotta la struttura dell'azienda generale) o ancora comparto22 o divisione23; forse, utilizzando una categoria propria del linguaggio economico, si potrebbe anche parlare di "linea di prodotto" o di "produzione"; forse ancora, in base a quello che è il significato del termine nel linguaggio corrente, di semplice "ambito di attività".
L'individuazione, forse volontariamente omessa dal Legislatore, di quelli che sono i caratteri costitutivi e l'ampiezza di un settore, si presenta dunque problematica. All'interno dello stesso comma, il Legislatore utilizza prima l'espressione "attività sociale in un determinato settore" e poi semplicemente "settore" (in relazione all'imputazione di costi e ricavi). Ad una prima lettura la terminologia usata nel primo caso sembra evocare il concetto di "area di mercato" (senza riferimenti ad una specifica struttura organizzativa della società). Questa ipotesi condurrebbe ad una lettura estensiva della norma: se "settore" si riferisce all'area di mercato in cui la società svolge la sua, od una delle sue, attività, non risulta che la norma imponga vincoli quanto alle strutture organizzative da utilizzare; in quest'ottica, nulla sembrerebbe impedire alla società di esercitare la sua attività anche, ad esempio, attraverso la partecipazione in altra società. Vi sono infatti società, come le c.d. holding, in cui tale partecipazione costituisce l'attività sociale; inoltre, in una struttura di gruppo può convenirsi che l'attività svolta tramite partecipazioni rientra nell'attività sociale24. Tuttavia, il successivo riferimento al "settore" come centro di imputazione di costi e ricavi osta ad un utilizzo così generico del termine: non sembra infatti possibile parlare di imputazione di costi e ricavi ad una generica area di attività o di mercato né tuttavia appare coerente attribuire un significato diverso allo stesso termine utilizzato nell'ambito del medesimo articolo (e addirittura dello stesso comma) ovvero "settore" inizialmente come "area di mercato" e successivamente come struttura organizzativa interna alla società (generica e non specificata nei limiti e nelle dimensioni ma necessariamente evocata dal riferimento legislativo a "costi e ricavi").
Nel dubbio che comunque permane, pare più cauto propendere per una interpretazione restrittiva della norma, che si riferisca quindi ad un settore della società piuttosto che, come sembrerebbe nel senso comune, all'attività o ad una delle attività sociali in un determinato ambito del mercato, benché letteralmente la norma parli o di "settore" o di "attività sociale in un determinato settore", ma mai di "settore della società". Se si opta per una soluzione restrittiva, la nozione resta ugualmente indeterminata ma quanto meno viene delimitata e trova un limite nella sua natura endosocietaria25.

La rendicontazione
Continuando nella lettura del disposto legislativo, la norma rimette all'autonomia statutaria l'individuazione dei costi e ricavi imputabili al settore e delle modalità di rendicontazione. In relazione al primo punto si potrebbe criticare il riferimento ai soli costi e ricavi, dal momento che un'esatta valutazione dei redditi di un determinato settore di attività potrebbe richiedere l'imputazione di altre componenti di reddito che non rientrano in tali nozioni, quanto meno ai sensi della terminologia codicistica. Potrebbe inoltre apparire eccessiva la libertà accordata alla società in materia di rendicontazione, non esistendo alcun vincolo legislativo all'utilizzo degli stessi criteri e forme adottati per il bilancio della società nel suo insieme (opzione che, al contrario, si è rivelata maggioritaria nella pratica estera e che il Legislatore prevede esplicitamente in materia di patrimoni destinati attraverso il richiamo degli artt. 2423 c.c. e seguenti operato dall'art. 2447–septies c.c.) ma, con tutta probabilità e coerentemente ad una interpretazione della norma per la quale le dimensioni del "settore" non superano il limite della loro natura di unità organizzative interne alla società, tali modalità non possono riferirsi a niente di diverso dei criteri tecnici con i quali sia possibile individuare, nel prospetto di conto economico generale, i costi e ricavi del settore (e non ad un canale di rendicontazione diretta ai soci, diversa dalla procedura di formazione ed approvazione del bilancio.

Diritto alla distribuzione di utili
In merito alla distribuzione di dividendi alle azioni correlate, l'autonomia statutaria incontra dei limiti nel terzo comma della stessa norma; tale disposizione, infatti, a tutela del capitale sociale ex art. 2433 c.c., pone come condizione del pagamento dei dividendi agli azionisti correlati, la presenza di utili distribuibili evidenziati dal risultato del bilancio della società26. In questo modo si evita il rischio che una struttura societaria divisionale possa favorire forme di indebitamento patrimoniale27, che si produrrebbero qualora fosse possibile per questi azionisti essere destinatari dei proventi del settore indipendentemente dalla circostanza che il bilancio della società evidenzi un risultato positivo. Devono quindi essere presi in considerazione gli utili e le perdite della società complessivamente considerata e conseguentemente l'andamento del settore assume esclusivamente la funzione di parametro per la determinazione dei diritti patrimoniali spettanti ai titolari delle azioni correlate28.
È quindi possibile affermare che nei confronti degli azionisti correlati, l'utile può essere distribuito solo in caso di "doppio utile", sia della divisione che dell'intera società e sempre che consti il voto favorevole da parte degli azionisti nell'assemblea ordinaria che delibera sulla distribuzione degli utili. È possibile che la correlazione tra azione e settore avvenga attraverso i diritti patrimoniali che possono prendere numerose forme: le disposizioni statutarie potranno prevedere che tutti o solamente parte dei ricavi del settore correlato vengano attribuiti agli azionisti speciali; inoltre potranno essere individuate modalità di calcolo differenti, ad esempio percentuali o che tengano conto del valore del dividendo ordinario, così come sono ammissibili previsioni circa limiti massimi e minimi nella distribuzione.

Diritti di voto
Sempre all'autonomia statutaria è riconosciuta anche la competenza di individuare il contenuto degli altri diritti da attribuire alle azioni correlate. Dal momento che la norma parla genericamente di "diritti", tale competenza non riguarda esclusivamente la modulazione dei diritti patrimoniali (come accade invece per le azioni di risparmio), ma anche quella dei diritti amministrativi e, in particolar modo, oltre al diritto inderogabile di votare in assemblea speciale nell'ipotesi di pregiudizio ai diritti della categoria, il diritto di partecipare, intervenire, votare in assemblea generale. Quanto al diritto di voto, i suggerimenti che provengono dalla prassi statunitense prevedono entrambe le possibilità ovvero che le tracking shares si vedano attribuire o negare il voto in assemblea generale a discrezione dell'emittente.
Tuttavia, la prassi più frequente prevede l'attribuzione del diritto di voto in assemblea generale dal momento che nell'ordinamento statunitense, così come nell'ordinamento italiano, queste azioni sono considerate azioni ordinarie. Le novità introdotte dalla riforma in materia di diritto di voto rendono possibile molteplici combinazioni: non solo dunque azioni correlate prive del diritto di voto ma anche dotate di diritto di voto limitato a particolari argomenti (verosimilmente collegati alle vicende fondamentali attinenti al settore o alla vita della società, come fusione, scissione, aumento di capitale29) o subordinato al verificarsi di particolari condizioni (ad esempio una mancata distribuzione di utili protratta per un certo periodo). In tutte le ipotesi in cui vengono private dal diritto di voto o in cui l'esercizio del diritto di voto viene limitato o sottoposto a particolari condizioni, le azioni correlate rientreranno nel computo ai fini del divieto ex art. 2351, secondo comma, c.c. di superare la metà del capitale sociale30. Il rispetto dei limiti inderogabili di legge ed in particolare del divieto di voto plurimo ex art. 2351, terzo comma, c.c. porta ad escludere prima facie la possibilità di prevedere meccanismi di ridefinizione periodica del diritto di voto attribuito alle diverse classi di azioni correlate (del tipo floating voting come nell'esperienza statunitense), finalizzati a far seguire un aumento o una diminuzione del potere di governo della categoria all'aumento o diminuzione del rilievo economico del settore in relazione alla situazione complessiva della società sotto il profilo patrimoniale e reddituale. Tuttavia, in presenza di azioni senza valore nominale, per replicare il meccanismo di floating voting si potrebbe ipotizzare una conversione di azioni correlate in un numero maggiore (o minore) di azioni ordinarie, con un effetto simile ad un frazionamento (stock split) o reverse stock split del tipo parziale, cioè un aumento o riduzione del numero di azioni, limitatamente ad una categoria tra esse. Dal momento che la misura della partecipazione in presenza di azioni senza valore nominale è data dalla divisione tra il capitale e il numero di azioni, il potere di voto attribuito alle azioni correlate post conversione in azioni ordinare risulterebbe così maggiorato o diminuito, a seconda dei casi.

Altri diritti
Le norme statutarie devono disporre le condizioni e modalità di eventuali ipotesi di conversione di azioni correlate in azioni di altra categoria. Come dimostra l'esperienza statunitense, la conversione di tracking stocks in common stocks viene spesso prevista come meccanismo di exit. Inoltre, sempre sotto il profilo dell'exit, nulla osta a che le azioni correlate vengano emesse sotto forma di azioni riscattabili ex art. 2437–sexies c.c. In questo caso, la società, nel rispetto dei limiti stabiliti per l'acquisto delle azioni proprie, potrebbe riacquistare le azioni emesse, al verificarsi di determinate condizioni. È opportuno notare che le clausole o le modalità di riscatto, sia che si atteggino nei confronti dei soci, sia che siano previste a favore della società, devono comunque essere ancorate a criteri obiettivi e determinati. Infatti, la previsione di clausole eccessivamente generiche potrebbe, ad esempio, diventare strumento arbitrario a favore della società per l'allontanamento di azionisti indesiderati (che eventualmente possono essere anche azionisti correlati) dal momento che l'esercizio del riscatto sarebbe in questo modo rimesso al libero apprezzamento degli amministratori e quindi al loro arbitrio; in tale contesto, al fine di evitare che le clausole di riscatto possano tradursi in strumento di sopraffazione, sembra necessario che vengano indicati criteri obiettivi per la determinazione dell'ambito oggettivo del riscatto. Quanto alla determinazione del valore di riscatto e la procedura da seguire, il rinvio all'art. 2437–ter c.c. nella disciplina delle azioni riscattabili rende alle medesime applicabile la disciplina della determinazione del valore delle azioni in caso di recesso al fine di evitare abusi ai danni del socio. L'art. 2437–quater c.c. prevede inoltre che le azioni devono in primis essere offerte agli altri soci, poi a terzi. Solo in caso di mancato collocamento vengono rimborsate mediante acquisto delle azioni proprie. In assenza di utili e riserve disponibili, le azioni vengono riscattate mediante riduzione del capitale sociale e, in extremis, la società dovrà essere liquidata.

Assemblee speciali
L'emissione di azioni il cui diritto agli utili è commisurato ai risultati di un determinato settore e non a quelli di tutta l'impresa, nonché l'attribuzione di altri diritti come diritti di conversione o riscatto ricollegabili solo alle azioni correlate, configurano una categoria di azioni, alla quale si applica l'art. 2376 c.c. in tema di assemblee speciali. Le assemblee speciali hanno ex lege la competenza di deliberare, in conformità alle regole proprie dell'assemblea straordinaria, in ordine alle deliberazioni dell'assemblea generale dirette a pregiudicare i diritti di categoria. Nel caso in cui lo statuto non detti regole particolari in proposito, l'art. 2376 c.c. è di difficile attuazione, in quanto non è facilmente individuabile il pregiudizio rilevante ai diritti della categoria, che ne determina l'applicazione31. Tuttavia, essendo l'art. 2376 c.c. funzionale all'esigenza di elasticità dell'organizzazione sociale, può essere modificato in sede contrattuale nel senso che lo statuto può prevedere che, ad una o a più assemblee speciali siano attribuite competenze deliberative più ampie ovvero, nei limiti imposti dalla legge, può modificarne le regole di funzionamento o, anche, limitarne l'ambito di applicazione rispetto a "pregiudizi" predeterminati, così come escluderne l'operatività in certi casi32.

Conflitti di interesse
La coesistenza di azioni ordinarie e azioni correlate, la cui rispettiva spettanza agli utili dipende dalla fonte che ha generato gli stessi, implica una moltiplicazione dei conflitti endosocietari tra settori, sia a livello dell'organo amministrativo a seguito delle scelte gestionali, sia a livello dell'assemblea. Nella letteratura americana, tale fenomeno è chiamato "sibling rivalry". La divisione interna nella struttura della società prodotta dall'emissione di tracking shares ha come conseguenza la diversificazione dell'interesse finanziario tra gli azionisti: infatti, il valore e l'andamento delle azioni di ciascuna classe di tracking shares sono indipendenti dai risultati degli altri settori e dall'andamento delle altre classi di azioni, in quanto non vi è coincidenza nelle attività e nella struttura di produzione che ciascuna classe riflette. Si tratta tuttavia di un'indipendenza relativa dal momento che il capitale rimane unico e di conseguenza persiste un legame tra l'andamento delle tracking shares e quello delle azioni ordinarie e in misura maggiore, tra le diverse classi di tracking shares. Le stesse scelte poste in essere dagli amministratori incidono quindi, direttamente, sul settore e sul valore della classe di tracking shares a questo collegate ed indirettamente, sulle restanti attività e sulla società nel suo insieme. Tali effetti non si registrano invece in una società tradizionale dotata di diverse categorie di azioni (ad esempio con diritti agli utili privilegiati o maggiorati) dove, pur in presenza di una eventuale rivalità tra le diverse classi di azionisti, vi è sostanziale coincidenza dell'interesse finanziario ed anche nell'ipotesi di una politica gestionale più favorevole ad un settore piuttosto che ad un altro, poiché tutte le categorie condividono l'interesse alla valorizzazione della società nel suo insieme, se tale effetto è assicurato, ciascuna categoria ne sarà soddisfatta e ne trarrà beneficio economico. Ne consegue che le ipotesi di conflitti tra divisioni o settori e tra gli azionisti ad essi correlati attengono fondamentalmente alla concorrenza per l'allocazione di risorse (di capitale e di personale) ed opportunità d'affari, alla definizione dei criteri di imputazione di spese e costi comuni ed alle controversie relative alle condizioni dei rapporti contrattuali tra i diversi settori o tra la società ed il singolo settore, come nel caso di vendita o trasferimento di beni o fornitura di servizi (ad esempio, fornitura da parte della società di un servizio centrale di tesoreria alle singole divisioni o prestazione di garanzie, sempre da parte della società, per la specifica attività del settore). Rispetto a tali conflitti, l'organo preposto a dirimere le controversie e tutelare gli azionisti correlati salvo per le materie di cui all'art. 2376 c.c. non può essere individuato nell'assemblea speciale dal momento che la gestione della società non viene esercitata attraverso delibere dell'assemblea generale (la cui competenza è limitata alle materie di cui agli artt. 2364 c.c.33 e 2365 c.c.), quanto piuttosto mediante atti "interni" di carattere organizzativo, come sono, ad esempio, le delibere dell'organo amministrativo.
A prescindere da eventuali questioni a proposito di quali siano i criteri che orientano l'operato di chi è preposto all'attività gestionale quotidiana, ovvero degli amministratori della società, specificatamente in una società la cui struttura sia stata segmentata in divisioni – settori a seguito dell'emissione di azioni correlate, nessun obbligo di legge vincola gli amministratori a doveri di diligenza specificatamente nei confronti di una categoria di azionisti né è possibile desumere dai principi generali un obbligo, poniamo, di imparzialità nella gestione dei differenti settori o unità organizzative in cui la società può strutturarsi.
Sembra quindi che una piena tutela degli azionisti correlati potrebbe essere assicurata, ancora una volta, contrattualmente, nelle ipotesi in cui la società si impegnasse, al momento dell'emissione, nel senso di mantenere inalterate determinate caratteristiche ed elementi del settore od anche, ad esempio, a rispettare specifiche politiche di sviluppo o piani finanziari ed economici od ancora, a seguire determinate modalità nell'utilizzo delle risorse del settore, nella gestione dell'attività e dei rapporti con gli altri settori della società. Non sembra infatti che il Legislatore della Riforma abbia ritenuto necessario esplicitare in che modo la modificazione che la società subisce da un punto di vista della struttura organizzativa con l'emissione di azioni correlate possa o debba influenzare la configurazione della diligenza degli amministratori né che abbia riconosciuto alla considerazione divisionale propria di una società che emette azioni correlate un effetto innovativo tale da rivoluzionare i principi tradizionali in materia di responsabilità degli amministratori.
Tuttavia, la mancanza di una disciplina innovativa ad hoc può essere letta, invece, nel senso che i principi generali posti dall'ordinamento in materia di diligenza e responsabilità, se debitamente interpretati, sono applicabili anche alle nuove problematiche poste dall'adozione delle azioni correlate e della struttura divisionale che tale strumento implica. Non parrebbe infatti corretto considerare la mancanza di una norma specifica a tutela degli interessi "di settore" o della sua categoria nel senso di una loro irrilevanza dal momento che il Legislatore stesso ne ha sancito l'importanza (e quindi la necessità di tutela) attraverso l'introduzione dell'istituto delle azioni correlate. Devono trovare quindi applicazione, anche nei confronti degli azionisti correlati, i principi generali cui si è accennato; tuttavia, sorge la necessità di dilatare e specificare a livello interpretativo il contenuto dei doveri di diligenza degli amministratori sancito a livello di clausola generale dall'art. 2392 c.c., in modo da individuare un criterio per dirimere e prevenire quella fisiologicità dei conflitti che, come visto, può caratterizzare una società che emette azioni correlate. Nella ricostruzione del contenuto dei doveri di diligenza degli amministratori nei confronti degli azionisti correlati è forse possibile sfruttare alcune novità introdotte dalla Riforma, in particolare attraverso un riferimento, che non può che essere per analogia legis, al nuovo testo dell'art. 2497 c.c.34 in materia di attività di direzione e controllo. Tale riferimento si giustifica per la possibilità di una comunanza di problematiche pratiche e di ipotesi di conflitti nel caso di una società multidivisionale e di un gruppo: infatti, i problemi che si pongono quando un'attività produttiva viene esercitata attraverso una struttura divisionale coincidono, indipendentemente dalle dimensioni delle unità produttive e riguardano essenzialmente, come visto, la regolamentazione dei rapporti contrattuali e l'allocazione di costi, risorse ed opportunità d'affari tra le differenti unità. Nella disciplina di cui agli artt. 2497 e ss. c.c. il Legislatore affronta esplicitamente (ed è l'unica ipotesi) queste problematiche inerenti alla gestione dell'impresa in presenza di separazione patrimoniale e di interessi confliggenti da tutelare.
In particolare, se si dovesse reputare lecito un simile richiamo analogico, potrebbe assumere rilevanza nella determinazione dei criteri di condotta degli amministratori nei confronti degli azionisti correlati il riferimento alla tutela della reddittività e del valore della partecipazione sociale (individuato come bene protetto dall'art. 2497 c.c.) come limite per la discrezionalità nella gestione e, nella valutazione dei rapporti tra società e settori, potrebbe risultare funzionale l'adozione di un approccio mutuato dalla teoria dei vantaggi compensativi accolta dalla norma sulla direzione e controllo. In quest'ottica, l'art. 2497 c.c. dovrebbe essere considerato espressione di un più generale principio dell'ordinamento ovvero che, quando l'attività di amministrazione societaria viene ad essere esercitata in presenza di una struttura organizzativa divisa per unità produttive (indipendentemente dalle dimensioni e dall'autonomia di queste ultime) e quindi in presenza di una pluralità di interessi confliggenti da tutelare, il limite alla discrezionalità degli amministratori nella gestione deve essere individuato nella necessità di non arrecare pregiudizio al valore ed alla reddittività della partecipazione sociale, alla luce di una valutazione dell'operato degli amministratori in cui non vi è responsabilità quando il danno risulta mancante alla luce del risultato complessivo dell'attività ovvero integralmente eliminato anche a seguito di operazioni a ciò dirette.
Questi principi dunque potrebbero trovare applicazione anche in ipotesi differenti da quella per cui sono stati posti (ovvero l'attività di direzione e coordinamento di diverse società) e, benché sorti per tutelare gli interessi delle società controllate all'interno di un gruppo e dei loro azionisti, si renderebbero strumento per la tutela degli azionisti correlati e per l'interesse delle divisioni di una società come principi di corretta gestione divisionale applicabili anche al di fuori della specifica disciplina dei gruppi. È opportuno tuttavia sottolineare nuovamente che i richiami operati sottendono una visione per cui la disciplina di cui agli artt. 2497 c.c. e seguenti non costituisce solo la disciplina specifica da applicare nelle ipotesi di attività di direzione e coordinamento (così come individuata sulla base delle presunzioni iuris tantum di cui all'art. 2497–sexies c.c.) ma la disciplina del "tipo" della struttura societaria divisionale, prescindendo dalla dimensioni e dai gradi di autonomia che la divisione presenta nel caso concreto; questa osservazione esclude quindi la possibilità di richiamare in toto la disciplina in questione dal momento che le analogie ammissibili non possono sostenere nulla di più di un'applicazione limitata ai principi generali (e non il completo richiamo delle norme sull'attività di direzione e coordinamento). È innegabile, infatti, che la disciplina della direzione e coordinamento di società presuppone l'autonomia, almeno formale, dello scopo sociale e dell'attività sociale delle unità produttive oltre alla loro personalità giuridica ed (a volte) anche alla presenza di un distinto organo di amministrazione.

Fallimento delle azioni correlate?
Esaminando il mercato dei capitali e societario italiano, è agevole rilevare come le azioni correlate non hanno ancora incontrato un grande successo nel nostro ordinamento: a ciò non hanno certo giovato le critiche della dottrina che hanno accompagnato l'istituto sin prima della sua nascita35 e anche successivamente alla creazione della categoria.
Fra i principali inconvenienti legati all'emissione di tracking stock, la miglior dottrina per Portale ha annoverato: la debole leggibilità da parte del mercato se il "settore" non è correttamente identificato, la gestione dei conflitti di interesse e le scelte delle allocazioni delle opportunità strategiche e dei mezzi propri tra il settore e le altre attività; gli intralci e l'ingessamento dei processi decisionali legati alla creazione di una categoria di azioni, la necessità di un'apposita contabilità. Si è evidenziato, ancora, come nel caso delle azioni correlate, qualsiasi incremento di valore patrimoniale del settore, che non venga tradotto in utile distribuibile va perso per il socio di "settore", che dovrà individuarlo con gli altri soci36: il pericolo evidenziato da tale dottrina riguarda il fatto che il titolare di azioni correlate gode di un rendimento rapportato al settore, ma non ha alcuna pretesa di tipo patrimoniale sullo stesso. Il patrimonio relativo al settore, rimane di proprietà della società nel suo insieme: acquisito il finanziamento con le emissioni delle azioni di "settore", la società potrebbe scegliere di destinare quei fondi ad altro settore, in quanto non vi è vincolo di destinazione, perché unico rimane il patrimonio sociale; ed anche in sede di liquidazione l'azionista di settore non può avanzare alcuna pretesa particolare sui beni del segmento stesso37. Tuttavia, ad avviso di chi scrive, le azioni correlate presentano indubbi vantaggi e la loro potenzialità non è ancora stata pienamente sfruttata. L'emissione di tracking stocks presenta qualche similitudine con altri metodi di diversificazione quali lo scorporo o spin–off, la creazione di un patrimonio destinato ad uno specifico affare o, ancora, l'associazione in partecipazione. In tutte queste strutture, agli azionisti della società scissa, ai titolari di strumenti finanziari rappresentativi dello specifico affare e all'associato che partecipa ad un contratto di associazione in partecipazione spetta una parte degli utili prodotti dallo specifico affare o settore. Tuttavia, a differenza dell'operazione di spin–off, che comporta la separazione patrimoniale del settore in un'entità giuridicamente distinta, le attività sottostanti alle azioni correlate continuano a far parte dell'impresa della società emittente che continua ad esercitare pieni poteri gestori sulle medesime ed ad usufruire delle sinergie o degli effetti di diversificazione che esse comportano. Diversamente da quanto accade nel patrimonio destinato, che non può essere costituito per un valore complessivamente superiore al dieci percento del patrimonio netto della società, l'emissione di azioni correlate non riscontra alcun limite quantitativo. Infine, rispetto all'associazione in partecipazione, i titolari delle azioni correlate possono interferire nella gestione della società38, ad esempio tramite il diritto di nomina di uno o più amministratori a loro riservato. Inoltre, a differenza dei meccanismi contrattuali come l'associazione in partecipazione, che produce i suoi effetti solo tra i contraenti, in caso di emissione di azioni correlate, i meccanismi di condivisione agli utili, recesso, partecipazione alle perdite ed eventuali conseguenze in caso di inadempimento agli obblighi previsti a carico dei titolari di azioni correlate, possono essere previsti statutariamente e, pertanto, producono i loro effetti erga omnes.
Tuttavia, sulla falsariga di quanto avviene negli organismi di investimento collettivo e, in particolare, nelle SICAV multicomparto, le emissioni di azioni correlate finora note nell'ordinamento italiano riguardano soprattutto le c.d. investment companies, ovvero le holding di partecipazioni iscritte all'elenco generale e/o speciale ai sensi degli artt. 106 e 107 del Decreto Legislativo 1° settembre 1993, n. 385 (Testo Unico delle leggi in materia bancaria e creditizia), per le quali esiste un regime specifico qualora le loro azioni vengano quotate.39 La creazione di azioni correlate permette infatti agli investitori nelle investment companies di investire solo in un determinato tipo di attività della medesima, oppure consente ai primi investitori di escludere gli investitori successivi dagli utili generati sugli investimenti effettuati con il solo contributo dei primi. È altresì possibile, come si evince da un recente esempio di investment company quotata40, distinguere il privilegio nella distribuzione dei dividendi derivanti da una linea di business, dalla spettanza agli utili derivanti dalle attività residue della società. La creazione di "comparti" separati in tutte queste strutture risponde all'esigenza economica e manageriale di riunire più portafogli di investimenti, con profili di rischi non uniformi e finanziati da diverse categorie di investitori in diversi momenti, sotto un'unica gestione unitaria, con notevoli risparmi di costi41.
1 Gli Autori desiderano ringraziare per il fondamentale contributo fornito alla stesura di questo lavoro Kathleen Lemmens, avvocato in Milano.
2 Le tracking shares (o anche tracking stocks) sono talvolta anche denominate alphabet stocks, lettered stocks o targeted stocks. Si veda anche la nota 6.
3 Si veda in proposito quanto evidenziato dalla U.S. Securities and Exchange Commission (SEC): "Many companies issue "tracking" stocks – also known as "targeted" stocks – in addition to their traditional common stock. A tracking stock is a type of common stock that "tracks" or depends on the financial performance of a specific business unit or operating division of a company – rather than the operations of the company as a whole. Tracking stocks trade as separate securities. As a result, if the unit or division does well, the value of the tracking stock may increase – even if the company as a whole performs poorly. The opposite may also be true", disponibile sul sito web http://www.sec.gov/answers/track.htm.
4 Questa differenziazione ha poi dato luogo, all'interno della categoria generale delle tracking shares, ad una distinzione tra divisional shares e subsidiary shares. Queste ultime, a differenza della fattispecie classica, sono azioni della capogruppo (parent company) che incorporano un diritto agli utili commisurato ai risultati di una controllata (frequentemente al 100%). La distinzione tra divisional shares e subsidiary shares si ritrova anche in riferimento al periodo in cui è avvenuta l'emissione: le subsidiary shares sono state la prima generazione di tracking shares (lo strumento infatti viene inizialmente utilizzato nell'ambito dei gruppi) mentre le divisional shares hanno fatto la loro apparizione successivamente.
5 Così Lamandini, Struttura finanziaria e governo nelle società di capitali, Bologna, 2002, 51.
6 Sul tema, si vedano: Billet – Mauer, Diversification and the Value of Internal Capital Markets: The Case of Tracking Stock, Miami, October 1998, in http://papers.ssrn.com; Billet – Vijh, The Wealth Effects of Tracking Stock Restructurings, University of Iowa, September 2002, in http://papers.ssrn.com; Chang, The Inside Track on Tracking Stock, September 7, 1999, in www.fool.com/specials/1999/sp990907tradingstocks.html Chemmanur – Paeglis, Why Issue Tracking Stock? Insights from a Comparison with Spin–offs and Carve–outs, June 2000, in http://papers.ssrn.com; Messineo, Tracking stock, 01–Mar–2001, in http://www.practicallaw.com/7–101–3885; Jacobs – Macours, Tracking Stock: A European Perspective, in Journal of International Banking and Financial Law (JIBFL), 2001, 8, 372; Useem, Tracking the Tracking Stock, June 2000, in www.business2.com; Sherreik, Tread Carefully When You Buy Tracking Stocks, in Business Week, March 6, 2000, 182; Romanchek – Ricaurte, Executive compensation: tracking stock and venture capital plans, in Journal of Compensation and Benefits, 5–6/2001; Langner, Tracking Stocks, in http://papers.ssrn.com; Haushalter – Mikkelson, An Investigation of the Gains from Specialized Equity: Tracking Stock and Minority Carve–Outs, University of Oregon, May 29, 2001, in http://papers.ssrn.com; Hass, Fiduciary Duties of Tracking Stock Directors Under Delaware Law, in Directors Monthly, May 2001, 7; Hass, How Quantum, DLJ and Ziff–Davis Are Keeping on Track with Tracking Stock, September 1999, in http://papers.ssrn.com; Hass, Directorial Fiduciary Duties in a Tracking Stock Equity Structure: The Need for a Duty of Fairness, in 94 Michigan Law Review, June 1996, 2089; Gump, DuPonts Tracking Stocks, March 16, 1999, in www.fool.com/specials/1999/sp990907tradingstocks.htm; Elder – Westra; Clayton – Qian, Wealth gains from tracking stocks: Long–run performance and ex–date returns, University of Iowa, November 2002, in http://papers.ssrn.com; Ali – Stapledon, Virtual flotations. Tracking shares and corporate governance, in Company and Securities Law Journal, 2000, 429.
7 "Tracking stock (or targeted or letter stock) is a separate class of shares in a company which tracks and reflects the economic performance of a distinct part of that company's business. Increasingly it has been used in the United States to raise the profile of highly rated subsidiaries", Marrison, Tracking stock, International Company and Commercial Law Review, 2000, 11(7), 235–239.
8 "Shareholders of tracking stocks have a financial interest only in that unit or division of the company. Unlike the common stock of the company itself, a tracking stock usually has limited or no voting rights. In the event of a company's liquidation, tracking stock shareholders typically do not have a legal claim on the company's assets. If a tracking stock pays dividends, the amounts paid will depend on the performance of the business unit or division. But not all tracking stocks pay dividends", SEC, in http://www.sec.gov/answers/track.htm.
9 Così Messineo, Tracking stock – 01–Mar–2001, in http://www.practicallaw.com/7–101–3885.
10 Il nome alphabet stocks deriva dalla creazione da parte di General Motors delle azioni di categoria "E" e "H", correlate ai risultati di rispettivamente EDS e Hughes Aircraft.
11 Per esemplificare, considerando una società del settore agroalimentare, può essere previsto statutariamente che un'azione tracking share di categoria A, collegata al settore dei prodotti "di nicchia", attribuisca al suo portatore tre voti, mentre un'azione tracking share di categoria B, collegata ad un diverso settore, poniamo i prodotti biologici, ne attribuisca cinque.
12 In merito al diritto di voto delle tracking shares, si noti come: "Both the tracking stockholders and the ordinary shareholders have the right to vote at general meetings, but the holders of tracking stock have no separate voting rights with regard to 'their' business unit. In the above example, this means that the ordinary shareholders will constitute a de facto majority at general meetings, and that, if no specific safeguards are in place, tracking stockholders may be subject to the whims of ordinary shareholders. Even though the applicable corporate law may require a special majority vote within each class of shares for any shareholder resolution altering the rights attached to a particular class of share, this may not be sufficient to capture shareholder decisions that do not formally alter those rights, but which affect the two classes in different ways. Conceivably, a decision to discharge the board of directors may have such a result. In this respect, it is important to spell out – and notwithstanding possible sub–committees within the board – that there will be no legally separate board of directors for the tracked business unit. Even where the tracking stock relates to the activities of one or more subsidiaries, the board of each subsidiary is legally accountable to the parent company, not to the tracking stockholders of the parent company", Jacobs – Macours, Tracking Stock: A European Perspective, Journal of International Banking and Financial Law (JIBFL), 2001, 8, 372.
13 Messineo, cit.
14 A riguardo, si rileva come: "Often when a company wishes to issue a tracking stock, it does not wish to issue shares of tracking stock that would be attributed 100% of the earnings of the tracked business. It may be desirable for only a portion of the net earnings of the tracked business to be allocated to the dividend pool attributed to the shares of tracking stock that are to be issued. For example, the market may not be able to absorb so large an interest in a new equity security. In these cases, the balance of the net earnings of the tracked business is allocated to the dividend pool of the other class of common stock and contributes to part of that class's earnings per share. The following mechanism is used: (A) The total net earnings of the tracked business are divided into a number of units equal to the number of shares of tracking stock that, if issued, would be allocated 100% of the tracked business's earnings for purposes of calculating the dividends permissible on the tracking stock and the earnings per share of tracking stock. This number (the divisor in this calculation) is often referred to as the dividend base. (B) The portion of the net earnings of the tracked business that corresponds to the fraction equal to the number of shares of tracking stock issued divided by the dividend base is allocated to outstanding shares of tracking stock; (C) The balance of the net earnings of the tracked business is allocated to the outstanding shares of the other class of common stock. (D) If the company issues additional shares of tracking stock in the future, an adjustment is made so that proportionately more of the tracked business' earnings are allocated to the outstanding shares of tracking stock and less to the outstanding shares of the other class of common stock. The interest in the tracked business that is not attributed to the outstanding shares of tracking stock is often referred to as the retained interest or the economic interest of the company and the other class of common stockholders in the tracked business. In most cases when a tracking stock is issued, a retained interest of this nature is set up for the other class of common stockholders. However, over time, many retained interests have been reduced by the sale by the company of additional shares of the tracking stock, and in certain cases the retained interest has been reduced to zero so that 100% of the net earnings of the tracked business are allocated to the outstanding shares of tracking stock", Messineo, cit.
15 In tal senso infatti l'opinione della prevalente dottrina. Nell'attribuire un nome della nuova categoria, inoltre, il legislatore ha accolto il suggerimento di Portale, Dal capitale assicurato alle tracking stocks, in Riv. soc. 2002, 163.
16 Santosuosso, La riforma del diritto societario, Milano, 2003, 77. Tuttavia, può essere corretto osservare che già la precedente formulazione della norma forniva un consistente margine di autonomia, per la verità scarsamente utilizzata dagli operatori, nella creazione di categorie di azioni caratterizzate da diritti diversi, pur nei limiti posti, ieri come oggi, dalla legge.
17 In questo senso, F. Di Sabato, Strumenti di partecipazione a specifici affari con patrimoni separati e obbligazioni sottoscritte dagli investitori finanziari, in Banca borsa, 2004.
18 Su cui, tra gli altri: Perrella, Forma della delibera costitutiva dei patrimoni destinati, in i Contratti, 2004, n. 11, p. 1071; Stesuri, I patrimoni destinati nel fallimento e nei progetti di riforma fallimentare, in Impresa commerciale industriale, 2004, n. 10, p. 1570; Roland, I patrimoni destinati ad uno specifico affare: le protected cell companies italiane, in Contr. e impr., 2004, n. 1, p. 323; Rocco, Società unipersonali e patrimoni destinati, in Rivista del Notariato, 2004, n. 3, p. 613; Andreani, Alcune note sul rapporto tra patrimoni destinati (artt. 2447–bis e seguenti) e scelte di finanziamento delle imprese, in Impresa commerciale industriale, 2004, n. 3, p. 423; Colombo, La disciplina contabile dei patrimoni destinati: prime considerazioni, in Banca borsa e titoli di credito, 2004, n. 1, p.I – 30; Rocco di Torrepadula, Patrimoni destinati e insolvenza, in Giur. Comm., 2004, n. 1, p.I – 40; Inzitari, I patrimoni destinati ad uno specifico affare (art. 2447–bis, lettera a, c.c.), in Contr. e impr., 2003, n. 1, p. 164; Manes, Sui " patrimoni destinati ad uno specifico affare " nella riforma del diritto societario, Contr. e impr., 2003, n. 1, p. 181.
19 È importante distinguere la azioni correlate, che sono vere e proprie azioni, dagli strumenti finanziari che possono remunerare un "patrimonio separato", ai sensi dell'art. 2447–bis c.c. L'ambito dell'attvità a cui le azioni vengono correlate è più ampio di quello che caratterizza i patrimoni destinati, e non solo per il limite del 10% del valore del patrimonio netto posto per la creazione dei patrimoni destinati. Si veda Quatraro G., Le categorie di azioni in Azioni, obbligazioni e altri strumenti partecipativi, a cura di Pantè – Quatraro, Edizioni Sistemi Editoriali, 2004, p. 88.
20 Su cui: U. Patroni Griffi, Le azioni correlate, in Diritto dell'impresa e del mercato, G. Alpa, U. Belviso, R. Pardolesi e M. Sandulli (a cura di), Napoli, 2005; Lamandini, Azioni ''correlate'' e ''patrimoni separati'' nel progetto di riforma del diritto societario, Intervento al convegno ''Azioni, obbligazioni ed altri strumenti finanziari, Milano, 12-13 dicembre 2002; U. Tombari, Nuovi strumenti di finanziamento nella s.p.a.: gli ''strumenti finanziari non partecipativi e partecipativi dotati di diversi diritti patrimoniali ed amministrativi'' (art. 4, sesto comma, lettera c) - Intervento convegno Firenze, 2 giugno 2000 - in www.associazionepreite.it; Mignone, «Tracking shares» e «actions reflet» come modelli per le nostre «azioni correlate», in Banca borsa, 2003, I, 610; Manzo – Scionti, Patrimoni dedicati e azioni correlate: «cellule» fuori controllo?, in Società, 2003, 1329; Portale, cit.
21 Nell'opinione di Weigmann, Luci ed ombre del nuovo diritto azionario in Società, 2003, 276. In altra sede inoltre l'Autore si domanda se l'espressione "affari" utilizzata dal legislatore in materia di patrimoni destinati, possa essere interpretata ed ampliata fino a ricomprendere anche settori dell'impresa. In senso contrario alla coincidenza tra la nozione di "affare" e quella di "attività" invece Martorano, Commento all'art. 2350, in La riforma delle società, a cura di Sandulli – Santoro, Torino, 2003, 144.
22 In tal senso Portale cit., 158. L'Autore però utilizza tale terminologia in un contesto differente dall'interpretazione della norma di legge.
23 In questa accezione Santosuosso, cit., 79, che utilizza il termine divisione come sinonimo, oltre che di "settore", anche di "comparto imprenditoriale".
24 Come nota Santosuosso, cit., 81.
25 Si noti come, da punto di vista fiscale le azioni correlate sono state definite come "azioni fornite di diritti patrimoniali correlati ai risultati dell'attività sociale in un determinato settore" (c.d. tracking shares), caratterizzate da una remunerazione che oscilla nel tempo, in quanto agganciata ai risultati dell'attività sociale svolta in uno specifico settore di volta in volta individuato" – Agenzia delle Entrate – Direzione Centrale Normativa e Contenzioso – Circolare del 20/12/2004 n. 53 – Oggetto: Circolari IRES/6 – Il consolidato nazionale. Decreto legislativo 12 dicembre 2003, n. 344.
26 Cfr. Mignone, Commento all'art. 2350 c.c., in Il nuovo diritto delle società di capitali, diretto da G. Cottino, (e altri), Torino, 2004, che afferma che mentre nelle azioni privilegiate il dividendo è diversificato in senso quantitativo, nel caso delle azioni correlate lo è in senso qualitativo.
27 Come sottolinea Santosuosso, cit., 80; inoltre, l'indebolimento patrimoniale assume rilevanza in relazione ad eventuali azioni esecutive dei creditori o in presenza delle condizioni per la riduzione obbligatoria del capitale.
28 Cfr. Stagno D'Alcontres A., Commento all'art. 2350, in Niccolini G. e Stagno d'Alcontres A. (a cura di), Commentario alle società di capitali, Vol. 1, 2004, p. 299.
29 Va incidentalmente rilevato come la distinzione, tradizionale in materia di diritto delle società, tra capitale (equity) e debito (debt), si riflette, nell'ambito degli strumenti finanziari, nella dicotomia tra strumenti di finanziamento azionari, attraverso i quali le società acquisiscono mezzi propri, e strumenti emessi per acquisire risorse finanziarie (Abriani, La struttura finanziaria delle società di capitali nella prospettiva della riforma, in Riv. dir. comm., I, 2002, 131; Corsi, La nuova s.p.a.: gli strumenti finanziari, in Giur. comm., 2003, I, 414 Bianchi, Prime osservazioni in tema di capitale e patrimonio nelle società di capitali, in Il nuovo diritto societario fra società aperte e società private, a cura di Benazzo – Patriarca; Lamandini, Società di capitali e struttura finanziaria: spunti per la riforma, in Riv. soc., 2002, 139; Marano, Mercati di capitali e strumenti finanziari nel nuovo diritto societario, in Riv. dir. priv., 2003, 755; Notari, Azioni e strumenti finanziari: confini delle fattispecie e profili di disciplina, in Banca borsa, 2003, I, 542; ID., Diritti «particolari» dei soci e categorie «speciali» di partecipazioni, in AGE, 2003, 325; Pisani Massamormile, Azioni ed altri strumenti finanziari partecipativi, in Riv. soc., 2003, 1268; Rescio, Distribuzione di azioni non proporzionale ai conferimenti effettuati dai soci di s.p.a., in Il nuovo diritto societario fra società aperte e società private, a cura di Benazzo – Patriarca – Presti, Milano, 2003; Spolidoro, Conferimenti e strumenti partecipativi nella riforma delle società di capitali, in Dir. banc. merc. fin., 2003, I, 205.) 1. Nell'ambito di una operazione di aumento di capitale, l'emissione di differenti categorie di azioni è espressione della necessità della società emittente di variare le caratteristiche del modello tipico di finanziamento azionario (Acutis, Il finanziamento dell'impresa societaria: i principali tratti caratterizzanti e gli «altri strumenti finanziari partecipativi», in Nuova giur. civ. comm., 2003, II, 361; Ferri jr., Il finanziamento societario: profili di qualificazione, in Riv. not., 2002, I, 309; Gambino, Spunti di riflessione sulla riforma: l'autonomia societaria e la risposta legislativa alle esigenze di finanziamento dell'impresa, in Giur. comm., 2002, 641; Tombari, Nuovi strumenti di finanziamento nella s.p.a.: gli strumenti finanziari non partecipativi e partecipativi dotati di diversi diritti patrimoniali ed amministrativi (art. 4, sesto comma, lettera c), Intervento convegno Firenze, 2 giugno 2000 in www.associazionepreite.it; Paciello, La struttura finanziaria della società per azioni e tipologia dei titoli rappresentativi del finanziamento, in Riv. Dir. Comm., I, 2002, 155; Gambino, Il finanziamento dell'impresa sociale nella riforma, in Riv. Not., 2002, I, 279; Ferri jr., Il finanziamento societario: profili di qualificazione, in Riv. Not., 2002, I, 309).
30 Così A. Paciello, Le azioni correlate, in Profili patrimoniali e finanziari della riforma, a cura di C. Montagnani, Milano, 2004, p. 221.
31 Sul tema: tra i tanti: Ascarelli, Sui limiti statutari alla circolazione delle partecipazioni azionarie, in Banca, borsa e tit. di cr., 1953, I, p. 53. Buonocore V., Le situazioni soggettive dell'azionista, Napoli, 1959; Costa C., Le assemblee speciali, in Trattato delle società per azioni diretto da G. E. Colombo e G. B. Portale, III, t. 2, Torino, 1993; Figone A., Limiti statutari alla circolazione delle azioni, in Società, 1997, p. 1034; Pavone La Rosa A., Brevi osservazioni in tema di limiti statutari alla circolazione delle azioni, in Riv. soc., 1997, p. 63; Stanghellini L., Limiti statutari alla circolazione delle azioni, Milano, 1997.
32 Stagno D'Alcontres A., Commento all'art. 2376 in Niccolini G. e Stagno d'Alcontres A. (a cura di), Commentario alle società di capitali, Vol. 1, Jovene Ed., 2004, p. 541.
33 Sull'articolo 2364 c.c., tra i tanti: Fico, Utilizzo costante della proroga del termine ex art. 2364 c.c., Le Società, 1999, n. 4, p. 450; Sacrestano, Proroga del termine ex 2364 C.C.: riflessi ai fini dei termini per la presentazione della dichiarazione dei redditi di società tenute al bilancio, Finanza & Fisco, 1999, n. 43, p. 4908; Vidiri, Atto costitutivo di società di capitali, termine di sei mesi ex art. 2364, secondo comma, c.c. ed approvazione tardiva del bilancio d'esercizio, Giustizia civile, 1998, n. , p.I– 86; Acquas, Brevi riflessioni sulla differita approvazione del bilancio ex art. 2364, secondo comma, ultimo capoverso, del codice civile, Il Diritto Fallimentare e delle Società commerciali, 1995, p. I–991.
34 Sull'art. 2497, si vedano: Maggiolo, La azione di danno contro società o ente capogruppo (art. 2497 c.c.), Giurisprudenza Commerciale 2006, n. 2, p. I–176; Alpa, La responsabilità per la direzione e il coordinamento di società. Note esegetiche sull'art. 2497 c.c., Vita Notarile, 2005, n. 1, p. 3; Niutta, Sulla presunzione di esercizio dell'attività di direzione e coordinamento di cui agli artt. 2497 – sexies e 2497 – septies c.c.: brevi considerazioni di sistema, Giurisprudenza Commerciale 2004, n. 4, p. I–983; Giardino, La disciplina della pubblicità ex art. 2497 bis c.c., Le Società, 2004, n. 9, p. 1080; Toscano, Sulla fallibilità del socio occulto e della società occulta nel reparto tra l'art. 2497, comma 2, c.c. e l'art. 147 legge fall., Rivista del Notariato, 2002, n. 3, p. 793.
35 Ante riforma del diritto societario, infatti, già si evidenziava come: "Perché le tracking stock previste dall'art. 2350, secondo comma, possano diffondersi, come insegna la prassi internazionale, sarebbe opportuno aggiungere nell'art. 2351 un comma che statuisca che "a ciascuna delle azioni emesse ai sensi dell'art. 2350, secondo comma, può essere attribuita una frazione di voto, anche variabile nel tempo secondo i criteri previsti dall'atto costitutivo", Audizione di Luca Enriques dinanzi alle Commissioni Giustizia e Finanze riunite in tema di Riforma del diritto societario – Camera dei Deputati, 27 novembre 2002.
36 Così Mignone, cit.
37 Così Mignone, cit., pag. 616.
38 a differenza di quanto accade per l'associato ad un contratto di associazione in partecipazione, il quale, a norma dell'art. 2552 c.c., è escluso dalla gestione dell'impresa.
39 Si vedano, tra gli altri, gli Articoli 2.2.32, 2.2.33, 2.2.34 del Capo 11 – Azioni di Investment Companies, del Regolamento dei Mercati Organizzati e Gestiti da Borsa Italiana S.p.A.
40 Si veda lo statuto di Cape LIVE S.p.A., con sede a Milano, che prevede l'utilizzo di azioni correlate per distinguere la misura del c.d. carried interest dovuto agli azionisti–promotori sulla linea di business "investimenti diretti", che necessitano una gestione "attiva" in fase di monitoraggio, gestione dell'investimento e assistenza al disinvestimento, dalla spettanza agli utili sugli investimenti c.d. "indiretti", in altri organismi di investimento o fondi dei fondi, la cui gestione spetta principalmente al gestore dell'organismo.
41 Tuttavia, a differenza di quanto avviene per le SICAV, la creazione di comparti all'interno delle investment companies non costituisce patrimonio autonomo, distinto a tutti gli effetti da quello degli altri comparti e quindi non aggredibile dai creditori degli altri comparti.

Ancora sull'anatocismo: onere della prova e determinatezza del credito

Anatocismo, onere probatorio ed indeterminatezza del credito bancario
Tribunale Catania, sez. IV civile, sentenza 01.06.2008

Banca - anatocismo - onere probatorio - indeterminatezza del credito bancario [TU n. 385/1993]
In forza del disposto, di cui all’art. 119 TU n. 385/1993, la banca può sì ritenersi legittimata a non conservare per oltre un decennio la documentazione legata al conto, ma non a pretendere, ove abbia provveduto alla distruzione della documentazione precedente al decennio, di essere per ciò solo esonerata dagli ordinari impegni probatori, ogni qual volta intenda fondare la propria pretesa su situazioni sostanziali destinate a trovare riscontro proprio nella documentazione distrutta.
In mancanza di documentazione bancaria probatoria, il credito della banca resta indeterminato sia nell'an (giacché nulla esclude che la rideterminazione dei saldi secondo le correzioni imposte dalla presente statuizione volta che si prendano le mosse dalla data di instaurazione del rapporto, possa portare anche ad un azzeramento del debito se non addirittura ad invertire il segno del rapporto) che soprattutto nel quantum per un fatto processualmente ascrivibile alla banca.
Una rideterminazione del saldo finale del conto, acquisisce, proprio al fine della dimostrazione dei momenti costitutivi della pretesa, una fondamentale importanza l'allegazione di tutti gli estratti riepilogativi del conto, dalla apertura alla definizione; giacché, solo attraverso una compiuta ed integrale rivalutazione continuativa dei singoli saldi trimestrali può coerentemente pervenirsi all'accertamento dell'ipotetico saldo debitorio finale, nel quale si concreta la domanda di adempimento della banca; mentre, per converso, la parziale allegazione degli estratti impedisce una corretta ricostruzione dei rapporti di dare e avere cristallizzati in conto (depurati della capitalizzazione e delle cms e computati con la sostituzione automatica di cui all'art 1284 c.c. e le valute contabili).

(Fonte: Altalex Massimario 5/2009. Massima a cura di Rosanna Cafaro)
Tribunale di Catania
Sezione IV Civile
Sentenza 1 giugno 2008 n. 2795
TRIBUNALE DI CATANIA
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il dott. Benedetto Paternò Raddusa, Giudice della Quarta Sezione civile,
ha emesso la seguente

SENTENZA
nella causa civile iscritta al nr 11039/03 R.G. avente ad oggetto
condannatorio
promossa da
….. spa,
in persona del legale rappresentante pro tempore
con la difesa degli avvocati Rosanna Cafaro e Nunzio Santi Di Paola
Attrice
CONTRO
Unicredit Banca D'Impresa spa ,
in persona del legale rappresentante pro tempore ,
con la difesa dell'avvocato Nino Giannitto
Convenuta e chiamante
E nei confronti di
……….
e ………………
con la difesa degli avvocati Rosanna Cafaro e Nunzio Santi Di Paola
Terzi chiamati
All'udienza del 13/11/07 i procuratori delle parti precisavano le rispettive conclusioni come da verbale e la causa veniva spedita a sentenza previo decorso del termine per il deposito delle comparse conclusionali e di replica.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con citazione notificata il 17/11/03 la …. spa conveniva in giudizio la Unicredit Banca D'Impresa spa all'uopo evidenziando : di essere titolare di un rapporto di conto corrente intrattenuto con la banca convenuta; che in virtù del detto contratto la convenuta aveva ottenuto il pagamento di interessi debitori in misura superiore a quella di legge in violazione del disposto di cui all'art 1284 c.c., in assenza di una precisa determinazione scritta in tal senso, all'uopo avvalendosi illegittimamente del riferimento agli usi su piazza e provvedendo, altresì , alla capitalizzazione trimestrale dei detti accessori , in contrasto al disposto di cui all'art 1283 c.c.; ancora che il contratto prevedeva l'applicazione della ed valuta d'uso, previsione anch'essa viziata da indeterminatezza oltre che della commissione di massimo scoperto , anche qui in assenza di apposita previsione contrattuale; infine, che risultavano superati i tassi soglia di cui alla legge 108/96. In conseguenza di siffatte invalidità parziali deduceva, quindi che andava rivisitato il saldo del rapporto in questione e condannata la convenuta al pagamento del saldo attivo emerso in esito a siffatta rivisitazione quale restituzione delle somme versate in eccedenza lungo il corso del rapporto.
Iscritta la causa a ruolo si costituiva la banca convenuta che contestava, in fatto e diritto, le ragioni poste a fondamento della domanda negando la sussistenza della invalidità parziali addotte dall'attore; deduceva per contro la presenza di un saldo debitore relativo al conto in oggetto per complessivi euro 860.870,31 oltre interessi.
Instava, quindi, in riconvenzionale per la condanna dell'importo portato dal saldo del conto maggiorato degli interessi ai danni della attrice oltre che dei fideiussori …. e … nei cui confronti chiedeva ex art 269 c.p.c. di estendere il contraddittorio.
Autorizzata la chiamata, e notificata la relativa citazione si costituivano i fideiussori … e …. che concludevano per la reiezione della richiesta di condanna articolata nei loro confronti.
Acquisita la documentazione in atti, nel corso del giudizio veniva disposta una Ctu.
Indi sulle risultanze della detta relazione e sulle conclusioni delle parti, la causa veniva spedita a Sentenza.
MOTIVI DELLA DECISIONE
La domanda della …. spa è solo parzialmente fondata e va accolta nei termini meglio precisati da qui a poco; la domanda della convenuta ai danni della attrice in riconvenzionale e dei chiamati va rigettata integralmente.
Giova segnalare, in punto di fatto, come costituisca un dato incontroverso quello in forza al quale il rapporto di conto che oggi occupa il Tribunale è stato stipulato dalla …. spa con la banca convenuta ben prima della data del 2/11/1993, momento - cui risale il primo degli estratti conto allegati in giudizio. Più precisamente, l'attrice - in citazione e nella consulenza di parte allegata - afferma che il rapporto ebbe a sorgere qualche anno prima del 1992 senza che siffatta circostanza sia stata mai
oggetto di specifica contestazione da parte della convenuta. Del resto e peraltro, nell'elaborato tecnico di parte convenuta si fa riferimento (senza per la verità riportare poi i singoli dati contabili probabilmente per non essere più la banca in possesso dei relativi estratti in linea capitale e scalari) al 16/12/90 quale momento di decorrenza del rapporto.
Sempre in fatto va altresì evidenziato che non risulta allegata la lettera contratto relativa al rapporto in esame senza che ciò abbia tuttavia influito sulla validità in se del rapporto, trattandosi di contratto, per quanto sopra evidenziato, stipulato prima della entrata in vigore della legge 154/92, momento dal quale è sorto l'obbligo di forma scritta imposto ex lege (peraltro sanzionato a pena di nullità rilevabile dal solo cliente).
Infine, la difesa della convenuta ha allegato in atti due lettere, sottoscritte per adesione dalla correntista , risalenti , rispettivamente, al 28 Ottobre 1999 ed al 19 aprile 2001, in seno alle quali risulta stabilito per iscritto il saggio di interesse debitore convenzionale diretto a regolamentare il conto in esame.
La attrice, nel fondare la propria richiesta diretta alla rivisitazione della movimentazione del conto, ha dedotto tutta una serie di nullità parziali o comunque di applicazioni non riscontrate sul piano dell'accordo negoziale, accertate solo in parte in esito al processo in esame.
E, così, quanto al saggio degli interessi debitori, ha lamentato la violazione del tasso soglia via via previsto a far data dalla entrata in vigore della legge 108/96; ma è tuttavia noto che, a parere di questo Tribunale, la citata disposizione legislativa deve ritenersi non retroattiva e quindi non applicabile ai contratti, come quello di specie, precedenti alla vigenza della stessa alla luce di quanto precisato dalla legge di interpretazione autentica nr 24/01.
Sempre con riferimento agli interessi debitori parte attrice lamenta, stavolta fondatamente, la applicazione, lungo il corso del rapporto, di interessi in misura superiore al saggio di legge; ancora, afferma, che in via di prassi i medesimi accessori venivano capitalizzati trimestralmente; infine lamenta la applicazione di cms e di valute differenti da quelle legate alla data contabile delle rispettive operazioni in mancanza di apposite previsioni negoziali in tal senso.
Poco da dire sulla prima contestazione, atteso che la applicazione di un saggio di interesse debitore, diverso e maggiore rispetto a quello di legge prevede, ex art. 1284 c.c., la apposita convenzione scritta in tal senso assunta dalle parti . E nella specie, in mancanza del contratto, quantomeno sino alla lettera sopra citata dell'ottobre 1999, non poteva essere applicato al rapporto altro saggio di interesse diverso da quello di legge con conseguente sostituzione automatica.
Parimenti, non si poteva procedere alla capitalizzazione degli accessori in questione per non incorrere nel divieto di anatocismo di cui all'art 1283 c.c. avuto riguardo a quanto ormai affermato, in via consolidata, dalla giurisprudenza sul tema della Corte regolatrice ( in ordine alla quale basta rifarsi a Cass. SS. UU. 21095/04 ).
Infine , in assenza di apposita previsione negoziale in tal senso, non potevano essere computate le CMS (quantomeno, come per gli interessi, sino alla lettera dell'ottobre 1999) né considerate valute diverse da quelle della contabile riferibile a ciascuna operazione.
Alla luce di siffatte situazioni occorreva quindi, sulla base della documentazione in atti, procedere, tramite apposita indagine tecnica, ad una rivisitazione della movimentazione del conto operata sostituendo al saggio di interesse debitore quello via via applicato lungo il corso del rapporto sino al primo momento di determinazione scritta; omettendo di operare la capitalizzazione dei medesimi accessori e di computare le CMS e di applicare valute diverse da quelle di cui alla contabile. E cosi facendo si é pervenuti ad un saldo finale del conto avente un segno negativo, perché a debito del correntista per euro 872.208,38 (si guardi la relazione del CTU all'uopo acquisita).
Siffatto risultato processuale, se per un verso paralizza definitivamente la pretesa della attrice diretta ad ottenere, in esito alla rivisitazione del conto, il pagamento del saldo in eccedenza all'uopo riscontrato (assorbendo in se, peraltro, ogni ulteriore approfondimento motivato dalle contestazioni di parte convenuta), per altro verso non può essere utilizzato al fine di fondare la statuizione di condanna invocata dalla convenuta a danno della correntista e dei fideiussori.
Si è detto che per pervenire ad una esatta determinazione del saldo finale del conto corrente che occupa è stato necessario procedere ad una rielaborazione della movimentazione del rapporto emendandola delle situazioni di invalidità riscontrate.
Ed é di tutta evidenza che siffatta ricostruzione contabile trovava un imprescindibile momento di riscontro probatorio negli estratti di movimentazione del conto, giacché solo attraverso una rivisitazione dei risultati aritmetici del conto può correttamente pervenirsi alla individuazione del saldo, positivo o negativo, del rapporto siccome rideterminato in nome delle regole correttive imposte oggi dall'intervento giudiziale .
Nella specie, malgrado la stipula del rapporto che occupa risalga, per quanto già osservato, verosimilmente al dicembre del 1990, risultano tuttavia allegati estratti a far data dal 2 novembre 1993 rimanendo per contro probatoriamente scoperto il periodo relativo alla movimentazione tra la data di accensione del rapporto e quella del 1 novembre 1993 (quasi un triennio).
Ora, ad opinione del decidente
l'accoglimento della domanda di condanna articolata dalla banca presuppone la positiva allegazione di tutti gli elementi probatori utili alla dimostrazione degli elementi costitutivi della relativa pretesa;
nella specie, in esito alle accertate invalidità negoziali e alla riscontrata necessità di procedere ad una rideterminazione del saldo finale del conto, acquisisce, proprio al fine della dimostrazione dei momenti costitutivi della pretesa, una fondamentale importanza l'allegazione di tutti gli estratti riepilogativi del conto, dalla apertura alla definizione, giacché solo attraverso una compiuta ed integrale rivalutazione continuativa dei singoli saldi trimestrali può coerentemente pervenirsi all'accertamento dell'ipotetico saldo debitorio finale nel quale si concreta la domanda di adempimento della banca mentre, per converso, la parziale allegazione degli estratti impedisce una corretta ricostruzione dei rapporti di dare e avere cristallizzati in conto ( depurati della capitalizzazione e delle cms e computati con la sostituzione automatica di cui all'art 1284cc e le valute contabili);
l'esigenza di una integrale e continuativa ricostruzione dei saldi secondo le regole correttive sopra segnalate e quindi l'allegazione, a cura ed onere della banca, di tutti gli estratti riepilogativi, dall'inizio alla fine del rapporto, non sembra intaccata dal disposto di cui all'art 119 TU 385/93 in forza del quale la banca può si ritenersi legittimata a non conservare per oltre un decennio la documentazione legata al conto ma non a pretendere, ove abbia provveduto alla distruzione della documentazione precedente al decennio, di essere per ciò solo esonerata dagli ordinari impegni probatori ogni qual volta intenda fondare la propria pretesa su situazioni sostanziali destinate a trovare riscontro proprio nella documentazione distrutta.
In coerenza a quanto sopra esposto deve pervenirsi alla reiezione anche della domanda di condanna articolata dalla banca. E' infatti evidente che l’indagine tecnica realizzata dal Ctu, caduta su un arco temporale che non coincide con il periodo di integrale svolgimento del rapporto perviene ad un risultato, il saldo passivo del conto così come indicato in relazione, che non può ritenersi appagante ai fini dell'accoglimento della relativa pretesa giacché prende le mosse da un punto di partenza (il saldo ricavabile dal primo degli estratti conto allegati, peraltro a debito per la considerevole cifra di £. 230.772.407) che non trova alcun conforto documentale proprio perché mancano gli altri (e preesistenti) estratti riepilogativi che ne costituiscono illogico presupposto.
Ne viene che il credito della banca, resta indeterminato sia nell'an (giacché nulla esclude che la rideterminazione dei saldi secondo le correzioni imposte dalla presente statuizione volta che si prendano le mosse dalla data di instaurazione del rapporto, possa portare anche ad un azzeramento del debito se non addirittura ad invertire il segno del rapporto) che soprattutto nel quantum per un fatto processualmente ascrivibile alla banca (attrice in riconvenzionale) si da provocare la reiezione della relativa domanda in parte qua siccome articolata ai danni della correntista e dei chiamati.
Concludendo, la domanda della società attrice va accolta limitatamente alla sola declaratoria delle invalidità parziali del rapporto di conto riscontrate nel corso del giudizio e, per altro verso, rigettata quanto alla richiesta di condanna articolata ai danni della convenuta sul presupposto di siffatte invalidità avuto riguardo al fatto che l'indagine espletata, pur con i limiti di attendibilità già sopra segnalati, ha comunque portato ad un risultato debitorio per la correntista.
La domanda della convenuta, articolata in riconvenzionale ai danni della attrice e dei chiamati va rigettata, perchè non adeguatamente supportata sul piano probatorio.
Sussistono giustificati motivi per compensare tra le parti le spese del giudizio, quelle di consulenza, liquidate come in istruttoria, vengono definitivamente poste a carico di entrambe i contraddittori in solido tra loro.

P.Q.M.
il Dott. Benedetto Paternò Raddusa, Giudice della IV sezione civile del Tribunale di Catania, disattesa ogni ulteriore istanza, in parziale accoglimento della domanda articolata dalla … spa, dichiara la nullità del contratto di conto corrente stipulato tra l'attrice e la convenuta Unicredit Banca D'Impresa spa siccome individuato in motivazione per violazione del disposto di cui agli artt 1284 c.c. ( sino alla data del 28/10/99) e 1283 c.c. e per il resto rigetta
• la domanda di condanna articolata dalla …. spa ai danni della convenuta Unicredit Banca D'Impresa spa
• la domanda di condanna formulata dalla convenuta Unicredit Banca D'Impresa spa ai danni della attrice …. spa e dei chiamati … e ….
Compensa tra le parti le spese del giudizio e pone definitivamente a carico delle stesse ed in solido tra loro le spese di consulenza.
Così deciso in Catania il 23 maggio 2008.
Depositato in segreteria il 1 giugno 2008.

Ancora sull'anatocismo: onere della prova e determinatezza del credito

Anatocismo, onere probatorio ed indeterminatezza del credito bancario
Tribunale Catania, sez. IV civile, sentenza 01.06.2008

Banca - anatocismo - onere probatorio - indeterminatezza del credito bancario [TU n. 385/1993]
In forza del disposto, di cui all’art. 119 TU n. 385/1993, la banca può sì ritenersi legittimata a non conservare per oltre un decennio la documentazione legata al conto, ma non a pretendere, ove abbia provveduto alla distruzione della documentazione precedente al decennio, di essere per ciò solo esonerata dagli ordinari impegni probatori, ogni qual volta intenda fondare la propria pretesa su situazioni sostanziali destinate a trovare riscontro proprio nella documentazione distrutta.
In mancanza di documentazione bancaria probatoria, il credito della banca resta indeterminato sia nell'an (giacché nulla esclude che la rideterminazione dei saldi secondo le correzioni imposte dalla presente statuizione volta che si prendano le mosse dalla data di instaurazione del rapporto, possa portare anche ad un azzeramento del debito se non addirittura ad invertire il segno del rapporto) che soprattutto nel quantum per un fatto processualmente ascrivibile alla banca.
Una rideterminazione del saldo finale del conto, acquisisce, proprio al fine della dimostrazione dei momenti costitutivi della pretesa, una fondamentale importanza l'allegazione di tutti gli estratti riepilogativi del conto, dalla apertura alla definizione; giacché, solo attraverso una compiuta ed integrale rivalutazione continuativa dei singoli saldi trimestrali può coerentemente pervenirsi all'accertamento dell'ipotetico saldo debitorio finale, nel quale si concreta la domanda di adempimento della banca; mentre, per converso, la parziale allegazione degli estratti impedisce una corretta ricostruzione dei rapporti di dare e avere cristallizzati in conto (depurati della capitalizzazione e delle cms e computati con la sostituzione automatica di cui all'art 1284 c.c. e le valute contabili).

(Fonte: Altalex Massimario 5/2009. Massima a cura di Rosanna Cafaro)
Tribunale di Catania
Sezione IV Civile
Sentenza 1 giugno 2008 n. 2795
TRIBUNALE DI CATANIA
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il dott. Benedetto Paternò Raddusa, Giudice della Quarta Sezione civile,
ha emesso la seguente

SENTENZA
nella causa civile iscritta al nr 11039/03 R.G. avente ad oggetto
condannatorio
promossa da
….. spa,
in persona del legale rappresentante pro tempore
con la difesa degli avvocati Rosanna Cafaro e Nunzio Santi Di Paola
Attrice
CONTRO
Unicredit Banca D'Impresa spa ,
in persona del legale rappresentante pro tempore ,
con la difesa dell'avvocato Nino Giannitto
Convenuta e chiamante
E nei confronti di
……….
e ………………
con la difesa degli avvocati Rosanna Cafaro e Nunzio Santi Di Paola
Terzi chiamati
All'udienza del 13/11/07 i procuratori delle parti precisavano le rispettive conclusioni come da verbale e la causa veniva spedita a sentenza previo decorso del termine per il deposito delle comparse conclusionali e di replica.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con citazione notificata il 17/11/03 la …. spa conveniva in giudizio la Unicredit Banca D'Impresa spa all'uopo evidenziando : di essere titolare di un rapporto di conto corrente intrattenuto con la banca convenuta; che in virtù del detto contratto la convenuta aveva ottenuto il pagamento di interessi debitori in misura superiore a quella di legge in violazione del disposto di cui all'art 1284 c.c., in assenza di una precisa determinazione scritta in tal senso, all'uopo avvalendosi illegittimamente del riferimento agli usi su piazza e provvedendo, altresì , alla capitalizzazione trimestrale dei detti accessori , in contrasto al disposto di cui all'art 1283 c.c.; ancora che il contratto prevedeva l'applicazione della ed valuta d'uso, previsione anch'essa viziata da indeterminatezza oltre che della commissione di massimo scoperto , anche qui in assenza di apposita previsione contrattuale; infine, che risultavano superati i tassi soglia di cui alla legge 108/96. In conseguenza di siffatte invalidità parziali deduceva, quindi che andava rivisitato il saldo del rapporto in questione e condannata la convenuta al pagamento del saldo attivo emerso in esito a siffatta rivisitazione quale restituzione delle somme versate in eccedenza lungo il corso del rapporto.
Iscritta la causa a ruolo si costituiva la banca convenuta che contestava, in fatto e diritto, le ragioni poste a fondamento della domanda negando la sussistenza della invalidità parziali addotte dall'attore; deduceva per contro la presenza di un saldo debitore relativo al conto in oggetto per complessivi euro 860.870,31 oltre interessi.
Instava, quindi, in riconvenzionale per la condanna dell'importo portato dal saldo del conto maggiorato degli interessi ai danni della attrice oltre che dei fideiussori …. e … nei cui confronti chiedeva ex art 269 c.p.c. di estendere il contraddittorio.
Autorizzata la chiamata, e notificata la relativa citazione si costituivano i fideiussori … e …. che concludevano per la reiezione della richiesta di condanna articolata nei loro confronti.
Acquisita la documentazione in atti, nel corso del giudizio veniva disposta una Ctu.
Indi sulle risultanze della detta relazione e sulle conclusioni delle parti, la causa veniva spedita a Sentenza.
MOTIVI DELLA DECISIONE
La domanda della …. spa è solo parzialmente fondata e va accolta nei termini meglio precisati da qui a poco; la domanda della convenuta ai danni della attrice in riconvenzionale e dei chiamati va rigettata integralmente.
Giova segnalare, in punto di fatto, come costituisca un dato incontroverso quello in forza al quale il rapporto di conto che oggi occupa il Tribunale è stato stipulato dalla …. spa con la banca convenuta ben prima della data del 2/11/1993, momento - cui risale il primo degli estratti conto allegati in giudizio. Più precisamente, l'attrice - in citazione e nella consulenza di parte allegata - afferma che il rapporto ebbe a sorgere qualche anno prima del 1992 senza che siffatta circostanza sia stata mai
oggetto di specifica contestazione da parte della convenuta. Del resto e peraltro, nell'elaborato tecnico di parte convenuta si fa riferimento (senza per la verità riportare poi i singoli dati contabili probabilmente per non essere più la banca in possesso dei relativi estratti in linea capitale e scalari) al 16/12/90 quale momento di decorrenza del rapporto.
Sempre in fatto va altresì evidenziato che non risulta allegata la lettera contratto relativa al rapporto in esame senza che ciò abbia tuttavia influito sulla validità in se del rapporto, trattandosi di contratto, per quanto sopra evidenziato, stipulato prima della entrata in vigore della legge 154/92, momento dal quale è sorto l'obbligo di forma scritta imposto ex lege (peraltro sanzionato a pena di nullità rilevabile dal solo cliente).
Infine, la difesa della convenuta ha allegato in atti due lettere, sottoscritte per adesione dalla correntista , risalenti , rispettivamente, al 28 Ottobre 1999 ed al 19 aprile 2001, in seno alle quali risulta stabilito per iscritto il saggio di interesse debitore convenzionale diretto a regolamentare il conto in esame.
La attrice, nel fondare la propria richiesta diretta alla rivisitazione della movimentazione del conto, ha dedotto tutta una serie di nullità parziali o comunque di applicazioni non riscontrate sul piano dell'accordo negoziale, accertate solo in parte in esito al processo in esame.
E, così, quanto al saggio degli interessi debitori, ha lamentato la violazione del tasso soglia via via previsto a far data dalla entrata in vigore della legge 108/96; ma è tuttavia noto che, a parere di questo Tribunale, la citata disposizione legislativa deve ritenersi non retroattiva e quindi non applicabile ai contratti, come quello di specie, precedenti alla vigenza della stessa alla luce di quanto precisato dalla legge di interpretazione autentica nr 24/01.
Sempre con riferimento agli interessi debitori parte attrice lamenta, stavolta fondatamente, la applicazione, lungo il corso del rapporto, di interessi in misura superiore al saggio di legge; ancora, afferma, che in via di prassi i medesimi accessori venivano capitalizzati trimestralmente; infine lamenta la applicazione di cms e di valute differenti da quelle legate alla data contabile delle rispettive operazioni in mancanza di apposite previsioni negoziali in tal senso.
Poco da dire sulla prima contestazione, atteso che la applicazione di un saggio di interesse debitore, diverso e maggiore rispetto a quello di legge prevede, ex art. 1284 c.c., la apposita convenzione scritta in tal senso assunta dalle parti . E nella specie, in mancanza del contratto, quantomeno sino alla lettera sopra citata dell'ottobre 1999, non poteva essere applicato al rapporto altro saggio di interesse diverso da quello di legge con conseguente sostituzione automatica.
Parimenti, non si poteva procedere alla capitalizzazione degli accessori in questione per non incorrere nel divieto di anatocismo di cui all'art 1283 c.c. avuto riguardo a quanto ormai affermato, in via consolidata, dalla giurisprudenza sul tema della Corte regolatrice ( in ordine alla quale basta rifarsi a Cass. SS. UU. 21095/04 ).
Infine , in assenza di apposita previsione negoziale in tal senso, non potevano essere computate le CMS (quantomeno, come per gli interessi, sino alla lettera dell'ottobre 1999) né considerate valute diverse da quelle della contabile riferibile a ciascuna operazione.
Alla luce di siffatte situazioni occorreva quindi, sulla base della documentazione in atti, procedere, tramite apposita indagine tecnica, ad una rivisitazione della movimentazione del conto operata sostituendo al saggio di interesse debitore quello via via applicato lungo il corso del rapporto sino al primo momento di determinazione scritta; omettendo di operare la capitalizzazione dei medesimi accessori e di computare le CMS e di applicare valute diverse da quelle di cui alla contabile. E cosi facendo si é pervenuti ad un saldo finale del conto avente un segno negativo, perché a debito del correntista per euro 872.208,38 (si guardi la relazione del CTU all'uopo acquisita).
Siffatto risultato processuale, se per un verso paralizza definitivamente la pretesa della attrice diretta ad ottenere, in esito alla rivisitazione del conto, il pagamento del saldo in eccedenza all'uopo riscontrato (assorbendo in se, peraltro, ogni ulteriore approfondimento motivato dalle contestazioni di parte convenuta), per altro verso non può essere utilizzato al fine di fondare la statuizione di condanna invocata dalla convenuta a danno della correntista e dei fideiussori.
Si è detto che per pervenire ad una esatta determinazione del saldo finale del conto corrente che occupa è stato necessario procedere ad una rielaborazione della movimentazione del rapporto emendandola delle situazioni di invalidità riscontrate.
Ed é di tutta evidenza che siffatta ricostruzione contabile trovava un imprescindibile momento di riscontro probatorio negli estratti di movimentazione del conto, giacché solo attraverso una rivisitazione dei risultati aritmetici del conto può correttamente pervenirsi alla individuazione del saldo, positivo o negativo, del rapporto siccome rideterminato in nome delle regole correttive imposte oggi dall'intervento giudiziale .
Nella specie, malgrado la stipula del rapporto che occupa risalga, per quanto già osservato, verosimilmente al dicembre del 1990, risultano tuttavia allegati estratti a far data dal 2 novembre 1993 rimanendo per contro probatoriamente scoperto il periodo relativo alla movimentazione tra la data di accensione del rapporto e quella del 1 novembre 1993 (quasi un triennio).
Ora, ad opinione del decidente
l'accoglimento della domanda di condanna articolata dalla banca presuppone la positiva allegazione di tutti gli elementi probatori utili alla dimostrazione degli elementi costitutivi della relativa pretesa;
nella specie, in esito alle accertate invalidità negoziali e alla riscontrata necessità di procedere ad una rideterminazione del saldo finale del conto, acquisisce, proprio al fine della dimostrazione dei momenti costitutivi della pretesa, una fondamentale importanza l'allegazione di tutti gli estratti riepilogativi del conto, dalla apertura alla definizione, giacché solo attraverso una compiuta ed integrale rivalutazione continuativa dei singoli saldi trimestrali può coerentemente pervenirsi all'accertamento dell'ipotetico saldo debitorio finale nel quale si concreta la domanda di adempimento della banca mentre, per converso, la parziale allegazione degli estratti impedisce una corretta ricostruzione dei rapporti di dare e avere cristallizzati in conto ( depurati della capitalizzazione e delle cms e computati con la sostituzione automatica di cui all'art 1284cc e le valute contabili);
l'esigenza di una integrale e continuativa ricostruzione dei saldi secondo le regole correttive sopra segnalate e quindi l'allegazione, a cura ed onere della banca, di tutti gli estratti riepilogativi, dall'inizio alla fine del rapporto, non sembra intaccata dal disposto di cui all'art 119 TU 385/93 in forza del quale la banca può si ritenersi legittimata a non conservare per oltre un decennio la documentazione legata al conto ma non a pretendere, ove abbia provveduto alla distruzione della documentazione precedente al decennio, di essere per ciò solo esonerata dagli ordinari impegni probatori ogni qual volta intenda fondare la propria pretesa su situazioni sostanziali destinate a trovare riscontro proprio nella documentazione distrutta.
In coerenza a quanto sopra esposto deve pervenirsi alla reiezione anche della domanda di condanna articolata dalla banca. E' infatti evidente che l’indagine tecnica realizzata dal Ctu, caduta su un arco temporale che non coincide con il periodo di integrale svolgimento del rapporto perviene ad un risultato, il saldo passivo del conto così come indicato in relazione, che non può ritenersi appagante ai fini dell'accoglimento della relativa pretesa giacché prende le mosse da un punto di partenza (il saldo ricavabile dal primo degli estratti conto allegati, peraltro a debito per la considerevole cifra di £. 230.772.407) che non trova alcun conforto documentale proprio perché mancano gli altri (e preesistenti) estratti riepilogativi che ne costituiscono illogico presupposto.
Ne viene che il credito della banca, resta indeterminato sia nell'an (giacché nulla esclude che la rideterminazione dei saldi secondo le correzioni imposte dalla presente statuizione volta che si prendano le mosse dalla data di instaurazione del rapporto, possa portare anche ad un azzeramento del debito se non addirittura ad invertire il segno del rapporto) che soprattutto nel quantum per un fatto processualmente ascrivibile alla banca (attrice in riconvenzionale) si da provocare la reiezione della relativa domanda in parte qua siccome articolata ai danni della correntista e dei chiamati.
Concludendo, la domanda della società attrice va accolta limitatamente alla sola declaratoria delle invalidità parziali del rapporto di conto riscontrate nel corso del giudizio e, per altro verso, rigettata quanto alla richiesta di condanna articolata ai danni della convenuta sul presupposto di siffatte invalidità avuto riguardo al fatto che l'indagine espletata, pur con i limiti di attendibilità già sopra segnalati, ha comunque portato ad un risultato debitorio per la correntista.
La domanda della convenuta, articolata in riconvenzionale ai danni della attrice e dei chiamati va rigettata, perchè non adeguatamente supportata sul piano probatorio.
Sussistono giustificati motivi per compensare tra le parti le spese del giudizio, quelle di consulenza, liquidate come in istruttoria, vengono definitivamente poste a carico di entrambe i contraddittori in solido tra loro.

P.Q.M.
il Dott. Benedetto Paternò Raddusa, Giudice della IV sezione civile del Tribunale di Catania, disattesa ogni ulteriore istanza, in parziale accoglimento della domanda articolata dalla … spa, dichiara la nullità del contratto di conto corrente stipulato tra l'attrice e la convenuta Unicredit Banca D'Impresa spa siccome individuato in motivazione per violazione del disposto di cui agli artt 1284 c.c. ( sino alla data del 28/10/99) e 1283 c.c. e per il resto rigetta
• la domanda di condanna articolata dalla …. spa ai danni della convenuta Unicredit Banca D'Impresa spa
• la domanda di condanna formulata dalla convenuta Unicredit Banca D'Impresa spa ai danni della attrice …. spa e dei chiamati … e ….
Compensa tra le parti le spese del giudizio e pone definitivamente a carico delle stesse ed in solido tra loro le spese di consulenza.
Così deciso in Catania il 23 maggio 2008.
Depositato in segreteria il 1 giugno 2008.

Illegittimià degli incarici conferiti al dipendente con procedura interna con criteri di remunerazione previsti per i consulenti esterni

Appalti pubblici, incarichi di progettazione e direzione dei lavori, consulenti esterni
Consiglio di Stato , sez. VI, decisione 22.10.2008 n° 5175

Appalti pubblici - incarichi di progettazione e direzione dei lavori - consulenti esterni - dipendenti ufficio tecnico del Comune - procedure di affidamento - criteri di remunerazione - differente regime [art. 17, L. 109/1994]

In tema di appalti pubblici, gli incarichi di progettazione e direzione dei lavori possono essere conferiti dalle stazioni appaltanti sia a dipendenti sia a professionisti esterni, secondo un regime diverso quanto ai meccanismi di affidamento e di remunerazione.
Ne deriva l'illegittimita dell'incarico conferito al dipendente con procedura di affidamento interna, ma secondo i criteri di remunerazione previsti per i consulenti esterni.
(Fonte: Altalex Massimario 41/2008. Cfr. nota di Alessandro Del Dotto e nota su Altalex Mese - Schede di Giurisprudenza)
Consiglio di Stato
Sezione VI
Decisione 1 luglio - 22 ottobre 2008, n. 5175
(Presidente Varrone - Relatore Atzeni)

Sul seguente ricorso in appello n. 7271/2003, proposto dal Comune di Force in persona del Sindaco in carica, rappresentato e difeso dagli avv.ti Ranieri Felici e Sergio Del Vecchio ed elettivamente domiciliato presso lo studio di quest’ultimo in Roma, viale Angelico n. 38controil Ministero dei Lavori Pubblici in persona del Ministro in carica e l’Autorità per la Vigilanza sui Lavori Pubblici, Servizio Ispettivo, Settore Vigilanza, Accertamenti, Ispezioni, Area Geografica Marche e Sardegna, in persona del legale rappresentante in carica, rappresentati e difesi dall’Avvocatura Generale dello Stato presso i cui uffici in Roma, via dei Portoghesi n. 12, sono per legge domiciliatiper l’annullamentodella sentenza del Tribunale Amministrativo per le Marche n. 203/2003 in data 31 marzo 2003, resa inter partes;Visto il ricorso con i relativi allegati;Visto l’atto di costituzione in giudizio della parte appellata;Visti gli atti tutti della causa;Relatore alla pubblica udienza del 1 luglio 2008 il consigliere Manfredo Atzeni ed udito l’avv.to Del Vecchio e l’avv.to dello Stato Greco;Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue:
Fatto
Con ricorso al Tribunale Amministrativo per le Marche il Comune di Force in persona del Sindaco in carica impugnava la delibera n. 149 in data 29/5/2002 con la quale il Consiglio dell’Autorità per i Lavori Pubblici, interessata dall’esposto di alcuni consiglieri di minoranza del predetto Comune, aveva accertato profili di illegittimità nell’affidamento di incarichi di progettazione e di direzioni di lavori ad un libero professionista, responsabile del procedimento legato al Comune da rapporto di lavoro autonomo assimilabile nella sostanza a quello di dipendente (collaborazione coordinata e continuativa) ed affermato che la stessa Amministrazione non aveva operato in conformità alle norme della legge 11 febbraio 1994, n. 109, e del D.P.R. 554/1999 con riferimento ai principi di pubblicità, concorsualità e trasparenza nelle procedure di selezione dei soggetti esterni, censurando pertanto il suo operato e richiamandolo ad una corretta osservanza delle norme in materia di affidamento di servizi di ingegneria.Lamentava:1. - Violazione della seconda preposizione del primo periodo del 6° comma dell’art. 4 della legge n. 109/94 e succ. mod. in riferimento al contenuto della determinazione n. 11/99 del 17 novembre 1999 a cura dell’Autorità per la vigilanza sui lavori pubblici relativa alla “individuazione della nozione di «chiunque vi abbia interesse» per le richieste di ispezione”;violazione dell’art. 3 e dell’art. 9 della legge 7 agosto 1990, n. 241 in riferimento al contenuto della ridetta determinazione dell’Autorità n. 11/99 per difetto di legittimazione attiva in capo ad “alcuni consiglieri di minoranza” che hanno richiesto l’intervento ispettivo ed in riferimento alla violazione degli artt. 42, 43, 44, 48 del D.Lgs. n. 267/2000 nonché per difetto assoluto di interesse e di motivazione della richiesta;violazione dell’art. 4, comma 4° della legge n. 109/94 in riferimento alla violazione dell’art. 1 della stessa legge per incompetenza dell’Autorità per la vigilanza sui lavori pubblici ad interventi che esulano dalle materie per le quali l’organo è stato creato nonché per scopi diversi da quelli per i quali esso organo è stato demandato ad apprestare tutela;eccesso di potere sotto più profili (del difetto di motivazione, della carenza dei presupposti della falsa rappresentazione della realtà, dell’ingiustizia manifesta);2. - violazione del D. Lgs. 18 agosto 2000, n. 267 in riferimento alla violazione dell’art. 17 della legge 11 febbraio 1994, n. 109 e della circolare ministeriale 7 ottobre 1996, n. 448; eccesso di potere sotto più profili.Chiedeva quindi l’annullamento della deliberazione impugnata unitamente ove occorra, agli atti presupposti tra i quali, segnatamente, la relazione redatta dal Servizio Ispettivo e l’atto di regolazione in data 8 novembre 1999.Con la sentenza in epigrafe il Tribunale Amministrativo per le Marche respingeva il ricorso.Avverso la predetta sentenza insorge il Comune di Force in persona del Sindaco in carica, chiedendo la sua riforma e l’accoglimento del ricorso di primo grado.Si è costituita in giudizio l’Avvocatura Generale dello Stato chiedendo il rigetto dell’appello.Alla pubblica udienza dell’1 luglio 2008 la causa è stata trattenuta in decisione.In data 3 luglio 2008 è stato depositato il dispositivo (n. 523/2008: respinge).
Diritto
1. L’appello è infondato.Il Comune, odierno appellante, a suo tempo ha conferito ad un architetto, estraneo ai suoi ruoli, un incarico per l’espletamento di prestazioni di natura tecnica ai sensi dell’art. 110 del D. Lgs. 18 agosto 2000, n. 267, svolgendo le mansioni di responsabile dell’Ufficio Tecnico Comunale, Settore Lavori Pubblici, con il compito di istruire le pratiche di competenza dell’Ufficio, con firma degli atti compresi quelli a rilevanza esterna, la redazione di progettazioni, stime e quant’altro necessario per il suo funzionamento, con assunzione di responsabilità dell’istruttoria e del provvedimento finale; l’incarico, per sua natura a termine, è stato più volte prorogato.Il Comune ha poi affidato allo stesso architetto, di solito congiuntamente ad altri professionisti, incarichi di progettazione e direzione lavori, compensati sulla base della tariffa professionale vigente.Alcuni consiglieri di minoranza di quel Comune hanno segnalato i fatti appena riassunti all’Autorità per la Vigilanza sui Lavori Pubblici.Quest’ultima ha aperto istruttoria ai sensi dell’art. 4 della legge 11 febbraio 1994, n. 109, e, con il provvedimento impugnato in primo grado, ha accertato l’illegittimità dell’operato del Comune per violazione delle norme in materia di conferimento di servizi di ingegneria ed architettura con particolare riferimento ai principi di pubblicità, concorsualità e trasparenza da garantire nella selezione dei soggetti esterni, censurando il suo operato e richiamandolo ad una corretta osservanza delle norme relative, con l’adozione dei conseguenti provvedimenti.Il suddetto provvedimento è stato impugnato di fronte al Tribunale Amministrativo per le Marche, che ha respinto il ricorso, e la questione viene ora portata all’attenzione della Sezione.La difesa erariale sostiene l’inammissibilità del gravame negando il contenuto provvedimentale degli atti impugnati.La questione - riguardo alla quale appaiono condivisibili le osservazioni dei primi giudici - può essere assorbita, in quanto le ragioni dell’appellante sono infondate nel merito.2. Il Comune appellante sostiene in primo luogo che l’Autorità con propria determinazione n. 11/99 del 17 novembre 1999 ha stabilito che costituisce utile presupposto per avviare le proprie istruttorie la segnalazione di soggetti titolari di interesse ad intervenire.Siffatto interesse non potrebbe essere riconosciuto in capo ai consiglieri comunali di minoranza, che agiscono sulla base del proprio interesse politico ad opporsi all’operato dell’amministrazione per il cui il procedimento di cui si discute sarebbe stato iniziato senza un valido presupposto.La tesi non può essere condivisa.L’Autorità in base all’art. 4, quarto comma lett. a) e b), della legge 11 febbraio 1994, n. 109, applicabile ai fatti di causa ratione temporis, aveva il compito di vigilare affinché fosse assicurata l’economicità di esecuzione dei lavori pubblici e sull’osservanza della disciplina legislativa e regolamentare in materia verificando, anche con indagine campionarie, la regolarità delle procedure di affidamento dei medesimi.Lo svolgimento dei suddetti compiti costituiva per l’Autorità un obbligo, non una mera facoltà.L’adempimento del suddetto obbligo non era, evidentemente, condizionato dall’iniziativa di terzi, per cui palesemente l’Autorità era legittimata ad agire d’ufficio.L’assunto è rafforzato dall’art. 4, sesto comma, della legge 11 febbraio 1994, n. 109, giustamente richiamato dai primi giudici, il quale espressamente stabilisce che l’Autorità esercita i propri poteri ispettivi anche sulla base della segnalazione di chiunque vi abbia interesse, in tal modo evidenziando che tali segnalazioni costituiscono solo uno dei possibili atti d’impulso.Osserva, quindi, il collegio che la determinazione n. 11/99 del 17 novembre 1999 costituisce lo strumento in base al quale l’Autorità seleziona le segnalazioni ricevute, individuando quelle alle quali attribuire maggiore credibilità; non può peraltro costituire lo strumento mediante il quale l’Autorità possa sottrarsi all’adempimento dei propri obblighi.Il riferimento all’interesse del quale deve essere portatore l’autore della segnalazione non può quindi essere inteso nei termini stretti nei quali l’interesse legittima la proposizione di ricorsi alla giurisdizione amministrativa, costituendo un semplice strumento di valutazione preventiva della serietà della segnalazione stessaOsserva, inoltre, il collegio che l’esigenza di razionalizzazione che ha ispirato la determinazione di cui ora si tratta recede di fronte all’obbligo, dell’Autorità, di assolvere i propri obblighi.Di conseguenza l’Autorità di fronte ad una segnalazione seria e circostanziata deve intervenire, nell’assolvimento della sua missione istituzionale, anche se la stessa proviene da soggetto il cui interesse nella vicenda debba essere accertato.3. Il Comune appellante obietta peraltro che la vicenda esula dall’ambito dei poteri dell’Autorità, in quanto non avente direttamente ad oggetto lavori pubblici ma un incarico conferito ai sensi dell’art. 110 del D. Lgs. 18 agosto 2000, n. 267.Tale ricostruzione non è esatta.Il problema evidenziato nella presente fattispecie è costituito dalla possibilità di conferire a collaboratore incaricato ai sensi del richiamato art. 110 incarichi libero professionali, nonché del regime eventualmente applicabile.Potrebbe essere affermato che i poteri dell’Autorità attengono all’affidamento ed esecuzione dei lavori pubblici, mentre non comprendono le problematiche relative all’affidamento ed esecuzione degli incarichi di progettazione e direzione lavori, ma tale prospettazione non sarebbe condivisibile.Invero, anche il momento della progettazione e della direzione dei lavori attiene all’economicità dei lavori pubblici, ed i meccanismi di assegnazione dei relativi incarichi soggiacciono agli stessi principi che presiedono all’assegnazione dei contratti di appalto, per cui giustamente l’Autorità ha ritenuto li ha ricompresi nel proprio ambito di cognizione.4. Infine, l’appellante contesta l’esattezza dei rilievi formulati dall’Autorità.La tesi non può essere condivisa.In base all’art. 17 della legge 11 febbraio 1994, n. 109, le stazioni appaltanti potevano affidare gli incarichi di cui si tratta (oltre che con alcuni sistemi che ora interessano) a propri dipendenti ovvero a professionisti esterni, con disciplina diversa quanto ai meccanismi di affidamento e quanto alla remunerazione.Infatti, i rapporti con professionisti esterni vengono instaurati secondo procedimenti da pubblicizzare adeguatamente ed ai quali possono partecipare tutti i soggetti in possesso della qualificazione necessaria; la remunerazione è stabilita in base alle tariffe professionali vigenti, ed è oggetto di confronto concorrenziale.Gli incarichi interni vengono affidati qualora venga riscontrata l’esistenza dei presupposti di cui all’art. 17, quarto comma, della legge 109, più volte citata, e sono retribuiti secondo la disciplina di cui all’art. 18.Nel caso di specie il Comune appellante ha affidato ad un professionista incardinato, sebbene a termine, nella propria struttura un incarico professionale che poi ha retribuito secondo il regime proprio dei rapporti con i professionisti esterni alla struttura.Il Comune ha quindi confuso i due regimi, giungendo ad affidare contratti di rilevanza esterna con la libertà di scelta che gli è propria nell’ambito delle decisioni interne alla gestione della propria struttura.Il Comune nega che l’incaricato ai sensi dell’art. 110 del D. Lgs. 18 agosto 2000, n. 267, possa essere assoggettato al regime proprio dei dipendenti, ed afferma che comunque tale valutazione non rientra nei compiti dell’Autorità.Quest’ultima osservazione deve essere disattesa in quanto l’Autorità ha delibato la configurazione del rapporto intercorrente fra il professionista di cui ora si discute ed il Comune come presupposto incidentale delle proprie valutazioni in ordine all’attività di gestione dei lavori pubblici.Nel merito, l’osservazione dell’Autorità deve essere condivisa.Nel caso di specie il Comune appellante ha conferito al professionista di cui si discute l’incarico di responsabile dell’Ufficio Tecnico, e quindi lo ha incardinato nell’ambito della propria struttura, attribuendogli i compiti, le responsabilità ed i poteri propri di tale collocazione.Giustamente quindi l’Autorità ha affermato che l’affidamento di incarichi di progettazione e direzione nei confronti del suddetto professionista deve avvenire nel rispetto della normativa dettata per l’affidamento dei suddetti incarichi a dipendenti dell’ente e gli stessi devono essere retribuiti secondo il sistema normativo proprio dei dipendenti.Il Comune, come già sottolineato, ha affidato gli incarichi in questione utilizzando l’ampia sfera di discrezionalità riconosciuta dall’art. 17 quando intenda avvalersi dei propri dipendenti, ed anzi nemmeno afferma di avere esplicitato le valutazioni richieste dall’art. 17; gli incarichi in parola sono stati poi pagati sulla base della tariffa professionale, senza impostare alcun raffronto fra professionisti.La suddetta confusione di procedimenti ha quindi portato a conferire incarichi esterni sulla base di un mero intuitus personae.Le osservazioni dell’Autorità devono, pertanto, essere condivise.5. L’appello deve, in conclusione, essere respinto.Le spese, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Sesta, respinge l’appello indicato in epigrafe.
Condanna la parte appellante al pagamento, in favore dell’appellata, di spese ed onorari del presente grado di giudizio, che liquida in complessivi euro 5.000,00 oltre agli accessori di legge.
Ordina che la presente decisione sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Illegittimià degli incarici conferiti al dipendente con procedura interna con criteri di remunerazione previsti per i consulenti esterni

Appalti pubblici, incarichi di progettazione e direzione dei lavori, consulenti esterni
Consiglio di Stato , sez. VI, decisione 22.10.2008 n° 5175

Appalti pubblici - incarichi di progettazione e direzione dei lavori - consulenti esterni - dipendenti ufficio tecnico del Comune - procedure di affidamento - criteri di remunerazione - differente regime [art. 17, L. 109/1994]

In tema di appalti pubblici, gli incarichi di progettazione e direzione dei lavori possono essere conferiti dalle stazioni appaltanti sia a dipendenti sia a professionisti esterni, secondo un regime diverso quanto ai meccanismi di affidamento e di remunerazione.
Ne deriva l'illegittimita dell'incarico conferito al dipendente con procedura di affidamento interna, ma secondo i criteri di remunerazione previsti per i consulenti esterni.
(Fonte: Altalex Massimario 41/2008. Cfr. nota di Alessandro Del Dotto e nota su Altalex Mese - Schede di Giurisprudenza)
Consiglio di Stato
Sezione VI
Decisione 1 luglio - 22 ottobre 2008, n. 5175
(Presidente Varrone - Relatore Atzeni)

Sul seguente ricorso in appello n. 7271/2003, proposto dal Comune di Force in persona del Sindaco in carica, rappresentato e difeso dagli avv.ti Ranieri Felici e Sergio Del Vecchio ed elettivamente domiciliato presso lo studio di quest’ultimo in Roma, viale Angelico n. 38controil Ministero dei Lavori Pubblici in persona del Ministro in carica e l’Autorità per la Vigilanza sui Lavori Pubblici, Servizio Ispettivo, Settore Vigilanza, Accertamenti, Ispezioni, Area Geografica Marche e Sardegna, in persona del legale rappresentante in carica, rappresentati e difesi dall’Avvocatura Generale dello Stato presso i cui uffici in Roma, via dei Portoghesi n. 12, sono per legge domiciliatiper l’annullamentodella sentenza del Tribunale Amministrativo per le Marche n. 203/2003 in data 31 marzo 2003, resa inter partes;Visto il ricorso con i relativi allegati;Visto l’atto di costituzione in giudizio della parte appellata;Visti gli atti tutti della causa;Relatore alla pubblica udienza del 1 luglio 2008 il consigliere Manfredo Atzeni ed udito l’avv.to Del Vecchio e l’avv.to dello Stato Greco;Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue:
Fatto
Con ricorso al Tribunale Amministrativo per le Marche il Comune di Force in persona del Sindaco in carica impugnava la delibera n. 149 in data 29/5/2002 con la quale il Consiglio dell’Autorità per i Lavori Pubblici, interessata dall’esposto di alcuni consiglieri di minoranza del predetto Comune, aveva accertato profili di illegittimità nell’affidamento di incarichi di progettazione e di direzioni di lavori ad un libero professionista, responsabile del procedimento legato al Comune da rapporto di lavoro autonomo assimilabile nella sostanza a quello di dipendente (collaborazione coordinata e continuativa) ed affermato che la stessa Amministrazione non aveva operato in conformità alle norme della legge 11 febbraio 1994, n. 109, e del D.P.R. 554/1999 con riferimento ai principi di pubblicità, concorsualità e trasparenza nelle procedure di selezione dei soggetti esterni, censurando pertanto il suo operato e richiamandolo ad una corretta osservanza delle norme in materia di affidamento di servizi di ingegneria.Lamentava:1. - Violazione della seconda preposizione del primo periodo del 6° comma dell’art. 4 della legge n. 109/94 e succ. mod. in riferimento al contenuto della determinazione n. 11/99 del 17 novembre 1999 a cura dell’Autorità per la vigilanza sui lavori pubblici relativa alla “individuazione della nozione di «chiunque vi abbia interesse» per le richieste di ispezione”;violazione dell’art. 3 e dell’art. 9 della legge 7 agosto 1990, n. 241 in riferimento al contenuto della ridetta determinazione dell’Autorità n. 11/99 per difetto di legittimazione attiva in capo ad “alcuni consiglieri di minoranza” che hanno richiesto l’intervento ispettivo ed in riferimento alla violazione degli artt. 42, 43, 44, 48 del D.Lgs. n. 267/2000 nonché per difetto assoluto di interesse e di motivazione della richiesta;violazione dell’art. 4, comma 4° della legge n. 109/94 in riferimento alla violazione dell’art. 1 della stessa legge per incompetenza dell’Autorità per la vigilanza sui lavori pubblici ad interventi che esulano dalle materie per le quali l’organo è stato creato nonché per scopi diversi da quelli per i quali esso organo è stato demandato ad apprestare tutela;eccesso di potere sotto più profili (del difetto di motivazione, della carenza dei presupposti della falsa rappresentazione della realtà, dell’ingiustizia manifesta);2. - violazione del D. Lgs. 18 agosto 2000, n. 267 in riferimento alla violazione dell’art. 17 della legge 11 febbraio 1994, n. 109 e della circolare ministeriale 7 ottobre 1996, n. 448; eccesso di potere sotto più profili.Chiedeva quindi l’annullamento della deliberazione impugnata unitamente ove occorra, agli atti presupposti tra i quali, segnatamente, la relazione redatta dal Servizio Ispettivo e l’atto di regolazione in data 8 novembre 1999.Con la sentenza in epigrafe il Tribunale Amministrativo per le Marche respingeva il ricorso.Avverso la predetta sentenza insorge il Comune di Force in persona del Sindaco in carica, chiedendo la sua riforma e l’accoglimento del ricorso di primo grado.Si è costituita in giudizio l’Avvocatura Generale dello Stato chiedendo il rigetto dell’appello.Alla pubblica udienza dell’1 luglio 2008 la causa è stata trattenuta in decisione.In data 3 luglio 2008 è stato depositato il dispositivo (n. 523/2008: respinge).
Diritto
1. L’appello è infondato.Il Comune, odierno appellante, a suo tempo ha conferito ad un architetto, estraneo ai suoi ruoli, un incarico per l’espletamento di prestazioni di natura tecnica ai sensi dell’art. 110 del D. Lgs. 18 agosto 2000, n. 267, svolgendo le mansioni di responsabile dell’Ufficio Tecnico Comunale, Settore Lavori Pubblici, con il compito di istruire le pratiche di competenza dell’Ufficio, con firma degli atti compresi quelli a rilevanza esterna, la redazione di progettazioni, stime e quant’altro necessario per il suo funzionamento, con assunzione di responsabilità dell’istruttoria e del provvedimento finale; l’incarico, per sua natura a termine, è stato più volte prorogato.Il Comune ha poi affidato allo stesso architetto, di solito congiuntamente ad altri professionisti, incarichi di progettazione e direzione lavori, compensati sulla base della tariffa professionale vigente.Alcuni consiglieri di minoranza di quel Comune hanno segnalato i fatti appena riassunti all’Autorità per la Vigilanza sui Lavori Pubblici.Quest’ultima ha aperto istruttoria ai sensi dell’art. 4 della legge 11 febbraio 1994, n. 109, e, con il provvedimento impugnato in primo grado, ha accertato l’illegittimità dell’operato del Comune per violazione delle norme in materia di conferimento di servizi di ingegneria ed architettura con particolare riferimento ai principi di pubblicità, concorsualità e trasparenza da garantire nella selezione dei soggetti esterni, censurando il suo operato e richiamandolo ad una corretta osservanza delle norme relative, con l’adozione dei conseguenti provvedimenti.Il suddetto provvedimento è stato impugnato di fronte al Tribunale Amministrativo per le Marche, che ha respinto il ricorso, e la questione viene ora portata all’attenzione della Sezione.La difesa erariale sostiene l’inammissibilità del gravame negando il contenuto provvedimentale degli atti impugnati.La questione - riguardo alla quale appaiono condivisibili le osservazioni dei primi giudici - può essere assorbita, in quanto le ragioni dell’appellante sono infondate nel merito.2. Il Comune appellante sostiene in primo luogo che l’Autorità con propria determinazione n. 11/99 del 17 novembre 1999 ha stabilito che costituisce utile presupposto per avviare le proprie istruttorie la segnalazione di soggetti titolari di interesse ad intervenire.Siffatto interesse non potrebbe essere riconosciuto in capo ai consiglieri comunali di minoranza, che agiscono sulla base del proprio interesse politico ad opporsi all’operato dell’amministrazione per il cui il procedimento di cui si discute sarebbe stato iniziato senza un valido presupposto.La tesi non può essere condivisa.L’Autorità in base all’art. 4, quarto comma lett. a) e b), della legge 11 febbraio 1994, n. 109, applicabile ai fatti di causa ratione temporis, aveva il compito di vigilare affinché fosse assicurata l’economicità di esecuzione dei lavori pubblici e sull’osservanza della disciplina legislativa e regolamentare in materia verificando, anche con indagine campionarie, la regolarità delle procedure di affidamento dei medesimi.Lo svolgimento dei suddetti compiti costituiva per l’Autorità un obbligo, non una mera facoltà.L’adempimento del suddetto obbligo non era, evidentemente, condizionato dall’iniziativa di terzi, per cui palesemente l’Autorità era legittimata ad agire d’ufficio.L’assunto è rafforzato dall’art. 4, sesto comma, della legge 11 febbraio 1994, n. 109, giustamente richiamato dai primi giudici, il quale espressamente stabilisce che l’Autorità esercita i propri poteri ispettivi anche sulla base della segnalazione di chiunque vi abbia interesse, in tal modo evidenziando che tali segnalazioni costituiscono solo uno dei possibili atti d’impulso.Osserva, quindi, il collegio che la determinazione n. 11/99 del 17 novembre 1999 costituisce lo strumento in base al quale l’Autorità seleziona le segnalazioni ricevute, individuando quelle alle quali attribuire maggiore credibilità; non può peraltro costituire lo strumento mediante il quale l’Autorità possa sottrarsi all’adempimento dei propri obblighi.Il riferimento all’interesse del quale deve essere portatore l’autore della segnalazione non può quindi essere inteso nei termini stretti nei quali l’interesse legittima la proposizione di ricorsi alla giurisdizione amministrativa, costituendo un semplice strumento di valutazione preventiva della serietà della segnalazione stessaOsserva, inoltre, il collegio che l’esigenza di razionalizzazione che ha ispirato la determinazione di cui ora si tratta recede di fronte all’obbligo, dell’Autorità, di assolvere i propri obblighi.Di conseguenza l’Autorità di fronte ad una segnalazione seria e circostanziata deve intervenire, nell’assolvimento della sua missione istituzionale, anche se la stessa proviene da soggetto il cui interesse nella vicenda debba essere accertato.3. Il Comune appellante obietta peraltro che la vicenda esula dall’ambito dei poteri dell’Autorità, in quanto non avente direttamente ad oggetto lavori pubblici ma un incarico conferito ai sensi dell’art. 110 del D. Lgs. 18 agosto 2000, n. 267.Tale ricostruzione non è esatta.Il problema evidenziato nella presente fattispecie è costituito dalla possibilità di conferire a collaboratore incaricato ai sensi del richiamato art. 110 incarichi libero professionali, nonché del regime eventualmente applicabile.Potrebbe essere affermato che i poteri dell’Autorità attengono all’affidamento ed esecuzione dei lavori pubblici, mentre non comprendono le problematiche relative all’affidamento ed esecuzione degli incarichi di progettazione e direzione lavori, ma tale prospettazione non sarebbe condivisibile.Invero, anche il momento della progettazione e della direzione dei lavori attiene all’economicità dei lavori pubblici, ed i meccanismi di assegnazione dei relativi incarichi soggiacciono agli stessi principi che presiedono all’assegnazione dei contratti di appalto, per cui giustamente l’Autorità ha ritenuto li ha ricompresi nel proprio ambito di cognizione.4. Infine, l’appellante contesta l’esattezza dei rilievi formulati dall’Autorità.La tesi non può essere condivisa.In base all’art. 17 della legge 11 febbraio 1994, n. 109, le stazioni appaltanti potevano affidare gli incarichi di cui si tratta (oltre che con alcuni sistemi che ora interessano) a propri dipendenti ovvero a professionisti esterni, con disciplina diversa quanto ai meccanismi di affidamento e quanto alla remunerazione.Infatti, i rapporti con professionisti esterni vengono instaurati secondo procedimenti da pubblicizzare adeguatamente ed ai quali possono partecipare tutti i soggetti in possesso della qualificazione necessaria; la remunerazione è stabilita in base alle tariffe professionali vigenti, ed è oggetto di confronto concorrenziale.Gli incarichi interni vengono affidati qualora venga riscontrata l’esistenza dei presupposti di cui all’art. 17, quarto comma, della legge 109, più volte citata, e sono retribuiti secondo la disciplina di cui all’art. 18.Nel caso di specie il Comune appellante ha affidato ad un professionista incardinato, sebbene a termine, nella propria struttura un incarico professionale che poi ha retribuito secondo il regime proprio dei rapporti con i professionisti esterni alla struttura.Il Comune ha quindi confuso i due regimi, giungendo ad affidare contratti di rilevanza esterna con la libertà di scelta che gli è propria nell’ambito delle decisioni interne alla gestione della propria struttura.Il Comune nega che l’incaricato ai sensi dell’art. 110 del D. Lgs. 18 agosto 2000, n. 267, possa essere assoggettato al regime proprio dei dipendenti, ed afferma che comunque tale valutazione non rientra nei compiti dell’Autorità.Quest’ultima osservazione deve essere disattesa in quanto l’Autorità ha delibato la configurazione del rapporto intercorrente fra il professionista di cui ora si discute ed il Comune come presupposto incidentale delle proprie valutazioni in ordine all’attività di gestione dei lavori pubblici.Nel merito, l’osservazione dell’Autorità deve essere condivisa.Nel caso di specie il Comune appellante ha conferito al professionista di cui si discute l’incarico di responsabile dell’Ufficio Tecnico, e quindi lo ha incardinato nell’ambito della propria struttura, attribuendogli i compiti, le responsabilità ed i poteri propri di tale collocazione.Giustamente quindi l’Autorità ha affermato che l’affidamento di incarichi di progettazione e direzione nei confronti del suddetto professionista deve avvenire nel rispetto della normativa dettata per l’affidamento dei suddetti incarichi a dipendenti dell’ente e gli stessi devono essere retribuiti secondo il sistema normativo proprio dei dipendenti.Il Comune, come già sottolineato, ha affidato gli incarichi in questione utilizzando l’ampia sfera di discrezionalità riconosciuta dall’art. 17 quando intenda avvalersi dei propri dipendenti, ed anzi nemmeno afferma di avere esplicitato le valutazioni richieste dall’art. 17; gli incarichi in parola sono stati poi pagati sulla base della tariffa professionale, senza impostare alcun raffronto fra professionisti.La suddetta confusione di procedimenti ha quindi portato a conferire incarichi esterni sulla base di un mero intuitus personae.Le osservazioni dell’Autorità devono, pertanto, essere condivise.5. L’appello deve, in conclusione, essere respinto.Le spese, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Sesta, respinge l’appello indicato in epigrafe.
Condanna la parte appellante al pagamento, in favore dell’appellata, di spese ed onorari del presente grado di giudizio, che liquida in complessivi euro 5.000,00 oltre agli accessori di legge.
Ordina che la presente decisione sia eseguita dall’autorità amministrativa.

giovedì 5 febbraio 2009

Colpa in vigilando, casus fortuitus et causalis nexus

Cassazione civile sez. III 30 ottobre 2008 n. 26051 - (884)

Condominio,risarcimento danni,parti comuni,allagamento,immobili,civile

Fonte del testo e della sintesi: avv. Gallucci, http://www.civile.it/condominio

"Il condominio, quale custode dei beni e servizi comuni, è responsabile dei danni cagionati alle porzioni di proprietà esclusiva andando esente da responsabilità solo in presenza di un caso fortuito. Non può essere considerato tale il vizio di costruzione. Tale circostanza consente di chiamare in causa anche il costruttore ma non esime il condominio dalle proprie colpe. "

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. VITTORIA Paolo - Presidente -
Dott. TALEVI Alberto - Consigliere -
Dott. VIVALDI Roberta - Consigliere -
Dott. TRAVAGLINO Giacomo - Consigliere -
Dott. D'AMICO Paolo - rel. Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso proposto da:
(…), in persona del legale rappresentante pro tempore (…), elettivamente domiciliata in ROMA, presso la
CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, difesa dall'avvocato (…), giusta
delega in atti;
- ricorrente -
contro
CONDOMINIO (OMISSIS), in persona
dell'amministratore pro tempore C.A., elettivamente
domiciliato in ROMA VIA (…), presso lo studio
dell'avvocato (…), difeso dagli avvocati (…), giusta delega in atti;
- controricorrente -
avverso la sentenza n. 2466/04 della Corte d'Appello di NAPOLI,
quarta sezione civile, emessa il 9/07/04, depositata il 21/07/04,
R.G. 1294/02;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del
26/06/08 dal Consigliere Dott. Paolo D'AMICO;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.
SCHIAVON Giovanni, che ha concluso per la declaratoria di
inammissibilità o il rigetto del ricorso.
Con atto di citazione notificato nell'aprile 1991 la (…) s.p.a.
conveniva in giudizio il condominio di (OMISSIS) per ottenere il risarcimento dei danni subiti a seguito dell'allagamento di immobili di sua proprietà, siti in quel condominio, invasi dalla fuoriuscita di acque luride dalla rete fognaria condominiale e perciò divenuti inagibili con conseguenti, notevoli danni ed impossibilità di una loro locazione a terzi.
Parte convenuta si costituiva chiedendo il rigetto della domanda attrice ed eccepiva che gli allagamenti non erano dovuti a sua incuria o colpa, bensì alla cattiva realizzazione della rete fognaria proprio da parte della Ice Snei. Chiedeva di conseguenza la condanna di quest'ultima al risarcimento dei danni subiti, compresi quelli per azione temeraria ex art. 96 c.p.c..
All'esito dell'istruttoria il Tribunale di Napoli, con sentenza del 24 agosto 2001, rigettava la domanda di parte attrice condannandola alle spese processuali.
Proponeva appello la soccombente deducendo la mancata contestazione, nei termini di legge, dei difetti nella costruzione della rete fognaria; la errata valutazione delle cause degli allagamenti, la mancata considerazione del comportamento omissivo del condominio, l'intervenuta modifica dello stato dei luoghi a seguito del rifacimento della condotta fognaria di proprietà del comune, l'ampiezza del lasso di tempo trascorso dall'epoca della realizzazione delle fogne condominiali, i risultati della consulenza di parte, la presunzione di cui all'art. 2051 c.c.. Aggiungeva l'appellante che il Tribunale non aveva tenuto conto di quale fosse il sistema di costruzione delle fogne al momento della loro realizzazione e che, nella liquidazione delle spese del giudizio, non aveva preso in considerazione la domanda riconvenzionale avanzata da parte convenuta. La Ice Snei chiedeva perciò di accogliere la sua domanda proposta in primo grado, previo eventuale rinnovo della C.t.u..
Il Condominio chiedeva il rigetto dell'appello.
La Corte d'appello di Napoli rigettava l'appello e condannava la (…) al rimborso delle spese processuali in favore di controparte.
Proponeva ricorso per cassazione la (…).
Resisteva con controricorso il Condominio di (OMISSIS).
Con l'unico motivo del ricorso la (…) s.p.a. denuncia "violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1117, 1123, 1667, 1669, 2051 e 2697 c.c., omissione, insufficienza o contraddittorietà di motivazione (in relazione agli art. 360 c.p.c., nn. 3, 4 e 5".
Illustrando il motivo la ricorrente afferma che la Corte di merito, pur avendo correttamente sussunto la fattispecie concreta nell'ambito della norma di cui all'art. 2051 c.c., la ha poi erroneamente interpretata non considerando: a) che il dovere di custodia dell'immobile grava sullo stesso Condominio, quale ente di gestione della proprietà condominiale; b) che non possono essere equiparati caso fortuito e fatto del danneggiato.
Come ha più volte affermato questa Corte, prosegue parte ricorrente, il dovere di custodire, vigilare e mantenerne il controllo sulla cosa in modo da impedire che essa arrechi danni ai terzi incombe sul soggetto che, a qualsiasi titolo, ha un effettivo e non occasionale potere fisico cosa stessa; e tale soggetto può vincere la presunzione di colpa a suo carico solo dimostrando che 1 ' evento dannoso sia derivato da caso fortuito; il fatto del terzo acquista efficacia di fortuito a norma dell'art. 2051 c.c. solo quando nella determinazione dell'evento dannoso risulti dotato di impulso causale autonomo rispetto alla sfera d'azione del custode e si presenti per il custode stesso imprevedibile ed inevitabile. Il condominio, prosegue la (…), pur essendo a conoscenza dei dedotti difetti delle fogne, non ha mai fatto nulla per eliminarli ed ha così violato gli obblighi di custodia, manutenzione e riparazione degli elementi potenzialmente dannosi verso i terzi che gli derivavano dal rapporto con l'immobile.
In senso contrario la Corte distrettuale, considerato che gli allagamenti si verificarono nonostante il Condominio avesse provveduto nel corso degli anni a frequenti espurghi della fogna, è giunta alla conclusione che fu la cattiva realizzazione dell'impianto da parte della società costruttrice a causare i ripetuti inconvenienti: altrimenti, precisa la Corte, l'eliminazione dell'intasamento occasionale mediante l'espurgo avrebbe ripristinato il regolare funzionamento, dell'impianto stesso. Nessuna "rottura" della fogna addebitabile al custode è stata dunque dimostrata in corso causa, nè rilevata dai due C.T.U. che si sono susseguiti nell'esaminare i luoghi e le cause dei danni lamentati.
Gli argomenti della Corte distrettuale sono convincenti. Per radicato orientamento della giurisprudenza di questa Corte la norma di cui all'art. 2051 c.c. non si fonda su una presunzione di colpa, ma individua un'ipotesi di responsabilità oggettiva che in concreto ricorre quando sia individuabile un rapporto di custodia tra il responsabile e la cosa che ha dato luogo all'evento lesivo. Negli edifici in condominio, custode dei beni e dei servizi comuni, obbligato ad adottare tutte le misure necessarie affinchè gli stessi non rechino pregiudizio ad alcuno è perciò lo stesso condominio che, ai sensi dell'art. 2051 c.c. risponde dei danni da quei beni cagionati alla porzione di proprietà esclusiva di uno dei condomini, ancorchè tali danni siano imputabili ai vizi edificatori dello stabile riconducibili ad attività od omissioni del costruttore. Si ritiene infatti che tali vizi non possano essere equiparati al caso fortuito quale unica causa idonea ad interrompere il nesso eziologico fra custode e danno e quindi la responsabilità del custode ai sensi dell'art. 2051 c.c.. E' giurisprudenza consolidata di questa Corte, infatti, che il vizio di costruzione della cosa in custodia, anche se ascrivibile al costruttore, non esclude la responsabilità del custode nei confronti del danneggiato proprio in quanto non costituisce caso fortuito (Cass. 15 marzo 2004, n. 5236; Cass. 06 aprile 2004, n. 6753; Cass., 6 novembre 1986, n. 6507). La responsabilità del condominio nei confronti del terzo non esclude però che il custode possa rivalersi nei confronti del costruttore (Cass., 2^, 25 marzo 1991, n. 3209; Cass., 15 marzo 2004, n. 5236;
Cass, 20 agosto 2003, n. 12219).
In questo processo il costruttore ha agito nei confronti del condominio per il risarcimento dei danni da lui subiti a causa dei guasti all'impianto fognario. Alla luce della giurisprudenza sopra richiamata il condominio, in quanto custode dell'impianto, deve essere considerato responsabile di tali danni e tale sua responsabilità verso i terzi non può essere esclusa dalla pur accertata responsabilità del costruttore. Il costruttore non è però un terzo qualsiasi bensì il soggetto contro il quale il condominio ha diritto di rivalersi.
La (…) nell'atto di citazione chiedeva "condannarsi esso Condominio al risarcimento dei danni" in suo favore. Considerato che il costruttore è responsabile nei confronti del Condominio, il ricorso del ricorrente non può che essere respinto.
Va peraltro osservato che il condominio ha adempiuto l'onere di dimostrare che l'evento dannoso si è verificato per un vizio intrinseco della cosa, addebitabile unicamente al costruttore e che sussisteva un esclusivo nesso di causalità tra il comportamento dei costruttore ed i danni da lui stesso subiti (Cass., 13 gennaio 1982, n. 182).
Per tutte le ragioni che precedono il ricorso deve essere quindi rigettato con condanna di parte ricorrente alle spese del giudizio di cassazione che liquidano come in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente alle spese del giudizio di cassazione che liquida in Euro 2.200,00 di cui Euro 2.100,00 per onorari, oltre rimborso forfettario delle spese generali ed accessori come per legge.
Così deciso in Roma, il 26 giugno 2008.
Depositato in Cancelleria il 30 ottobre 2008

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