mercoledì 11 novembre 2009

Speedy Processo con la mediazione e, come diceva il buon Confucio : "MEGLIO UN CATTIVO ACCORDO CHE UNA CAUSA VINTA!"

Mediazione civile: il testo approvato dal Consiglio dei Ministri


Decreto legislativo approvato dal CdM il 28.10.2009 (Luigi Viola)



Deflazionare il sistema giudiziario italiano rispetto al carico degli arretrati e al rischio di accumulare nuovo ritardo.



E' questa la finalità del nuovo istituto della mediazione civile e commerciale, approvato dal Consiglio dei Ministri nella riunione del 28 ottobre scorso con un decreto legislativo attuativo della riforma del processo civile (Legge 69/2009).
Si tratta di una novità che, a regime, è destinata a modificare la mappatura del processo civile.
E’ definita mediazione l’attività, comunque denominata, svolta da un terzo imparziale e finalizzata ad assistere due o più soggetti:
sia nella ricerca di un accordo amichevole per la composizione di una controversia (c.d. mediazione compositiva);
sia nella formulazione di una proposta per la risoluzione della controversia (c.d. mediazione propositiva).
La mediazione è lo strumento per addivenire alla conciliazione; per arrivare a ciò, vi è il supporto degli organismi, ovvero enti pubblici o privati, abilitati a svolgere il procedimento di mediazione (senza l’autorità per imporre una soluzione), iscritti in un registro istituito con decreto del Ministro della Giustizia.

Libertà di forme

Chiunque può accedere alla mediazione, purchè si pongano questioni inerenti diritti disponibili, senza escludere aprioristicamente forme di negoziazione.
Non sono previste formalità particolari ed è possibile utilizzare anche modalità telematiche.
E’ sufficiente presentare un’istanza presso l’organismo competente, indicando:
l’organismo;
le parti;
l’oggetto;
le ragioni della pretesa (c.d. causa petendi).
E’ prevista una sorta di litispendenza: in caso di più domande relative alla stessa controversia, la mediazione si svolge davanti all’organismo presso il quale è stata presentata la prima domanda (il tempo della domanda si individua con la data della ricezione della comunicazione).
Tutti gli atti, documenti e provvedimenti relativi al procedimento di mediazione sono esenti dall’imposta di bollo e da ogni altra spesa, tassa o diritto di qualsiasi specie e natura, ex art. 17.
Tuttavia, va evidenziato che vi è un nuovo obbligo per l’avvocato, che deve informare l’assistito in modo chiaro e per iscritto, nel primo colloquio, della possibilità di avvalersi del procedimento di mediazione; il documento così formato e sottoscritto dal cliente dovrà essere allegato all’atto introduttivo nell’eventuale giudizio; diversamente, sarà il giudice ad informare la parte della facoltà di intraprendere un procedimento di mediazione.

I tipi di mediazione

Sono stati previsti, essenzialmente, tre tipi di mediazione:
1) facoltativa, quando viene liberamente scelta dalle parti;
2) obbligatoria (entrerà in vigore decorsi diciotto mesi dalla data di entrata in vigore del decreto, di cui si discorre, ex art. 24), quando è imposta dalla legge; il procedimento di mediazione deve essere esperito, a pena di improcedibilità (da eccepire nel primo atto difensivo dal convenuto, oppure dal giudice non oltre la prima udienza), nei casi di controversie relative a:
condominio;
diritti reali;
divisione;
successioni ereditarie;
patti di famiglia;
locazione;
comodato;
affitto di azienda;
risarcimento del danno derivante da responsabilità medica;
risarcimento del danno derivante da diffamazione con il mezzo della stampa o altro mezzo di pubblicità;
contratti assicurativi, bancari e finanziari;
3) giudiziale, quando è il giudice ad invitare le parte ad intraprendere un percorso di mediazione (con ordinanza); l’invito potrà essere fatto in qualunque momento, purchè prima dell’udienza di precisazione delle conclusioni ovvero, quando tale udienza non è prevista, prima della discussione della causa.
L’istituto della mediazione non può riguardare:

i procedimenti per ingiunzione, inclusa l’opposizione, fino alla pronuncia sulle istanze di concessione e sospensione della provvisoria esecuzione;
i procedimenti per convalida di licenza o sfratto, fino al mutamento di rito di cui all’art. 667 c.p.c.;
i procedimenti possessori, fino alla pronuncia dei provvedimenti di cui all’art. 703 c.p.c., comma 3, c.p.c.;
i procedimenti di opposizione o incidentali di cognizione, relativi all’esecuzione forzata;
i procedimenti in camera di consiglio;
l’azione civile esercitata nel processo penale.

Procedimento

Il procedimento di mediazione ha una durata di quattro mesi.

Viene presentata la domanda di mediazione >> il responsabile dell’organismo designa un mediatore, fissando il primo incontro tra le parti (non oltre quindi giorni dal deposito della domanda) >> viene data comunicazione all’altra parte (se sono necessarie competenze tecniche particolari, l’organismo nomina uno o più mediatori ausiliari) à il mediatore cerca un accordo amichevole:
1) se si raggiunge l’accordo (conciliazione), il mediatore redige processo verbale, sottoscritto dalle parti >> l’accordo (non contrario all’ordine pubblico o a norme imperative), che può prevedere il pagamento di somme di denaro per ogni violazione ulteriore o inosservanza, viene omologato con decreto del Presidente del Tribunale, nel cui circondario ha sede l’organismo, previo accertamento della regolarità formale; il verbale omologato è titolo esecutivo per l’espropriazione forzata, per l’esecuzione in forma specifica e per l’iscrizione di ipoteca giudiziale;
2) se non si raggiunge l’accordo (conciliazione), il mediatore forma processo verbale con l’indicazione della proposta e delle ragioni del mancato accordo >> inizia il processo civile >> quando il provvedimento che definisce il giudizio corrisponde interamente al contenuto della proposta conciliativa, il giudice:
a) esclude la ripetizione delle spese della parte vincitrice che ha rifiutato la proposta, relativamente al periodo successivo alla stessa;
b) condanna al pagamento delle spese processuali di controparte;
c) condanna al versamento di un’ulteriore somma, di importo corrispondente al contributo unificato dovuto.

Riservatezza
Chiunque presta la propria opera o il proprio servizio nell’organismo è tenuto all’obbligo di riservatezza, rispetto alle dichiarazioni rese ed alle informazioni acquisite durante il procedimento di mediazione, ex art. 9.
Salvo diverso accordo delle parti, le dichiarazioni rese o le informazioni acquisite nel corso del procedimento non possono essere utilizzate nel giudizio avente il medesimo oggetto anche parziale, iniziato o riassunto a seguito dell’insuccesso della mediazione.
Il mediatore non può essere tenuto a deporre sulle dichiarazioni delle parti, conosciute nel procedimento di mediazione, fruendo delle garanzie di libertà del difensore, ex art. 103 c.p.p., nonché della disciplina sul segreto professionale, ex art. 200 c.p.p..

Organismi di conciliazione
Gli organismi deputati alla mediazione saranno enti pubblici o privati, che diano garanzia di serietà ed efficienza, iscritti in un registro.
I consigli dell’ordine degli avvocati, ma anche di altri ordini professionali, potranno istituire organismi, avvalendosi del proprio personale e dei propri locali.
Sarà istituito presso il Ministero della Giustizia l’albo dei formatori per la mediazione.

(Altalex, 3 novembre 2009. Nota di Luigi Viola. Vedi anche il parere del CNF)



IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA

Visti gli articoli 76 e 87, quinto comma, della Costituzione;
Visto l'articolo 60 della legge 19 giugno 2009, n. 69, recante delega al Governo in materia di mediazione e di conciliazione delle controversie civili e commerciali, Vista la direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio del 21 maggio 2008, 2008/52/Ce, relativa a determinati aspetti della mediazione in materia civile e commerciale, Vista la preliminare deliberazione del Consiglio dei Ministri, adottata nella riunione del ...
Acquisiti i pareri delle competenti Commissioni parlamentari ...
Vista la deliberazione del Consiglio dei Ministri, adottata nella riunione del ...
Sulla proposta del Ministro della giustizia;
EMANA

il seguente decreto legislativo

Capo I - DISPOSIZIONI GENERALI

Art. 1 (Definizioni)

1. Ai fini del presente decreto legislativo, si intende per:
a) mediazione: l'attività, comunque denominata, svolta da un terzo imparziale e finalizzata ad assistere due o più soggetti sia nella ricerca di un accordo amichevole per la composizione di una controversia, sia nella formulazione di una proposta per la risoluzione della stessa;
b) conciliazione: la composizione di una controversia a seguito dello svolgimento della mediazione;
c) organismo: l'ente pubblico o privato, abilitato a svolgere il procedimento di mediazione, privo dell'autorità di imporre alle parti una soluzione della controversia;
d) registro: il registro degli organismi di conciliazione istituito con decreto del Ministro della giustizia ai sensi dell'articolo 16 del presente decreto, nonché, sino al'emanazione di tale decreto, il registro degli organismi istituito con il decreto del Ministro della giustizia 23 luglio 2004, n. 222.



Art. 2 (Controversie oggetto di mediazione)

1. Chiunque può accedere alla mediazione per la conciliazione di una controversia civile e commerciale vertente su diritti disponibili, secondo le disposizioni del presente decreto.
2. Il presente decreto non preclude le negoziazioni volontarie e paritetiche relative alle controversie civili e commerciali, né le procedure di reclamo previste dalle carte dei servizi.



Capo II - DEL PROCEDIMENTO DI MEDIAZIONE


1. Al procedimento di mediazione si applica il regolamento dell'organismo scelto dalle parti.
2. Il regolamento deve in ogni caso garantire la riservatezza del procedimento ai sensi dell'articolo 9, nonché modalità di nomina del mediatore che ne assicurano l'imparzialità e l'idoneità al corretto e sollecito espletamento dell'incarico.
3. Gli atti del procedimento di mediazione non sono soggetti a formalità.
4. La mediazione può svolgersi secondo modalità telematiche previste dal regolamento dell'organismo.



Art. 4 (Accesso alla mediazione)

1. La domanda di mediazione relativa alle controversie di cui all'articolo 2 è presentata mediante deposito di un'istanza presso un organismo. In caso di più domande relative alla stessa controversia, la mediazione si volge davanti all'organismo presso il quale è stata presentata la prima domanda. Per determinare il tempo della domanda si ha riguardo alla data della ricezione della comunicazione.
2. L'istanza deve indicare l'organismo, le parti, l'oggetto e le ragioni della pretesa.
3. Fermo restando quanto previsto dall'articolo 5, comma 1, l'avvocato è tenuto, nel primo colloquio con l'assistito, a informarlo della possibilità di avvalersi del procedimento di mediazione disciplinato dal presente decreto e delle agevolazioni fiscali di cui agli articoli 17 e 20. L'informazione deve essere fornita chiaramente e per iscritto, a pena di nullità del contratto concluso con l'assistito. Il documento che contiene l'informazione è sottoscritto dall'assistito e deve essere allegato all'atto introduttivo dell'eventuale giudizio. Il giudice che verifica la mancata allegazione del documento informa la parte della facoltà di chiedere la mediazione.



Art. 5 (Condizione di procedibilità e altri rapporti con il processo)

1. Chi intende esercitare in giudizio un'azione relativa a una controversia in materia di condominio, diritti reali, divisione, successioni ereditarie, patti di famiglia, locazione, comodato, affitto di aziende, risarcimento del danno derivante da responsabilità medica e da diffamazione con il mezzo della stampa o con altro mezzo di pubblicità, contratti assicurativi, bancari e finanziari deve esperire il procedimento di mediazione ai sensi del presente decreto ovvero il procedimento di conciliazione previsto dal decreto legislativo 8 ottobre 2007, n. 179, ovvero il procedimento istituito in attuazione dell'articolo 128-bis del testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia di cui al decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385, e successive modificazioni, per le materie ivi regolate. L'esperimento del procedimento di mediazione è condizione di procedibilità della domanda giudiziale. L'improcedibilità deve essere eccepita dal convenuto, a pena di decadenza, nel primo atto difensivo tempestivamente depositato e può essere rilevata d'ufficio dal giudice non oltre la prima udienza . Il giudice ove rilevi che la mediazione è già iniziata, ma non si è conclusa, fissa la successiva udienza dopo la scadenza del termine di cui all'articolo 6, comma 1. Allo stesso modo provvede quando la mediazione non è stata esperita, assegnando contestualmente alle parti il termine di quindici giorni per la presentazione della domanda di mediazione. Il presente comma non si applica alle azioni previste dagli articoli 37, 140 e 140-bis del codice del consumo, di cui al decreto legislativo 6 settembre 2005, n. 206, e successive modificazioni, e dal titolo X del codice delle assicurazioni private di cui al decreto legislativo 7 settembre 2005, n. 209.
2. Fermo quanto previsto dal comma 1 e salvo quanto stabilito dai commi 3 e 4, il giudice, valutata la natura della causa, lo stato dell'istruzione e il comportamento delle parti, può in qualunque momento invitare le parti con ordinanza a procedere alla mediazione . L'invito deve essere rivolto alle parti prima dell'udienza di precisazione delle conclusioni ovvero, quando tale udienza non è prevista, prima della discussione della causa . Se le parti aderiscono all'invito, il giudice fissa la successiva udienza dopo la scadenza del termine di cui all'articolo 6, comma 1 e, quando la mediazione non è stata esperita, assegna contestualmente alle parti il termine di quindici giorni per la presentazione della domanda di mediazione.
3. Lo svolgimento della mediazione non preclude in ogni caso la concessione dei provvedimenti urgenti e cautelari.
4. I commi 1 e 2 non si applicano:
a) nei procedimenti per ingiunzione, inclusa l'opposizione, fino alla pronuncia sulle istanze di concessione e sospensione della provvisoria esecuzione;
b) nei procedimenti per convalida di licenza o sfratto, fino al mutamento del rito di cui all'articolo 667 del codice di procedura civile;
c) nei procedimenti possessori, fino alla pronuncia dei provvedimenti di cui all'articolo 703, terzo comma, del codice di procedura civile;
d) nei procedimenti di opposizione o incidentali di cognizione relativi all'esecuzione forzata;
e) nei procedimenti in camera di consiglio;
f) nell'azione civile esercitata nel processo penale.
5 . Fermo quanto previsto dal comma 1 e salvo quanto stabilito dai commi 3 e 4, se il contratto ovvero lo statuto della società prevedono una clausola di mediazione o conciliazione e il tentativo non risulta esperito, il giudice, su eccezione di parte, proposta nella prima difesa, il giudice assegna alle parti il termine di quindici giorni per la presentazione della domanda di mediazione e fissa la successiva udienza dopo la scadenza del termine di cui all'articolo 6, comma 1. La domanda è presentata davanti all'organismo indicato dal contratto o dallo statuto, se iscritto nel registro, ovvero, in mancanza, davanti a un altro organismo iscritto, fermo il rispetto del criterio di cui all'articolo 4, comma 1. In ogni caso, le parti possono concordare, successivamente al contratto o allo statuto, l'individuazione di un diverso organismo iscritto.
6. Dal momento della comunicazione alle altre parti, la domanda di mediazione produce sulla prescrizione i medesimi effetti della domanda giudiziale. Dalla stessa data, la domanda di mediazione impedisce altresì la decadenza per una sola volta, ma se il tentativo fallisce la domanda giudiziale deve essere proposta entro il medesimo termine di decadenza decorrente dal deposito del verbale di cui all'articolo 11 presso la segreteria dell'organismo.
7. Le disposizioni che precedono si applicano anche ai procedimenti davanti agli arbitri, in quanto compatibili .



Art. 6 (Durata)

2. Il termine decorre dalla data di deposito della domanda di mediazione, ovvero dalla scadenza di quello fissato dal giudice per il deposito della stessa nelle ipotesi di cui all'articolo 5.



Art. 7 (Effetti sulla ragionevole durata del processo)




Art. 8 (Procedimento)

1. All'atto della presentazione della domanda di mediazione, il responsabile dell'organismo designa un mediatore e fissa il primo incontro tra le parti non oltre quindici giorni dal deposito della domanda, dandone immediata comunicazione all'altra parte con ogni mezzo idoneo ad assicurarne la ricezione, anche a cura della parte istante. Nelle controversie che richiedono specifiche competenze tecniche, l'organismo nomina uno o più mediatori ausiliari.2. Il procedimento si svolge senza formalità presso la sede dell'organismo di mediazione.
3. Il mediatore si adopera affinché le parti raggiungano un accordo amichevole di definizione della controversia.
4. Ove non possa procedere ai sensi del comma 1, ultimo periodo, il mediatore può avvalersi di esperti iscritti negli albi dei consulenti presso i tribunali. Il regolamento di procedura dell'organismo deve prevedere le modalità di calcolo e liquidazione dei compensi spettanti agli esperti.



Art. 9 (Dovere di riservatezza)

1. Chiunque presta la propria opera o il proprio servizio nell'organismo è tenuto all'obbligo di riservatezza rispetto alle dichiarazioni rese e alle informazioni acquisite durante il procedimento di mediazione.
2. Rispetto alle dichiarazioni e informazioni acquisite nel corso delle sessioni separate e salvo consenso della parte dichiarante o dalla quale provengono le informazioni, il mediatore è altresì tenuto alla riservatezza nei confronti delle altre parti.



Art. 10 (Inutilizzabilità e segreto professionale)

1. Salvo diverso accordo delle parti, le dichiarazioni rese o le informazioni acquisite nel corso del procedimento di mediazione non possono essere utilizzate nel giudizio avente il medesimo oggetto anche parziale, iniziato o riassunto a séguito dell'insuccesso della mediazione. Sulle stesse dichiarazioni e informazioni non è ammessa prova testimoniale.
2. Il mediatore non può essere tenuto a deporre sulle dichiarazioni e sulle informazioni conosciute nel procedimento di mediazione, né davanti all'autorità giudiziaria né davanti ad altra autorità. Al mediatore si applicano le disposizioni dell'articolo 200 del codice di procedura penale e si estendono le garanzie previste per il difensore dalle disposizioni dell'articolo 103 del codice di procedura penale in quanto applicabili.



Art. 11 (Conciliazione)

1. Se è raggiunto un accordo amichevole, il mediatore forma processo verbale al quale è allegato il testo dell'accordo medesimo, sottoscritto dalle parti. Quando l'accordo non è raggiunto, il mediatore formula una proposta di conciliazione dopo averle informate delle possibili conseguenze di cui all'articolo 13 . L'accordo raggiunto, anche a seguito della proposta, può prevedere il pagamento di una somma di denaro per ogni violazione o inosservanza degli obblighi stabiliti ovvero per il ritardo nel loro adempimento.
2. La proposta di conciliazione è comunicata alle parti per iscritto. Le parti fanno pervenire al mediatore, per iscritto ed entro sette giorni, l'accettazione o il rifiuto della proposta. In mancanza di risposta nel termine, la proposta si ha per rifiutata.
3. Se tutte le parti aderiscono alla proposta, si forma processo verbale che deve essere sottoscritto dalle parti e dal mediatore, il quale certifica l'autografia della sottoscrizione delle parti o la loro impossibilità di sottoscrivere.
4. Se la conciliazione non riesce, il mediatore forma processo verbale con l'indicazione della proposta e delle ragioni del mancato accordo; il verbale è sottoscritto dalle parti e dal mediatore, il quale certifica l'autografia della sottoscrizione delle parti o la loro impossibilità di sottoscrivere. Nello stesso verbale, il mediatore dà atto della mancata partecipazione di una delle parti al procedimento di mediazione.
5. Il processo verbale è depositato presso la segreteria dell'organismo e di esso è rilasciata copia alle parti che lo richiedono.

Art. 12 (Efficacia esecutiva ed esecuzione)

1. Il verbale di accordo, il cui contenuto non è contrario all'ordine pubblico o a norme imperative, è omologato, previo accertamento della regolarità formale, con decreto del presidente del tribunale nel cui circondario ha sede l'organismo . Nelle controversie transfrontaliere di cui all'articolo 2 della direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio del 21 maggio 2008, 2008/52/Ce, il verbale è omologato dal presidente del tribunale nel cui circondario l'accordo deve avere esecuzione.
2. Il verbale di cui al comma 1 costituisce titolo esecutivo per l'espropriazione forzata, per l'esecuzione in forma specifica e per l'iscrizione di ipoteca giudiziale.



Art. 13 (Spese processuali)

1. Quando il provvedimento che definisce il giudizio corrisponde interamente al contenuto della proposta, il giudice esclude la ripetizione delle spese della parte vincitrice che ha rifiutato la proposta, riferibili al periodo successivo alla formulazione della stessa, e la condanna al rimborso delle spese sostenute dalla parte soccombente relative allo stesso periodo, nonché al versamento all'entrata del bilancio dello Stato di un'ulteriore somma di importo corrispondente al contributo unificato dovuto . Resta ferma l'applicabilità degli articoli 92 e 96 del codice di procedura civile. Le disposizioni di cui al presente comma si applicano altresì alle spese per l'indennità corrisposta al mediatore e per il compenso dovuto all'esperto di cui all'articolo 8, comma 4.
2. Quando il provvedimento che definisce il giudizio non corrisponde interamente al contenuto della proposta, il giudice, se ricorrono gravi ed eccezionali ragioni, può nondimeno escludere la ripetizione delle spese sostenute dalla parte vincitrice per l'indennità corrisposta al mediatore e per il compenso dovuto all'esperto di cui all'articolo 8, comma 4. Il giudice deve indicare esplicitamente, nella motivazione, le ragioni del provvedimento di cui al periodo precedente.
3. Salvo diverso accordo, le disposizioni precedenti non si applicano ai procedimenti davanti agli arbitri .



Art. 14 (Obblighi del mediatore)

1. Al mediatore e ai suoi ausiliari è fatto divieto di assumere diritti o obblighi connessi, direttamente o indirettamente, con gli affari trattati, ad eccezione di quelli strettamente inerenti alla prestazione dell'opera o del servizio; è fatto loro divieto di percepire compensi direttamente dalle parti.
2. Al mediatore è fatto, altresì, obbligo di:
a) sottoscrivere, per ciascun affare per il quale e' designato, una dichiarazione di imparzialità secondo le formule previste dal regolamento di procedura applicabile, nonché gli ulteriori impegni eventualmente previsti dal medesimo regolamento;
b) informare immediatamente l'organismo e le pari delle ragioni di possibile pregiudizio all'imparzialità nello svolgimento della mediazione;
c) formulare le proposte di conciliazione nel rispetto del limite dell'ordine pubblico e delle norme imperative.
d) corrispondere immediatamente a ogni richiesta organizzativa del responsabile dell'organismo.
3. Su istanza di parte, il responsabile dell'organismo provvede alla eventuale sostituzione del mediatore. Il regolamento individua la diversa competenza a decidere sull'istanza, quando la mediazione è svolta dal responsabile dell'organismo.



Art. 15 (Mediazione nell'azione di classe)

1. Quando è esercitata l'azione di classe prevista dall'articolo 140-bis del codice del consumo, di cui al decreto legislativo 6 settembre 2005, n. 206, e successive modificazioni, la conciliazione, intervenuta dopo la scadenza del termine per l'adesione, ha effetto anche nei confronti degli aderenti che vi abbiano espressamente consentito.



Capo III - ORGANISMI DI CONCILIAZIONE


1. Gli enti pubblici o privati, che diano garanzie di serietà ed efficienza, sono abilitati a costituire organismi deputati, su istanza della parte interessata, a gestire il procedimento di mediazione nelle materie di cui all'articolo 2 del presente decreto. Gli organismi devono essere iscritti nel registro.
2. La formazione del registro e la sua revisione, l'iscrizione, la sospensione e la cancellazione degli iscritti, l'istituzione di separate sezioni del registro per la trattazione degli affari che richiedono specifiche competenze anche in materia di consumo e internazionali, nonché la determinazione delle indennità spettanti agli organismi sono disciplinati con appositi decreti del Ministro della Giustizia . Sino all'emanazione di tali decreti si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni dei decreti del Ministro della giustizia 23 luglio 2004, n. 222 e n. 223. A tali disposizioni si conformano, sino alla medesima data, gli organismi di composizione extragiudiziale previsti dall'articolo 141 del codice del consumo, di cui al decreto legislativo 6 settembre 2005, n. 206, e successive modificazioni.
3. L'organismo, unitamente alla domanda di iscrizione nel registro, deposita presso il Ministero della giustizia il proprio regolamento di procedura e comunica successivamente le eventuali variazioni. Nel regolamento devono essere previste, fermo quanto stabilito dal presente decreto, le procedure telematiche eventualmente utilizzate dall'organismo, in modo da assicurare la sicurezza delle comunicazioni e il rispetto della riservatezza dei dati. Al regolamento devono essere allegate le tabelle delle indennità spettanti agli organismi costituiti da enti privati, proposte per l'approvazione a norma dell'articolo 17.
4. La vigilanza sul registro è esercitata dal Ministero della giustizia e, con riferimento alla sezione per la trattazione degli affari in materia di consumo di cui al comma 2, anche dal Ministero dello sviluppo economico. L'istituzione e la tenuta del registro avvengono nell'ambito delle risorse umane, finanziarie e strumentali già esistenti presso il Ministero della giustizia e il Ministero dello sviluppo economico, per la parte di rispettiva competenza.
5. Presso il Ministero della giustizia è istituito, con decreto ministeriale, l'albo dei formatori per la mediazione. Il decreto stabilisce i criteri per l'iscrizione, la sospensione e la cancellazione degli iscritti, nonché per lo svolgimento dell'attività di formazione. Con lo stesso decreto, è stabilita la data a decorrere dalla quale la partecipazione all'attività di formazione di cui al presente comma costituisce per il mediatore requisito di qualificazione professionale.


Art. 17 (Regime fiscale. Indennità)

1. In attuazione dell'articolo 60, comma 3, lettera o) della legge 18 giugno 2009, n . 69, le agevolazioni fiscali previste dal presente articolo, commi 2 e 3, e dall'articolo 20, rientrano tra le finalità del Ministero della Giustizia finanziabili con la parte delle risorse affluite al Fondo Unico Giustizia attribuite al predetto Ministero, ai sensi del comma 7 dell'articolo 2 lettera b) del decreto legge 16 settembre 2008, n . 143, convertito, con modificazioni, dalla legge 13 novembre 2008, n. 181, e dei commi 3 e 4 dell'articolo 7 del decreto del Ministro dell'Economia e delle Finanze, di concerto con i Ministri della Giustizia e dell'Interno, in data 30 luglio 2009, n . 127.
2. Tutti gli atti, documenti e provvedimenti relativi al procedimento di mediazione sono esenti dall'imposta di bollo e da ogni spesa, tassa o diritto di qualsiasi specie e natura.
3. Il verbale di accordo è esente dall'imposta di registro entro il limite di valore di 51.646 euro.
4. Con il decreto di cui all'articolo 16, comma 2, sono determinati:
a) l'ammontare minimo e massimo delle indennità spettanti agli organismi pubblici e il criterio di calcolo;
b) i criteri per l'approvazione delle tabelle, delle indennità proposte dagli organismi costituiti da enti privati;
c) le maggiorazioni massime delle indennità dovute, non superiori al venticinque percento, nell'ipotesi di successo della mediazione;
d) le riduzioni minime delle indennità dovute nelle ipotesi in cui la mediazione è condizione di procedibilità ai sensi dell'articolo 5, comma 1.
5. Quando la mediazione è condizione di procedibilità della domanda ai sensi dell'articolo 5, comma 1, le parti in possesso delle condizioni per l'ammissione al patrocinio a spese dello Stato, ai sensi dell'articolo 76 (L) del testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia di cui al decreto del Presidente della Repubblica del 30 maggio 2002, n. 115, sono esonerate dal pagamento dell'indennità spettante all'organismo di conciliazione. A tal fine la parte è tenuta a depositare presso l'organismo di conciliazione apposita dichiarazione sostitutiva dell'atto di notorietà, la cui sottoscrizione può essere autenticata dal medesimo mediatore, nonché a produrre, a pena di inammissibilità, se l'organismo di conciliazione lo richiede, la documentazione necessaria a comprovare la veridicità di quanto dichiarato.
6. Il Ministero della giustizia, nell'ambito delle proprie attività istituzionali, provvede al monitoraggio delle mediazioni concernenti i soggetti esonerati dal pagamento dell'indennità di mediazione. Dei risultati di tale monitoraggio si tiene conto per la determinazione, con il decreto di cui all'articolo 16, comma 2, delle indennità spettanti agli organismi pubblici di conciliazione, in modo da coprire anche il costo dell'attività prestata a favore dei soggetti aventi diritto all'esonero.
7. L'ammontare dell'indennità può essere rideterminato ogni tre anni in relazione alla variazione, accertata dall'Istituto Nazionale di Statistica, dell'indice dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e impiegati, verificatasi nel triennio precedente.
8. Alla copertura degli oneri derivanti dalle disposizioni dei commi 2 e 3, valutati in 11,7 milioni di euro a decorrere dall'anno 2010, si provvede mediante corrispondente riduzione della quota delle risorse del "Fondo unico giustizia" di cui all'articolo 2, comma 7, lettera b) del decreto-legge 16 settembre 2008, n . 143, convertito, con modificazioni, dalla legge 13 novembre 2008, n. 181, che, a tal fine, resta acquisita all'entrata del bilancio dello Stato.

 
Art. 18 (Organismi presso a tribunali)

1 I consigli degli ordini degli avvocati possono istituire organismi presso ciascun tribunale, avvalendosi di proprio personale e utilizzando i locali loro messi a disposizione dal presidente del tribunale. Gli organismi di conciliazione presso i tribunali sono iscritti al registro a semplice domanda, nel rispetto dei criteri stabiliti dai decreti di cui all'articolo 16.

Art. 19 (Organismi presso i consigli degli ordini professionali e presso le camere di commercio)

2. Gli organismi di cui al comma 1 e gli organismi istituiti ai sensi dell'articolo 2, comma 4, della legge 29 dicembre 1993, n. 580, dalle camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura sono iscritti al registro a semplice domanda, nel rispetto dei criteri stabiliti dai decreti di cui all'articolo 16.



CAPO IV - DISPOSIZIONI IN MATERIA FISCALE E INFORMATIVA

Art. 20 (Credito d'imposta)

1. Alle parti che corrispondono l'indennità ai soggetti abilitati a svolgere il procedimento di mediazione presso gli organismi di conciliazione di cui all'articolo 60 della legge 18 giugno 2009, n. 69, è riconosciuto un credito d'imposta commisurato all'indennità stessa, fino a concorrenza di euro cinquecento, determinato secondo quanto disposto dai commi 2 e 3.
2. A decorrere dal 2011, con decreto del Ministro della Giustizia, entro il 30 aprile di ciascun anno, è determinato l'ammontare delle risorse a valere sulla quota del "Fondo unico giustizia" di cui all'articolo 2, comma 7, lettera b) del decreto-legge 16 settembre 2008, n. 143, convertito, con modificazioni, dalla legge 13 novembre 2008, n. 181, destinato alla copertura delle minori entrate derivanti dalla concessione del credito d'imposta di cui al comma 1 relativo alle mediazioni concluse nell'anno precedente. Con il medesimo decreto è individuato il credito d'imposta effettivamente spettante in relazione all'importo di ciascuna mediazione in misura proporzionale alle risorse stanziate e, comunque, nei limiti dell'importo indicato al comma 1.
3. Il Ministero della Giustizia comunica all'interessato l'importo del credito d'imposta spettante entro 30 giorni dal termine indicato al comma 2 per la sua determinazione e trasmette, in via telematica, all'Agenzia delle entrate l'elenco dei beneficiari ed i relativi importi a ciascuno comunicati.
4. Il credito d'imposta deve essere indicato, a pena di decadenza, nella dichiarazione dei redditi ed è utilizzabile a decorrere dalla data di ricevimento della comunicazione di cui al comma 3, in compensazione ai sensi dell'articolo 17 del decreto legislativo 9 luglio 1997, n. 241, nonché, da parte delle persone fisiche non titolari di redditi d'impresa o di lavoro autonomo, in diminuzione delle imposte sui redditi. Il credito d'imposta non dà luogo a rimborso e non concorre alla formazione del reddito ai fini delle imposte sui redditi, né del valore della produzione netta ai fini dell'imposta regionale sulle attività produttive e non rileva ai fini del rapporto di cui agli articoli 61 e 109, comma 5, del testo unico delle imposte sui redditi, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917.
5. Ai fini della copertura finanziaria delle minori entrate derivanti dal presente articolo il Ministero della Giustizia provvede annualmente al versamento dell'importo corrispondente all'ammontare delle risorse destinate ai crediti d'imposta sulla contabilità speciale n. 1778 "Agenzia delle Entrate - Fondi di bilancio" .

Art. 21 (Informazioni al pubblico)
 
1 . Il Ministero della giustizia cura, attraverso il Dipartimento per l'informazione e l'editoria della Presidenza del Consiglio e con i fondi previsti dalla legge 7 giugno 2000, n. 150, la divulgazione al pubblico attraverso apposite campagne pubblicitarie, in particolare via internet, di informazioni sul procedimento di mediazione e sugli organismi abilitati a svolgerlo.



CAPO V - ABROGAZIONI, COORDINAMENTI E DISPOSIZIONI TRANSITORIE

Art. 22 (Obblighi di segnalazione per la prevenzione del sistema finanziario a scopo di riciclaggio e di finanziamento del terrorismo)
 
1 . All'articolo 10, comma 2, lettera e) del decreto legislativo 21 novembre 2007, n. 231, dopo il numero 5) è aggiunto il seguente: "6) mediazione, ai sensi dell'articolo 60 della legge 18 giugno 2009, n. 69 ;".

Art. 23 (Abrogazioni)
 
1. Sono abrogati gli articoli da 38 a 40 del decreto legislativo 17 gennaio 2003, n. 5, e i rinvii operati dalla legge a tali articoli si intendono riferiti alle corrispondenti disposizioni del presente decreto
2. Restano ferme le disposizioni che prevedono i procedimenti obbligatori di conciliazione e mediazione, comunque denominati.


Art. 24 (Disposizioni transitorie e finali)

1. Le disposizioni di cui all'articolo 5, comma 1, acquistano efficacia decorsi diciotto mesi dalla data di entrata in vigore del presente decreto e si applicano ai processi iniziati a decorrere dalla stessa data.
2. Il presente decreto, munito del sigillo dello Stato, sarà inserito nella Raccolta ufficiale degli atti normativi della Repubblica italiana. E' fatto obbligo a chiunque spetti di osservarlo e di farlo osservare.













1. I consigli degli ordini professionali possono istituire, per le materie riservate alla loro competenza, previa autorizzazione del Ministero della giustizia, organismi speciali, avvalendosi di proprio personale e utilizzando locali nella propria disponibilità.













Art. 16 (Organismi di conciliazione e registro. Albo dei formatori)
1. Il periodo di cui all'articolo 6 non si computa ai fini di cui all'articolo 2 della legge 24 marzo 2001, n. 89 .
1. Il procedimento di mediazione ha una durata non superiore a quattro mesi.





Art. 3 (Disciplina applicabile e forma degli atti)


Decreto di Espulsione: va tradotto in una lingua conosciuta o conoscibile dall'espellendo

Decreto di espulsione va tradotto salvo l'attestazione motivata della impossibilità





Cassazione civile , sez. I, ordinanza 07.10.2009 n° 21357 (Rocchina Staiano)











Un cittadino brasiliano può essere espulso dal territorio italiano se non conosce la lingua spagnola (tenuto conto del fatto che la lingua ufficiale del Brasile è il portoghese)?







Sul quesito si è espressa recentemente la Suprema Corte di Cassazione con l'ordinanza n. 21357 depositata il 7 ottobre u.s.







La natura del provvedimento di espulsione







Il provvedimento di espulsione, secondo il consolidato orientamento della giurisprudenza, è provvedimento obbligatorio a carattere vincolato sicchè il giudice ordinario dinanzi al quale esso venga impugnato è tenuto unicamente a controllare l'esistenza, al momento dell'espulsione, dei requisiti di legge che ne impongono l'emanazione, i quali consistono nella mancata richiesta in assenza di cause di giustificazione del permesso di soggiorno, ovvero nella sua revoca od annullamento o nella mancata tempestiva richiesta di rinnovo che ne abbia comportato il diniego.







Non è invece consentita al giudice investito dell'impugnazione del provvedimento di espulsione alcuna valutazione sulla legittimità del provvedimento del questore che abbia rifiutato, revocato o annullato il permesso di soggiorno ovvero ne abbia negato il rinnovo poichè tale sindacato spetta al giudice amministrativo, la cui decisione non costituisce in alcun modo un antecedente logico della decisione sul decreto di espulsione.







Sull’argomento, la giurisprudenza (Cass. civ., sez. un., 18 ottobre 2005, n. 20125; Cass. civ., sez. I, 29 dicembre 2005, n. 28869; Cass. civ., sez. un., 16 ottobre 2006, n. 22217; Cass. civ., sez. un., 23 ottobre 2006, n. 22663) ritiene che il giudice dell'espulsione è tenuto solo a verificare la carenza di un titolo che giustifichi la presenza dello “straniero” sul territorio nazionale, non anche la regolarità dell'azione amministrativa svolta al riguardo, le cui carenze non possono essere dedotte come motivo di impugnazione dell'espulsione.







Ne consegue che la pendenza del giudizio promosso dinanzi al giudice amministrativo per l'impugnazione dei predetti provvedimenti negativi non giustifica la sospensione e la cessazione del processo instaurato dinanzi al giudice ordinario con l'impugnazione del decreto di espulsione del prefetto attesa la carenza di pregiudizialità giuridica necessaria tra il processo amministrativo e quello civile (Contra Cass. civ., 20 giugno 2000, n. 8381).















Traduzione del decreto di espulsione ed art. 13, comma 7, del D.Lgs. 286/1998







In punto di fatto è il caso di osservare che l'Ufficio territoriale del Governo di Savona, in persona del Prefetto pro-tempore, ha proposto ricorso per cassazione avverso l'ordinanza in data 26 febbraio 2007 con cui il Giudice di pace di Savona, in accoglimento dell'opposizione proposta dalla cittadina brasiliana, ha annullato il provvedimento di espulsione emesso, nei suoi confronti, dal Prefetto di Savona il 10 maggio 2006.







Secondo i giudici di legittimità, il provvedimento del questore notificato non risultava redatto in una lingua conosciuta dalla straniera, così come richiede il D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 13, comma 7, ma, stante l'impossibilità di reperire un traduttore di lingua portoghese, lingua ufficiale del Brasile, era stato redatto in lingua italiana e spagnola, sulla presunzione che l'espellenda conoscesse tali idiomi. Inoltre, la giustificazione dell’impossibilità della immediata disponibilità di un traduttore ed interprete ufficiale nella lingua madre della cittadina straniera, e della sufficienza di essa a rendere valido il decreto, è proposta per la prima volta in cassazione, non risultando che di essa si sia discusso nel giudizio di merito.







Di qui l'illegittimità del provvedimento per difetto di motivazione in ordine alla scelta di una delle lingue di redazione dell'atto (l'art. 13, comma 7 prescrive infatti che l'ordine del questore deve essere tradotto allo straniero "in una lingua da lui conosciuta, ovvero, ove non sia possibile, in lingua francese inglese o spagnola").







Ciò premesso, si osserva che il comma 7, dell'art. 13 del D.Lgs. 286/1998 pone una norma di civiltà giuridica, affermando che il decreto di espulsione - come pure il provvedimento con cui lo straniero viene introdotto temporaneamente in un centro di accoglienza (art. 14, comma 1), nonchè ogni altro atto concernente l'ingresso in Italia, il soggiorno o l'espulsione - devono essere comunicati all'interessato, unitamente all'indicazione delle modalità di impugnazione e a una traduzione in una lingua da lui conosciuta, ovvero, ove non sia possibile, in lingua francese, inglese o spagnola.







Dalla disposizione in esame si evince che l'obbligo di traduzione del provvedimento del questore in una lingua conosciuta dallo straniero non è assoluto, ma è derogabile tutte le volte in cui l'autorità amministrativa attesti e specifichi le ragioni tecnico-organizzative per le quali tale traduzione non sia possibile e si imponga per l'effetto la traduzione in una delle tre lingue predeterminate dalla norma (francese, inglese, spagnolo).







Va da sè che tale attestazione deve riguardare la lingua conosciuta dallo straniero espellendo, una lingua evidentemente diversa da una di quelle cd. internazionali (francese, inglese, spagnolo). Ciò significa che l'autorità amministrativa, nel disporre la traduzione del provvedimento in una delle tre lingue specificamente indicate come obbligatorie, deve accertare preventivamente quale di queste tre lingue sia conosciuta dallo straniero, qualora non sia possibile eseguire la traduzione nella sua lingua madre.







Una traduzione in una delle tre lingue comuni e più diffuse come quelle indicate (francese, inglese, spagnolo) che non sia accompagnata da alcun accertamento preventivo sul punto è destinato ad inficiare la regolarità della traduzione e quindi del provvedimento amministrativo, e questo perchè la ratio della norma è proprio quella di assicurare allo straniero la comprensione della misura e l'apprestamento della sua difesa (Cass. civ., Sez. 1, 7 luglio 2000, n. 9078).







Esplicita sul punto si è mostrata anche la Corte costituzionale che, pur dichiarando manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 13, comma 7 nella parte in cui non prevede l'obbligatorietà della traduzione del decreto di espulsione notificato allo straniero nella sua lingua madre, ha tuttavia evidenziato che spetta al giudice di merito verificare se il provvedimento di espulsione sia stato tradotto in una lingua conosciuta o conoscibile dallo straniero, al fine di accertare se l'atto ha raggiunto o meno lo scopo cui è preordinato (Corte Cost., 8-21 luglio 2004, n. 257).







Ne consegue che la traduzione si configura come condizione di validità del provvedimento e che l'emissione del provvedimento in lingua italiana accompagnato dalla traduzione in una delle tre lingue dianzi indicate (francese, inglese, spagnolo) presuppone, a pena di invalidità del decreto, l'acquisizione della prova della conoscenza da parte dello straniero di una di queste lingue.











(Altalex, 6 novembre 2009. Nota di Rocchina Staiano)













decreto di espulsione

Rocchina Staiano













SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE







SEZIONE I CIVILE







Ordinanza 22 maggio - 7 ottobre 2009, n. 21357







(Presidente Salmè - Relatore Giusti)







Ritenuto











che il relatore designato, nella relazione depositata il 13 febbraio 2009, ha formulato la seguente proposta di definizione:







“L'Ufficio territoriale del Governo di Savona, in persona del Prefetto pro-tempore, ha proposto ricorso per cassazione avverso l'ordinanza in data 26 febbraio 2007 con cui il Giudice di pace di Savona, in accoglimento dell'opposizione proposta dalla cittadina brasiliana S. C. A. P., ha annullato il provvedimento di espulsione emesso, nei suoi confronti, dal Prefetto di Savona il 10 maggio 2006.







Il ricorso dell'Ufficio territoriale è affidato a quattro motivi di censura.







L'intimata non ha svolto attività difensiva in questa sede.







Il primo ed il quarto motivo sono manifestamente fondati. Per un verso, non rileva la circostanza, valorizzata invece dal giudice a quo, che la straniera, durante la sua breve permanenza in Italia, abbia espletato una attività lavorativa e condotto una vita dignitosa: secondo la giurisprudenza di questa Corte (Sez. I, 25 febbraio 2004, n. 3746), nell'ipotesi di espulsione dello straniero che si trattenga nel territorio dello Stato senza avere chiesto il permesso di soggiorno nel termine prescritto, il decreto di espulsione costituisce un atto a carattere vincolato, la cui adozione non richiede dunque l'accertamento e la valutazione da parte del prefetto della ricorrenza di ulteriori ragioni giustificative dell'adozione della misura. Per l'altro verso, contrariamente a quanto ritenuto dal giudice a quo, all'omessa consegna al cittadino straniero, al momento del suo ingresso in territorio italiano, della nota scritta illustrativa dei suoi diritti e dei suoi doveri relativi all'ingresso ed al soggiorno in Italia, prevista dall'art. 4, comma 2, del d.lgs. n. 286 del 1998, non è espressamente collegato alcun effetto sanzionatorio e deve escludersi che da tale violazione possa inferirsi l'efficacia sanante della condizione d'irregolarità del soggiorno in Italia dello straniero privo di regolare permesso, giacché la scelta dello straniero di fare ingresso in Italia per motivi di turismo comporta l'insorgenza, a carico del medesimo, dell'onere di assumere informazioni circa la normativa vigente in Italia (cfr. Cass., Sez. I, 16 marzo 2006, n. 5825).







Il secondo motivo di ricorso è manifestamente fondato.







Il Giudice di pace ha annullato il provvedimento prefettizio - tradotto in spagnolo - per mancata traduzione nella lingua madre (il portoghese) dell'espulsa. Il Giudice di pace non ha preso in considerazione l'attestazione dell'Amministrazione circa l'impossibilità di reperire in tempi brevi un interprete di lingua conosciuta dalla persona straniera. Il Giudice di pace si è cosi allontanato dal principio di diritto - costante nella giurisprudenza di questa Corte (Sez. I, 29 novembre 2006, n. 25362) - secondo cui, in tema di espulsione amministrativa dello straniero, l'obbligo dell'autorità procedente di tradurre la copia del relativo decreto nella lingua conosciuta dallo straniero stesso è derogabile tutte le volte in cui detta autorità attesti e specifichi le ragioni per le quali tale operazione sia impossibile e si imponga la traduzione nelle lingue predeterminate dalla norma di cui all'art. 13, comma 7, del d.lgs. 286 del 1998 (francese, inglese, spagnolo), atteso che tale attestazione è nel contempo, condizione non solo necessaria, ma anche sufficiente a che il decreto di espulsione risulti immune da vizi di nullità senza che il giudice di merito possa ritenersi autorizzato a sindacare le scelte della P.A. in termini di concrete possibilità di effettuare immediate traduzioni nella lingua dell'espellendo. In particolare, come chiarito dall'art. 3 del d.P.R. n. 334 del 2004, che detta norme regolamentari e di attuazione del citato art. 13, comma 7, del d.lgs. n. 286 del 1998, sempre che il giudice non accerti la sufficiente conoscenza da parte dello straniero della lingua italiana, l'attestazione da parte dell'autorità procedente della indisponibilità di personale idoneo alla traduzione nella lingua conosciuta dallo straniero della sintesi del contenuto del decreto di espulsione è condizione sufficiente per la validità della traduzione in una delle predette tre lingue, per le quali l'interessato abbia indicato preferenza.







Anche il terzo motivo appare manifestamente fondato, perché il provvedimento del questore di intimazione a lasciare il territorio dello Stato entro cinque giorni non è soggetto a convalida da parte del giudice ordinario. È costante nella giurisprudenza di questa Corte (Sez. Un., 18 ottobre 2005, n. 20121) il principio secondo cui il provvedimento con il quale il questore, ai sensi dell'art. 14, comma 5-bis, del d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286, ordina allo straniero colpito da provvedimento prefettizio di espulsione di lasciare il territorio dello Stato entro cinque giorni, non è suscettibile di autonoma impugnazione davanti all'autorità giudiziaria ordinaria con il procedimento previsto per l'opposizione all'espulsione dall'art. 13 del medesimo d.lgs., non essendo ammissibile una indeterminata espansione dei mezzi di tutela tassativamente indicati dalla legge. Né ciò comporta una carenza di tutela giurisdizionale, in quanto, da un lato, la predetta intimazione non incide sulla liberta personale dell'espulso (non ristretto presso un centro di permanenza temporanea, né sottoposto all'accompagnamento coattivo alla frontiera) e, pertanto, non comporta l'adozione degli strumenti giurisdizionali di controllo espressamente previsti per le convalide delle misure restrittive; dall'altro, il controllo sulla sussistenza dei presupposti per adottare l'intimazione è demandato al giudice penale nell'ambito del giudizio sull'imputazione ascritta al soggetto espulso che si sia trattenuto senza giustificato motivo nel territorio dello Stato in violazione dell'ordine impartito dal questore, potendo, in quella sede, l'autorità giudiziaria disapplicare, ai sensi dell'art. 5 della legge 20 marzo 1865, n. 2248, all. E, l'atto presupposto che sia stato assunto illegittimamente”.











Considerato











che il Collegio non condivide la proposta di definizione contenuta nella relazione depositata;







che, in particolare, con riferimento alla questione della mancata traduzione, articolata con il secondo motivo, il Giudice di pace ha rilevato che il decreto prefettizio è stato redatto in lingua italiana e spagnola, sulla presunzione che l'espellenda conoscesse tali idiomi, mentre la lingua conosciuta dalla stessa risulta essere quella portoghese, lingua ufficiale del Brasile;







che la questione della presenza, nella relata di notifica del decreto di espulsione, di una attestazione della Amministrazione nel senso della impossibilità della immediata disponibilità di un traduttore ed interprete ufficiale nella lingua madre della cittadina straniera, e della sufficienza di essa a rendere valido il decreto, è proposta per la prima volta in cassazione, non risultando che di essa si sia discusso nel giudizio di merito;







che, quindi, il motivo che veicola detta censura è inammissibile;







che, pertanto, poiché nell'ordinanza del Giudice di pace la mancata traduzione del decreto di espulsione è ragione sufficiente della invalidità dello stesso e, in questa parte, la pronuncia impugnata si sottrae alla censura dell'Amministrazione, il ricorso, nel suo complesso, va respinto, restando assorbito l'esame delle altre doglianze;







che nessuna pronuncia sulle spese deve essere emessa, non avendo l'intimata svolto attività difensiva in questa sede.







P.Q.M.







La Corte rigetta il ricorso.

Decreto di Espulsione: va tradotto in una lingua conosciuta o conoscibile dall'espellendo

Decreto di espulsione va tradotto salvo l'attestazione motivata della impossibilità


Cassazione civile , sez. I, ordinanza 07.10.2009 n° 21357 (Rocchina Staiano)





Un cittadino brasiliano può essere espulso dal territorio italiano se non conosce la lingua spagnola (tenuto conto del fatto che la lingua ufficiale del Brasile è il portoghese)?



Sul quesito si è espressa recentemente la Suprema Corte di Cassazione con l'ordinanza n. 21357 depositata il 7 ottobre u.s.



La natura del provvedimento di espulsione



Il provvedimento di espulsione, secondo il consolidato orientamento della giurisprudenza, è provvedimento obbligatorio a carattere vincolato sicchè il giudice ordinario dinanzi al quale esso venga impugnato è tenuto unicamente a controllare l'esistenza, al momento dell'espulsione, dei requisiti di legge che ne impongono l'emanazione, i quali consistono nella mancata richiesta in assenza di cause di giustificazione del permesso di soggiorno, ovvero nella sua revoca od annullamento o nella mancata tempestiva richiesta di rinnovo che ne abbia comportato il diniego.



Non è invece consentita al giudice investito dell'impugnazione del provvedimento di espulsione alcuna valutazione sulla legittimità del provvedimento del questore che abbia rifiutato, revocato o annullato il permesso di soggiorno ovvero ne abbia negato il rinnovo poichè tale sindacato spetta al giudice amministrativo, la cui decisione non costituisce in alcun modo un antecedente logico della decisione sul decreto di espulsione.



Sull’argomento, la giurisprudenza (Cass. civ., sez. un., 18 ottobre 2005, n. 20125; Cass. civ., sez. I, 29 dicembre 2005, n. 28869; Cass. civ., sez. un., 16 ottobre 2006, n. 22217; Cass. civ., sez. un., 23 ottobre 2006, n. 22663) ritiene che il giudice dell'espulsione è tenuto solo a verificare la carenza di un titolo che giustifichi la presenza dello “straniero” sul territorio nazionale, non anche la regolarità dell'azione amministrativa svolta al riguardo, le cui carenze non possono essere dedotte come motivo di impugnazione dell'espulsione.



Ne consegue che la pendenza del giudizio promosso dinanzi al giudice amministrativo per l'impugnazione dei predetti provvedimenti negativi non giustifica la sospensione e la cessazione del processo instaurato dinanzi al giudice ordinario con l'impugnazione del decreto di espulsione del prefetto attesa la carenza di pregiudizialità giuridica necessaria tra il processo amministrativo e quello civile (Contra Cass. civ., 20 giugno 2000, n. 8381).







Traduzione del decreto di espulsione ed art. 13, comma 7, del D.Lgs. 286/1998



In punto di fatto è il caso di osservare che l'Ufficio territoriale del Governo di Savona, in persona del Prefetto pro-tempore, ha proposto ricorso per cassazione avverso l'ordinanza in data 26 febbraio 2007 con cui il Giudice di pace di Savona, in accoglimento dell'opposizione proposta dalla cittadina brasiliana, ha annullato il provvedimento di espulsione emesso, nei suoi confronti, dal Prefetto di Savona il 10 maggio 2006.



Secondo i giudici di legittimità, il provvedimento del questore notificato non risultava redatto in una lingua conosciuta dalla straniera, così come richiede il D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 13, comma 7, ma, stante l'impossibilità di reperire un traduttore di lingua portoghese, lingua ufficiale del Brasile, era stato redatto in lingua italiana e spagnola, sulla presunzione che l'espellenda conoscesse tali idiomi. Inoltre, la giustificazione dell’impossibilità della immediata disponibilità di un traduttore ed interprete ufficiale nella lingua madre della cittadina straniera, e della sufficienza di essa a rendere valido il decreto, è proposta per la prima volta in cassazione, non risultando che di essa si sia discusso nel giudizio di merito.



Di qui l'illegittimità del provvedimento per difetto di motivazione in ordine alla scelta di una delle lingue di redazione dell'atto (l'art. 13, comma 7 prescrive infatti che l'ordine del questore deve essere tradotto allo straniero "in una lingua da lui conosciuta, ovvero, ove non sia possibile, in lingua francese inglese o spagnola").



Ciò premesso, si osserva che il comma 7, dell'art. 13 del D.Lgs. 286/1998 pone una norma di civiltà giuridica, affermando che il decreto di espulsione - come pure il provvedimento con cui lo straniero viene introdotto temporaneamente in un centro di accoglienza (art. 14, comma 1), nonchè ogni altro atto concernente l'ingresso in Italia, il soggiorno o l'espulsione - devono essere comunicati all'interessato, unitamente all'indicazione delle modalità di impugnazione e a una traduzione in una lingua da lui conosciuta, ovvero, ove non sia possibile, in lingua francese, inglese o spagnola.



Dalla disposizione in esame si evince che l'obbligo di traduzione del provvedimento del questore in una lingua conosciuta dallo straniero non è assoluto, ma è derogabile tutte le volte in cui l'autorità amministrativa attesti e specifichi le ragioni tecnico-organizzative per le quali tale traduzione non sia possibile e si imponga per l'effetto la traduzione in una delle tre lingue predeterminate dalla norma (francese, inglese, spagnolo).



Va da sè che tale attestazione deve riguardare la lingua conosciuta dallo straniero espellendo, una lingua evidentemente diversa da una di quelle cd. internazionali (francese, inglese, spagnolo). Ciò significa che l'autorità amministrativa, nel disporre la traduzione del provvedimento in una delle tre lingue specificamente indicate come obbligatorie, deve accertare preventivamente quale di queste tre lingue sia conosciuta dallo straniero, qualora non sia possibile eseguire la traduzione nella sua lingua madre.



Una traduzione in una delle tre lingue comuni e più diffuse come quelle indicate (francese, inglese, spagnolo) che non sia accompagnata da alcun accertamento preventivo sul punto è destinato ad inficiare la regolarità della traduzione e quindi del provvedimento amministrativo, e questo perchè la ratio della norma è proprio quella di assicurare allo straniero la comprensione della misura e l'apprestamento della sua difesa (Cass. civ., Sez. 1, 7 luglio 2000, n. 9078).



Esplicita sul punto si è mostrata anche la Corte costituzionale che, pur dichiarando manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 13, comma 7 nella parte in cui non prevede l'obbligatorietà della traduzione del decreto di espulsione notificato allo straniero nella sua lingua madre, ha tuttavia evidenziato che spetta al giudice di merito verificare se il provvedimento di espulsione sia stato tradotto in una lingua conosciuta o conoscibile dallo straniero, al fine di accertare se l'atto ha raggiunto o meno lo scopo cui è preordinato (Corte Cost., 8-21 luglio 2004, n. 257).



Ne consegue che la traduzione si configura come condizione di validità del provvedimento e che l'emissione del provvedimento in lingua italiana accompagnato dalla traduzione in una delle tre lingue dianzi indicate (francese, inglese, spagnolo) presuppone, a pena di invalidità del decreto, l'acquisizione della prova della conoscenza da parte dello straniero di una di queste lingue.





(Altalex, 6 novembre 2009. Nota di Rocchina Staiano)






decreto di espulsione
Rocchina Staiano






SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE



SEZIONE I CIVILE



Ordinanza 22 maggio - 7 ottobre 2009, n. 21357



(Presidente Salmè - Relatore Giusti)



Ritenuto





che il relatore designato, nella relazione depositata il 13 febbraio 2009, ha formulato la seguente proposta di definizione:



“L'Ufficio territoriale del Governo di Savona, in persona del Prefetto pro-tempore, ha proposto ricorso per cassazione avverso l'ordinanza in data 26 febbraio 2007 con cui il Giudice di pace di Savona, in accoglimento dell'opposizione proposta dalla cittadina brasiliana S. C. A. P., ha annullato il provvedimento di espulsione emesso, nei suoi confronti, dal Prefetto di Savona il 10 maggio 2006.



Il ricorso dell'Ufficio territoriale è affidato a quattro motivi di censura.



L'intimata non ha svolto attività difensiva in questa sede.



Il primo ed il quarto motivo sono manifestamente fondati. Per un verso, non rileva la circostanza, valorizzata invece dal giudice a quo, che la straniera, durante la sua breve permanenza in Italia, abbia espletato una attività lavorativa e condotto una vita dignitosa: secondo la giurisprudenza di questa Corte (Sez. I, 25 febbraio 2004, n. 3746), nell'ipotesi di espulsione dello straniero che si trattenga nel territorio dello Stato senza avere chiesto il permesso di soggiorno nel termine prescritto, il decreto di espulsione costituisce un atto a carattere vincolato, la cui adozione non richiede dunque l'accertamento e la valutazione da parte del prefetto della ricorrenza di ulteriori ragioni giustificative dell'adozione della misura. Per l'altro verso, contrariamente a quanto ritenuto dal giudice a quo, all'omessa consegna al cittadino straniero, al momento del suo ingresso in territorio italiano, della nota scritta illustrativa dei suoi diritti e dei suoi doveri relativi all'ingresso ed al soggiorno in Italia, prevista dall'art. 4, comma 2, del d.lgs. n. 286 del 1998, non è espressamente collegato alcun effetto sanzionatorio e deve escludersi che da tale violazione possa inferirsi l'efficacia sanante della condizione d'irregolarità del soggiorno in Italia dello straniero privo di regolare permesso, giacché la scelta dello straniero di fare ingresso in Italia per motivi di turismo comporta l'insorgenza, a carico del medesimo, dell'onere di assumere informazioni circa la normativa vigente in Italia (cfr. Cass., Sez. I, 16 marzo 2006, n. 5825).



Il secondo motivo di ricorso è manifestamente fondato.



Il Giudice di pace ha annullato il provvedimento prefettizio - tradotto in spagnolo - per mancata traduzione nella lingua madre (il portoghese) dell'espulsa. Il Giudice di pace non ha preso in considerazione l'attestazione dell'Amministrazione circa l'impossibilità di reperire in tempi brevi un interprete di lingua conosciuta dalla persona straniera. Il Giudice di pace si è cosi allontanato dal principio di diritto - costante nella giurisprudenza di questa Corte (Sez. I, 29 novembre 2006, n. 25362) - secondo cui, in tema di espulsione amministrativa dello straniero, l'obbligo dell'autorità procedente di tradurre la copia del relativo decreto nella lingua conosciuta dallo straniero stesso è derogabile tutte le volte in cui detta autorità attesti e specifichi le ragioni per le quali tale operazione sia impossibile e si imponga la traduzione nelle lingue predeterminate dalla norma di cui all'art. 13, comma 7, del d.lgs. 286 del 1998 (francese, inglese, spagnolo), atteso che tale attestazione è nel contempo, condizione non solo necessaria, ma anche sufficiente a che il decreto di espulsione risulti immune da vizi di nullità senza che il giudice di merito possa ritenersi autorizzato a sindacare le scelte della P.A. in termini di concrete possibilità di effettuare immediate traduzioni nella lingua dell'espellendo. In particolare, come chiarito dall'art. 3 del d.P.R. n. 334 del 2004, che detta norme regolamentari e di attuazione del citato art. 13, comma 7, del d.lgs. n. 286 del 1998, sempre che il giudice non accerti la sufficiente conoscenza da parte dello straniero della lingua italiana, l'attestazione da parte dell'autorità procedente della indisponibilità di personale idoneo alla traduzione nella lingua conosciuta dallo straniero della sintesi del contenuto del decreto di espulsione è condizione sufficiente per la validità della traduzione in una delle predette tre lingue, per le quali l'interessato abbia indicato preferenza.



Anche il terzo motivo appare manifestamente fondato, perché il provvedimento del questore di intimazione a lasciare il territorio dello Stato entro cinque giorni non è soggetto a convalida da parte del giudice ordinario. È costante nella giurisprudenza di questa Corte (Sez. Un., 18 ottobre 2005, n. 20121) il principio secondo cui il provvedimento con il quale il questore, ai sensi dell'art. 14, comma 5-bis, del d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286, ordina allo straniero colpito da provvedimento prefettizio di espulsione di lasciare il territorio dello Stato entro cinque giorni, non è suscettibile di autonoma impugnazione davanti all'autorità giudiziaria ordinaria con il procedimento previsto per l'opposizione all'espulsione dall'art. 13 del medesimo d.lgs., non essendo ammissibile una indeterminata espansione dei mezzi di tutela tassativamente indicati dalla legge. Né ciò comporta una carenza di tutela giurisdizionale, in quanto, da un lato, la predetta intimazione non incide sulla liberta personale dell'espulso (non ristretto presso un centro di permanenza temporanea, né sottoposto all'accompagnamento coattivo alla frontiera) e, pertanto, non comporta l'adozione degli strumenti giurisdizionali di controllo espressamente previsti per le convalide delle misure restrittive; dall'altro, il controllo sulla sussistenza dei presupposti per adottare l'intimazione è demandato al giudice penale nell'ambito del giudizio sull'imputazione ascritta al soggetto espulso che si sia trattenuto senza giustificato motivo nel territorio dello Stato in violazione dell'ordine impartito dal questore, potendo, in quella sede, l'autorità giudiziaria disapplicare, ai sensi dell'art. 5 della legge 20 marzo 1865, n. 2248, all. E, l'atto presupposto che sia stato assunto illegittimamente”.





Considerato





che il Collegio non condivide la proposta di definizione contenuta nella relazione depositata;



che, in particolare, con riferimento alla questione della mancata traduzione, articolata con il secondo motivo, il Giudice di pace ha rilevato che il decreto prefettizio è stato redatto in lingua italiana e spagnola, sulla presunzione che l'espellenda conoscesse tali idiomi, mentre la lingua conosciuta dalla stessa risulta essere quella portoghese, lingua ufficiale del Brasile;



che la questione della presenza, nella relata di notifica del decreto di espulsione, di una attestazione della Amministrazione nel senso della impossibilità della immediata disponibilità di un traduttore ed interprete ufficiale nella lingua madre della cittadina straniera, e della sufficienza di essa a rendere valido il decreto, è proposta per la prima volta in cassazione, non risultando che di essa si sia discusso nel giudizio di merito;



che, quindi, il motivo che veicola detta censura è inammissibile;



che, pertanto, poiché nell'ordinanza del Giudice di pace la mancata traduzione del decreto di espulsione è ragione sufficiente della invalidità dello stesso e, in questa parte, la pronuncia impugnata si sottrae alla censura dell'Amministrazione, il ricorso, nel suo complesso, va respinto, restando assorbito l'esame delle altre doglianze;



che nessuna pronuncia sulle spese deve essere emessa, non avendo l'intimata svolto attività difensiva in questa sede.



P.Q.M.



La Corte rigetta il ricorso.

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