lunedì 15 settembre 2008

Poste Italiane: Danno da Tardivo Recapito

Poste condannate a risarcire un’impresa per il tardivo recapito dell’offerta
Tribunale Lecce, sez. II civile, sentenza 28.03.2008 n° 640 (
Enrico Pellegrini)

Il Tribunale di Lecce ha condannato la società Poste Italiane S.p.A. a pagare 60 mila euro ad una impresa che era stata esclusa da una gara indetta da un comune della Regione Puglia per aver recapito l’offerta oltre il termine ultimo previsto dal bando.
I fatti risalgono al 2004. Il Comune di P. C. ha indetto una gara per appaltare i lavori di realizzazione di un’area a verde pubblico e di un parcheggio urbano.
La ditta N., che opera da molti anni nel settore dei lavori pubblici, ha spedito l’offerta consegnandola all’Ufficio Postale di Lecce. Al fine di assicurarsi la certezza del recapito nei tempi più brevi, ha scelto di utilizzare il Servizio Postacelere. Secondo quanto previsto dalla carta dei servizi di Poste italiane, la consegna sarebbe dovuta avvenire entro 1 giorno lavorativo oltre quello di spedizione.
Il plico è stato invece consegnato al Comune solo 3 giorni dopo la spedizione, così causando l’esclusione della ditta dalla gara.
La ditta N. si è quindi rivolta al Tribunale di Lecce, per chiedere la condanna della società Poste italiane al risarcimento dei danni derivante dal colpevole ritardo con il quale l’offerta era stata recapitata. L’impresa ha dimostrato che se la consegna fosse stata tempestiva si sarebbe aggiudicata l’appalto per un valore complessivo di oltre mezzo milione di euro.
Il Giudice del Tribunale di Lecce, la dott.ssa Tinelli, ha accolto la domanda della ditta ed ha condannato le Poste Italiane spa a risarcire il danno, determinato nella misura del 10% del valore dell’appalto, e quindi per un totale di 60 mila euro.
Il Tribunale – accogliendo le tesi difensive - ha evidenziato come il Codice delle comunicazioni elettroniche ha ormai sancito in via definitiva la contrattualizzazione del rapporto tra poste ed utenti, con conseguente sottoposizione del rapporto alle norme di diritto comune. E ciò prescindendo dalla evidente ormai superata disciplina di favore per l’ente di cui al codice postale, che ineriva la gestione del servizio quando faceva capo ad una pubblica amministrazione.
A seguito della trasformazione dell’amministrazione postale da ente pubblico economico in società per azioni, la gestione del servizio è dunque ormai regolata secondo l’ordinaria disciplina civilistica per quanto concerne l’inadempimento. Pertanto, nell’ipotesi di mancato tempestivo recapito di un plico, si applicano gli articoli del codice civile sulla responsabilità contrattuale.
(Altalex, 12 settembre 2008. Nota di Enrico Pellegrini)
Tribunale di Lecce
Sezione II Civile
Sentenza 28 marzo 2008, n. 640
(G.U. Dott.ssa Tinelli)

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Giudice Onorario dr.ssa Maria Carmela Tinelli, in funzione di Giudice Unico del Tribunale di Lecce, seconda sezione civile,
ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nella causa civile iscritta al n. 7430/04 R.G. avente ad oggetto “risarcimento danni”.
promossa da
Ditta X. Y. in persona del legale rappresentante pro-tempore , rappresentata e difesa dall’avv. Pietro Quinto, mandato in atti
ATTRICE
Contro

Poste Italiane S.p.A. con sede in Roma Viale Europa n. 190, in persona del Presidente del Consiglio di Amministrazione e legale rappresentante pro-tempore , rappresentata e difesa dagli avv.ti. Massimo Pozzi e Marco Filippetto del foro di Roma e dall’avv. Patrizia Luperto Madonna, mandato in atti , ed selettivamente domiciliata presso quest’ultima in viale F. Cavallotti n. 4 c/o Direzione Provinciale Poste Italiane Lecce.
CONVENUTA

INTROITATA ALL’UDIENZA DEL 28/03/2008

CONCLUSIONI
Come da verbale in atti, all’udienza del 28/03/2008, in seguito alla discussione orale, la causa veniva decisa ex art. 281 sexies c.p.c. come da sentenza di cui veniva data pubblica lettura in udienza.
FATTO E SVOLGIMENTO DELPROCESSO
Con atto di citazione del 15/10/04 ritualmente notificato il 22/10/04 la ditta X. Y., conveniva in giudizio innanzi al Tribunale di Lecce , Poste Italiane S.p.A. in persona del legale rappresentante pro-tempore al fine di sentire accogliere le seguenti conclusioni: «1) Voglia l’ll.mo giudice designando condannare la Società Poste Italiane al risarcimento del danno in favore della ditta attrice quantificato nella misura del 10% dell’importo complessivo dell’appalto e pari ad € 58.661, 18 oltre interessi e rivalutazione monetaria. 2) Condannare il convenuto al pagamento di spese, diritti e onorari del presente giudizio.» Assumeva la ditta attrice un proprio diritto risarcitorio per essere stata esclusa da una gara indetta dal Comune di Porto Cesareo in conseguenza del ritardo con cui sarebbe stato consegnato il plico contenente la domanda e l’offerta di partecipazione , plico spedito a mezzo del servizio posta celere in data 09/08/04 . Specificatamente l’offerta , a dire dell’attrice , sarebbe stata consegnata al comune in data 12/08/04 ore 13,15 quando il termine di scadenza era stato fissato per il detto giorno ma entro le ore 12,00 . In conseguenza della predetta esclusione , la ditta Y. X. assumendo altresì che la propria offerta sarebbe risultata aggiudicataria , avanzava una pretesa risarcitoria per € 58.661, 18 pari al 10% dell’importo complessivo dell’appalto , oltre accessori e spese di lite.
Con comparsa di costituzione e risposta del 07/01/05 depositata in cancelleria il 13/01/05 , si costituiva in giudizio , la convenuta poste italiane S.p.A., in persona del suo legale rappresentante pro-tempore, chiedendo al tribunale adito di così provvedere « …rigettare le domande attoree siccome infondate in fatto e diritto . Con vittoria di spese , competenze ed onorari di causa. »
La causa veniva istruita a mezzo produzione documentale . Nel corso dell’istruttoria veniva poi acquisita dal Comune di Porto Cesareo il plico inviato dalla ditta X., come richiesto dalla difesa attorea.
All’udienza del 07/11/07 le parti hanno precisato le conclusioni e la causa è stata rimessa all’udienza del 28/03/08 per la discussione orale , con l’assegnazione dei termini per il deposito di comparse conclusionali e memorie di replica.
All’udienza del 28/03/2008 , in seguito alla discussione orale , la causa veniva decisa ex art. 281 sexies c.p.c. come da sentenza di cui veniva data pubblica lettura in udienza.
MOTIVI DELLA DECISIONE
La domanda attorea è fondata e va accolta per quanto di ragione.
Ed invero Poste Italiane non ha rispettato i modi ed i tempi di trasmissione e di recapito della corrispondenza contrattualmente assunti : il plico consegnato all’ufficio postale in data 9.08.2004 ( lunedì ) e regolarmente partito , così come risulta dalla tracciatura elettronica della spedizione , avrebbe dovuto essere recapitato al Comune di Porto Cesareo entro il giorno successivo 10.08.2004. La consegna è invece stata effettuata il giorno 12.08.2004 (giovedì), ossia non solo ben 3 giorni dopo la spedizione ma soprattutto oltre l’orario previsto da bando a pena di esclusione!
Orbene l’offerta della ditta X. consisteva in un ribasso del 10,691 % e , quindi essendo senza dubbio la migliore, anche rispetto a quella della ditta Giannoccaro ( che aveva offerto un ribasso del 10,69 % ) , in quanto immediatamente inferiore alla soglia di anomalia individuata , avrebbe determinato l’aggiudicazione dell’appalto in suo favore. Tale circostanza è stata documentalmente provata tramite l’esibizione in giudizio , richiesta dalla difesa attorea , da parte del Comune di Porto Cesareo del plico contenente l’offerta presentata dalla ditta X..
E’ evidente che da tale mancato rispetto delle condizioni di consegna deriva il danno subito dalla ditta X. , che se non fosse stata esclusa , si sarebbe aggiudicata l’appalto di lavori per un importo complessivo di € 586.611,89.
La convenuta contesta fa fondatezza delle pretese avanzate dall’attrice , sostenendo che , in capo a Poste Italiane non è configurabile alcuna responsabilità in ordine al ritardo con cui è stato consegnato il plico spedito dalla ditta attrice , è ciò in considerazione del fatto che la normativa di riferimento applicabile al caso de quo è quella prevista dal D.M. 28/07/87 n. 564 , dal Dir. P. C.M. 27/01/94 dal D. Lvo 261 del 1999 e dal D.Lvo n. 259 del 2003.
In particolare la convenuta sostiene che in forza del D.lvo 261/99 , Poste Italiane succeduta all’ex Amm.ne P.T. , non incontra alcuna responsabilità nell’espletamento di servizi postali se non nei limiti della misura del rimborso predeterminato ex artt. 12, 14 e 19 del D. Lvo n. 261/99.
Tali rilievi sono infondati giusta disposizioni normative e regolamentari applicabili al servizio di spedizione espletato dalle Poste Italiane S.p.A.
L’art. 1 del D.M. n. 564/87 testualmente infatti recita : « è istituito il servizio denominato Postacelere interna che garantisce l’accettazione , trasmissione e recapito entro il giorno feriale successivo a quello di accettazione di pieghi contenenti corrispondenze e/o merci destinati a residenti nel territorio nazionale».
Ed ancora, il decreto del 26 febbraio 2004 relativo alla «Emanazione della Carta della Qualità del Servizio Pubblico Postale» al paragrafo relativo alla Posta Raccomandata e Assicura prevede che: «posta raccomandata e assicurata è il modo sicuro e certificato di spedire corrispondenza fino a 2Kg; può essere inviata da tutti gli uffici postali per qualsiasi località del territorio nazionale ed estero. Possono essere spediti atti giudiziari in ambito nazionale. Per una maggiore puntualità del recapito è necessario indicare sempre correttamente il Codice di avviamento postale …. »
Ed ancora il d.Lvo 1 agosto 2003 n. 259 cosiddetto «Codice delle comunicazioni elettroniche » all’art. 218 ha previsto tra le altre , l’abrogazione dell’art. 6 del D.P.R. 156/73 (già per vero oggetto in passato di numerose pronunce della Corte Costituzionale), sancendo così definitivamente la contrattualizzazione del rapporto tra poste ed utenti, con conseguente sottoposizione del rapporto alle norme di diritto comune e ciò precisando dalla evidente oramai superata disciplina di favore per l’ente di cui al codice postale , ai regolamenti e alle istruzioni interne (quantunque non abrogata) che ineriva la gestione del servizio quando faceva capo ad una pubblica amministrazione.
La convenuta sostiene inoltre il difetto di qualsiasi nesso di casualità tra il ritardo del plico recapitato ed il danno subito dalla ditta X. a seguito dell’esclusione della gara. Tale assunto è smentito dalle emergenze processuali dal cui vaglio emerge proprio il contrario , ovverosia che, qualora la ditta X. non fosse stata esclusa a causa del ritardo della consegna del plico al comune , la stessa sarebbe risultata aggiudicataria dell’appalto di lavori per un importo complessivo di € 586.611,89.
Inconferente è quanto poi sostenuto dalla convenuta in ordine ad un vizio in danno ai concorrenti operato dal Comune che ha indetto la gara , che avrebbe potuto essere oggetto di impugnativa da parte della ditta oggi attrice (V pag 7 comparsa di costituzione e risposta).
In ordine al quantum risarcitorio v’è da dire com’è stato ormai da tempo evidenziato , tanto da autorevole dottrina quanto dalla giurisprudenza della Suprema Corte di Legittimità , che la chance , o concreta ed effettiva occasione favorevole di conseguire un determinato bene, non è una mera aspettativa di fatto ma un’entità patrimoniale a sé stante , giuridicamente ed economicamente suscettibile d’autonoma valutazione ,onde onde la sua perdita, id est la perdita della possibilità di conseguire un qualsivoglia risultato utile del quale risulti provata la sussistenza , configura una lesione all’integrità del patrimonio la cui risarcibilità è, quindi, conseguenza immediata e diretta del verificarsi d’un danno concerto ed attuale (ex pluribus, Cass. 10.11.98 n. 11340, 15.3.96 n. 2167, 19.12.85 n. 6506)
Pare equo al decidente dunque condannare la Società Poste Italiane al risarcimento del danno in favore della ditta attrice quantificato nella misura del 10% dell’importo complessivo dell’appalto e pari ad € 58.661,18. Tale somma non va ulteriormente maggiorata né di interessi legali né rivalutata poiché liquidata in via d’equità.
La soccombenza postula che la parte convenuta è tenuta a rimborsare all’attrice le spese e competenze e della presente lite, che tenuto conto del valore della causa e dell’attività svolta sono liquidate così come in dispositivo.
P.T.M.
Il Giudice Onorario di Tribunale, dr.ssa Maria Carmela Tinelli , in funzione di Giudice Unico del Tribunale di Lecce, seconda sezione civile, definitivamente pronunciando sulla domanda proposta dalla Ditta X. Y. in persona del legale rappresentante pro-tempore , nei confronti di Poste Italiane S.p.A. con sede in Roma Viale Europa n. 190, in persona del Presidente del Consiglio di Amministrazione e legale rappresentante pro-tempore, con atto di citazione del 15/10/04 ritualmente notificato il 22/10/04, ogni altra istanza, difesa od eccezione rigettata, così provvede:
Accoglie la domanda attorea e per l’effetto condanna la convenuta Poste Italiane S.p.A. al risarcimento del danno in favore della ditta attrice quantificato nella misura del 10% dell’importo complessivo dell’appalto e pari ad € 58.661,18.
Condanna Poste Italiane S.p.A. in persona del suo legale rappresentante pro-tempore , al pagamento in favore della ditta X. Y. , in persona dell’omonimo titolare ,, delle spese e competenze di lite che , si liquidano in complessivi euro 3.500,00 di cui 200,00 per spese , euro 1.600,00 per diritti , euro 1.700,00 per onorari, oltre 12,5% quale maggiorazione spese legali , Iva e Cap come per legge.
Dispone la restituzione del plico contenente l’offerta presentata dalla ditta X. Y. al Comune di Porto Cesareo custodito al n. 327 nella cassaforte di questo Ufficio Giudiziario.
Manda alla Cancelleria per le incombenze di rito.
Così deciso in Lecce il 28/03/2008
Il G.O.T.
dr.ssa Maria Carmela Tinelli

Poste Italiane: Danno da Tardivo Recapito

Poste condannate a risarcire un’impresa per il tardivo recapito dell’offerta
Tribunale Lecce, sez. II civile, sentenza 28.03.2008 n° 640 (
Enrico Pellegrini)

Il Tribunale di Lecce ha condannato la società Poste Italiane S.p.A. a pagare 60 mila euro ad una impresa che era stata esclusa da una gara indetta da un comune della Regione Puglia per aver recapito l’offerta oltre il termine ultimo previsto dal bando.
I fatti risalgono al 2004. Il Comune di P. C. ha indetto una gara per appaltare i lavori di realizzazione di un’area a verde pubblico e di un parcheggio urbano.
La ditta N., che opera da molti anni nel settore dei lavori pubblici, ha spedito l’offerta consegnandola all’Ufficio Postale di Lecce. Al fine di assicurarsi la certezza del recapito nei tempi più brevi, ha scelto di utilizzare il Servizio Postacelere. Secondo quanto previsto dalla carta dei servizi di Poste italiane, la consegna sarebbe dovuta avvenire entro 1 giorno lavorativo oltre quello di spedizione.
Il plico è stato invece consegnato al Comune solo 3 giorni dopo la spedizione, così causando l’esclusione della ditta dalla gara.
La ditta N. si è quindi rivolta al Tribunale di Lecce, per chiedere la condanna della società Poste italiane al risarcimento dei danni derivante dal colpevole ritardo con il quale l’offerta era stata recapitata. L’impresa ha dimostrato che se la consegna fosse stata tempestiva si sarebbe aggiudicata l’appalto per un valore complessivo di oltre mezzo milione di euro.
Il Giudice del Tribunale di Lecce, la dott.ssa Tinelli, ha accolto la domanda della ditta ed ha condannato le Poste Italiane spa a risarcire il danno, determinato nella misura del 10% del valore dell’appalto, e quindi per un totale di 60 mila euro.
Il Tribunale – accogliendo le tesi difensive - ha evidenziato come il Codice delle comunicazioni elettroniche ha ormai sancito in via definitiva la contrattualizzazione del rapporto tra poste ed utenti, con conseguente sottoposizione del rapporto alle norme di diritto comune. E ciò prescindendo dalla evidente ormai superata disciplina di favore per l’ente di cui al codice postale, che ineriva la gestione del servizio quando faceva capo ad una pubblica amministrazione.
A seguito della trasformazione dell’amministrazione postale da ente pubblico economico in società per azioni, la gestione del servizio è dunque ormai regolata secondo l’ordinaria disciplina civilistica per quanto concerne l’inadempimento. Pertanto, nell’ipotesi di mancato tempestivo recapito di un plico, si applicano gli articoli del codice civile sulla responsabilità contrattuale.
(Altalex, 12 settembre 2008. Nota di Enrico Pellegrini)
Tribunale di Lecce
Sezione II Civile
Sentenza 28 marzo 2008, n. 640
(G.U. Dott.ssa Tinelli)

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Giudice Onorario dr.ssa Maria Carmela Tinelli, in funzione di Giudice Unico del Tribunale di Lecce, seconda sezione civile,
ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nella causa civile iscritta al n. 7430/04 R.G. avente ad oggetto “risarcimento danni”.
promossa da
Ditta X. Y. in persona del legale rappresentante pro-tempore , rappresentata e difesa dall’avv. Pietro Quinto, mandato in atti
ATTRICE
Contro

Poste Italiane S.p.A. con sede in Roma Viale Europa n. 190, in persona del Presidente del Consiglio di Amministrazione e legale rappresentante pro-tempore , rappresentata e difesa dagli avv.ti. Massimo Pozzi e Marco Filippetto del foro di Roma e dall’avv. Patrizia Luperto Madonna, mandato in atti , ed selettivamente domiciliata presso quest’ultima in viale F. Cavallotti n. 4 c/o Direzione Provinciale Poste Italiane Lecce.
CONVENUTA

INTROITATA ALL’UDIENZA DEL 28/03/2008

CONCLUSIONI
Come da verbale in atti, all’udienza del 28/03/2008, in seguito alla discussione orale, la causa veniva decisa ex art. 281 sexies c.p.c. come da sentenza di cui veniva data pubblica lettura in udienza.
FATTO E SVOLGIMENTO DELPROCESSO
Con atto di citazione del 15/10/04 ritualmente notificato il 22/10/04 la ditta X. Y., conveniva in giudizio innanzi al Tribunale di Lecce , Poste Italiane S.p.A. in persona del legale rappresentante pro-tempore al fine di sentire accogliere le seguenti conclusioni: «1) Voglia l’ll.mo giudice designando condannare la Società Poste Italiane al risarcimento del danno in favore della ditta attrice quantificato nella misura del 10% dell’importo complessivo dell’appalto e pari ad € 58.661, 18 oltre interessi e rivalutazione monetaria. 2) Condannare il convenuto al pagamento di spese, diritti e onorari del presente giudizio.» Assumeva la ditta attrice un proprio diritto risarcitorio per essere stata esclusa da una gara indetta dal Comune di Porto Cesareo in conseguenza del ritardo con cui sarebbe stato consegnato il plico contenente la domanda e l’offerta di partecipazione , plico spedito a mezzo del servizio posta celere in data 09/08/04 . Specificatamente l’offerta , a dire dell’attrice , sarebbe stata consegnata al comune in data 12/08/04 ore 13,15 quando il termine di scadenza era stato fissato per il detto giorno ma entro le ore 12,00 . In conseguenza della predetta esclusione , la ditta Y. X. assumendo altresì che la propria offerta sarebbe risultata aggiudicataria , avanzava una pretesa risarcitoria per € 58.661, 18 pari al 10% dell’importo complessivo dell’appalto , oltre accessori e spese di lite.
Con comparsa di costituzione e risposta del 07/01/05 depositata in cancelleria il 13/01/05 , si costituiva in giudizio , la convenuta poste italiane S.p.A., in persona del suo legale rappresentante pro-tempore, chiedendo al tribunale adito di così provvedere « …rigettare le domande attoree siccome infondate in fatto e diritto . Con vittoria di spese , competenze ed onorari di causa. »
La causa veniva istruita a mezzo produzione documentale . Nel corso dell’istruttoria veniva poi acquisita dal Comune di Porto Cesareo il plico inviato dalla ditta X., come richiesto dalla difesa attorea.
All’udienza del 07/11/07 le parti hanno precisato le conclusioni e la causa è stata rimessa all’udienza del 28/03/08 per la discussione orale , con l’assegnazione dei termini per il deposito di comparse conclusionali e memorie di replica.
All’udienza del 28/03/2008 , in seguito alla discussione orale , la causa veniva decisa ex art. 281 sexies c.p.c. come da sentenza di cui veniva data pubblica lettura in udienza.
MOTIVI DELLA DECISIONE
La domanda attorea è fondata e va accolta per quanto di ragione.
Ed invero Poste Italiane non ha rispettato i modi ed i tempi di trasmissione e di recapito della corrispondenza contrattualmente assunti : il plico consegnato all’ufficio postale in data 9.08.2004 ( lunedì ) e regolarmente partito , così come risulta dalla tracciatura elettronica della spedizione , avrebbe dovuto essere recapitato al Comune di Porto Cesareo entro il giorno successivo 10.08.2004. La consegna è invece stata effettuata il giorno 12.08.2004 (giovedì), ossia non solo ben 3 giorni dopo la spedizione ma soprattutto oltre l’orario previsto da bando a pena di esclusione!
Orbene l’offerta della ditta X. consisteva in un ribasso del 10,691 % e , quindi essendo senza dubbio la migliore, anche rispetto a quella della ditta Giannoccaro ( che aveva offerto un ribasso del 10,69 % ) , in quanto immediatamente inferiore alla soglia di anomalia individuata , avrebbe determinato l’aggiudicazione dell’appalto in suo favore. Tale circostanza è stata documentalmente provata tramite l’esibizione in giudizio , richiesta dalla difesa attorea , da parte del Comune di Porto Cesareo del plico contenente l’offerta presentata dalla ditta X..
E’ evidente che da tale mancato rispetto delle condizioni di consegna deriva il danno subito dalla ditta X. , che se non fosse stata esclusa , si sarebbe aggiudicata l’appalto di lavori per un importo complessivo di € 586.611,89.
La convenuta contesta fa fondatezza delle pretese avanzate dall’attrice , sostenendo che , in capo a Poste Italiane non è configurabile alcuna responsabilità in ordine al ritardo con cui è stato consegnato il plico spedito dalla ditta attrice , è ciò in considerazione del fatto che la normativa di riferimento applicabile al caso de quo è quella prevista dal D.M. 28/07/87 n. 564 , dal Dir. P. C.M. 27/01/94 dal D. Lvo 261 del 1999 e dal D.Lvo n. 259 del 2003.
In particolare la convenuta sostiene che in forza del D.lvo 261/99 , Poste Italiane succeduta all’ex Amm.ne P.T. , non incontra alcuna responsabilità nell’espletamento di servizi postali se non nei limiti della misura del rimborso predeterminato ex artt. 12, 14 e 19 del D. Lvo n. 261/99.
Tali rilievi sono infondati giusta disposizioni normative e regolamentari applicabili al servizio di spedizione espletato dalle Poste Italiane S.p.A.
L’art. 1 del D.M. n. 564/87 testualmente infatti recita : « è istituito il servizio denominato Postacelere interna che garantisce l’accettazione , trasmissione e recapito entro il giorno feriale successivo a quello di accettazione di pieghi contenenti corrispondenze e/o merci destinati a residenti nel territorio nazionale».
Ed ancora, il decreto del 26 febbraio 2004 relativo alla «Emanazione della Carta della Qualità del Servizio Pubblico Postale» al paragrafo relativo alla Posta Raccomandata e Assicura prevede che: «posta raccomandata e assicurata è il modo sicuro e certificato di spedire corrispondenza fino a 2Kg; può essere inviata da tutti gli uffici postali per qualsiasi località del territorio nazionale ed estero. Possono essere spediti atti giudiziari in ambito nazionale. Per una maggiore puntualità del recapito è necessario indicare sempre correttamente il Codice di avviamento postale …. »
Ed ancora il d.Lvo 1 agosto 2003 n. 259 cosiddetto «Codice delle comunicazioni elettroniche » all’art. 218 ha previsto tra le altre , l’abrogazione dell’art. 6 del D.P.R. 156/73 (già per vero oggetto in passato di numerose pronunce della Corte Costituzionale), sancendo così definitivamente la contrattualizzazione del rapporto tra poste ed utenti, con conseguente sottoposizione del rapporto alle norme di diritto comune e ciò precisando dalla evidente oramai superata disciplina di favore per l’ente di cui al codice postale , ai regolamenti e alle istruzioni interne (quantunque non abrogata) che ineriva la gestione del servizio quando faceva capo ad una pubblica amministrazione.
La convenuta sostiene inoltre il difetto di qualsiasi nesso di casualità tra il ritardo del plico recapitato ed il danno subito dalla ditta X. a seguito dell’esclusione della gara. Tale assunto è smentito dalle emergenze processuali dal cui vaglio emerge proprio il contrario , ovverosia che, qualora la ditta X. non fosse stata esclusa a causa del ritardo della consegna del plico al comune , la stessa sarebbe risultata aggiudicataria dell’appalto di lavori per un importo complessivo di € 586.611,89.
Inconferente è quanto poi sostenuto dalla convenuta in ordine ad un vizio in danno ai concorrenti operato dal Comune che ha indetto la gara , che avrebbe potuto essere oggetto di impugnativa da parte della ditta oggi attrice (V pag 7 comparsa di costituzione e risposta).
In ordine al quantum risarcitorio v’è da dire com’è stato ormai da tempo evidenziato , tanto da autorevole dottrina quanto dalla giurisprudenza della Suprema Corte di Legittimità , che la chance , o concreta ed effettiva occasione favorevole di conseguire un determinato bene, non è una mera aspettativa di fatto ma un’entità patrimoniale a sé stante , giuridicamente ed economicamente suscettibile d’autonoma valutazione ,onde onde la sua perdita, id est la perdita della possibilità di conseguire un qualsivoglia risultato utile del quale risulti provata la sussistenza , configura una lesione all’integrità del patrimonio la cui risarcibilità è, quindi, conseguenza immediata e diretta del verificarsi d’un danno concerto ed attuale (ex pluribus, Cass. 10.11.98 n. 11340, 15.3.96 n. 2167, 19.12.85 n. 6506)
Pare equo al decidente dunque condannare la Società Poste Italiane al risarcimento del danno in favore della ditta attrice quantificato nella misura del 10% dell’importo complessivo dell’appalto e pari ad € 58.661,18. Tale somma non va ulteriormente maggiorata né di interessi legali né rivalutata poiché liquidata in via d’equità.
La soccombenza postula che la parte convenuta è tenuta a rimborsare all’attrice le spese e competenze e della presente lite, che tenuto conto del valore della causa e dell’attività svolta sono liquidate così come in dispositivo.
P.T.M.
Il Giudice Onorario di Tribunale, dr.ssa Maria Carmela Tinelli , in funzione di Giudice Unico del Tribunale di Lecce, seconda sezione civile, definitivamente pronunciando sulla domanda proposta dalla Ditta X. Y. in persona del legale rappresentante pro-tempore , nei confronti di Poste Italiane S.p.A. con sede in Roma Viale Europa n. 190, in persona del Presidente del Consiglio di Amministrazione e legale rappresentante pro-tempore, con atto di citazione del 15/10/04 ritualmente notificato il 22/10/04, ogni altra istanza, difesa od eccezione rigettata, così provvede:
Accoglie la domanda attorea e per l’effetto condanna la convenuta Poste Italiane S.p.A. al risarcimento del danno in favore della ditta attrice quantificato nella misura del 10% dell’importo complessivo dell’appalto e pari ad € 58.661,18.
Condanna Poste Italiane S.p.A. in persona del suo legale rappresentante pro-tempore , al pagamento in favore della ditta X. Y. , in persona dell’omonimo titolare ,, delle spese e competenze di lite che , si liquidano in complessivi euro 3.500,00 di cui 200,00 per spese , euro 1.600,00 per diritti , euro 1.700,00 per onorari, oltre 12,5% quale maggiorazione spese legali , Iva e Cap come per legge.
Dispone la restituzione del plico contenente l’offerta presentata dalla ditta X. Y. al Comune di Porto Cesareo custodito al n. 327 nella cassaforte di questo Ufficio Giudiziario.
Manda alla Cancelleria per le incombenze di rito.
Così deciso in Lecce il 28/03/2008
Il G.O.T.
dr.ssa Maria Carmela Tinelli

martedì 9 settembre 2008

IL silenzio amministrativo sopravvenuto in corso di causa

04.09.2008
Pregiudiziale amministrativa e giudizio sul silenzio
La regola della pregiudizialità dell'annullamento del provvedimento lesivo opera in vario modo anche nel processo amministrativo avente ad oggetto l'inerzia della pubblica amministrazione e il provvedimento amministrativo sopravvenuto in corso di causa.
Consiglio di Stato Sentenza, Sez. VI, 17/07/2008, n. 3592

Con la sentenza in esame, il Consiglio di Stato torna a pronunciarsi sui rapporti tra azione di annullamento e azione di risarcimento avanti al giudice amministrativo, con specifico riferimento al caso di inerzia della pubblica amministrazione.
L'orientamento maggioritario nella giurisprudenza amministrativa sostiene il principio del necessario previo annullamento del provvedimento amministrativo illegittimo. La pronuncia sulla domanda risarcitoria è subordinata al previo annullamento del provvedimento impugnato, o all'accertamento della illegittimità del silenzio dell'amministrazione.
Il Consiglio di Stato, in armonia con la pronuncia della Ad. Pl. n. 12/07, ribadisce che, in forza di tale principio, deve escludersi l'accoglibilità davanti al giudice amministrativo, di una domanda risarcitoria che non sia collegata alla domanda demolitoria di un provvedimento, anche silenzioso, dal momento che lart. 7 della legge n. 205 del 2000 qualifica le questioni relative al risarcimento del danno come eventuali e consequenziali a quelle rientranti nell’ambito della sua giurisdizione.
Nella fattispecie oggetto della sentenza in esame, il principio della pregiudiziale amministrativa è ribadito anche nell'ipotesi in cui l'accertamento della illegittimità risulti impedito dalla dichiarazione giudiziale di improcedibilità del ricorso.
In tali casi, infatti, la parte ricorrente propone in primis una domanda che, anche se successivamente è riconosciuta improcedibile, tende all'annullamento del provvedimento illegittimo.
La regola della pregiudiziale è dunque, confermata e non oggetto di eccezione. In particolare, non può essere accolta, secondo il Consiglio di Stato, la tesi che spinge la pregiudizialità fino a farle assumere effetti impeditivi della pronuncia del giudice, al quale, pur nell'ambito della propria giurisdizione, sarebbe preclusa la pronuncia sulla parte risarcitoria laddove riconosca l'improcedibilità della domanda principale per effetto di un provvedimento sopravvenuto in corso di causa.
Tale interpretazione priverebbe di significato la regola della pregiudizialità e la tutela stessa degli interessi dedotti in giudizio, tutte le volte in cui sia in discussione il danno derivante dal silenzio dell’amministrazione.
Il Consiglio di Stato, infine, sottolinea come in tali casi sarebbe sufficiente un provvedimento espresso per determinare, con l’improcedibilità della domanda impugnatoria, l'impossibilità dell'esame di quella risarcitoria.
Inoltre, posto che nel campo degli interessi legittimi non può darsi la tutela del giudice ordinario, neppure con riguardo al risarcimento del danno, un'intera categoria di posizioni soggettive ritenute dal legislatore degne di tutela rimarrebbe sguarnita.
La sentenza in esame esclude però nella fattispecie sottoposta al proprio esame la sussistenza degli estremi per riconoscere il risarcimento del danno, per la mancata dimostrazione e quantificazione dello stesso.
La sentenza di primo grado aveva, infatti, genericamente riconosciuto il risarcimento alla ricorrente in relazione alle perdite economiche subite in conseguenza della illegittimità e più in generale della scorrettezza dell'inerzia mantenuta dall'amministrazione, a prescindere dalla spettanza del bene della vita.
Al riguardo, occorre, infatti, distinguere, se il ricorrente aspiri ad ottenere il risarcimento del mero danno da ritardo, connesso alla violazione dell’obbligo di comportamento imposto all’amministrazione, o il risarcimento per il mancato conseguimento del bene della vita.
Quanto al risarcimento del danno da ritardo, il Consiglio di Stato ribadisce l'orientamento prevalente, imposto già dall'Ad. Pl. n.5/07, secondo cui non è possibile attribuire autonomo rilievo risarcitorio alla mera violazione dell’obbligo di comportamento imposto all'amministrazione.
La tutela dell'interesse pretensivo nel nostro ordinamento è infatti subordinata all'accertamento della spettanza del bene della vita, in assenza del quale non risulta risarcibile il mero danno da ritardo.
La sentenza in esame si richiama, inoltre, a quanto statuito dalla IV sezione del Consiglio di Stato con la sentenza n.248/08.
Tale pronuncia ha, infatti, chiarito che, nel caso in cui residuino in capo all’amministrazione significativi spazi di discrezionalità amministrativa pura, deve escludersi che il giudice possa indagare sulla spettanza del bene della vita, ammettendo il risarcimento solo dopo e a condizione che l'Amministrazione, riesercitato il proprio potere, abbia riconosciuto all’istante il bene stesso: nel qual caso, il danno ristorabile non potrà che ridursi al solo pregiudizio determinato dal ritardo nel conseguimento di quel bene.
Nel caso, invece, in cui il ricorrente agisca per il risarcimento per il mancato conseguimento del bene della vita, la sentenza, richiamata dalla odierna pronuncia del Consiglio di Stato, ha chiarito l'impossibilità di risarcire la posizione giuridica del ricorrente che risulti lesa non solo dall'inerzia dell'amministrazione, ma anche dall'adozione di un provvedimento amministrativo di rigetto, che non sia stato tempestivamente impugnato.
La regola della pregiudiziale amministrativa torna, dunque, ad escludere il risarcimento danno in tutti quei casi in cui il ricorrente aspiri ad ottenere il ristoro dei danni subiti per il mancato conseguimento del bene della vita e risulti omessa l'impugnazione del provvedimento sopravvenuto, lesivo della situazione giuridica azionata.
Nella fattispecie oggetto della sentenza, il Consiglio di Stato, nonostante la mancata impugnazione del provvedimento che ha escluso definitivamente l'accoglibilità della domanda della ricorrente, riconosce l'erroneità della sentenza di primo grado per la mancata dimostrazione e quantificazione dell'esistenza di un danno causato dall'inerzia.
Valeria De Carlo, Avvocato in MilanoTratto da Quotidiano Giuridico Ipsoa 2008

IL silenzio amministrativo sopravvenuto in corso di causa

04.09.2008
Pregiudiziale amministrativa e giudizio sul silenzio
La regola della pregiudizialità dell'annullamento del provvedimento lesivo opera in vario modo anche nel processo amministrativo avente ad oggetto l'inerzia della pubblica amministrazione e il provvedimento amministrativo sopravvenuto in corso di causa.
Consiglio di Stato Sentenza, Sez. VI, 17/07/2008, n. 3592

Con la sentenza in esame, il Consiglio di Stato torna a pronunciarsi sui rapporti tra azione di annullamento e azione di risarcimento avanti al giudice amministrativo, con specifico riferimento al caso di inerzia della pubblica amministrazione.
L'orientamento maggioritario nella giurisprudenza amministrativa sostiene il principio del necessario previo annullamento del provvedimento amministrativo illegittimo. La pronuncia sulla domanda risarcitoria è subordinata al previo annullamento del provvedimento impugnato, o all'accertamento della illegittimità del silenzio dell'amministrazione.
Il Consiglio di Stato, in armonia con la pronuncia della Ad. Pl. n. 12/07, ribadisce che, in forza di tale principio, deve escludersi l'accoglibilità davanti al giudice amministrativo, di una domanda risarcitoria che non sia collegata alla domanda demolitoria di un provvedimento, anche silenzioso, dal momento che lart. 7 della legge n. 205 del 2000 qualifica le questioni relative al risarcimento del danno come eventuali e consequenziali a quelle rientranti nell’ambito della sua giurisdizione.
Nella fattispecie oggetto della sentenza in esame, il principio della pregiudiziale amministrativa è ribadito anche nell'ipotesi in cui l'accertamento della illegittimità risulti impedito dalla dichiarazione giudiziale di improcedibilità del ricorso.
In tali casi, infatti, la parte ricorrente propone in primis una domanda che, anche se successivamente è riconosciuta improcedibile, tende all'annullamento del provvedimento illegittimo.
La regola della pregiudiziale è dunque, confermata e non oggetto di eccezione. In particolare, non può essere accolta, secondo il Consiglio di Stato, la tesi che spinge la pregiudizialità fino a farle assumere effetti impeditivi della pronuncia del giudice, al quale, pur nell'ambito della propria giurisdizione, sarebbe preclusa la pronuncia sulla parte risarcitoria laddove riconosca l'improcedibilità della domanda principale per effetto di un provvedimento sopravvenuto in corso di causa.
Tale interpretazione priverebbe di significato la regola della pregiudizialità e la tutela stessa degli interessi dedotti in giudizio, tutte le volte in cui sia in discussione il danno derivante dal silenzio dell’amministrazione.
Il Consiglio di Stato, infine, sottolinea come in tali casi sarebbe sufficiente un provvedimento espresso per determinare, con l’improcedibilità della domanda impugnatoria, l'impossibilità dell'esame di quella risarcitoria.
Inoltre, posto che nel campo degli interessi legittimi non può darsi la tutela del giudice ordinario, neppure con riguardo al risarcimento del danno, un'intera categoria di posizioni soggettive ritenute dal legislatore degne di tutela rimarrebbe sguarnita.
La sentenza in esame esclude però nella fattispecie sottoposta al proprio esame la sussistenza degli estremi per riconoscere il risarcimento del danno, per la mancata dimostrazione e quantificazione dello stesso.
La sentenza di primo grado aveva, infatti, genericamente riconosciuto il risarcimento alla ricorrente in relazione alle perdite economiche subite in conseguenza della illegittimità e più in generale della scorrettezza dell'inerzia mantenuta dall'amministrazione, a prescindere dalla spettanza del bene della vita.
Al riguardo, occorre, infatti, distinguere, se il ricorrente aspiri ad ottenere il risarcimento del mero danno da ritardo, connesso alla violazione dell’obbligo di comportamento imposto all’amministrazione, o il risarcimento per il mancato conseguimento del bene della vita.
Quanto al risarcimento del danno da ritardo, il Consiglio di Stato ribadisce l'orientamento prevalente, imposto già dall'Ad. Pl. n.5/07, secondo cui non è possibile attribuire autonomo rilievo risarcitorio alla mera violazione dell’obbligo di comportamento imposto all'amministrazione.
La tutela dell'interesse pretensivo nel nostro ordinamento è infatti subordinata all'accertamento della spettanza del bene della vita, in assenza del quale non risulta risarcibile il mero danno da ritardo.
La sentenza in esame si richiama, inoltre, a quanto statuito dalla IV sezione del Consiglio di Stato con la sentenza n.248/08.
Tale pronuncia ha, infatti, chiarito che, nel caso in cui residuino in capo all’amministrazione significativi spazi di discrezionalità amministrativa pura, deve escludersi che il giudice possa indagare sulla spettanza del bene della vita, ammettendo il risarcimento solo dopo e a condizione che l'Amministrazione, riesercitato il proprio potere, abbia riconosciuto all’istante il bene stesso: nel qual caso, il danno ristorabile non potrà che ridursi al solo pregiudizio determinato dal ritardo nel conseguimento di quel bene.
Nel caso, invece, in cui il ricorrente agisca per il risarcimento per il mancato conseguimento del bene della vita, la sentenza, richiamata dalla odierna pronuncia del Consiglio di Stato, ha chiarito l'impossibilità di risarcire la posizione giuridica del ricorrente che risulti lesa non solo dall'inerzia dell'amministrazione, ma anche dall'adozione di un provvedimento amministrativo di rigetto, che non sia stato tempestivamente impugnato.
La regola della pregiudiziale amministrativa torna, dunque, ad escludere il risarcimento danno in tutti quei casi in cui il ricorrente aspiri ad ottenere il ristoro dei danni subiti per il mancato conseguimento del bene della vita e risulti omessa l'impugnazione del provvedimento sopravvenuto, lesivo della situazione giuridica azionata.
Nella fattispecie oggetto della sentenza, il Consiglio di Stato, nonostante la mancata impugnazione del provvedimento che ha escluso definitivamente l'accoglibilità della domanda della ricorrente, riconosce l'erroneità della sentenza di primo grado per la mancata dimostrazione e quantificazione dell'esistenza di un danno causato dall'inerzia.
Valeria De Carlo, Avvocato in MilanoTratto da Quotidiano Giuridico Ipsoa 2008

lunedì 8 settembre 2008

Il caso "Le Iene": L'intervento della Suprema Corte


Privacy – tutela – test droga a parlamentari – condanna degli autori – sussistenza – legittimità
Fare test sull’uso di droghe a parlamentari, pur senza l’individuazione del singolo, implica il rilievo che taluno, entro una circoscritta e determinabile cerchia di persone, faccia indebito uso di droghe.In tale situazione, tutti i Parlamentari possono essere indiscriminatamente sospettati di assumere stupefacenti con la conseguenza che ogni membro del Senato o della Camera dei Deputati, nonché la istituzione parlamentare, ha subito un nocumento alla sua immagine pubblica ed onorabilità. (1)(2)
(1) Per il provvedimento che bloccò la messa in onda dei dati raccolti attraverso i test sull’utilizzo di droga, si veda Garante per la Privacy, 10 ottobre 2006 con nota di Tognetti.(2) Cfr. l'articolo "Caso “Le iene”: chi tutela chi?" di Laura Vasselli.
Fonte: Altalex Massimario 22/2008.
SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE
SEZIONE III PENALE
Sentenza 24 aprile - 10 giugno 2008, n. 23086
(Presidente Vitalone - Relatore Squassoni)

Motivi della decisione
Con sentenza 16 ottobre 2007, il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Roma ha applicato a P. D. e V. M. la pena concordata per il reato previsto dall'art. 167 c. 2 DLvo 196/2003 (per avere, in qualità di ideatori di un servizio televisivo avente ad oggetto il consumo di stupefacenti, proceduto, senza il consenso degli interessati e l'autorizzazione del Garante, alla raccolta di dati personali sensibili - campioni organici di cinquanta Deputati e sedici Senatori - ed alla successiva analisi per accertare la eventuale traccia di sostanze stupefacenti).Per l'annullamento della sentenza, gli imputati hanno proposto ricorso per Cassazione deducendo violazione di legge e sostenendo che la fattispecie materiale non era inquadrabile nella ipotesi di reato contestata.Tanto premesso, deve precisarsi come gli imputati, che hanno concordato la pena con l'organo della accusa, non possono mettere in discussione le coordinate del patto che loro stessi hanno sollecitato e che il Giudice, all'esito del sindacato che la normativa gli demanda, ha ritenuto conforme a giustizia; di conseguenza, il ricorso per Cassazione è limitato al solo caso in cui il patto si pone in violazione di legge.Tale è l'ipotesi prospettata dagli imputati i quali hanno sostenuto che i fatti per cui è processo non hanno rilevanza penale sia perché la violazione di norme del codice deontologico dei giornalisti è sanzionata in via amministrativa sia per la mancanza di uno degli elementi della fattispecie (nocumento alle parti lese). Le prospettazioni non sono fondate.L'attuale normativa ha dedicato al trattamento dei dati effettuati dai giornalisti e dai soggetti ad essi equiparati gli artt. 136, 137, 138, 139 DLvo 196 /2003. Queste disposizioni, nell'alveo della precedente disciplina (art.25 L.675/1996 novellato dall'art. 12 DLvo 171/1998), esonerano, anche in relazione ai dati sensibili, il giornalista che persegue il fine della sua professione dal consenso dello interessato e dalla autorizzazione del Garante a precise, indefettibili condizioni per la liceità del trattamento.A sensi dell'art. 137 uc citato, il giornalista deve rispettare i limiti del diritto di cronaca, in particolare, quello della essenzialità della informazione riguardo a fatti di interesse pubblico; inoltre, può trattare i dati personali relativi a circostanze o fatti resi noti direttamente dagli interessati o attraverso un loro comportamento pubblico.Questa ultima condizione non è stata rispettata nel caso in esame nel quale i campioni biologici sono stati carpiti con un comportamento ingannevole e fraudolento. Consegue che gli imputati hanno disatteso una previsione contenuta non nel codice deontologico, ma nella normativa in materia di protezione dei dati personali; consegue, ancora, che gli imputati non possono invocare la previsione derogatoria dell'art. 137 del DLvo 196/2003.Per quanto concerne il nocumento alle parti lese, è esatta la deduzione difensiva secondo la quale il trattamento illecito dei dati senza il consenso dell'avente diritto è penalmente irrilevante se dal fatto tipico non deriva danno alla persona offesa; i ricorrenti hanno sostenuto che non vi è stato un vulnus per alcuno dal momento che i lori accertamenti non permettevano di associare l'esito del test a persone note.Sul punto, deve precisarsi come la circostanza che il capo di imputazione non facesse riferimento a specifici soggetti trovati positivi all'esame non è decisiva.Gli imputati hanno diffuso la notizia che alcuni Senatori e Deputati, pur rimasti anonimi, erano positivi alla analisi per la individuazione di sostanze stupefacenti; l'informazione evidenziava che taluno, entro una circoscritta e determinabile cerchia di persone, faceva indebito uso di droghe.In tale situazione, tutti i Parlamentari potevano essere indiscriminatamente sospettati di assumere stupefacenti con la conseguenza che ogni membro del Senato o della Camera dei Deputati, nonché la istituzione parlamentare, ha subito un nocumento alla sua immagine pubblica ed onorabilità.Per le esposte considerazioni la Corte dichiara inammissibile il ricorso con condanna dei proponenti in solido al pagamento delle spese processuali e singolarmente al versamento della somma- che ritiene equo fissare in euro millecinquecento- alla Cassa delle Ammende.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna i ricorrenti in solido al pagamento delle spese processuali e ciascuno al versamento di euro millecinquecento alla Cassa della Ammende.

Il caso "Le Iene": L'intervento della Suprema Corte


Privacy – tutela – test droga a parlamentari – condanna degli autori – sussistenza – legittimità
Fare test sull’uso di droghe a parlamentari, pur senza l’individuazione del singolo, implica il rilievo che taluno, entro una circoscritta e determinabile cerchia di persone, faccia indebito uso di droghe.In tale situazione, tutti i Parlamentari possono essere indiscriminatamente sospettati di assumere stupefacenti con la conseguenza che ogni membro del Senato o della Camera dei Deputati, nonché la istituzione parlamentare, ha subito un nocumento alla sua immagine pubblica ed onorabilità. (1)(2)
(1) Per il provvedimento che bloccò la messa in onda dei dati raccolti attraverso i test sull’utilizzo di droga, si veda Garante per la Privacy, 10 ottobre 2006 con nota di Tognetti.(2) Cfr. l'articolo "Caso “Le iene”: chi tutela chi?" di Laura Vasselli.
Fonte: Altalex Massimario 22/2008.
SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE
SEZIONE III PENALE
Sentenza 24 aprile - 10 giugno 2008, n. 23086
(Presidente Vitalone - Relatore Squassoni)

Motivi della decisione
Con sentenza 16 ottobre 2007, il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Roma ha applicato a P. D. e V. M. la pena concordata per il reato previsto dall'art. 167 c. 2 DLvo 196/2003 (per avere, in qualità di ideatori di un servizio televisivo avente ad oggetto il consumo di stupefacenti, proceduto, senza il consenso degli interessati e l'autorizzazione del Garante, alla raccolta di dati personali sensibili - campioni organici di cinquanta Deputati e sedici Senatori - ed alla successiva analisi per accertare la eventuale traccia di sostanze stupefacenti).Per l'annullamento della sentenza, gli imputati hanno proposto ricorso per Cassazione deducendo violazione di legge e sostenendo che la fattispecie materiale non era inquadrabile nella ipotesi di reato contestata.Tanto premesso, deve precisarsi come gli imputati, che hanno concordato la pena con l'organo della accusa, non possono mettere in discussione le coordinate del patto che loro stessi hanno sollecitato e che il Giudice, all'esito del sindacato che la normativa gli demanda, ha ritenuto conforme a giustizia; di conseguenza, il ricorso per Cassazione è limitato al solo caso in cui il patto si pone in violazione di legge.Tale è l'ipotesi prospettata dagli imputati i quali hanno sostenuto che i fatti per cui è processo non hanno rilevanza penale sia perché la violazione di norme del codice deontologico dei giornalisti è sanzionata in via amministrativa sia per la mancanza di uno degli elementi della fattispecie (nocumento alle parti lese). Le prospettazioni non sono fondate.L'attuale normativa ha dedicato al trattamento dei dati effettuati dai giornalisti e dai soggetti ad essi equiparati gli artt. 136, 137, 138, 139 DLvo 196 /2003. Queste disposizioni, nell'alveo della precedente disciplina (art.25 L.675/1996 novellato dall'art. 12 DLvo 171/1998), esonerano, anche in relazione ai dati sensibili, il giornalista che persegue il fine della sua professione dal consenso dello interessato e dalla autorizzazione del Garante a precise, indefettibili condizioni per la liceità del trattamento.A sensi dell'art. 137 uc citato, il giornalista deve rispettare i limiti del diritto di cronaca, in particolare, quello della essenzialità della informazione riguardo a fatti di interesse pubblico; inoltre, può trattare i dati personali relativi a circostanze o fatti resi noti direttamente dagli interessati o attraverso un loro comportamento pubblico.Questa ultima condizione non è stata rispettata nel caso in esame nel quale i campioni biologici sono stati carpiti con un comportamento ingannevole e fraudolento. Consegue che gli imputati hanno disatteso una previsione contenuta non nel codice deontologico, ma nella normativa in materia di protezione dei dati personali; consegue, ancora, che gli imputati non possono invocare la previsione derogatoria dell'art. 137 del DLvo 196/2003.Per quanto concerne il nocumento alle parti lese, è esatta la deduzione difensiva secondo la quale il trattamento illecito dei dati senza il consenso dell'avente diritto è penalmente irrilevante se dal fatto tipico non deriva danno alla persona offesa; i ricorrenti hanno sostenuto che non vi è stato un vulnus per alcuno dal momento che i lori accertamenti non permettevano di associare l'esito del test a persone note.Sul punto, deve precisarsi come la circostanza che il capo di imputazione non facesse riferimento a specifici soggetti trovati positivi all'esame non è decisiva.Gli imputati hanno diffuso la notizia che alcuni Senatori e Deputati, pur rimasti anonimi, erano positivi alla analisi per la individuazione di sostanze stupefacenti; l'informazione evidenziava che taluno, entro una circoscritta e determinabile cerchia di persone, faceva indebito uso di droghe.In tale situazione, tutti i Parlamentari potevano essere indiscriminatamente sospettati di assumere stupefacenti con la conseguenza che ogni membro del Senato o della Camera dei Deputati, nonché la istituzione parlamentare, ha subito un nocumento alla sua immagine pubblica ed onorabilità.Per le esposte considerazioni la Corte dichiara inammissibile il ricorso con condanna dei proponenti in solido al pagamento delle spese processuali e singolarmente al versamento della somma- che ritiene equo fissare in euro millecinquecento- alla Cassa delle Ammende.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna i ricorrenti in solido al pagamento delle spese processuali e ciascuno al versamento di euro millecinquecento alla Cassa della Ammende.

lunedì 1 settembre 2008

Libro Unico del Lavoro. Ecco il Decreto!!!

Lavoro: istituzione del libro unico e abolizione di libro matricola e registro d'impresa
Decreto Ministero Lavoro 09.07.2008, G.U. 18.08.2008
Istituzione del libro unico del lavoro entro il periodo di paga relativo a dicembre 2008 ed abolizione immediata di libro matricola e registro d'impresa.
Sono queste le novità contenute nel Decreto 9 luglio 2008 con cui il Ministero del Lavoro ha dato attuazione alle disposizioni dell'articolo 39, D.L. 25 giugno 2008, n. 112, convertito in legge 6 agosto 2008, n. 133 (c.d. manovrà d'estate).
Il libro unico del lavoro dovrà essere conservato presso la sede legale del datore di lavoro o, in alternativa, presso lo studio dei consulenti del lavoro o degli altri professionisti abilitati (il datore di lavoro è tenuto a custodirlo - nel rispetto del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196 - per 5 anni dalla data dell'ultima registrazione).
In caso di verifiche sarà inoltre possibile esibire il libro unico anche tramite fax o email (è infatti prevista la possibilità di abbandonare il cartaceo in favore del formato elettronico pdf).
Per un approfondimento è anche possibile consultare la Circolare 21 agosto 2008, n. 20 dello stesso Ministero.
(Altalex, 22 agosto 2008)
MINISTERO DEL LAVORO, DELLA SALUTE E DELLE POLITICHE SOCIALI, DECRETO 9 luglio 2008
Modalita' di tenuta e conservazione del libro unico del lavoro e disciplina del relativo regime transitorio.
(GU n. 192 del 18-8-2008)
IL MINISTRO DEL LAVORO, DELLA SALUTE E DELLE POLITICHE SOCIALI
Visto l'art. 39 del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, che disciplina la istituzione e la tenuta del libro unico del lavoro da parte dei datori di lavoro privati che occupano lavoratori subordinati, collaboratori coordinati e continuativi e associati in partecipazione con apporto lavorativo, e in particolare il comma 4 che demanda a un decreto del Ministro del lavoro, della salute e delle politiche sociali le modalita' e tempi di tenuta e conservazione del libro unico del lavoro e la disciplina del relativo regime transitorio;Visti gli articoli 1, commi da 1 a 4, e 5 della legge 11 gennaio 1979, n. 12, che consentono ai consulenti del lavoro e agli altri soggetti abilitati di tenere presso il loro studio ovvero la loro sede il libro unico del lavoro;Vista la legge 15 marzo 1997, n. 59, in materia di conferimento di funzioni e compiti alle regioni ed enti locali e per la semplificazione amministrativa, che, all'art. 15 comma 2, prevede che gli atti, i dati ed i documenti formati dalla pubblica amministrazione e dai privati, con strumenti informatici o telematici, nonche' la loro archiviazione o trasmissione con strumenti informatici o telematici, siano validi e rilevanti a tutti gli effetti di legge;Visto il decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 13 gennaio 2004, recante le regole tecniche per la formazione, trasmissione, conservazione, duplicazione, riproduzione e validazione, anche temporale, dei documenti informatici;Visto il decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82, recante il Codice della amministrazione digitale, aggiornato dal decreto legislativo 4 aprile 2006, n. 159 e, in particolare, gli articoli 3, 39, 45 e 71;
Decreta:Art. 1.Modalita' di tenuta
1. Fermo restando l'obbligo, in fase di stampa, di attribuire a ciascun foglio una numerazione sequenziale, conservando eventuali fogli deteriorati o annullati, la tenuta e la conservazione del libro unico del lavoro puo' essere effettuata mediante la utilizzazione di uno dei seguenti sistemi:a) a elaborazione e stampa meccanografica su fogli mobili a ciclo continuo, con numerazione di ogni pagina e vidimazione prima della messa in uso presso l'Inail o, in alternativa, con numerazione e vidimazione effettuata, dai soggetti appositamente autorizzati dall'Inail, in sede di stampa del modulo continuo;b) a stampa laser, con autorizzazione preventiva, da parte dell'Inail, alla stampa e generazione della numerazione automatica;c) su supporti magnetici, sui quali ogni singola scrittura costituisca documento informatico e sia collegata alle registrazioni in precedenza effettuate, o ad elaborazione automatica dei dati, garantendo oltre la consultabilita', in ogni momento, anche la inalterabilita' e la integrita' dei dati, nonche' la sequenzialita' cronologica delle operazioni eseguite, nel rispetto delle regole tecniche di cui all'art. 71 del decreto legislativo 7 marzo 2005, n.82; tali sistemi sono sottratti ad obblighi di vidimazione ed autorizzazione, previa apposita comunicazione scritta, anche a mezzo fax o e-mail, alla direzione provinciale del lavoro competente per territorio, prima della messa in uso, con indicazione dettagliata delle caratteristiche tecniche del sistema adottato.2. Ciascuna annotazione relativa allo stato di presenza o di assenza dei lavoratori deve essere effettuata utilizzando una causale precisamente identificata e inequivoca. In caso di annotazione tramite codici o sigle, il soggetto che cura la tenuta del libro unico del lavoro rende immediatamente disponibile, al momento della esibizione dello stesso, anche la decodificazione utile alla piena comprensione delle annotazioni e delle scritturazioni effettuate.3. Fermi restando gli altri obblighi di cui ai commi 1 e 2 dell'art. 39 del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, la registrazione dei dati variabili delle retribuzioni puo' avvenire con un differimento non superiore ad un mese, a condizione che di cio' sia data precisa annotazione sul libro unico del lavoro.
Art. 2.Gestione della numerazione unitaria per consulenti del lavoro e soggetti autorizzati
1. I consulenti del lavoro, i professionisti e gli altri soggetti di cui all'art. 1, commi 1 e 4, della legge 11 gennaio 1979, n. 12, che siano autorizzati ad adottare un sistema di numerazione unitaria del libro unico del lavoro per i datori di lavoro assistiti devono:a) ottenere delega scritta da ogni datore di lavoro, anche inserita nella lettera di incarico o documento equipollente;b) inviare, in via telematica, all'Inail con la prima richiesta di autorizzazione, un elenco dei suddetti datori di lavoro e del codice fiscale dei medesimi;c) dare comunicazione, in via telematica, all'Inail, entro 30 giorni dall'evento, della avvenuta acquisizione di un nuovo datore di lavoro e della interruzione di assistenza nei confronti di uno dei datori di lavoro gia' comunicati ai sensi della precedente lettera b).
Art. 3.Luogo di tenuta e modalita' di esibizione
1. Il libro unico del lavoro e' conservato presso la sede legale del datore di lavoro o, in alternativa, presso lo studio dei consulenti del lavoro o degli altri professionisti abilitati o presso la sede dei servizi e dei centri di assistenza delle associazioni di categoria delle imprese artigiane e delle altre piccole imprese, anche in forma cooperativa, ai sensi e per gli effetti dell'art. 5, comma 1, della legge 11 gennaio 1979, n. 12.2. Il libro unico del lavoro deve essere tempestivamente esibito agli organi di vigilanza nel luogo in cui si esegue il lavoro, quando trattasi di sede stabile di lavoro, anche a mezzo fax o posta elettronica, dal datore di lavoro che lo detenga nella sede legale.In caso di attivita' mobili o itineranti, le cui procedure operative comportano lo svolgimento delle prestazioni lavorative presso piu' luoghi di lavoro nell'ambito della stessa giornata o sono caratterizzate dalla mobilita' dei lavoratori sul territorio, il libro unico del lavoro deve essere esibito, dal datore di lavoro che lo detenga nella sede legale, entro il termine assegnato nella richiesta espressamente formulata a verbale dagli organi di vigilanza.3. I consulenti del lavoro e gli altri professionisti abilitati, nonche' i servizi e i centri di assistenza delle associazioni di categoria di cui all'art. 1, comma 4, della legge 11 gennaio 1979, n. 12, devono esibire il libro unico del lavoro dagli stessi detenuto non oltre quindici giorni dalla richiesta espressamente formulata a verbale dagli organi di vigilanza.
Art. 4.Elenchi riepilogativi mensili
1. A richiesta degli organi di vigilanza, in occasione di un accesso ispettivo, i datori di lavoro che impiegano oltre dieci lavoratori od operano con piu' sedi stabili di lavoro ed elaborano il libro unico del lavoro con uno dei sistemi di cui all'art. 1, comma 1, del presente decreto, devono esibire elenchi riepilogativi mensili del personale occupato e dei dati individuali relativi alle presenze, alle ferie e ai tempi di lavoro e di riposo, aggiornati all'ultimo periodo di registrazione sul libro unico del lavoro, anche suddivisi per ciascuna sede.2. Il personale ispettivo ha facolta' di richiedere gli elenchi riepilogativi mensili relativi ai cinque anni che precedono l'inizio dell'accertamento, avendo cura di verificare, nel caso concreto, la materiale possibilita' di realizzazione e di esibizione degli stessi da parte del datore di lavoro, del consulente del lavoro o della associazione di categoria di cui all'art. 1, comma 4, della legge 11 gennaio 1979, n. 12.
Art. 5.Sede stabile di lavoro e computo dei lavoratori
1. Ai fini della corretta applicazione delle disposizioni di cui agli articoli 3 e 4 del presente decreto si considera «sede stabile di lavoro» qualsiasi articolazione autonoma della impresa, stabilmente organizzata, che sia idonea ad espletare, in tutto o in parte, l'attivita' aziendale e risulti dotata degli strumenti necessari, anche con riguardo alla presenza di uffici amministrativi.2. Ai fini del calcolo dei lavoratori di cui all'art. 39, comma 7, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112 e all'art. 4 del presente decreto, si computano i lavoratori subordinati, a prescindere dall'effettivo orario di lavoro svolto, i collaboratori coordinati e continuativi e gli associati in partecipazione con apporto lavorativo, che siano iscritti sul libro unico del lavoro e ancora in forza.
Art. 6.Obbligo di conservazione
1. Il datore di lavoro ha l'obbligo di conservare il libro unico del lavoro per la durata di cinque anni dalla data dell'ultima registrazione e di custodirlo nel rispetto del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, in materia di protezione dei dati personali.2. L'obbligo di cui al comma 1 e' esteso ai libri obbligatori in materia di lavoro dismessi in seguito all'entrata in vigore della semplificazione di cui all'art. 39 del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112 e alle disposizioni del presente decreto.
Art. 7.Regime transitorio e disposizioni finali
1. Fino al periodo di paga relativo al mese di dicembre 2008 i datori di lavoro, in via transitoria, possono adempiere agli obblighi di istituzione e tenuta del libro unico del lavoro, secondo le disposizioni dettate dall'art. 39 del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112 e dal presente decreto, mediante la corretta e regolare tenuta del libro paga, nelle sue sezioni paga e presenze o del registro dei lavoranti e del libretto personale di controllo per i lavoranti a domicilio, debitamente compilati e aggiornati.2. Dalla data di entrata in vigore del presente decreto le disposizioni normative ancora vigenti che fanno richiamo ai libri obbligatori di lavoro o ai libri di matricola e di paga, devono essere riferite al libro unico del lavoro, per quanto compatibile.3. Il libro matricola e il registro d'impresa s'intendono immediatamente abrogati.Roma, 9 luglio 2008
Il Ministro: Sacconi
Registrato alla Corte dei conti il 4 agosto 2008
Uffico di controllo preventivo sui Ministeri dei servizi alla persona e dei beni culturali, registro n. 5, foglio n. 91.

Libro Unico del Lavoro. Ecco il Decreto!!!

Lavoro: istituzione del libro unico e abolizione di libro matricola e registro d'impresa
Decreto Ministero Lavoro 09.07.2008, G.U. 18.08.2008
Istituzione del libro unico del lavoro entro il periodo di paga relativo a dicembre 2008 ed abolizione immediata di libro matricola e registro d'impresa.
Sono queste le novità contenute nel Decreto 9 luglio 2008 con cui il Ministero del Lavoro ha dato attuazione alle disposizioni dell'articolo 39, D.L. 25 giugno 2008, n. 112, convertito in legge 6 agosto 2008, n. 133 (c.d. manovrà d'estate).
Il libro unico del lavoro dovrà essere conservato presso la sede legale del datore di lavoro o, in alternativa, presso lo studio dei consulenti del lavoro o degli altri professionisti abilitati (il datore di lavoro è tenuto a custodirlo - nel rispetto del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196 - per 5 anni dalla data dell'ultima registrazione).
In caso di verifiche sarà inoltre possibile esibire il libro unico anche tramite fax o email (è infatti prevista la possibilità di abbandonare il cartaceo in favore del formato elettronico pdf).
Per un approfondimento è anche possibile consultare la Circolare 21 agosto 2008, n. 20 dello stesso Ministero.
(Altalex, 22 agosto 2008)
MINISTERO DEL LAVORO, DELLA SALUTE E DELLE POLITICHE SOCIALI, DECRETO 9 luglio 2008
Modalita' di tenuta e conservazione del libro unico del lavoro e disciplina del relativo regime transitorio.
(GU n. 192 del 18-8-2008)
IL MINISTRO DEL LAVORO, DELLA SALUTE E DELLE POLITICHE SOCIALI
Visto l'art. 39 del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, che disciplina la istituzione e la tenuta del libro unico del lavoro da parte dei datori di lavoro privati che occupano lavoratori subordinati, collaboratori coordinati e continuativi e associati in partecipazione con apporto lavorativo, e in particolare il comma 4 che demanda a un decreto del Ministro del lavoro, della salute e delle politiche sociali le modalita' e tempi di tenuta e conservazione del libro unico del lavoro e la disciplina del relativo regime transitorio;Visti gli articoli 1, commi da 1 a 4, e 5 della legge 11 gennaio 1979, n. 12, che consentono ai consulenti del lavoro e agli altri soggetti abilitati di tenere presso il loro studio ovvero la loro sede il libro unico del lavoro;Vista la legge 15 marzo 1997, n. 59, in materia di conferimento di funzioni e compiti alle regioni ed enti locali e per la semplificazione amministrativa, che, all'art. 15 comma 2, prevede che gli atti, i dati ed i documenti formati dalla pubblica amministrazione e dai privati, con strumenti informatici o telematici, nonche' la loro archiviazione o trasmissione con strumenti informatici o telematici, siano validi e rilevanti a tutti gli effetti di legge;Visto il decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 13 gennaio 2004, recante le regole tecniche per la formazione, trasmissione, conservazione, duplicazione, riproduzione e validazione, anche temporale, dei documenti informatici;Visto il decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82, recante il Codice della amministrazione digitale, aggiornato dal decreto legislativo 4 aprile 2006, n. 159 e, in particolare, gli articoli 3, 39, 45 e 71;
Decreta:Art. 1.Modalita' di tenuta
1. Fermo restando l'obbligo, in fase di stampa, di attribuire a ciascun foglio una numerazione sequenziale, conservando eventuali fogli deteriorati o annullati, la tenuta e la conservazione del libro unico del lavoro puo' essere effettuata mediante la utilizzazione di uno dei seguenti sistemi:a) a elaborazione e stampa meccanografica su fogli mobili a ciclo continuo, con numerazione di ogni pagina e vidimazione prima della messa in uso presso l'Inail o, in alternativa, con numerazione e vidimazione effettuata, dai soggetti appositamente autorizzati dall'Inail, in sede di stampa del modulo continuo;b) a stampa laser, con autorizzazione preventiva, da parte dell'Inail, alla stampa e generazione della numerazione automatica;c) su supporti magnetici, sui quali ogni singola scrittura costituisca documento informatico e sia collegata alle registrazioni in precedenza effettuate, o ad elaborazione automatica dei dati, garantendo oltre la consultabilita', in ogni momento, anche la inalterabilita' e la integrita' dei dati, nonche' la sequenzialita' cronologica delle operazioni eseguite, nel rispetto delle regole tecniche di cui all'art. 71 del decreto legislativo 7 marzo 2005, n.82; tali sistemi sono sottratti ad obblighi di vidimazione ed autorizzazione, previa apposita comunicazione scritta, anche a mezzo fax o e-mail, alla direzione provinciale del lavoro competente per territorio, prima della messa in uso, con indicazione dettagliata delle caratteristiche tecniche del sistema adottato.2. Ciascuna annotazione relativa allo stato di presenza o di assenza dei lavoratori deve essere effettuata utilizzando una causale precisamente identificata e inequivoca. In caso di annotazione tramite codici o sigle, il soggetto che cura la tenuta del libro unico del lavoro rende immediatamente disponibile, al momento della esibizione dello stesso, anche la decodificazione utile alla piena comprensione delle annotazioni e delle scritturazioni effettuate.3. Fermi restando gli altri obblighi di cui ai commi 1 e 2 dell'art. 39 del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, la registrazione dei dati variabili delle retribuzioni puo' avvenire con un differimento non superiore ad un mese, a condizione che di cio' sia data precisa annotazione sul libro unico del lavoro.
Art. 2.Gestione della numerazione unitaria per consulenti del lavoro e soggetti autorizzati
1. I consulenti del lavoro, i professionisti e gli altri soggetti di cui all'art. 1, commi 1 e 4, della legge 11 gennaio 1979, n. 12, che siano autorizzati ad adottare un sistema di numerazione unitaria del libro unico del lavoro per i datori di lavoro assistiti devono:a) ottenere delega scritta da ogni datore di lavoro, anche inserita nella lettera di incarico o documento equipollente;b) inviare, in via telematica, all'Inail con la prima richiesta di autorizzazione, un elenco dei suddetti datori di lavoro e del codice fiscale dei medesimi;c) dare comunicazione, in via telematica, all'Inail, entro 30 giorni dall'evento, della avvenuta acquisizione di un nuovo datore di lavoro e della interruzione di assistenza nei confronti di uno dei datori di lavoro gia' comunicati ai sensi della precedente lettera b).
Art. 3.Luogo di tenuta e modalita' di esibizione
1. Il libro unico del lavoro e' conservato presso la sede legale del datore di lavoro o, in alternativa, presso lo studio dei consulenti del lavoro o degli altri professionisti abilitati o presso la sede dei servizi e dei centri di assistenza delle associazioni di categoria delle imprese artigiane e delle altre piccole imprese, anche in forma cooperativa, ai sensi e per gli effetti dell'art. 5, comma 1, della legge 11 gennaio 1979, n. 12.2. Il libro unico del lavoro deve essere tempestivamente esibito agli organi di vigilanza nel luogo in cui si esegue il lavoro, quando trattasi di sede stabile di lavoro, anche a mezzo fax o posta elettronica, dal datore di lavoro che lo detenga nella sede legale.In caso di attivita' mobili o itineranti, le cui procedure operative comportano lo svolgimento delle prestazioni lavorative presso piu' luoghi di lavoro nell'ambito della stessa giornata o sono caratterizzate dalla mobilita' dei lavoratori sul territorio, il libro unico del lavoro deve essere esibito, dal datore di lavoro che lo detenga nella sede legale, entro il termine assegnato nella richiesta espressamente formulata a verbale dagli organi di vigilanza.3. I consulenti del lavoro e gli altri professionisti abilitati, nonche' i servizi e i centri di assistenza delle associazioni di categoria di cui all'art. 1, comma 4, della legge 11 gennaio 1979, n. 12, devono esibire il libro unico del lavoro dagli stessi detenuto non oltre quindici giorni dalla richiesta espressamente formulata a verbale dagli organi di vigilanza.
Art. 4.Elenchi riepilogativi mensili
1. A richiesta degli organi di vigilanza, in occasione di un accesso ispettivo, i datori di lavoro che impiegano oltre dieci lavoratori od operano con piu' sedi stabili di lavoro ed elaborano il libro unico del lavoro con uno dei sistemi di cui all'art. 1, comma 1, del presente decreto, devono esibire elenchi riepilogativi mensili del personale occupato e dei dati individuali relativi alle presenze, alle ferie e ai tempi di lavoro e di riposo, aggiornati all'ultimo periodo di registrazione sul libro unico del lavoro, anche suddivisi per ciascuna sede.2. Il personale ispettivo ha facolta' di richiedere gli elenchi riepilogativi mensili relativi ai cinque anni che precedono l'inizio dell'accertamento, avendo cura di verificare, nel caso concreto, la materiale possibilita' di realizzazione e di esibizione degli stessi da parte del datore di lavoro, del consulente del lavoro o della associazione di categoria di cui all'art. 1, comma 4, della legge 11 gennaio 1979, n. 12.
Art. 5.Sede stabile di lavoro e computo dei lavoratori
1. Ai fini della corretta applicazione delle disposizioni di cui agli articoli 3 e 4 del presente decreto si considera «sede stabile di lavoro» qualsiasi articolazione autonoma della impresa, stabilmente organizzata, che sia idonea ad espletare, in tutto o in parte, l'attivita' aziendale e risulti dotata degli strumenti necessari, anche con riguardo alla presenza di uffici amministrativi.2. Ai fini del calcolo dei lavoratori di cui all'art. 39, comma 7, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112 e all'art. 4 del presente decreto, si computano i lavoratori subordinati, a prescindere dall'effettivo orario di lavoro svolto, i collaboratori coordinati e continuativi e gli associati in partecipazione con apporto lavorativo, che siano iscritti sul libro unico del lavoro e ancora in forza.
Art. 6.Obbligo di conservazione
1. Il datore di lavoro ha l'obbligo di conservare il libro unico del lavoro per la durata di cinque anni dalla data dell'ultima registrazione e di custodirlo nel rispetto del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, in materia di protezione dei dati personali.2. L'obbligo di cui al comma 1 e' esteso ai libri obbligatori in materia di lavoro dismessi in seguito all'entrata in vigore della semplificazione di cui all'art. 39 del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112 e alle disposizioni del presente decreto.
Art. 7.Regime transitorio e disposizioni finali
1. Fino al periodo di paga relativo al mese di dicembre 2008 i datori di lavoro, in via transitoria, possono adempiere agli obblighi di istituzione e tenuta del libro unico del lavoro, secondo le disposizioni dettate dall'art. 39 del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112 e dal presente decreto, mediante la corretta e regolare tenuta del libro paga, nelle sue sezioni paga e presenze o del registro dei lavoranti e del libretto personale di controllo per i lavoranti a domicilio, debitamente compilati e aggiornati.2. Dalla data di entrata in vigore del presente decreto le disposizioni normative ancora vigenti che fanno richiamo ai libri obbligatori di lavoro o ai libri di matricola e di paga, devono essere riferite al libro unico del lavoro, per quanto compatibile.3. Il libro matricola e il registro d'impresa s'intendono immediatamente abrogati.Roma, 9 luglio 2008
Il Ministro: Sacconi
Registrato alla Corte dei conti il 4 agosto 2008
Uffico di controllo preventivo sui Ministeri dei servizi alla persona e dei beni culturali, registro n. 5, foglio n. 91.

giovedì 28 agosto 2008

La realizzazione di balcone e distribuzione delle aperture sulla facciata.


La motivazione addotta dal Comune non può ritenersi in ogni caso idonea a legittimare il diniego della modifica della finestra in balcone, laddove i ricorrenti nel realizzare tale intervento hanno peraltro dimostrato di essersi attenuti alle medesime caratteristiche costruttive degli altri balconi esistenti sulla medesima facciata, ed hanno altresì inteso riequilibrare la facciata medesima attraverso un riallineamento con altro analogo balcone già esistente al piano superiore.
Con siffatta motivazione, il T.A.R. campano ha accolto il ricorso di coloro che chiedevano la cassazione del diniego di sanatoria di un balcone realizzato a partire dalla trasformazione di una apertura esistente, sulla facciata interna del fabbricato di interesse.
Secondo quanto è dato evincere dalla pronuncia in commento, trattandosi di un fabbricato “ottocentesco” (sic, considerato in fatto), il Comune aveva opposto il diniego di concessione edilizia in sanatoria poiché (a suo dire, in sintesi) si trattava di un intervento edilizio posto in essere pregiudicando l’armonica e preesistente distribuzione delle aperture sulla facciata dell’immobile.
Tale motivazione, tuttavia, è parsa – al Collegio – illegittima poiché l’apertura di cui trattasi era stata operata su una porzione della facciata che esiste internamente all’immobile (oltre al fatto che i ricorrenti hanno dimostrato, documentalmente, l’infondatezza del rilevato pregiudizio all’impianto distributivo delle aperture esistenti.
(Altalex, 21 agosto 2008. Nota di Alessandro Del Dotto)
T.A.R.Campania – NapoliSezione IV
Sentenza 7 marzo 2008, n. 952(Pres. Pasanisi, Est. Ianigro)
REPUBBLICA ITALIANA
“IN NOME DEL POPOLO ITALIANO”
IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE PER LA CAMPANIA
QUARTA SEZIONE DI NAPOLIcomposto dai Magistrati:Pasanisi LeonardoPresidenteRenata Emma IanigroComponente, rel. Ines PisanoComponente
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA

sul ricorso n. 5264/2007 proposto da:
R. A. e V. A. M. rappresentati e difesi, giusta mandato a margine del ricorso, dall’avv. Bartolo G. Senatore ed elettivamente domiciliati in Napoli alla via Toledo n. 205;
CONTRO
COMUNE DI NAPOLI in persona del Sindaco p.t. rappresentato e difeso dagli avv.ti Giuseppe Tarallo, Barbara Accattatis Chalons D’Oranges, Antonio Andreottola, Eleonora Carpentieri, Bruno Crimaldi, Annalisa Cuomo, A. Ivana Furnari, Giacomo Pizza, A. Pulcini, Bruno Ricci, giusta mandato a margine dell’atto di costituzione, ed elettivamente domiciliato in Napoli p.zo S.Giacomo presso l’Avvocatura Municipale;
per l’annullamento
della disposizione dirigenziale n. 155 del 2.04.2007 con cui il Comune di Napoli respingeva l’istanza di concessione edilizia in sanatoria, ed ordinava il ripristino dello stato dei luoghi;
di ogni altro atto preordinato, collegato, connesso e conseguente se ed in quanto lesivo degli interessi del ricorrente;
della delibera di G.C. n. 2987 del 4.08.2003;
del parere espresso dalla commissione edilizia nella seduta del 7.12.2006;
Relatore la dott.ssa Renata Emma Ianigro;
Letto il ricorso ed i relativi allegati;
Vista la costituzione dell’amministrazione intimata;
sentito per il Comune di Napoli l’avv. Ricci alla udienza pubblica del 19.12.2007;
Premesso in fatto
Con ricorso iscritto al n.5264/2007, R. A. e V. A. M., quali comproprietari di un immobile sito in Napoli al corso San Giovanni a Teduccio n. 954 della estensione di m.q. 75,00 e costituente parte integrante di un edificio in muratura composto di cinque livelli fuori terra con un’unica cassa scala posta lateralmente all’androne di ingresso, premesso di aver inoltrato richiesta di permesso di costruire in sanatoria per gli interventi di cui all’ordine di ripristino ingiunto dal Comune di Napoli con disposizione n.1404 del 6.06.2006, impugnavano il provvedimento con cui lo stesso Comune respingeva la predetta istanza deducendone la illegittimità per i seguenti motivi di diritto:
1) Violazione e falsa applicazione della legge, art. 79 comma 4 lettera c) della variante generale al p.r.g., eccesso di potere;
Il provvedimento impugnato si fonda su un’erronea interpretazione dell’art. 79 delle norme di attuazione della variante al p.r.g. che consente la modifica di immobili identificabili come unità di base ottocentesca originaria o di ristrutturazione a blocco, “ove si persegua il recupero di assetti precedenti e riconoscibili, al fine di ricondurre a essi la composizione di prospetto, ma solo nel contesto di una operazione unitaria afferente l’intera unità edilizia, o almeno all’interezza dei suoi fronti e fermo restando che modifiche e ripristini di aperture sono consentiti solo se, mediante saggi e scrostature di intonaci, ovvero esauriente documentazione storica, si dimostrino preesistenti coerenti con l’impianto complessivo dell’unità edilizia”.
La situazione attuale presenta un sistema distributivo articolato sulla sequenza portone-androne-scala; la maglia strutturale doppia e l’altezza di edificazione pari a quattro piani fuori terra, il prospetto principale caratterizzato dall’allineamento verticale dei balconcini e da una distribuzione degli stessi simmetricamente rispetto al portone.
Di qui consegue l’ammissibilità indubbia dello sporto balcone in quanto rivolto ad operare un riequilibrio della facciata interessata che presenta già una lunga balconata al piano superiore, peraltro incidente soltanto su un prospetto interno del fabbricato non visibile dalla pubblica via, in funzione quindi di omogeneizzazione rispetto ai balconi dell’intero edificio.
Inoltre nella zona ove ricade l’immobile sono comunque consentiti interventi di manutenzione ordinaria, straordinaria , nonché di restauro e risanamento conservativo dell’esistente. Il balcone realizzato è di modeste dimensioni ed è per questo incapace di apportare modifiche consistenti all’edificio ed all’assetto edilizio urbanistico del territorio comunale. Gli interventi di restauro e risanamento conservativo sono suscettibili di includere altresì l’inserimento degli elementi accessori e degli impianti richiesti dalle esigenze d’uso.
2) Violazione di legge; art. 33 comma IV del d.p.r. 380/2001, art. 79 comma 4 lettera c) della variante generale al p.r.g., eccesso di potere;
Il responsabile del procedimento non ha richiesto il parere vincolante dl Ministero dei beni culturali ed ambientali.
3) Violazione e falsa applicazione della legge: art. 36 d.p.r. n. 380/2001, art. 3 della legge n. 241/1990, eccesso di potere, motivazione insufficiente;
La motivazione del provvedimento è palesemente scarna, specie nel caso in esame, ove è evidente che non vi è contrasto con gli strumenti urbanistici.
Concludeva quindi per l’accoglimento del ricorso e per l’annullamento del provvedimento impugnato.
L’amministrazione si costituiva per resistere al ricorso.
Alla udienza pubblica del 19.12.2007 il ricorso veniva discusso e ritenuto per la decisione.
Considerato in Diritto
1. Con il presente gravame i ricorrenti impugnano, chiedendone l’annullamento la disposizione dirigenziale n. 155 del 2.04.2007 con cui il Comune di Napoli respingeva la istanza di accertamento di conformità inoltrata ai sensi dell’art. 36 del d.p.r. n. 380/2001 per la realizzazione abusiva di un balcone di circa 4,70 metri x 1,30 metri, prospettante sul cortile interno dell’edificio, con accesso ottenuto previa demolizione del parapetto della finestra preesistente, nonché per l’apertura di due piccoli finestrini sul prospetto interno del fabbricato.
Con il provvedimento di diniego in questa sede gravato, il Comune di Napoli respingeva la istanza di sanatoria in oggetto poiché l’intervento in questione, inerente un immobile disciplinato quale unità di base ottocentesca o di ristrutturazione a blocco dagli artt. 63 e 79 delle n.t.a. della variante generale al P.r.g. approvata con D.P.C.R.C. n. 323 dell’11.06.2004, non è sanabile a norma dell’art. 79 comma 4 lettera c) trattandosi di un intervento sporadico non riferito all’intero fronte e non indirizzato a recuperare assetti preesistenti e documentati.
I ricorrenti lamentano la illegittimità del diniego impugnato assumendo la riconducibilità degli interventi oggetto di sanatoria alle opere assentibili ai sensi della normativa di cui all’art. 79 lettera c) opposta dalla stesso Comune.
2. Il ricorso è solo in parte fondato e merita accoglimento limitatamente al diniego di sanatoria dello sporto balcone, ed in tale parte va annullato secondo quanto di seguito precisato.
Innanzitutto occorre premettere, con riferimento alla normativa di attuazione del p.r.g. richiamata nel provvedimento impugnato, che l’art. 79 comma 4, per gli immobili costituenti unità edilizia di base ottocentesca o di ristrutturazione a blocco, ammette la esecuzione di interventi di restauro e valorizzazione degli assetti e degli elementi architettonici originari, nonché il ripristino degli elementi alterati attraverso le opere ivi elencate alle lettere a), b), c), d) e) ed f). In particolare per le opere di restauro e di ripristino di fronti esterni ed interni, alla lettera c), è prescritta la conservazione delle aperture esistenti nel loro numero, nella loro forma dimensione e posizione, ove corrispondano alla logica distributiva propria dell’unità edilizia interessata, ovvero a organiche trasformazioni della stessa, consolidate nel tempo secondo una storicizzata configurazione, e l’insieme degli interventi tenda al mantenimento dell’assetto conseguito. La modifica di aperture è consentita ove si persegua il recupero di assetti precedenti e riconoscibili, al fine di ricondurre ad essi la composizione di prospetto, ma solo nel contesto di una operazione unitaria afferente l’intera unità edilizia o almeno l’interezza dei suoi fronti e fermo restando che modifiche e ripristini di aperture sono consentiti solo se, mediante saggi e scrostature di intonaci, ovvero esauriente documentazione storica, si dimostrino preesistenze coerenti con l’impianto complessivo dell’unità edilizia.
Circa la tipologia architettonica delle unità edilizie di base ottocentesca originaria o di ristrutturazione a blocco, la scheda 21 delle n.t.a. del p.r.g. del Comune di Napoli-, richiamata nella consulenza tecnica allegata alla istanza di sanatoria - contempla un corpo di fabbrica tendenzialmente rettangolare, parallelo all’asse stradale, con un’articolazione della sequenza portone-androne– scala orientata al massimo utilizzo del volume su strada e con il corpo scala generalmente situato nella maglia interna. Per tale tipologia costruttiva l’aspetto esteriore del fabbricato viene ivi descritto con riferimento alla partitura del prospetto principale, che deve essere articolato attraverso allineamenti verticali di finestre generalmente in numero dispari da 5 a 9 , con asse di simmetria sul portone, improntata a regolarità e simmetria, pariteticità delle bucature, basamento a fasce orizzontali esteso fino all’altezza del portone.
2.1 Ciò posto, occorre considerare che i ricorrenti, attraverso la documentazione tecnica e fotografica allegata alla istanza di sanatoria ed al fascicolo di causa, hanno attestato, innanzitutto, che l’unità immobiliare interessata dagli interventi oggetto di sanatoria, situata in zona A centro storico, è ricompresa in un edificio di cinque piani fuori terra con una struttura portante in muratura articolata secondo un sistema distributivo composto dalla sequenza portone-androne-scala, ove la scala unica è posta lateralmente all’androne di ingresso.
Per ciò che concerne l’impianto distributivo della facciata interessata dagli interventi in oggetto, i ricorrenti hanno altresì documentato, attraverso i rilievi grafici e fotografici in atti a suo tempo allegati alla istanza di sanatoria, che le aperture realizzate non riguardano il prospetto principale esterno del fabbricato che affaccia sulla strada principale e precisamente su San Giovanni a Teduccio, bensì interessano una facciata interna del fabbricato che prospetta su un cortile.
A ben vedere le aperture esistenti su detta facciata interna, come ricavabile dalla documentazione fotografica allegata in atti, non rispecchiano quel sistema regolare di allineamento verticale e simmetrico suscettibile - come riportato nella scheda tecnica descrittiva sopra richiamata - di essere interrotto o alterato da un intervento sporadico non coerente né conforme al sistema distributivo preesistente. Dalla visione delle riproduzioni fotografiche dello stato dei luoghi è evidente che la modifica della preesistente finestra in balcone, operata attraverso l’abbattimento del parapetto e la apposizione di una ringhiera metallica, non altera l’impianto distributivo delle aperture esistenti. Ed infatti, come innanzi precisato, la facciata del fabbricato che prospetta sul cortile interno non presenta un sistema distributivo di aperture caratterizzato da simmetria e linearità, essendo composta in varia parte sia da finestre che da balconi collocate secondo una sequenza non ordinata né organica, sicchè non si comprende quale impianto distributivo il Comune abbia inteso preservare attraverso il diniego in oggetto sia rispetto alla logica distributiva propria dell’unità edilizia interessata, sia rispetto ad eventuali trasformazioni intervenute nel tempo. Pertanto la motivazione addotta dal Comune di Napoli non può ritenersi in ogni caso idonea a legittimare il diniego della modifica della finestra in balcone, laddove i ricorrenti nel realizzare tale intervento hanno peraltro dimostrato di essersi attenuti alle medesime caratteristiche costruttive degli altri balconi esistenti sulla medesima facciata, ed hanno altresì inteso riequilibrare la facciata medesima attraverso un riallineamento con altro analogo balcone già esistente al piano superiore. Sotto tale profilo il Comune intimato avrebbe potuto assentire la modifica di un’apertura esistente, in assenza di un accertato pregiudizio all’aspetto architettonico esteriore del fabbricato ed alla sua conformazione originaria come tutelata dalla norma tecnica di attuazione, mentre, correttamente ha escluso la sanabilità delle “nuove aperture” la cui realizzabilità è radicalmente esclusa dalla normativa medesima.
Per tali ragioni il provvedimento va annullato in parte qua, limitatamente al diniego di sanatoria dello sporto balcone, e, quanto alle spese processuali ricorrono giusti motivi per disporne la integrale compensazione tra le parti.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania, sede di Napoli sez. IV^, definitivamente pronunciandosi, sul ricorso iscritto al n. 5264/2007 proposto da R. A. e V. A. M., così provvede:
- accoglie il ricorso, nei limiti di cui in motivazione, e per l’effetto annulla “in parte qua” il provvedimento impugnato;
- spese compensate.
- ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Napoli, nella Camera di Consiglio del 19 dicembre 2007.
La presente decisione è depositata presso la Segreteria del Tribunale che provvederà a darne comunicazione alle parti.
dott. Leonardo Pasanisi – Presidente
dott. Renata Emma Ianigro – Primo Referendario estensore

Decreto flussi: le istruzioni per le domande di nulla osta per il lavoro in somministrazione

Le agenzie per il lavoro possono fare domanda di nulla osta per l’ingresso di lavoratori non comunitari per motivi di lavoro in somministraz...