mercoledì 30 luglio 2008

E' legittima l'inderogabilità assoluta dei minimi tariffari forensi?


La sentenza della Corte di Giustizia sull'inderogabilità dei minimi tariffari forensi - E' legittima l'inderogabilità assoluta dei minimi tariffari forensi?
C. Di Franco (Approfondimento 11/7/2007)
Sull'inderogabilità dei minimi tariffari forensi

di Clorinda Di Franco
(Corte di Giustizia U.E., Sez. Grande Sezione, 5 dicembre 2006, Cause riunite C - 94/04 e C - 202/04)


E' legittima l'inderogabilità assoluta dei minimi tariffari forensi?



Il caso.
Tre proprietari di terreni confinanti, oggetto di procedura espropriativa da parte del Comune, si sono rivolti ad un avvocato per conseguire il pagamento dell'indennità per l'occupazione d'urgenza dei loro terreni, non seguita da alcun decreto espropriativo. L'avvocato ha predisposto tre atti di citazione contro il Comune, iscrivendo a ruolo tre procedimenti distinti; per detta attività ha ricevuto la somma di lire 1.850.000, a titolo di anticipo per la gestione della causa. I proprietari hanno concluso una transazione con il Comune, componendo la lite senza l'intervento del legale. Questi ha emesso una parcella di lire 4.125.000, a copertura del proprio onorario, calcolato secondo la tariffa forense vigente, fissata con delibera del Consiglio nazionale forense in base a quanto previsto dalla legge 22 gennaio 1934, n. 36. Di fronte al rifiuto dei tre clienti di pagare la somma, il legale si rivolge al Tribunale di Torino, con esito sfavorevole. Quindi, adisce la Corte di appello, chiedendo in applicazione della tariffa forense il pagamento della somma contestata.La Corte, con decisione del 4 febbraio 2004, sospende il processo proponendo domanda di interpretazione pregiudiziale alla Corte di Giustizia, al fine di verificare la conformità comunitaria della legge 36/1934 sull'inderogabilità dei minimi tariffari forensi.Una controversia analoga, tra un cliente ed un avvocato, pende dinnanzi al Tribunale di Roma, investito dell'opposizione al decreto ingiuntivo ottenuto dal legale per il pagamento di un compenso, calcolato secondo le tariffe forensi vigenti, per delle prestazioni stragiudiziali eseguite in loro favore in materia di diritto di autore. Il cliente sostiene il carattere sproporzionato dell'onorario preteso rispetto all'attività svolta, che, data la natura stragiudiziale, non richiede necessariamente la qualifica legale.Il Tribunale di Roma, con decisione del 7 aprile 2004, solleva questione pregiudiziale dinnanzi alla Corte di Giustizia, in modo da verificare se l'applicazione della tariffa forense anche all'attività stragiudiziale sia compatibile con il diritto comunitario.La Corte di Giustizia, dispone la riunione per connessione dei due procedimenti e il 5 dicembre 2006 deposita la sentenza con cui risolve la questione interpretativa.
Sintesi della questione.

La Corte di Giustizia è chiamata a rispondere ai seguenti quesiti:

- I principi comunitari della libera prestazione dei servizi (art. 49 Trattato) e della concorrenza (artt. 81 e 82 trattato) si applicano all'offerta dei servizi legali?
- Possono le parti determinare liberamente il compenso per la prestazione professionale? Un eventuale accordo in tale senso è valido?
- E' legittima una normativa, come quella italiana, che prevede il calcolo degli onorari forensi secondo tariffe inderogabili nel minimo?
- E ?legittima la determinazione delle tariffe professionali sulla base di un progetto elaborato da un ordine professionale quale il Consiglio Nazionale Forense ?- E' compatibile con il diritto comunitario l'applicazione di dette tariffe anche alle prestazioni stragiudiziali, che possono essere rese anche da operatori diversi dagli avvocati?
La normativa.L'art. 57 del regio decreto legge 27 novembre 1933, n. 1578, convertito nella legge 22 gennaio 1934, n. 36, dispone: "I criteri per la determinazione degli onorari e delle indennità dovute agli avvocati ed ai procuratori in materia penale e stragiudiziale sono stabiliti ogni biennio con deliberazione del Consiglio nazionale forense. Nello stesso modo provvede il Consiglio nazionale forense per quanto concerne la determinazione degli onorari nei giudizi penali davanti alla Corte suprema di cassazione ed al Tribunale supremo militare. Le deliberazioni con le quali si stabiliscono i criteri di cui al comma precedente devono essere approvate dal Ministro per la grazia e giustizia ".L'art. 58 dispone: "I criteri di cui al precedente articolo, sono stabiliti con riferimento al valore delle controversie ed al grado dell'autorità chiamata a conoscerne, e, per i giudizi penali, anche alla durata di essi. Per ogni atto o serie di atti devono essere fissati i limiti di un massimo e di un minimo. Nelle materie stragiudiziali va tenuto conto dell'entità dell'affare".L'art. 59 recita: "La sentenza che porti condanna nelle spese deve contenerne la tassazione. A tal fine ciascun procuratore è obbligato a presentare, insieme con gli atti della causa, la nota delle spese, delle proprie competenze e dell'onorario dell'avvocato, secondo le norme del codice di procedura civile e del regolamento generale giudiziario. Qualora tale obbligo non venga adempiuto, con la sentenza si provvede alla tassazione delle spese nonché delle competenze di procuratore e dell'onorario di avvocato in base agli atti della causa. I procuratori inadempienti sono condannati con la stessa sentenza al pagamento a favore dell'erario dello Stato di una somma da lire duecento a lire cinquecento. Per quanto riguarda l'onorario di avvocato, alla nota delle spese può essere unito, all'atto della presentazione di essa ed in ogni caso non oltre dieci giorni dall'assegnazione della causa a sentenza, il parere del Consiglio dell'ordine degli avvocati e procuratori".Per l'art. 60:"La liquidazione degli onorari è fatta dall'autorità giudiziaria in base ai criteri stabiliti a termini dell'art. 57, tenuto conto della gravità e del numero delle questioni trattate. Per le cause di valore indeterminato o relative a materie non suscettibili di valutazione pecuniaria si ha riguardo alla natura e all'importanza della contestazione. Per determinare il valore della controversia si ha riguardo a ciò che ha formato oggetto di vera contestazione. L'autorità giudiziaria deve contenere la liquidazione entro i limiti del massimo e del minimo fissati a termini dell'articolo 58. Tuttavia nei casi di eccezionale importanza, in relazione alla specialità delle controversie, quando il pregio intrinseco dell'opera lo giustifichi, il Giudice può oltrepassare il limite massimo; è parimenti in sua facoltà, quando la causa risulti di facile trattazione, di attribuire l'onorario in misura inferiore al minimo. In questi casi la decisione del Giudice deve essere motivata. Le stesse norme si applicano nei giudizi arbitrali"L'art. 49 del Trattato CE dispone: "Nel quadro delle disposizioni seguenti, le restrizioni alla libera prestazione dei servizi all'interno della Comunità sono vietate nei confronti dei cittadini degli Stati membri stabiliti in un paese della Comunità che non sia quello del destinatario della prestazione. Il Consiglio, deliberando a maggioranza qualificata su proposta della Commissione, può estendere il beneficio delle disposizioni del presente capo ai prestatori di servizi, cittadini di un paese terzo e stabiliti all'interno della Comunità".Per l'art. 81 del Trattato:"Sono incompatibili con il mercato comune e vietati tutti gli accordi tra imprese, tutte le decisioni di associazioni di imprese e tutte le pratiche concordate che possano pregiudicare il commercio tra Stati membri e che abbiano per oggetto e per effetto di impedire, restringere o falsare il gioco della concorrenza all'interno del mercato comune ed in particolare quelli consistenti nel:a) fissare direttamente o indirettamente i prezzi d'acquisto o di vendita ovvero altre condizioni di transazione;b) limitare o controllare la produzione, gli sbocchi, lo sviluppo tecnico o gli investimenti;c) ripartire i mercati o le fonti di approvvigionamento;d) applicare, nei rapporti commerciali con gli altri contraenti, condizioni dissimili per prestazioniequivalenti, così da determinare per questi ultimi uno svantaggio nella concorrenza;e) subordinare la conclusione di contratti all'accettazione da parte degli altri contraenti di prestazioni supplementari, che, per loro natura o secondo gli usi commerciali, non abbiano alcun nesso con l'oggetto dei contratti stessi. Gli accordi o decisioni, vietati in virtù del presente articolo, sono nulli di pieno diritto."Per l' articolo 82:"È incompatibile con il mercato comune e vietato, nella misura in cui possa essere pregiudizievole al commercio tra Stati membri, lo sfruttamento abusivo da parte di una o più imprese di una posizione dominante sul mercato comune o su una parte sostanziale di questo.Tali pratiche abusive possono consistere in particolare:a) nell'imporre direttamente od indirettamente prezzi d'acquisto, di vendita od altre condizioni di transazione non eque;b) nel limitare la produzione, gli sbocchi o lo sviluppo tecnico, a danno dei consumatori;c) nell'applicare nei rapporti commerciali con gli altri contraenti condizioni dissimili per prestazioni equivalenti, determinando così per questi ultimi uno svantaggio per la concorrenza;d) nel subordinare la conclusione di contratti all'accettazione da parte degli altri contraenti di prestazioni supplementari, che, per loro natura o secondo gli usi commerciali, non abbiano alcun nesso con l'oggetto dei contratti stessi."
La risposta della Corte di Giustizia (sent. 26 ottobre, C 198/05)

La Corte di Giustizia, innanzi tutto, osserva che gli artt. 81 e 82 del Trattato, applicabili anche al mercato dei servizi legali, impongono agli Stati membri di non adottare provvedimenti idonei a falsare la concorrenza tra le imprese. Già, in altra occasione, la Corte ha affermato che viola il diritto comunitario lo Stato che, in qualsiasi modo, imponga o agevoli la conclusioni di accordi tra imprese in contrasto con l'art. 81 e 82 del Trattato, ovvero deleghi ad operatori privati il suo compito fondamentale di regolare l'economia mediante l'adozione di provvedimenti in grado di influire sul gioco della concorrenza tra le imprese (così ord, 17 febbraio 2005, causa C - 250/03, Mauri).
Ora, la legge italiana n. 33/1934 che, agli articoli 57 - 60, prevede la determinazione delle tariffe professionali forensi in base ad un progetto di massima redatto dal Consiglio nazionale forense, non si pone in contrasto con l'art. 81 sopra citato, in quanto detto sistema di determinazione non si traduce in una rinuncia da parte dello Stato all'esercizio di una sua prerogativa, a vantaggio dei privati. Il CNF agisce quale articolazione del potere pubblico e, in ogni caso, la tariffa per entrare in vigore necessita dell'approvazione da parte del Ministro della giustizia.
la Corte afferma che «non si può ritenere che lo Stato italiano abbia rinunciato ad esercitare il proprio potere delegando ad operatori privati la responsabilità di prendere decisioni di intervento nel settore economico, il che avrebbe portato a privare del suo carattere pubblico la normativa di cui trattasi nella causa principale».
Sulla base di queste considerazioni essa ritiene che «gli artt. 10, 81 e 82 CE non ostano all'adozione, da parte di uno Stato membro, di un provvedimento normativo che approvi, sulla base di un progetto elaborato da un ordine professionale forense quale il Consiglio Nazionale forense, una tariffa che fissi un limite minimo per gli onorari degli avvocati e a cui, in linea di principio, non sia possibile derogare né per le prestazioni riservate agli avvocati né per quelle, come le prestazioni di servizi stragiudiziali, che possono essere svolte anche da qualsiasi altro operatore economico non vincolato da tale tariffa».
Tuttavia, inderogabilità assoluta dei minimi tariffari può costituire una restrizione della libertà di prestazione dei servizi sancita dall'art. 49 del Trattato CE, che impone l'eliminazione di qualsiasi barriera alla prestazione dei servizi nell'ambito del territorio dell'Unione. Infatti, il divieto di derogare ai minimi tariffari può avere l'effetto concreto di rendere difficile l'accesso degli avvocati stranieri al mercato italiano dei servizi legali, in quanto vincolati in Italia al rispetto dei minimi tariffari; inoltre, limita la possibilità di scelta dei destinatari dell'offerta del servizio, che non possono avvalersi dell'opera di professionisti disposti ad accettare compensi inferiori a quella legali.
A giustificare il divieto in parola potrebbero essere invocati motivi di interesse pubblico, gli unici che, secondo la costante giurisprudenza comunitaria, consentono una deroga ai principi del Trattato U.E. (ex plurimis, Corte di Giustizia sent. 12 dicembre 1996, C - 3/95; idem, sent. 21 settembre 1999, C - 124/97).In proposito, ai giudici della Grande Sezione non sembra plausibile la tesi sostenuta dal Governo italiano per cui, in assenza di una norma che imponga i minimi tariffari, si avrebbe un'eccessiva competizione tra i professionisti, a scapito della qualità delle prestazioni professionali, con grave danno per gli utenti del servizio. Piuttosto, osserva la Corte, non è affatto dimostrato alcun nesso di causalità tra l'obbligatorietà dei minimi tariffari e l'elevato qualità del servizio fornito dagli avvocati. «In realtà, una relazione diretta di causa - effetto con la tutela dei clienti degli avvocati ed il buon funzionamento dell'amministrazione della giustizia varrebbe per i provvedimenti statali alternativi, come, in particolare, le norme di accesso alla professione forense, le regole disciplinari in grado di far rispettare la deontologia professionale e la disciplina in materia di responsabilità civile, grazie al mantenimento, assicurato da tali provvedimenti, di un livello elevato di qualità dei servizi fornito da tali professionisti».
Al riguardo, osservano i giudici comunitari che la tutela del consumatore e la buona amministrazione della giustizia sono obiettivi che possono rientrare tra i motivi di interesse pubblico in grado di giustificare una restrizione della libertà di prestazione dei servizi sancita dall'art. 49 del Trattato, sempre che «il provvedimento nazionale di cui si discute sia idoneo a garantire la realizzazione dell'obiettivo perseguito e non vada oltre quanto necessario per raggiungere l'obiettivo medesimo».
La Corte demanda al giudice del rinvio l'analisi necessaria al riguardo. Questi, in particolare, dovrà valutare se sussiste una relazione tra il livello degli onorari e la qualità delle prestazioni legali, tenendo conto delle peculiarità del mercato dei servizi legali italiano, caratterizzato da una massiccia presenza di avvocati, nonché dell'asimmetria informativa che configura di norma il rapporto tra avvocato e cliente - consumatore. Dovrà, altresì, verificare se gli obiettivi sopra menzionati della tutela del consumatore e della buona giustizia non possano essere utilmente realizzati con provvedimenti alternativi più efficaci, quali la fissazione di adeguate norme di organizzazione o di deontologia o di qualificazione. In conclusione, una normativa, come quella italiana «che vieti in maniera assoluta di derogare convenzionalmente agli onorari minimi determinati da una tariffa forense, per prestazioni che sono al tempo stesso di natura giudiziale e riservate agli avvocati costituisce una restrizione della libera prestazione dei servizi prevista dall'art. 49 CE.Gettato il sasso, la Corte ritira la mano nel momento in cui successivamente stabilisce però che: Spetta al giudice del rinvio verificare se tale normativa, alla luce delle sue concrete modalità di applicazione, risponda realmente agli obiettivi della tutela dei consumatori e della buona amministrazione della giustizia, che possono giustificarla, e se le restrizioni che essa impone non appaiano sproporzionate rispetto a tali obiettivi».
In definitiva, la sentenza non arriva ad una soluzione decisa ed univoca; le parole della Corte lasciano intuire che essa non condivide la scelta del legislatore italiano di imporre minimi tariffari inderogabili in senso assoluto perché contrassegnata da profili di illegittimità comunitaria, sebbene essa si mostri al riguardo molto cauta, demandando al giudice nazionale il riscontro della compatibilità comunitaria della normativa italiana.

tratto dal Altalex mese n. 1/2007 (http://www.altalexmese.it/)

E' legittima l'inderogabilità assoluta dei minimi tariffari forensi?


La sentenza della Corte di Giustizia sull'inderogabilità dei minimi tariffari forensi - E' legittima l'inderogabilità assoluta dei minimi tariffari forensi?
C. Di Franco (Approfondimento 11/7/2007)
Sull'inderogabilità dei minimi tariffari forensi

di Clorinda Di Franco
(Corte di Giustizia U.E., Sez. Grande Sezione, 5 dicembre 2006, Cause riunite C - 94/04 e C - 202/04)


E' legittima l'inderogabilità assoluta dei minimi tariffari forensi?



Il caso.
Tre proprietari di terreni confinanti, oggetto di procedura espropriativa da parte del Comune, si sono rivolti ad un avvocato per conseguire il pagamento dell'indennità per l'occupazione d'urgenza dei loro terreni, non seguita da alcun decreto espropriativo. L'avvocato ha predisposto tre atti di citazione contro il Comune, iscrivendo a ruolo tre procedimenti distinti; per detta attività ha ricevuto la somma di lire 1.850.000, a titolo di anticipo per la gestione della causa. I proprietari hanno concluso una transazione con il Comune, componendo la lite senza l'intervento del legale. Questi ha emesso una parcella di lire 4.125.000, a copertura del proprio onorario, calcolato secondo la tariffa forense vigente, fissata con delibera del Consiglio nazionale forense in base a quanto previsto dalla legge 22 gennaio 1934, n. 36. Di fronte al rifiuto dei tre clienti di pagare la somma, il legale si rivolge al Tribunale di Torino, con esito sfavorevole. Quindi, adisce la Corte di appello, chiedendo in applicazione della tariffa forense il pagamento della somma contestata.La Corte, con decisione del 4 febbraio 2004, sospende il processo proponendo domanda di interpretazione pregiudiziale alla Corte di Giustizia, al fine di verificare la conformità comunitaria della legge 36/1934 sull'inderogabilità dei minimi tariffari forensi.Una controversia analoga, tra un cliente ed un avvocato, pende dinnanzi al Tribunale di Roma, investito dell'opposizione al decreto ingiuntivo ottenuto dal legale per il pagamento di un compenso, calcolato secondo le tariffe forensi vigenti, per delle prestazioni stragiudiziali eseguite in loro favore in materia di diritto di autore. Il cliente sostiene il carattere sproporzionato dell'onorario preteso rispetto all'attività svolta, che, data la natura stragiudiziale, non richiede necessariamente la qualifica legale.Il Tribunale di Roma, con decisione del 7 aprile 2004, solleva questione pregiudiziale dinnanzi alla Corte di Giustizia, in modo da verificare se l'applicazione della tariffa forense anche all'attività stragiudiziale sia compatibile con il diritto comunitario.La Corte di Giustizia, dispone la riunione per connessione dei due procedimenti e il 5 dicembre 2006 deposita la sentenza con cui risolve la questione interpretativa.
Sintesi della questione.

La Corte di Giustizia è chiamata a rispondere ai seguenti quesiti:

- I principi comunitari della libera prestazione dei servizi (art. 49 Trattato) e della concorrenza (artt. 81 e 82 trattato) si applicano all'offerta dei servizi legali?
- Possono le parti determinare liberamente il compenso per la prestazione professionale? Un eventuale accordo in tale senso è valido?
- E' legittima una normativa, come quella italiana, che prevede il calcolo degli onorari forensi secondo tariffe inderogabili nel minimo?
- E ?legittima la determinazione delle tariffe professionali sulla base di un progetto elaborato da un ordine professionale quale il Consiglio Nazionale Forense ?- E' compatibile con il diritto comunitario l'applicazione di dette tariffe anche alle prestazioni stragiudiziali, che possono essere rese anche da operatori diversi dagli avvocati?
La normativa.L'art. 57 del regio decreto legge 27 novembre 1933, n. 1578, convertito nella legge 22 gennaio 1934, n. 36, dispone: "I criteri per la determinazione degli onorari e delle indennità dovute agli avvocati ed ai procuratori in materia penale e stragiudiziale sono stabiliti ogni biennio con deliberazione del Consiglio nazionale forense. Nello stesso modo provvede il Consiglio nazionale forense per quanto concerne la determinazione degli onorari nei giudizi penali davanti alla Corte suprema di cassazione ed al Tribunale supremo militare. Le deliberazioni con le quali si stabiliscono i criteri di cui al comma precedente devono essere approvate dal Ministro per la grazia e giustizia ".L'art. 58 dispone: "I criteri di cui al precedente articolo, sono stabiliti con riferimento al valore delle controversie ed al grado dell'autorità chiamata a conoscerne, e, per i giudizi penali, anche alla durata di essi. Per ogni atto o serie di atti devono essere fissati i limiti di un massimo e di un minimo. Nelle materie stragiudiziali va tenuto conto dell'entità dell'affare".L'art. 59 recita: "La sentenza che porti condanna nelle spese deve contenerne la tassazione. A tal fine ciascun procuratore è obbligato a presentare, insieme con gli atti della causa, la nota delle spese, delle proprie competenze e dell'onorario dell'avvocato, secondo le norme del codice di procedura civile e del regolamento generale giudiziario. Qualora tale obbligo non venga adempiuto, con la sentenza si provvede alla tassazione delle spese nonché delle competenze di procuratore e dell'onorario di avvocato in base agli atti della causa. I procuratori inadempienti sono condannati con la stessa sentenza al pagamento a favore dell'erario dello Stato di una somma da lire duecento a lire cinquecento. Per quanto riguarda l'onorario di avvocato, alla nota delle spese può essere unito, all'atto della presentazione di essa ed in ogni caso non oltre dieci giorni dall'assegnazione della causa a sentenza, il parere del Consiglio dell'ordine degli avvocati e procuratori".Per l'art. 60:"La liquidazione degli onorari è fatta dall'autorità giudiziaria in base ai criteri stabiliti a termini dell'art. 57, tenuto conto della gravità e del numero delle questioni trattate. Per le cause di valore indeterminato o relative a materie non suscettibili di valutazione pecuniaria si ha riguardo alla natura e all'importanza della contestazione. Per determinare il valore della controversia si ha riguardo a ciò che ha formato oggetto di vera contestazione. L'autorità giudiziaria deve contenere la liquidazione entro i limiti del massimo e del minimo fissati a termini dell'articolo 58. Tuttavia nei casi di eccezionale importanza, in relazione alla specialità delle controversie, quando il pregio intrinseco dell'opera lo giustifichi, il Giudice può oltrepassare il limite massimo; è parimenti in sua facoltà, quando la causa risulti di facile trattazione, di attribuire l'onorario in misura inferiore al minimo. In questi casi la decisione del Giudice deve essere motivata. Le stesse norme si applicano nei giudizi arbitrali"L'art. 49 del Trattato CE dispone: "Nel quadro delle disposizioni seguenti, le restrizioni alla libera prestazione dei servizi all'interno della Comunità sono vietate nei confronti dei cittadini degli Stati membri stabiliti in un paese della Comunità che non sia quello del destinatario della prestazione. Il Consiglio, deliberando a maggioranza qualificata su proposta della Commissione, può estendere il beneficio delle disposizioni del presente capo ai prestatori di servizi, cittadini di un paese terzo e stabiliti all'interno della Comunità".Per l'art. 81 del Trattato:"Sono incompatibili con il mercato comune e vietati tutti gli accordi tra imprese, tutte le decisioni di associazioni di imprese e tutte le pratiche concordate che possano pregiudicare il commercio tra Stati membri e che abbiano per oggetto e per effetto di impedire, restringere o falsare il gioco della concorrenza all'interno del mercato comune ed in particolare quelli consistenti nel:a) fissare direttamente o indirettamente i prezzi d'acquisto o di vendita ovvero altre condizioni di transazione;b) limitare o controllare la produzione, gli sbocchi, lo sviluppo tecnico o gli investimenti;c) ripartire i mercati o le fonti di approvvigionamento;d) applicare, nei rapporti commerciali con gli altri contraenti, condizioni dissimili per prestazioniequivalenti, così da determinare per questi ultimi uno svantaggio nella concorrenza;e) subordinare la conclusione di contratti all'accettazione da parte degli altri contraenti di prestazioni supplementari, che, per loro natura o secondo gli usi commerciali, non abbiano alcun nesso con l'oggetto dei contratti stessi. Gli accordi o decisioni, vietati in virtù del presente articolo, sono nulli di pieno diritto."Per l' articolo 82:"È incompatibile con il mercato comune e vietato, nella misura in cui possa essere pregiudizievole al commercio tra Stati membri, lo sfruttamento abusivo da parte di una o più imprese di una posizione dominante sul mercato comune o su una parte sostanziale di questo.Tali pratiche abusive possono consistere in particolare:a) nell'imporre direttamente od indirettamente prezzi d'acquisto, di vendita od altre condizioni di transazione non eque;b) nel limitare la produzione, gli sbocchi o lo sviluppo tecnico, a danno dei consumatori;c) nell'applicare nei rapporti commerciali con gli altri contraenti condizioni dissimili per prestazioni equivalenti, determinando così per questi ultimi uno svantaggio per la concorrenza;d) nel subordinare la conclusione di contratti all'accettazione da parte degli altri contraenti di prestazioni supplementari, che, per loro natura o secondo gli usi commerciali, non abbiano alcun nesso con l'oggetto dei contratti stessi."
La risposta della Corte di Giustizia (sent. 26 ottobre, C 198/05)

La Corte di Giustizia, innanzi tutto, osserva che gli artt. 81 e 82 del Trattato, applicabili anche al mercato dei servizi legali, impongono agli Stati membri di non adottare provvedimenti idonei a falsare la concorrenza tra le imprese. Già, in altra occasione, la Corte ha affermato che viola il diritto comunitario lo Stato che, in qualsiasi modo, imponga o agevoli la conclusioni di accordi tra imprese in contrasto con l'art. 81 e 82 del Trattato, ovvero deleghi ad operatori privati il suo compito fondamentale di regolare l'economia mediante l'adozione di provvedimenti in grado di influire sul gioco della concorrenza tra le imprese (così ord, 17 febbraio 2005, causa C - 250/03, Mauri).
Ora, la legge italiana n. 33/1934 che, agli articoli 57 - 60, prevede la determinazione delle tariffe professionali forensi in base ad un progetto di massima redatto dal Consiglio nazionale forense, non si pone in contrasto con l'art. 81 sopra citato, in quanto detto sistema di determinazione non si traduce in una rinuncia da parte dello Stato all'esercizio di una sua prerogativa, a vantaggio dei privati. Il CNF agisce quale articolazione del potere pubblico e, in ogni caso, la tariffa per entrare in vigore necessita dell'approvazione da parte del Ministro della giustizia.
la Corte afferma che «non si può ritenere che lo Stato italiano abbia rinunciato ad esercitare il proprio potere delegando ad operatori privati la responsabilità di prendere decisioni di intervento nel settore economico, il che avrebbe portato a privare del suo carattere pubblico la normativa di cui trattasi nella causa principale».
Sulla base di queste considerazioni essa ritiene che «gli artt. 10, 81 e 82 CE non ostano all'adozione, da parte di uno Stato membro, di un provvedimento normativo che approvi, sulla base di un progetto elaborato da un ordine professionale forense quale il Consiglio Nazionale forense, una tariffa che fissi un limite minimo per gli onorari degli avvocati e a cui, in linea di principio, non sia possibile derogare né per le prestazioni riservate agli avvocati né per quelle, come le prestazioni di servizi stragiudiziali, che possono essere svolte anche da qualsiasi altro operatore economico non vincolato da tale tariffa».
Tuttavia, inderogabilità assoluta dei minimi tariffari può costituire una restrizione della libertà di prestazione dei servizi sancita dall'art. 49 del Trattato CE, che impone l'eliminazione di qualsiasi barriera alla prestazione dei servizi nell'ambito del territorio dell'Unione. Infatti, il divieto di derogare ai minimi tariffari può avere l'effetto concreto di rendere difficile l'accesso degli avvocati stranieri al mercato italiano dei servizi legali, in quanto vincolati in Italia al rispetto dei minimi tariffari; inoltre, limita la possibilità di scelta dei destinatari dell'offerta del servizio, che non possono avvalersi dell'opera di professionisti disposti ad accettare compensi inferiori a quella legali.
A giustificare il divieto in parola potrebbero essere invocati motivi di interesse pubblico, gli unici che, secondo la costante giurisprudenza comunitaria, consentono una deroga ai principi del Trattato U.E. (ex plurimis, Corte di Giustizia sent. 12 dicembre 1996, C - 3/95; idem, sent. 21 settembre 1999, C - 124/97).In proposito, ai giudici della Grande Sezione non sembra plausibile la tesi sostenuta dal Governo italiano per cui, in assenza di una norma che imponga i minimi tariffari, si avrebbe un'eccessiva competizione tra i professionisti, a scapito della qualità delle prestazioni professionali, con grave danno per gli utenti del servizio. Piuttosto, osserva la Corte, non è affatto dimostrato alcun nesso di causalità tra l'obbligatorietà dei minimi tariffari e l'elevato qualità del servizio fornito dagli avvocati. «In realtà, una relazione diretta di causa - effetto con la tutela dei clienti degli avvocati ed il buon funzionamento dell'amministrazione della giustizia varrebbe per i provvedimenti statali alternativi, come, in particolare, le norme di accesso alla professione forense, le regole disciplinari in grado di far rispettare la deontologia professionale e la disciplina in materia di responsabilità civile, grazie al mantenimento, assicurato da tali provvedimenti, di un livello elevato di qualità dei servizi fornito da tali professionisti».
Al riguardo, osservano i giudici comunitari che la tutela del consumatore e la buona amministrazione della giustizia sono obiettivi che possono rientrare tra i motivi di interesse pubblico in grado di giustificare una restrizione della libertà di prestazione dei servizi sancita dall'art. 49 del Trattato, sempre che «il provvedimento nazionale di cui si discute sia idoneo a garantire la realizzazione dell'obiettivo perseguito e non vada oltre quanto necessario per raggiungere l'obiettivo medesimo».
La Corte demanda al giudice del rinvio l'analisi necessaria al riguardo. Questi, in particolare, dovrà valutare se sussiste una relazione tra il livello degli onorari e la qualità delle prestazioni legali, tenendo conto delle peculiarità del mercato dei servizi legali italiano, caratterizzato da una massiccia presenza di avvocati, nonché dell'asimmetria informativa che configura di norma il rapporto tra avvocato e cliente - consumatore. Dovrà, altresì, verificare se gli obiettivi sopra menzionati della tutela del consumatore e della buona giustizia non possano essere utilmente realizzati con provvedimenti alternativi più efficaci, quali la fissazione di adeguate norme di organizzazione o di deontologia o di qualificazione. In conclusione, una normativa, come quella italiana «che vieti in maniera assoluta di derogare convenzionalmente agli onorari minimi determinati da una tariffa forense, per prestazioni che sono al tempo stesso di natura giudiziale e riservate agli avvocati costituisce una restrizione della libera prestazione dei servizi prevista dall'art. 49 CE.Gettato il sasso, la Corte ritira la mano nel momento in cui successivamente stabilisce però che: Spetta al giudice del rinvio verificare se tale normativa, alla luce delle sue concrete modalità di applicazione, risponda realmente agli obiettivi della tutela dei consumatori e della buona amministrazione della giustizia, che possono giustificarla, e se le restrizioni che essa impone non appaiano sproporzionate rispetto a tali obiettivi».
In definitiva, la sentenza non arriva ad una soluzione decisa ed univoca; le parole della Corte lasciano intuire che essa non condivide la scelta del legislatore italiano di imporre minimi tariffari inderogabili in senso assoluto perché contrassegnata da profili di illegittimità comunitaria, sebbene essa si mostri al riguardo molto cauta, demandando al giudice nazionale il riscontro della compatibilità comunitaria della normativa italiana.

tratto dal Altalex mese n. 1/2007 (http://www.altalexmese.it/)

martedì 29 luglio 2008

Opposizione a sanzione amministrativa e obbligo di comunicazione ex art. 126 bis c.d.s.


Sanzione amministrativa, procedimento di opposizione, obbligo di comunicazione
Giudice di Pace Bari, sentenza 08.04.2008 (Alfredo Matranga)

Sanzione amministrativa: solo con la definizione del procedimento di opposizione alla contestazione principale scaturisce, in caso di rigetto, l’obbligo di eseguire la comunicazione prevista dall’art. 126/bis n. 2 C.d.S..
E’ questo il principio con cui il G.d.P. di Bari ha accolto il ricorso proposto da un automobilista sanzionato per non aver comunicato i dati del conducente del veicolo, ai sensi dell’art. 126/bis n. 2 C.d.S..
Per il Giudice adito, in virtù di quanto stabilito dall’art. 126/bis C.d.S., la contestazione si intende definita quando sia avvenuto il pagamento della sanzione amministrativa pecuniaria o siano conclusi i procedimenti dei ricorsi amministrativi e giurisdizionali ammessi ovvero siano decorsi i termini per la proposizione dei medesimi.
In particolare, per il G.d.P. di Bari, ciò comporta che solo con la definizione del procedimento di opposizione alla contestazione scaturisce, in caso di rigetto, l’obbligo di eseguire la comunicazione prevista dall’art. 126/bis n. 2 C.d.S..
Nel caso di specie, viceversa, il ricorrente aveva fornito la prova che avverso il verbale elevato dalla Polstrada di Bari era stato proposto ricorso e che il Giudice con provvedimento emesso il 28/3/07 aveva sospeso l’efficacia esecutiva del provvedimento impugnato. Peraltro, nelle more del giudizio, è stata anche fornita prova che il verbale di contestazione impugnato era stato posto nel nulla dal Giudice di Pace di Bisceglie con sentenza n. 652/07 con cui veniva accolta l’opposizione.
Pertanto, ha concluso il Giudice, essendo stato posto nel nulla il verbale presupposto, anche il verbale oggetto della odierna impugnazione va posta nel nulla; verbale che, tra l’altro, doveva in ogni caso essere considerato illegittimo essendo stato violato il disposto di cui all’art. 126/bis n. 2 C.d.S. che fa decorrere il termine di trenta giorni per la comunicazione solo dal momento della definizione dei procedimenti dei ricorsi amministrativi e giurisdizionali proposti avverso la contestazione.
(Altalex, 25 luglio 2008. Nota di Alfredo Matranga)

Giudice di Pace
Bari
Sentenza 8 aprile 2008
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
UFFICIO DEL GIUDICE DI PACE DI BARI

Il Giudice di Pace, avv. Giuseppe Salerno,
ha emesso la seguente
SENTENZA
nella causa civile iscritta al n. 12251/2007 del ruolo generale affari contenziosi, in data 22/10/07 e spedita alla pubblica udienza di discussione del 08/4/2008 avente come oggetto: opposizione a sanzione amministrativa e vertente
tra
…….., elettivamente domiciliato presso lo studio dell’avv. Roberto Casaluci che lo rappresenta e difende giusta procura a margine al ricorso
ricorrente
Contro
MINISTERO DEGLI INTERNI opposto
POLSTRADA BARI opposto
Conclusioni: le parti presenti concludevano come da verbale.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con ricorso depositato il 22/10/07 il sig. ……….. proponeva opposizione avverso il verbale di contestazione n. 1260001005580 elevato in data 12/7/07 dalla Polizia Stradale di Bari con cui veniva contestata la violazione di cui all’art. 126/bis, 2° comma, e 180/8 C.d.S. per non aver ottemperato all’invito di fornire le informazioni richieste.
Eccepiva il ricorrente la nullità del verbale atteso che avverso il verbale n. ATX000 1012943, dal quale derivava l’obbligo di comunicare le generalità del conducente, era stata proposta opposizione innanzi al Giudice di Pace di Bisceglie; in ogni caso assumeva il ricorrente aveva provveduto con raccomandata del 13/3/07 ad adempiere all’obbligo di cui all’art. 126/bis.
La Polizia Stradale di Bari provvedeva ad inviare la documentazione relativa all’accertamento e alla contestazione della violazione, non opponendosi alla archiviazione del verbale in quanto a seguito della opposizione del verbale presupposto il Giudice di Pace di Bisceglie aveva sospeso la efficacia.
All’udienza del 14/3/2008 il procuratore del ricorrente produceva copia della sentenza del Giudice di Pace di Bisceglie con cui era stata accolta l’opposizione proposta avverso il verbale n. ATX000 1012943 elevato dalla Polstrada di Bari.
All‘udienza dell’8/4/08 sulle conclusioni delle partì presenti la causa è stata decisa come da separato dispositivo letto in udienza.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Preliminarmente va dichiarata la contumacia del Ministero degli Interni.
Il ricorso è fondato e merita accoglimento.
In virtù di quanto stabilito dall’art. 126/bis C.d.S. la contestazione si intende definita quando sia avvenuto il pagamento della sanzione amministrativa pecuniaria o siano conclusi i procedimenti dei ricorsi amministrativi e giurisdizionali ammessi ovvero siano decorsi i termini per la proposizione dei medesimi.
Ciò comporta che solo con la definizione del procedimento di opposizione alla contestazione scaturisce, in caso di rigetto, l’obbligo di eseguire la comunicazione prevista dall’art. 2 del citato articolo.
Nel caso di specie il ricorrente ha fornito la prova che avverso il verbale ATX0001012943 elevato dalla Polstrada di Bari in data 9/12/2006 era stato proposto ricorso e che il Giudice con provvedimento emesso il 28/3/07 aveva sospeso l’efficacia esecutiva del provvedimento impugnato.
Nelle more del giudizio, inoltre è stata fornita prova che il verbale di contestazione impugnato era stato posto nel nulla dal Giudice di Pace di Bisceglie con sentenza n. 652/07 con cui veniva accolta l’opposizione.
Pertanto essendo stato posto nel nulla il verbale presupposto, anche il verbale oggetto della odierna impugnazione va posta nel nulla.
Tra l’altro tale verbale doveva in ogni caso essere considerato illegittimo essendo stato violato il disposto di cui all’art. 126/bis n. 2 che fa decorrere il termine di trenta giorni per la comunicazione solo dal momento della definizione dei procedimenti dei ricorsi amministrativi e giurisdizionali proposti avverso la contestazione.
Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.
- accoglie il ricorso e per l’effetto pone nel nulla il verbale di contestazione n. 1260001005580 elevato dalla Polizia Stradale di Bari in data 12/7/2007;
- condanna il Ministero degli Interni, nella persona del Ministro pro tempore, al pagamento delle spese di giudizio che liquida in complessivi € 250,00 oltre IVA, CNAP e rimborso spese generali.
Bari, lì 8/4/2008.

Opposizione a sanzione amministrativa e obbligo di comunicazione ex art. 126 bis c.d.s.


Sanzione amministrativa, procedimento di opposizione, obbligo di comunicazione
Giudice di Pace Bari, sentenza 08.04.2008 (Alfredo Matranga)

Sanzione amministrativa: solo con la definizione del procedimento di opposizione alla contestazione principale scaturisce, in caso di rigetto, l’obbligo di eseguire la comunicazione prevista dall’art. 126/bis n. 2 C.d.S..
E’ questo il principio con cui il G.d.P. di Bari ha accolto il ricorso proposto da un automobilista sanzionato per non aver comunicato i dati del conducente del veicolo, ai sensi dell’art. 126/bis n. 2 C.d.S..
Per il Giudice adito, in virtù di quanto stabilito dall’art. 126/bis C.d.S., la contestazione si intende definita quando sia avvenuto il pagamento della sanzione amministrativa pecuniaria o siano conclusi i procedimenti dei ricorsi amministrativi e giurisdizionali ammessi ovvero siano decorsi i termini per la proposizione dei medesimi.
In particolare, per il G.d.P. di Bari, ciò comporta che solo con la definizione del procedimento di opposizione alla contestazione scaturisce, in caso di rigetto, l’obbligo di eseguire la comunicazione prevista dall’art. 126/bis n. 2 C.d.S..
Nel caso di specie, viceversa, il ricorrente aveva fornito la prova che avverso il verbale elevato dalla Polstrada di Bari era stato proposto ricorso e che il Giudice con provvedimento emesso il 28/3/07 aveva sospeso l’efficacia esecutiva del provvedimento impugnato. Peraltro, nelle more del giudizio, è stata anche fornita prova che il verbale di contestazione impugnato era stato posto nel nulla dal Giudice di Pace di Bisceglie con sentenza n. 652/07 con cui veniva accolta l’opposizione.
Pertanto, ha concluso il Giudice, essendo stato posto nel nulla il verbale presupposto, anche il verbale oggetto della odierna impugnazione va posta nel nulla; verbale che, tra l’altro, doveva in ogni caso essere considerato illegittimo essendo stato violato il disposto di cui all’art. 126/bis n. 2 C.d.S. che fa decorrere il termine di trenta giorni per la comunicazione solo dal momento della definizione dei procedimenti dei ricorsi amministrativi e giurisdizionali proposti avverso la contestazione.
(Altalex, 25 luglio 2008. Nota di Alfredo Matranga)

Giudice di Pace
Bari
Sentenza 8 aprile 2008
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
UFFICIO DEL GIUDICE DI PACE DI BARI

Il Giudice di Pace, avv. Giuseppe Salerno,
ha emesso la seguente
SENTENZA
nella causa civile iscritta al n. 12251/2007 del ruolo generale affari contenziosi, in data 22/10/07 e spedita alla pubblica udienza di discussione del 08/4/2008 avente come oggetto: opposizione a sanzione amministrativa e vertente
tra
…….., elettivamente domiciliato presso lo studio dell’avv. Roberto Casaluci che lo rappresenta e difende giusta procura a margine al ricorso
ricorrente
Contro
MINISTERO DEGLI INTERNI opposto
POLSTRADA BARI opposto
Conclusioni: le parti presenti concludevano come da verbale.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con ricorso depositato il 22/10/07 il sig. ……….. proponeva opposizione avverso il verbale di contestazione n. 1260001005580 elevato in data 12/7/07 dalla Polizia Stradale di Bari con cui veniva contestata la violazione di cui all’art. 126/bis, 2° comma, e 180/8 C.d.S. per non aver ottemperato all’invito di fornire le informazioni richieste.
Eccepiva il ricorrente la nullità del verbale atteso che avverso il verbale n. ATX000 1012943, dal quale derivava l’obbligo di comunicare le generalità del conducente, era stata proposta opposizione innanzi al Giudice di Pace di Bisceglie; in ogni caso assumeva il ricorrente aveva provveduto con raccomandata del 13/3/07 ad adempiere all’obbligo di cui all’art. 126/bis.
La Polizia Stradale di Bari provvedeva ad inviare la documentazione relativa all’accertamento e alla contestazione della violazione, non opponendosi alla archiviazione del verbale in quanto a seguito della opposizione del verbale presupposto il Giudice di Pace di Bisceglie aveva sospeso la efficacia.
All’udienza del 14/3/2008 il procuratore del ricorrente produceva copia della sentenza del Giudice di Pace di Bisceglie con cui era stata accolta l’opposizione proposta avverso il verbale n. ATX000 1012943 elevato dalla Polstrada di Bari.
All‘udienza dell’8/4/08 sulle conclusioni delle partì presenti la causa è stata decisa come da separato dispositivo letto in udienza.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Preliminarmente va dichiarata la contumacia del Ministero degli Interni.
Il ricorso è fondato e merita accoglimento.
In virtù di quanto stabilito dall’art. 126/bis C.d.S. la contestazione si intende definita quando sia avvenuto il pagamento della sanzione amministrativa pecuniaria o siano conclusi i procedimenti dei ricorsi amministrativi e giurisdizionali ammessi ovvero siano decorsi i termini per la proposizione dei medesimi.
Ciò comporta che solo con la definizione del procedimento di opposizione alla contestazione scaturisce, in caso di rigetto, l’obbligo di eseguire la comunicazione prevista dall’art. 2 del citato articolo.
Nel caso di specie il ricorrente ha fornito la prova che avverso il verbale ATX0001012943 elevato dalla Polstrada di Bari in data 9/12/2006 era stato proposto ricorso e che il Giudice con provvedimento emesso il 28/3/07 aveva sospeso l’efficacia esecutiva del provvedimento impugnato.
Nelle more del giudizio, inoltre è stata fornita prova che il verbale di contestazione impugnato era stato posto nel nulla dal Giudice di Pace di Bisceglie con sentenza n. 652/07 con cui veniva accolta l’opposizione.
Pertanto essendo stato posto nel nulla il verbale presupposto, anche il verbale oggetto della odierna impugnazione va posta nel nulla.
Tra l’altro tale verbale doveva in ogni caso essere considerato illegittimo essendo stato violato il disposto di cui all’art. 126/bis n. 2 che fa decorrere il termine di trenta giorni per la comunicazione solo dal momento della definizione dei procedimenti dei ricorsi amministrativi e giurisdizionali proposti avverso la contestazione.
Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.
- accoglie il ricorso e per l’effetto pone nel nulla il verbale di contestazione n. 1260001005580 elevato dalla Polizia Stradale di Bari in data 12/7/2007;
- condanna il Ministero degli Interni, nella persona del Ministro pro tempore, al pagamento delle spese di giudizio che liquida in complessivi € 250,00 oltre IVA, CNAP e rimborso spese generali.
Bari, lì 8/4/2008.

martedì 22 luglio 2008

La mediazione e le Controversie transfrontaliere nei Paesi U.E.

Controversie trasfrontaliere: le nuove norme per promuovere la mediazione
Direttiva Europea 21.05.2008 n° 2008/52/CE

Gli Stati membri devono assicurare che le parti, o una di esse con l’esplicito consenso delle altre, abbiano la possibilità di chiedere che il contenuto di un accordo scritto risultante da una mediazione sia reso esecutivo.
E' quanto prevede la Direttiva Europea 2008/52/CE del 21 maggio 2008 che ha l'obiettivo di facilitare l’accesso alla risoluzione alternativa delle controversie e di promuovere la composizione amichevole delle medesime incoraggiando il ricorso alla mediazione e garantendo un’equilibrata relazione tra mediazione e procedimento giudiziario.
Gli stati membri sono quindi vincolati a dare valore esecutivo alla conciciazione conclusa tra le parti salvo il caso in cui il contenuto dell’accordo sia contrario alla legge dello Stato membro in cui viene presentata la richiesta o quando la legge dello Stato membro non ne preveda l’esecutività.
(Altalex, 17 luglio 2008)

Direttiva 2008/52/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 21 maggio 2008 relativa a determinati aspetti della mediazione in materia civile e commerciale
IL PARLAMENTO EUROPEO E IL CONSIGLIO DELL’UNIONE EUROPEA,
visto il trattato che istituisce la Comunità europea, in particolare l’articolo 61, lettera c), e l’articolo 67, paragrafo 5, secondo trattino,
vista la proposta della Commissione,
visto il parere del Comitato economico e sociale europeo,
deliberando secondo la procedura di cui all’articolo 251 del trattato,
considerando quanto segue:
(1) La Comunità si è prefissa l’obiettivo di mantenere e sviluppare uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia nel quale sia garantita la libera circolazione delle persone. A tal fine, la Comunità deve adottare, tra l’altro, le misure nel settore della cooperazione giudiziaria in materia civile necessarie al corretto funzionamento del mercato interno.
(2) Il principio dell’accesso alla giustizia è fondamentale e, al fine di agevolare un miglior accesso alla giustizia, il Consiglio europeo nella riunione di Tampere del 15 e 16 ottobre 1999 ha invitato gli Stati membri ad istituire procedure extragiudiziali e alternative.
(3) Nel maggio 2000 il Consiglio ha adottato conclusioni sui metodi alternativi di risoluzione delle controversie in materia civile e commerciale, sancendo che l’istituzione di principi fondamentali in questo settore è un passo essenziale verso l’appropriato sviluppo e l’operatività dei procedimenti stragiudiziali per la composizione delle controversie in materia civile e commerciale così come per semplificare e migliorare l’accesso alla giustizia.
(4) Nell’aprile del 2002 la Commissione ha presentato un Libro verde relativo ai modi alternativi di risoluzione delle controversie in materia civile e commerciale, prendendo in esame la situazione attuale circa i metodi alternativi di risoluzione delle controversie nell’Unione europea e intraprendendo consultazioni ad ampio raggio con gli Stati membri e le parti interessate sulle possibili misure per promuovere l’utilizzo della mediazione.
(5) L’obiettivo di garantire un migliore accesso alla giustizia, come parte della politica dell’Unione europea di istituire uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia, dovrebbe comprendere l’accesso ai metodi giudiziali ed extragiudiziali di risoluzione delle controversie. La presente direttiva dovrebbe contribuire al corretto funzionamento del mercato interno, in particolare per quanto concerne la disponibilità dei servizi di mediazione.
(6) La mediazione può fornire una risoluzione extragiudiziale conveniente e rapida delle controversie in materia civile e commerciale attraverso procedure concepite in base alle esigenze delle parti. Gli accordi risultanti dalla mediazione hanno maggiori probabilità di essere rispettati volontariamente e preservano più facilmente una relazione amichevole e sostenibile tra le parti. Tali benefici diventano anche più evidenti nelle situazioni che mostrano elementi di portata transfrontaliera.
(7) Al fine di promuovere ulteriormente l’utilizzo della mediazione e per garantire che le parti che vi ricorrono possano fare affidamento su un contesto giuridico certo è necessario introdurre un quadro normativo che affronti, in particolare, gli elementi chiave della procedura civile.
(8) Le disposizioni della presente direttiva dovrebbero applicarsi soltanto alla mediazione nelle controversie transfrontaliere, ma nulla dovrebbe vietare agli Stati membri di applicare tali disposizioni anche ai procedimenti di mediazione interni.
(9) La presente direttiva non dovrebbe minimamente impedire l’utilizzazione di tecnologie moderne di comunicazione nei procedimenti di mediazione.
(10) La presente direttiva dovrebbe applicarsi ai procedimenti in cui due o più parti di una controversia transfrontaliera tentino esse stesse di raggiungere volontariamente una composizione amichevole della loro controversia con l’assistenza di un mediatore. Essa dovrebbe applicarsi in materia civile e commerciale, ma non ai diritti e agli obblighi su cui le parti non hanno la facoltà di decidere da sole in base alla pertinente legge applicabile. Tali diritti e obblighi sono particolarmente frequenti in materia di diritto di famiglia e del lavoro.
(11) La presente direttiva non dovrebbe applicarsi alle trattative precontrattuali o ai procedimenti di natura arbitrale quali talune forme di conciliazione dinanzi ad un organo giurisdizionale, i reclami dei consumatori, l’arbitrato e la valutazione di periti o i procedimenti gestiti da persone od organismi che emettono una raccomandazione formale, sia essa legalmente vincolante o meno, per la risoluzione della controversia.
(12) La presente direttiva dovrebbe applicarsi ai casi in cui un organo giurisdizionale deferisce le parti a una mediazione o in cui il diritto nazionale prescrive la mediazione. La presente direttiva dovrebbe inoltre applicarsi, per quanto un giudice possa agire come Mediatore ai sensi della legislazione nazionale, alla mediazione condotta da un giudice che non sia responsabile di un procedimento giudiziario relativo alla questione o alle questioni oggetto della controversia. Tuttavia, la presente direttiva non dovrebbe estendersi ai tentativi dell’organo giurisdizionale o del giudice chiamato a risolvere la controversia nel contesto del procedimento giudiziario concernente tale controversia, ovvero ai casi in cui l’organo giurisdizionale o il giudice adito richiedano l’assistenza o la consulenza di una persona competente.
(13) La mediazione di cui alla presente direttiva dovrebbe essere un procedimento di volontaria giurisdizione nel senso che le parti gestiscono esse stesse il procedimento e possono organizzarlo come desiderano e porvi fine in qualsiasi momento. Tuttavia, in virtù del diritto nazionale, l’organo giurisdizionale dovrebbe avere la possibilità di fissare un termine al processo di mediazione. Inoltre, l’organo giurisdizionale dovrebbe, se del caso, poter richiamare l’attenzione delle parti sulla possibilità di mediazione.
(14) La presente direttiva dovrebbe inoltre fare salva la legislazione nazionale che rende il ricorso alla mediazione obbligatorio oppure soggetto ad incentivi o sanzioni, purché tale legislazione non impedisca alle parti di esercitare il loro diritto di accesso al sistema giudiziario. Del pari, la presente direttiva non dovrebbe pregiudicare gli attuali sistemi di mediazione autoregolatori nella misura in cui essi trattano aspetti non coperti dalla presente direttiva.
(15) Ai fini della certezza del diritto, la presente direttiva dovrebbe indicare la data pertinente per determinare se una controversia che le parti tentano di risolvere con la mediazione sia una controversia transfrontaliera o meno. In mancanza di un accordo scritto, si dovrebbe ritenere che le parti concordino di ricorrere alla mediazione nel momento in cui intraprendono un’azione specifica per avviare il procedimento di mediazione.
(16) Al fine di garantire la fiducia reciproca necessaria in relazione alla riservatezza, all’effetto sui termini di decadenza e prescrizione nonché al riconoscimento e all’esecuzione degli accordi risultanti dalla mediazione, gli Stati membri dovrebbero incoraggiare, in qualsiasi modo essi ritengano appropriato, la formazione dei mediatori e l’introduzione di efficaci meccanismi di controllo della qualità in merito alla fornitura dei servizi di mediazione.
(17) Gli Stati membri dovrebbero definire tali meccanismi, che possono includere il ricorso a soluzioni basate sul mercato, e non dovrebbero essere tenuti a fornire alcun finanziamento al riguardo. I meccanismi dovrebbero essere volti a preservare la flessibilità del procedimento di mediazione e l’autonomia delle parti e a garantire che la mediazione sia condotta in un modo efficace, imparziale e competente. I mediatori dovrebbero essere a conoscenza dell’esistenza del codice europeo di condotta dei mediatori, che dovrebbe anche essere disponibile su Internet per il pubblico.
(18) Nell’ambito della protezione dei consumatori, la Commissione ha adottato una raccomandazione che stabilisce i criteri minimi di qualità che gli organi extragiudiziali che partecipano alla risoluzione consensuale delle controversie in materia di consumo dovrebbero offrire agli utenti. Qualunque mediatore o organizzazione che rientri nell’ambito di applicazione di tale raccomandazione dovrebbe essere incoraggiato a rispettare i principi in essa contenuti. Allo scopo di agevolare la diffusione delle informazioni relative a tali organi, la Commissione dovrebbe predisporre una banca dati di modelli extragiudiziali di composizione delle controversie che secondo gli Stati membri rispettano i principi di tale raccomandazione.
(19) La mediazione non dovrebbe essere ritenuta un’alternativa deteriore al procedimento giudiziario nel senso che il rispetto degli accordi derivanti dalla mediazione dipenda dalla buona volontà delle parti. Gli Stati membri dovrebbero pertanto garantire che le parti di un accordo scritto risultante dalla mediazione possano chiedere che il contenuto dell’accordo sia reso esecutivo. Dovrebbe essere consentito a uno Stato membro di rifiutare di rendere esecutivo un accordo soltanto se il contenuto è in contrasto con il diritto del suddetto Stato membro, compreso il diritto internazionale privato, o se tale diritto non prevede la possibilità di rendere esecutivo il contenuto dell’accordo in questione. Ciò potrebbe verificarsi qualora l’obbligo contemplato nell’accordo non possa per sua natura essere reso esecutivo.
(20) Il contenuto di un accordo risultante dalla mediazione reso esecutivo in uno Stato membro dovrebbe essere riconosciuto e dichiarato esecutivo negli altri Stati membri in conformità della normativa comunitaria o nazionale applicabile, ad esempio in base al regolamento (CE) n. 44/2001 del Consiglio, del 22 dicembre 2000, concernente la competenza giurisdizionale, il riconoscimento e l’esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale, o al regolamento (CE) n. 2201/2003 del Consiglio, del 27 novembre 2003, relativo alla competenza, al riconoscimento e all’esecuzione delle decisioni in materia matrimoniale e in materia di responsabilità genitoriale.
(21) Il regolamento (CE) n. 2201/2003 prevede specificamente che, per essere esecutivi in un altro Stato membro, gli accordi fra le parti debbano essere esecutivi nello Stato membro in cui sono stati conclusi. Conseguentemente, se il contenuto di un accordo risultante dalla mediazione in materia di diritto di famiglia non è esecutivo nello Stato membro in cui l’accordo è stato concluso e in cui se ne chiede l’esecuzione, la presente direttiva non dovrebbe incoraggiare le parti ad aggirare la legge di tale Stato membro rendendo l’accordo in questione esecutivo in un altro Stato membro.
(22) La presente direttiva non dovrebbe incidere sulle norme vigenti negli Stati membri in materia di esecuzione di accordi risultanti da una mediazione.
(23) La riservatezza nei procedimenti di mediazione è importante e quindi la presente direttiva dovrebbe prevedere un grado minimo di compatibilità delle norme di procedura civile relative alla maniera di proteggere la riservatezza della mediazione in un successivo procedimento giudiziario o di arbitrato in materia civile e commerciale.
(24) Per incoraggiare le parti a ricorrere alla mediazione, gli Stati membri dovrebbero provvedere affinché le loro norme relative ai termini di prescrizione o decadenza non impediscano alle parti di adire un organo giurisdizionale o di ricorrere all’arbitrato in caso di infruttuoso tentativo di mediazione. Gli Stati membri dovrebbero assicurarsi che ciò si verifichi anche se la presente direttiva non armonizza le norme nazionali relative ai termini di prescrizione e decadenza. Le disposizioni relative ai termini di prescrizione o decadenza negli accordi internazionali resi esecutivi negli Stati membri, ad esempio nella normativa in materia di trasporto, dovrebbero essere fatte salve dalla presente direttiva.
(25) Gli Stati membri dovrebbero incoraggiare la divulgazione al pubblico di informazioni su come contattare mediatori e organizzazioni che forniscono servizi di mediazione. Dovrebbero inoltre incoraggiare i professionisti del diritto a informare i loro clienti delle possibilità di mediazione.
(26) Conformemente al punto 34 dell’accordo interistituzionale "Legiferare meglio" gli Stati membri sono incoraggiati a redigere e rendere pubblici, nell’interesse proprio e della Comunità, prospetti indicanti, per quanto possibile, la concordanza tra la presente direttiva e i provvedimenti di attuazione.
(27) La presente direttiva cerca di promuovere i diritti fondamentali e tiene conto dei principi riconosciuti in particolare dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea.
(28) Poiché l’obiettivo della presente direttiva non può essere realizzato in misura sufficiente dagli Stati membri e può dunque, a causa delle dimensioni o degli effetti dell’intervento, essere realizzato meglio a livello comunitario, la Comunità può intervenire, in base al principio di sussidiarietà sancito dall’articolo 5 del trattato; la presente direttiva si limita a quanto è necessario per conseguire tale obiettivo in ottemperanza al principio di proporzionalità enunciato nello stesso articolo.
(29) A norma dell’articolo 3 del protocollo sulla posizione del Regno Unito e dell’Irlanda, allegato al trattato sull’Unione europea e al trattato che istituisce la Comunità europea, il Regno Unito e l’Irlanda hanno notificato l’intenzione di partecipare all’adozione e all’applicazione della presente direttiva.
(30) A norma degli articoli 1 e 2 del protocollo sulla posizione della Danimarca, allegato al trattato sull’Unione europea e al trattato che istituisce la Comunità europea, la Danimarca non partecipa all’adozione della presente direttiva e non è vincolata da essa, né è soggetta alla sua applicazione,
HANNO ADOTTATO LA PRESENTE DIRETTIVA:
Articolo 1
Obiettivo e ambito di applicazione
1. La presente direttiva ha l’obiettivo di facilitare l’accesso alla risoluzione alternativa delle controversie e di promuovere la composizione amichevole delle medesime incoraggiando il ricorso alla mediazione e garantendo un’equilibrata relazione tra mediazione e procedimento giudiziario.
2. La presente direttiva si applica, nelle controversie transfrontaliere, in materia civile e commerciale tranne per i diritti e gli obblighi non riconosciuti alle parti dalla pertinente legge applicabile. Essa non si estende, in particolare, alla materia fiscale, doganale e amministrativa né alla responsabilità dello Stato per atti o omissioni nell’esercizio di pubblici poteri (acta iure imperii).
3. Nella presente direttiva per "Stato membro" si intendono gli Stati membri ad eccezione della Danimarca.
Articolo 2
Controversie transfrontaliere
1. Ai fini della presente direttiva per controversia transfrontaliera si intende una controversia in cui almeno una delle parti è domiciliata o risiede abitualmente in uno Stato membro diverso da quello di qualsiasi altra parte alla data in cui:
a) le parti concordano di ricorrere alla mediazione dopo il sorgere della controversia;
b) il ricorso alla mediazione è ordinato da un organo giurisdizionale;
c) l’obbligo di ricorrere alla mediazione sorge a norma del diritto nazionale; o
d) ai fini dell’articolo 5, un invito è rivolto alle parti.
2. In deroga al paragrafo 1, ai fini degli articoli 7 e 8 per controversia transfrontaliera si intende altresì una controversia in cui un procedimento giudiziario o di arbitrato risultante da una mediazione tra le parti è avviato in uno Stato membro diverso da quello in cui le parti erano domiciliate o risiedevano abitualmente alla data di cui al paragrafo 1, lettere a), b) o c).
3. Ai fini dei paragrafi 1 e 2, il domicilio è stabilito in conformità degli articoli 59 e 60 del regolamento (CE) n. 44/2001.
Articolo 3
Definizioni
Ai fini della presente direttiva si applicano le seguenti definizioni:
a) per "mediazione" si intende un procedimento strutturato, indipendentemente dalla denominazione, dove due o più parti di una controversia tentano esse stesse, su base volontaria, di raggiungere un accordo sulla risoluzione della medesima con l’assistenza di un mediatore. Tale procedimento può essere avviato dalle parti, suggerito od ordinato da un organo giurisdizionale o prescritto dal diritto di uno Stato membro.
Esso include la mediazione condotta da un giudice che non è responsabile di alcun procedimento giudiziario concernente la controversia in questione. Esso esclude i tentativi messi in atto dall’organo giurisdizionale o dal giudice aditi al fine di giungere ad una composizione della controversia in questione nell’ambito del procedimento giudiziario oggetto della medesima;
b) per "mediatore" si intende qualunque terzo cui è chiesto di condurre la mediazione in modo efficace, imparziale e competente, indipendentemente dalla denominazione o dalla professione di questo terzo nello Stato membro interessato e dalle modalità con cui è stato nominato o invitato a condurre la mediazione.
Articolo 4
Qualità della mediazione
1. Gli Stati membri incoraggiano in qualsiasi modo da essi ritenuto appropriato l’elaborazione di codici volontari di condotta da parte dei mediatori e delle organizzazioni che forniscono servizi di mediazione nonché l’ottemperanza ai medesimi, così come qualunque altro efficace meccanismo di controllo della qualità riguardante la fornitura di servizi di mediazione.
2. Gli Stati membri incoraggiano la formazione iniziale e successiva dei mediatori allo scopo di garantire che la mediazione sia gestita in maniera efficace, imparziale e competente in relazione alle parti.
Articolo 5
Ricorso alla mediazione
1. L’organo giurisdizionale investito di una causa può, se lo ritiene appropriato e tenuto conto di tutte le circostanze del caso, invitare le parti a ricorrere alla mediazione allo scopo di dirimere la controversia. Può altresì invitare le parti a partecipare ad una sessione informativa sul ricorso alla mediazione se tali sessioni hanno luogo e sono facilmente accessibili.
2. La presente direttiva lascia impregiudicata la legislazione nazionale che rende il ricorso alla mediazione obbligatorio oppure soggetto a incentivi o sanzioni, sia prima che dopo l’inizio del procedimento giudiziario, purché tale legislazione non impedisca alle parti di esercitare il diritto di accesso al sistema giudiziario.
Articolo 6
Esecutività degli accordi risultanti dalla mediazione
1. Gli Stati membri assicurano che le parti, o una di esse con l’esplicito consenso delle altre, abbiano la possibilità di chiedere che il contenuto di un accordo scritto risultante da una mediazione sia reso esecutivo. Il contenuto di tale accordo è reso esecutivo salvo se, nel caso in questione, il contenuto dell’accordo è contrario alla legge dello Stato membro in cui viene presentata la richiesta o se la legge di detto Stato membro non ne prevede l’esecutività.
2. Il contenuto dell’accordo può essere reso esecutivo in una sentenza, in una decisione o in un atto autentico da un organo giurisdizionale o da un’altra autorità competente in conformità del diritto dello Stato membro in cui è presentata la richiesta.
3. Gli Stati membri indicano alla Commissione gli organi giurisdizionali o le altre autorità competenti a ricevere le richieste conformemente ai paragrafi 1 e 2.
4. Nessuna disposizione del presente articolo pregiudica le norme applicabili al riconoscimento e all’esecuzione in un altro Stato membro di un accordo reso esecutivo in conformità del paragrafo 1.
Articolo 7
Riservatezza della mediazione
1. Poiché la mediazione deve avere luogo in modo da rispettare la riservatezza, gli Stati membri garantiscono che, a meno che le parti non decidano diversamente, né i mediatori né i soggetti coinvolti nell’amministrazione del procedimento di mediazione siano obbligati a testimoniare nel procedimento giudiziario o di arbitrato in materia civile e commerciale riguardo alle informazioni risultanti da un procedimento di mediazione o connesse con lo stesso, tranne nei casi in cui:
a) ciò sia necessario per superiori considerazioni di ordine pubblico dello Stato membro interessato, in particolare sia necessario per assicurare la protezione degli interessi superiori dei minori o per scongiurare un danno all’integrità fisica o psicologica di una persona; oppure
b) la comunicazione del contenuto dell’accordo risultante dalla mediazione sia necessaria ai fini dell’applicazione o dell’esecuzione di tale accordo.
2. Il paragrafo 1 non impedisce in alcun modo agli Stati membri di adottare misure più restrittive per tutelare la riservatezza della mediazione.
Articolo 8
Effetto della mediazione sui termini di prescrizione e decadenza
1. Gli Stati membri provvedono affinché alle parti che scelgono la mediazione nel tentativo di dirimere una controversia non sia successivamente impedito di avviare un procedimento giudiziario o di arbitrato in relazione a tale controversia per il fatto che durante il procedimento di mediazione siano scaduti i termini di prescrizione o decadenza.
2. Il paragrafo 1 lascia impregiudicate le disposizioni relative ai termini di prescrizione o decadenza previste dagli accordi internazionali di cui gli Stati membri sono parte.
Articolo 9
Informazioni al pubblico
Gli Stati membri incoraggiano, in qualsiasi modo ritengano appropriato, la divulgazione al pubblico, in particolare via Internet, di informazioni sulle modalità per contattare i mediatori e le organizzazioni che forniscono servizi di mediazione.
Articolo 10
Informazioni sugli organi giurisdizionali e sulle autorità competenti
La Commissione mette a disposizione del pubblico, tramite qualsiasi mezzo appropriato, le informazioni sugli organi giurisdizionali o sulle autorità competenti comunicate dagli Stati membri ai sensi dell’articolo 6, paragrafo 3.
Articolo 11
Revisione
Entro il 21 maggio 2016 la Commissione presenta al Parlamento europeo, al Consiglio e al Comitato economico e sociale europeo una relazione sull’attuazione della presente direttiva. La relazione esamina lo sviluppo della mediazione nell’Unione europea e l’impatto della presente direttiva negli Stati membri. Se del caso, la relazione è corredata di proposte di modifica della presente direttiva.
Articolo 12
Attuazione
1. Gli Stati membri mettono in vigore le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative necessarie per conformarsi alla presente direttiva anteriormente al 21 maggio 2011, fatta eccezione per l’articolo 10, per il quale tale data è fissata al più tardi al 21 novembre 2010. Essi ne informano immediatamente la Commissione.
Quando gli Stati membri adottano tali disposizioni, queste contengono un riferimento alla presente direttiva o sono corredate di un siffatto riferimento all’atto della pubblicazione ufficiale. Le modalità di tale riferimento sono decise dagli Stati membri.
2. Gli Stati membri comunicano alla Commissione il testo delle principali disposizioni di diritto interno che essi adottano nel settore disciplinato dalla presente direttiva.
Articolo 13
Entrata in vigore
La presente direttiva entra in vigore il ventesimo giorno successivo alla pubblicazione nella Gazzetta ufficiale dell’Unione europea.
Articolo 14
Destinatari
Gli Stati membri sono destinatari della presente direttiva.
Fatto a Strasburgo, addì 21 maggio 2008.
Per il Parlamento europeo
Il presidente
H.-G. Pöttering
Per il Consiglio
Il presidente
J. Lenarčič

La mediazione e le Controversie transfrontaliere nei Paesi U.E.

Controversie trasfrontaliere: le nuove norme per promuovere la mediazione
Direttiva Europea 21.05.2008 n° 2008/52/CE

Gli Stati membri devono assicurare che le parti, o una di esse con l’esplicito consenso delle altre, abbiano la possibilità di chiedere che il contenuto di un accordo scritto risultante da una mediazione sia reso esecutivo.
E' quanto prevede la Direttiva Europea 2008/52/CE del 21 maggio 2008 che ha l'obiettivo di facilitare l’accesso alla risoluzione alternativa delle controversie e di promuovere la composizione amichevole delle medesime incoraggiando il ricorso alla mediazione e garantendo un’equilibrata relazione tra mediazione e procedimento giudiziario.
Gli stati membri sono quindi vincolati a dare valore esecutivo alla conciciazione conclusa tra le parti salvo il caso in cui il contenuto dell’accordo sia contrario alla legge dello Stato membro in cui viene presentata la richiesta o quando la legge dello Stato membro non ne preveda l’esecutività.
(Altalex, 17 luglio 2008)

Direttiva 2008/52/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 21 maggio 2008 relativa a determinati aspetti della mediazione in materia civile e commerciale
IL PARLAMENTO EUROPEO E IL CONSIGLIO DELL’UNIONE EUROPEA,
visto il trattato che istituisce la Comunità europea, in particolare l’articolo 61, lettera c), e l’articolo 67, paragrafo 5, secondo trattino,
vista la proposta della Commissione,
visto il parere del Comitato economico e sociale europeo,
deliberando secondo la procedura di cui all’articolo 251 del trattato,
considerando quanto segue:
(1) La Comunità si è prefissa l’obiettivo di mantenere e sviluppare uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia nel quale sia garantita la libera circolazione delle persone. A tal fine, la Comunità deve adottare, tra l’altro, le misure nel settore della cooperazione giudiziaria in materia civile necessarie al corretto funzionamento del mercato interno.
(2) Il principio dell’accesso alla giustizia è fondamentale e, al fine di agevolare un miglior accesso alla giustizia, il Consiglio europeo nella riunione di Tampere del 15 e 16 ottobre 1999 ha invitato gli Stati membri ad istituire procedure extragiudiziali e alternative.
(3) Nel maggio 2000 il Consiglio ha adottato conclusioni sui metodi alternativi di risoluzione delle controversie in materia civile e commerciale, sancendo che l’istituzione di principi fondamentali in questo settore è un passo essenziale verso l’appropriato sviluppo e l’operatività dei procedimenti stragiudiziali per la composizione delle controversie in materia civile e commerciale così come per semplificare e migliorare l’accesso alla giustizia.
(4) Nell’aprile del 2002 la Commissione ha presentato un Libro verde relativo ai modi alternativi di risoluzione delle controversie in materia civile e commerciale, prendendo in esame la situazione attuale circa i metodi alternativi di risoluzione delle controversie nell’Unione europea e intraprendendo consultazioni ad ampio raggio con gli Stati membri e le parti interessate sulle possibili misure per promuovere l’utilizzo della mediazione.
(5) L’obiettivo di garantire un migliore accesso alla giustizia, come parte della politica dell’Unione europea di istituire uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia, dovrebbe comprendere l’accesso ai metodi giudiziali ed extragiudiziali di risoluzione delle controversie. La presente direttiva dovrebbe contribuire al corretto funzionamento del mercato interno, in particolare per quanto concerne la disponibilità dei servizi di mediazione.
(6) La mediazione può fornire una risoluzione extragiudiziale conveniente e rapida delle controversie in materia civile e commerciale attraverso procedure concepite in base alle esigenze delle parti. Gli accordi risultanti dalla mediazione hanno maggiori probabilità di essere rispettati volontariamente e preservano più facilmente una relazione amichevole e sostenibile tra le parti. Tali benefici diventano anche più evidenti nelle situazioni che mostrano elementi di portata transfrontaliera.
(7) Al fine di promuovere ulteriormente l’utilizzo della mediazione e per garantire che le parti che vi ricorrono possano fare affidamento su un contesto giuridico certo è necessario introdurre un quadro normativo che affronti, in particolare, gli elementi chiave della procedura civile.
(8) Le disposizioni della presente direttiva dovrebbero applicarsi soltanto alla mediazione nelle controversie transfrontaliere, ma nulla dovrebbe vietare agli Stati membri di applicare tali disposizioni anche ai procedimenti di mediazione interni.
(9) La presente direttiva non dovrebbe minimamente impedire l’utilizzazione di tecnologie moderne di comunicazione nei procedimenti di mediazione.
(10) La presente direttiva dovrebbe applicarsi ai procedimenti in cui due o più parti di una controversia transfrontaliera tentino esse stesse di raggiungere volontariamente una composizione amichevole della loro controversia con l’assistenza di un mediatore. Essa dovrebbe applicarsi in materia civile e commerciale, ma non ai diritti e agli obblighi su cui le parti non hanno la facoltà di decidere da sole in base alla pertinente legge applicabile. Tali diritti e obblighi sono particolarmente frequenti in materia di diritto di famiglia e del lavoro.
(11) La presente direttiva non dovrebbe applicarsi alle trattative precontrattuali o ai procedimenti di natura arbitrale quali talune forme di conciliazione dinanzi ad un organo giurisdizionale, i reclami dei consumatori, l’arbitrato e la valutazione di periti o i procedimenti gestiti da persone od organismi che emettono una raccomandazione formale, sia essa legalmente vincolante o meno, per la risoluzione della controversia.
(12) La presente direttiva dovrebbe applicarsi ai casi in cui un organo giurisdizionale deferisce le parti a una mediazione o in cui il diritto nazionale prescrive la mediazione. La presente direttiva dovrebbe inoltre applicarsi, per quanto un giudice possa agire come Mediatore ai sensi della legislazione nazionale, alla mediazione condotta da un giudice che non sia responsabile di un procedimento giudiziario relativo alla questione o alle questioni oggetto della controversia. Tuttavia, la presente direttiva non dovrebbe estendersi ai tentativi dell’organo giurisdizionale o del giudice chiamato a risolvere la controversia nel contesto del procedimento giudiziario concernente tale controversia, ovvero ai casi in cui l’organo giurisdizionale o il giudice adito richiedano l’assistenza o la consulenza di una persona competente.
(13) La mediazione di cui alla presente direttiva dovrebbe essere un procedimento di volontaria giurisdizione nel senso che le parti gestiscono esse stesse il procedimento e possono organizzarlo come desiderano e porvi fine in qualsiasi momento. Tuttavia, in virtù del diritto nazionale, l’organo giurisdizionale dovrebbe avere la possibilità di fissare un termine al processo di mediazione. Inoltre, l’organo giurisdizionale dovrebbe, se del caso, poter richiamare l’attenzione delle parti sulla possibilità di mediazione.
(14) La presente direttiva dovrebbe inoltre fare salva la legislazione nazionale che rende il ricorso alla mediazione obbligatorio oppure soggetto ad incentivi o sanzioni, purché tale legislazione non impedisca alle parti di esercitare il loro diritto di accesso al sistema giudiziario. Del pari, la presente direttiva non dovrebbe pregiudicare gli attuali sistemi di mediazione autoregolatori nella misura in cui essi trattano aspetti non coperti dalla presente direttiva.
(15) Ai fini della certezza del diritto, la presente direttiva dovrebbe indicare la data pertinente per determinare se una controversia che le parti tentano di risolvere con la mediazione sia una controversia transfrontaliera o meno. In mancanza di un accordo scritto, si dovrebbe ritenere che le parti concordino di ricorrere alla mediazione nel momento in cui intraprendono un’azione specifica per avviare il procedimento di mediazione.
(16) Al fine di garantire la fiducia reciproca necessaria in relazione alla riservatezza, all’effetto sui termini di decadenza e prescrizione nonché al riconoscimento e all’esecuzione degli accordi risultanti dalla mediazione, gli Stati membri dovrebbero incoraggiare, in qualsiasi modo essi ritengano appropriato, la formazione dei mediatori e l’introduzione di efficaci meccanismi di controllo della qualità in merito alla fornitura dei servizi di mediazione.
(17) Gli Stati membri dovrebbero definire tali meccanismi, che possono includere il ricorso a soluzioni basate sul mercato, e non dovrebbero essere tenuti a fornire alcun finanziamento al riguardo. I meccanismi dovrebbero essere volti a preservare la flessibilità del procedimento di mediazione e l’autonomia delle parti e a garantire che la mediazione sia condotta in un modo efficace, imparziale e competente. I mediatori dovrebbero essere a conoscenza dell’esistenza del codice europeo di condotta dei mediatori, che dovrebbe anche essere disponibile su Internet per il pubblico.
(18) Nell’ambito della protezione dei consumatori, la Commissione ha adottato una raccomandazione che stabilisce i criteri minimi di qualità che gli organi extragiudiziali che partecipano alla risoluzione consensuale delle controversie in materia di consumo dovrebbero offrire agli utenti. Qualunque mediatore o organizzazione che rientri nell’ambito di applicazione di tale raccomandazione dovrebbe essere incoraggiato a rispettare i principi in essa contenuti. Allo scopo di agevolare la diffusione delle informazioni relative a tali organi, la Commissione dovrebbe predisporre una banca dati di modelli extragiudiziali di composizione delle controversie che secondo gli Stati membri rispettano i principi di tale raccomandazione.
(19) La mediazione non dovrebbe essere ritenuta un’alternativa deteriore al procedimento giudiziario nel senso che il rispetto degli accordi derivanti dalla mediazione dipenda dalla buona volontà delle parti. Gli Stati membri dovrebbero pertanto garantire che le parti di un accordo scritto risultante dalla mediazione possano chiedere che il contenuto dell’accordo sia reso esecutivo. Dovrebbe essere consentito a uno Stato membro di rifiutare di rendere esecutivo un accordo soltanto se il contenuto è in contrasto con il diritto del suddetto Stato membro, compreso il diritto internazionale privato, o se tale diritto non prevede la possibilità di rendere esecutivo il contenuto dell’accordo in questione. Ciò potrebbe verificarsi qualora l’obbligo contemplato nell’accordo non possa per sua natura essere reso esecutivo.
(20) Il contenuto di un accordo risultante dalla mediazione reso esecutivo in uno Stato membro dovrebbe essere riconosciuto e dichiarato esecutivo negli altri Stati membri in conformità della normativa comunitaria o nazionale applicabile, ad esempio in base al regolamento (CE) n. 44/2001 del Consiglio, del 22 dicembre 2000, concernente la competenza giurisdizionale, il riconoscimento e l’esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale, o al regolamento (CE) n. 2201/2003 del Consiglio, del 27 novembre 2003, relativo alla competenza, al riconoscimento e all’esecuzione delle decisioni in materia matrimoniale e in materia di responsabilità genitoriale.
(21) Il regolamento (CE) n. 2201/2003 prevede specificamente che, per essere esecutivi in un altro Stato membro, gli accordi fra le parti debbano essere esecutivi nello Stato membro in cui sono stati conclusi. Conseguentemente, se il contenuto di un accordo risultante dalla mediazione in materia di diritto di famiglia non è esecutivo nello Stato membro in cui l’accordo è stato concluso e in cui se ne chiede l’esecuzione, la presente direttiva non dovrebbe incoraggiare le parti ad aggirare la legge di tale Stato membro rendendo l’accordo in questione esecutivo in un altro Stato membro.
(22) La presente direttiva non dovrebbe incidere sulle norme vigenti negli Stati membri in materia di esecuzione di accordi risultanti da una mediazione.
(23) La riservatezza nei procedimenti di mediazione è importante e quindi la presente direttiva dovrebbe prevedere un grado minimo di compatibilità delle norme di procedura civile relative alla maniera di proteggere la riservatezza della mediazione in un successivo procedimento giudiziario o di arbitrato in materia civile e commerciale.
(24) Per incoraggiare le parti a ricorrere alla mediazione, gli Stati membri dovrebbero provvedere affinché le loro norme relative ai termini di prescrizione o decadenza non impediscano alle parti di adire un organo giurisdizionale o di ricorrere all’arbitrato in caso di infruttuoso tentativo di mediazione. Gli Stati membri dovrebbero assicurarsi che ciò si verifichi anche se la presente direttiva non armonizza le norme nazionali relative ai termini di prescrizione e decadenza. Le disposizioni relative ai termini di prescrizione o decadenza negli accordi internazionali resi esecutivi negli Stati membri, ad esempio nella normativa in materia di trasporto, dovrebbero essere fatte salve dalla presente direttiva.
(25) Gli Stati membri dovrebbero incoraggiare la divulgazione al pubblico di informazioni su come contattare mediatori e organizzazioni che forniscono servizi di mediazione. Dovrebbero inoltre incoraggiare i professionisti del diritto a informare i loro clienti delle possibilità di mediazione.
(26) Conformemente al punto 34 dell’accordo interistituzionale "Legiferare meglio" gli Stati membri sono incoraggiati a redigere e rendere pubblici, nell’interesse proprio e della Comunità, prospetti indicanti, per quanto possibile, la concordanza tra la presente direttiva e i provvedimenti di attuazione.
(27) La presente direttiva cerca di promuovere i diritti fondamentali e tiene conto dei principi riconosciuti in particolare dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea.
(28) Poiché l’obiettivo della presente direttiva non può essere realizzato in misura sufficiente dagli Stati membri e può dunque, a causa delle dimensioni o degli effetti dell’intervento, essere realizzato meglio a livello comunitario, la Comunità può intervenire, in base al principio di sussidiarietà sancito dall’articolo 5 del trattato; la presente direttiva si limita a quanto è necessario per conseguire tale obiettivo in ottemperanza al principio di proporzionalità enunciato nello stesso articolo.
(29) A norma dell’articolo 3 del protocollo sulla posizione del Regno Unito e dell’Irlanda, allegato al trattato sull’Unione europea e al trattato che istituisce la Comunità europea, il Regno Unito e l’Irlanda hanno notificato l’intenzione di partecipare all’adozione e all’applicazione della presente direttiva.
(30) A norma degli articoli 1 e 2 del protocollo sulla posizione della Danimarca, allegato al trattato sull’Unione europea e al trattato che istituisce la Comunità europea, la Danimarca non partecipa all’adozione della presente direttiva e non è vincolata da essa, né è soggetta alla sua applicazione,
HANNO ADOTTATO LA PRESENTE DIRETTIVA:
Articolo 1
Obiettivo e ambito di applicazione
1. La presente direttiva ha l’obiettivo di facilitare l’accesso alla risoluzione alternativa delle controversie e di promuovere la composizione amichevole delle medesime incoraggiando il ricorso alla mediazione e garantendo un’equilibrata relazione tra mediazione e procedimento giudiziario.
2. La presente direttiva si applica, nelle controversie transfrontaliere, in materia civile e commerciale tranne per i diritti e gli obblighi non riconosciuti alle parti dalla pertinente legge applicabile. Essa non si estende, in particolare, alla materia fiscale, doganale e amministrativa né alla responsabilità dello Stato per atti o omissioni nell’esercizio di pubblici poteri (acta iure imperii).
3. Nella presente direttiva per "Stato membro" si intendono gli Stati membri ad eccezione della Danimarca.
Articolo 2
Controversie transfrontaliere
1. Ai fini della presente direttiva per controversia transfrontaliera si intende una controversia in cui almeno una delle parti è domiciliata o risiede abitualmente in uno Stato membro diverso da quello di qualsiasi altra parte alla data in cui:
a) le parti concordano di ricorrere alla mediazione dopo il sorgere della controversia;
b) il ricorso alla mediazione è ordinato da un organo giurisdizionale;
c) l’obbligo di ricorrere alla mediazione sorge a norma del diritto nazionale; o
d) ai fini dell’articolo 5, un invito è rivolto alle parti.
2. In deroga al paragrafo 1, ai fini degli articoli 7 e 8 per controversia transfrontaliera si intende altresì una controversia in cui un procedimento giudiziario o di arbitrato risultante da una mediazione tra le parti è avviato in uno Stato membro diverso da quello in cui le parti erano domiciliate o risiedevano abitualmente alla data di cui al paragrafo 1, lettere a), b) o c).
3. Ai fini dei paragrafi 1 e 2, il domicilio è stabilito in conformità degli articoli 59 e 60 del regolamento (CE) n. 44/2001.
Articolo 3
Definizioni
Ai fini della presente direttiva si applicano le seguenti definizioni:
a) per "mediazione" si intende un procedimento strutturato, indipendentemente dalla denominazione, dove due o più parti di una controversia tentano esse stesse, su base volontaria, di raggiungere un accordo sulla risoluzione della medesima con l’assistenza di un mediatore. Tale procedimento può essere avviato dalle parti, suggerito od ordinato da un organo giurisdizionale o prescritto dal diritto di uno Stato membro.
Esso include la mediazione condotta da un giudice che non è responsabile di alcun procedimento giudiziario concernente la controversia in questione. Esso esclude i tentativi messi in atto dall’organo giurisdizionale o dal giudice aditi al fine di giungere ad una composizione della controversia in questione nell’ambito del procedimento giudiziario oggetto della medesima;
b) per "mediatore" si intende qualunque terzo cui è chiesto di condurre la mediazione in modo efficace, imparziale e competente, indipendentemente dalla denominazione o dalla professione di questo terzo nello Stato membro interessato e dalle modalità con cui è stato nominato o invitato a condurre la mediazione.
Articolo 4
Qualità della mediazione
1. Gli Stati membri incoraggiano in qualsiasi modo da essi ritenuto appropriato l’elaborazione di codici volontari di condotta da parte dei mediatori e delle organizzazioni che forniscono servizi di mediazione nonché l’ottemperanza ai medesimi, così come qualunque altro efficace meccanismo di controllo della qualità riguardante la fornitura di servizi di mediazione.
2. Gli Stati membri incoraggiano la formazione iniziale e successiva dei mediatori allo scopo di garantire che la mediazione sia gestita in maniera efficace, imparziale e competente in relazione alle parti.
Articolo 5
Ricorso alla mediazione
1. L’organo giurisdizionale investito di una causa può, se lo ritiene appropriato e tenuto conto di tutte le circostanze del caso, invitare le parti a ricorrere alla mediazione allo scopo di dirimere la controversia. Può altresì invitare le parti a partecipare ad una sessione informativa sul ricorso alla mediazione se tali sessioni hanno luogo e sono facilmente accessibili.
2. La presente direttiva lascia impregiudicata la legislazione nazionale che rende il ricorso alla mediazione obbligatorio oppure soggetto a incentivi o sanzioni, sia prima che dopo l’inizio del procedimento giudiziario, purché tale legislazione non impedisca alle parti di esercitare il diritto di accesso al sistema giudiziario.
Articolo 6
Esecutività degli accordi risultanti dalla mediazione
1. Gli Stati membri assicurano che le parti, o una di esse con l’esplicito consenso delle altre, abbiano la possibilità di chiedere che il contenuto di un accordo scritto risultante da una mediazione sia reso esecutivo. Il contenuto di tale accordo è reso esecutivo salvo se, nel caso in questione, il contenuto dell’accordo è contrario alla legge dello Stato membro in cui viene presentata la richiesta o se la legge di detto Stato membro non ne prevede l’esecutività.
2. Il contenuto dell’accordo può essere reso esecutivo in una sentenza, in una decisione o in un atto autentico da un organo giurisdizionale o da un’altra autorità competente in conformità del diritto dello Stato membro in cui è presentata la richiesta.
3. Gli Stati membri indicano alla Commissione gli organi giurisdizionali o le altre autorità competenti a ricevere le richieste conformemente ai paragrafi 1 e 2.
4. Nessuna disposizione del presente articolo pregiudica le norme applicabili al riconoscimento e all’esecuzione in un altro Stato membro di un accordo reso esecutivo in conformità del paragrafo 1.
Articolo 7
Riservatezza della mediazione
1. Poiché la mediazione deve avere luogo in modo da rispettare la riservatezza, gli Stati membri garantiscono che, a meno che le parti non decidano diversamente, né i mediatori né i soggetti coinvolti nell’amministrazione del procedimento di mediazione siano obbligati a testimoniare nel procedimento giudiziario o di arbitrato in materia civile e commerciale riguardo alle informazioni risultanti da un procedimento di mediazione o connesse con lo stesso, tranne nei casi in cui:
a) ciò sia necessario per superiori considerazioni di ordine pubblico dello Stato membro interessato, in particolare sia necessario per assicurare la protezione degli interessi superiori dei minori o per scongiurare un danno all’integrità fisica o psicologica di una persona; oppure
b) la comunicazione del contenuto dell’accordo risultante dalla mediazione sia necessaria ai fini dell’applicazione o dell’esecuzione di tale accordo.
2. Il paragrafo 1 non impedisce in alcun modo agli Stati membri di adottare misure più restrittive per tutelare la riservatezza della mediazione.
Articolo 8
Effetto della mediazione sui termini di prescrizione e decadenza
1. Gli Stati membri provvedono affinché alle parti che scelgono la mediazione nel tentativo di dirimere una controversia non sia successivamente impedito di avviare un procedimento giudiziario o di arbitrato in relazione a tale controversia per il fatto che durante il procedimento di mediazione siano scaduti i termini di prescrizione o decadenza.
2. Il paragrafo 1 lascia impregiudicate le disposizioni relative ai termini di prescrizione o decadenza previste dagli accordi internazionali di cui gli Stati membri sono parte.
Articolo 9
Informazioni al pubblico
Gli Stati membri incoraggiano, in qualsiasi modo ritengano appropriato, la divulgazione al pubblico, in particolare via Internet, di informazioni sulle modalità per contattare i mediatori e le organizzazioni che forniscono servizi di mediazione.
Articolo 10
Informazioni sugli organi giurisdizionali e sulle autorità competenti
La Commissione mette a disposizione del pubblico, tramite qualsiasi mezzo appropriato, le informazioni sugli organi giurisdizionali o sulle autorità competenti comunicate dagli Stati membri ai sensi dell’articolo 6, paragrafo 3.
Articolo 11
Revisione
Entro il 21 maggio 2016 la Commissione presenta al Parlamento europeo, al Consiglio e al Comitato economico e sociale europeo una relazione sull’attuazione della presente direttiva. La relazione esamina lo sviluppo della mediazione nell’Unione europea e l’impatto della presente direttiva negli Stati membri. Se del caso, la relazione è corredata di proposte di modifica della presente direttiva.
Articolo 12
Attuazione
1. Gli Stati membri mettono in vigore le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative necessarie per conformarsi alla presente direttiva anteriormente al 21 maggio 2011, fatta eccezione per l’articolo 10, per il quale tale data è fissata al più tardi al 21 novembre 2010. Essi ne informano immediatamente la Commissione.
Quando gli Stati membri adottano tali disposizioni, queste contengono un riferimento alla presente direttiva o sono corredate di un siffatto riferimento all’atto della pubblicazione ufficiale. Le modalità di tale riferimento sono decise dagli Stati membri.
2. Gli Stati membri comunicano alla Commissione il testo delle principali disposizioni di diritto interno che essi adottano nel settore disciplinato dalla presente direttiva.
Articolo 13
Entrata in vigore
La presente direttiva entra in vigore il ventesimo giorno successivo alla pubblicazione nella Gazzetta ufficiale dell’Unione europea.
Articolo 14
Destinatari
Gli Stati membri sono destinatari della presente direttiva.
Fatto a Strasburgo, addì 21 maggio 2008.
Per il Parlamento europeo
Il presidente
H.-G. Pöttering
Per il Consiglio
Il presidente
J. Lenarčič

Il Libro Unico del lavoro: Chiarimenti dal Ministero

Lavoro: istituzione del libro unico e abolizione di libro matricola e registro d'impresa
Decreto Ministero Lavoro 10.07.2008

Istituzione del libro unico del lavoro entro il periodo di paga relativo a dicembre 2008 ed abolizione immediata di libro matricola e registro d'impresa.
Sono queste le novità contenute nel Decreto 10 luglio 2008 con cui il Ministero del Lavoro ha dato attuazione alle disposizioni dell'articolo 39, D.L. 25 giugno 2008, n. 112 (c.d. manovrà d'estate).
Il libro unico del lavoro dovrà essere conservato presso la sede legale del datore di lavoro o, in alternativa, presso lo studio dei consulenti del lavoro o degli altri professionisti abilitati (il datore di lavoro è tenuto a custodirlo - nel rispetto del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196 - per 5 anni dalla data dell'ultima registrazione).
In caso di verifiche sarà inoltre possibile esibire il libro unico anche tramite fax o email.
(Altalex, 14 luglio 2008)

MINISTERO DEL LAVORO E DELLA PREVIDENZA SOCIALE, DECRETO 10 luglio 2008
Articolo 1 Modalità di tenuta
1. Fermo restando l'obbligo, in fase di stampa, di attribuire a ciascun foglio una numerazione sequenziale, conservando eventuali fogli deteriorati o annullati, la tenuta e la conservazione del libro unico del lavoro può essere effettuata mediante la utilizzazione di uno dei seguenti sistemi:a) a elaborazione e stampa meccanografica su fogli mobili a ciclo continuo, con numerazione di ogni pagina e vidimazione prima della messa in uso presso l'Inail o, in alternativa, con numerazione e vidimazione effettuata, dai soggetti appositamente autorizzati dall'Inail, in sede di stampa del modulo continuo;b) a stampa laser, con autorizzazione preventiva, da parte dell'Inail, alla stampa e generazione della numerazione automatica;c) su supporti magnetici, sui quali ogni singola scrittura costituisca documento informatico e sia collegata alle registrazioni in precedenza effettuate, o a elaborazione automatica dei dati, garantendo oltre la consultabilità, in ogni momento, anche la inalterabilità e la integrità dei dati, nonché la sequenzialità cronologica delle operazioni eseguite, nel rispetto delle regole tecniche di cui all'articolo 71 del decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82; tali sistemi sono sottratti a obblighi di vidimazione e autorizzazione, previa apposita comunicazione scritta, anche a mezzo fax o e-mail, alla Direzione provinciale del lavoro competente per territorio, prima della messa in uso, con indicazione dettagliata delle caratteristiche tecniche del sistema adottato.2. Ciascuna annotazione relativa allo stato di presenza o di assenza dei lavoratori deve essere effettuata utilizzando una causale precisamente identificata e inequivoca. In caso di annotazione tramite codici o sigle, il soggetto che cura la tenuta del libro unico del lavoro rende immediatamente disponibile, al momento della esibizione dello stesso, anche la decodificazione utile alla piena comprensione delle annotazioni e delle scritturazioni effettuate.3. Fermi restando gli altri obblighi di cui ai commi 1 e 2 dell'articolo 39 del decreto legge 25 giugno 2008, n. 112, la registrazione dei dati variabili delle retribuzioni può avvenire con un differimento non superiore a un mese, a condizione che di ciò sia data precisa annotazione sul libro unico del lavoro.
Articolo 2 Gestione della numerazione unitaria per consulenti del lavoro e soggetti autorizzati
1. I consulenti del lavoro, i professionisti e gli altri soggetti di cui all'articolo 1, commi 1 e 4, della legge 11 gennaio 1979, n. 12, che siano autorizzati ad adottare un sistema di numerazione unitaria del libro unico del lavoro per i datori di lavoro assistiti devono:a)ottenere delega scritta da ogni datore di lavoro, anche inserita nella lettera di incarico o documento equipollente;b)inviare, in via telematica, al l'Inail con la prima richiesta di autorizzazione, un elenco dei suddetti datori di lavoro e del codice fiscale dei medesimi;c) dare comunicazione, in via telematica, all'Inail, entro 30 giorni dall'evento, della avvenuta acquisizione di un nuovo datore di lavoro e della interruzione di assistenza nei confronti di uno dei datori di lavoro già comunicati ai sensi della precedente lettera b).
Articolo 3 Luogo di tenuta e modalità di esibizione
1. Il libro unico del lavoro è conservato presso la sede legale del datore di lavoro o, in alternativa, presso lo studio dei consulenti del lavoro o degli altri professionisti abilitati o presso la sede dei servizi e dei centri di assistenza delle associazioni di categoria delle imprese artigiane e delle altre piccole imprese, anche in forma cooperativa, ai sensi e per gli effetti dell'articolo 5, comma 1, della legge 11 gennaio 1979, n. 12.2. Il libro unico del lavoro deve essere tempestivamente esibito agli organi di vigilanza nel luogo in cui si esegue il lavoro, quando trattasi di sede stabile di lavoro, anche a mezzo fax o posta elettronica, dal datore di lavoro che lo detenga nella sede legale. In caso di attività mobili o itineranti, le cui procedure operative comportano lo svolgimento delle prestazioni lavorative presso più luoghi di lavoro nell'ambito della stessa giornata o sono caratterizzate dalla mobilità dei lavoratori sul territorio, il libro unico del lavoro deve essere esibito, dal datore di lavoro che lo detenga nella sede legale, entro il termine assegnato nella richiesta espressamente formulata a verbale dagli organi di vigilanza.
3. I consulenti del lavoro e gli altri professionisti abilitati, nonché i servizi e i centri di assistenza delle associazioni di categoria di cui all'articolo 1, comma 4, della legge 11 gennaio 1979, n. 12, devono esibire il libro unico del lavoro dagli stessi detenuto non oltre quindici giorni dalla richiesta espressamente formulata a verbale dagli organi di vigilanza.
Articolo 4 Elenchi riepilogativi mensili
1. A richiesta degli organi di vigilanza, in occasione di un accesso ispettivo, i datori di lavoro che impiegano oltre dieci lavoratori od operano con più sedi stabili di lavoro ed elaborano il libro unico del lavoro con uno dei sistemi di cui all'articolo 1, comma 1, del presente decreto,devono esibire elenchi riepilogativi mensili del personale occupato e dei dati individuali relativi alle presenze, alle ferie e ai tempi di lavoro e di riposo, aggiornati all'ultimo periodo di registrazione sul libro unico del lavoro, anche suddivisi per ciascuna sede.2. Il personale ispettivo ha facoltà di richiedere gli elenchi riepilogativi mensili relativi ai cinque anni che precedono l'inizio dell'accertamento, avendo cura di verificare, nel caso concreto, la materiale possibilità di realizzazione e di esibizione degli stessi da parte del datore di lavoro, del consulente del lavoro o della associazione di categoria di cui all'articolo 1, comma 4, della legge 11 gennaio 1979, n. 12.
Articolo 5 Sede stabile di lavoro e computo dei lavoratori
1. Ai fini della corretta applicazione delle disposizioni di cui agli articoli 3 e 4 del presente decreto si considera "sede stabile di lavoro" qualsiasi articolazione autonoma della impresa, stabilmente organizzata, che sia idonea ad espletare, in tutto o in parte, l'attività aziendale e risulti dotata degli strumenti necessari, anche con riguardo alla presenza di uffici amministrativi.2. Ai fini del calcolo dei lavoratori di cui all'articolo 39, comma 7, del decreto legge 25 giugno 2008, n. 112 e all'articolo 4 del presente decreto, si computano i lavoratori subordinati, a prescindere dall'effettivo orario di lavoro svolto, i collaboratori coordinati e continuativi e gli associati in partecipazione con apporto lavorativo, che siano iscritti sul libro unico del lavoro e ancora in forza.
Articolo 6 Obbligo di conservazione
1. Il datore di lavoro ha l'obbligo di conservare il libro unico del lavoro per la durata di cinque anni dalla data dell'ultima registrazione e di custodirlo nel rispetto del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, in materia di protezione dei dati personali.2. L'obbligo di cui al comma 1 è esteso ai libri obbligatori in materia di lavoro dismessi in seguito all'entrata in vigore della semplificazione di cui all'articolo 39 del decreto legge 25 giugno 2008, n. 112 e alle disposizioni del presente decreto.
Articolo 7 Regime transitorio e disposizioni finali
1. Fino al periodo di paga relativo al mese di dicembre 2008 i datori di lavoro, in via transitoria, possono adempiere agli obblighi di istituzione e tenuta del libro unico del lavoro, secondo ledisposizioni dettate dall'articolo 39 del decreto legge 25 giugno 2008, n. 112 e dal presente decreto, mediante la corretta e regolare tenuta del libro paga, nelle sue sezioni paga e presenze o del registro dei lavoranti e del libretto personale di controllo per i lavoranti a domicilio, debitamente compilati e aggiornati.2. Dalla data di entrata in vigore del presente decreto le disposizioni normative ancora vigenti che fanno richiamo ai libri obbligatori di lavoro o ai libri di matricola e di paga, devono essere riferite al libro unico del lavoro, per quanto compatibile.3. Il libro matricola e il registro d'impresa s'intendono immediatamente abrogati.

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