martedì 18 agosto 2009

Impianti per l'energia rinnovabile: verifica preventiva archeologica edefinizione di "mobilità-precarietà" di un manufatto ai fini urbanistico-edilizi

Impianti di energia rinnovabile e verifica preventiva dell’interesse archeologico
TAR Lecce-Puglia, sez. I, sentenza 18.07.2009 n° 1890 (Alfredo Matranga)

Anche per gli impianti di energia rinnovabile trova applicazione il principio della verifica preventiva dell’interesse archeologico.

E' con questo principio che Tar Lecce ha accolto il ricorso qualora sull’area, anche in assenza di specifici vincoli, risulti attestata sulla base di documentazione attendibile la presenza di seri “indizi di culturalità”, ossia di elementi di rilevante interesse archeologico.

Per li Tar in tema di realizzazione di impianti di energia rinnovabile, sussiste la violazione dell’art. 12 comma 7, d.lgs. 29 dicembre 2003, n. 387, quando le amministrazioni partecipanti al procedimento de quo non hanno tenuto adeguatamente conto della sussistenza di fondamentali aspetti di carattere storico-antropologico e culturale.

Peraltro, per Tar da un lato:

  • il parere di conformità alla normativa antincendio necessario per tutti gli impianti di produzione di energia elettrica rientranti nell’elenco di cui al D.M. 16 febbraio 1982 deve essere acquisito per gli impianti di energia rinnovabile, preventivamente, o comunque all’interno della apposita conferenza di servizi;
  • dall'altro il concetto di precarietà (mobilità) di un manufatto o di un impianto dipende non già dal suo sistema di ancoraggio, ma dalla sua idoneità a determinare una stabile trasformazione del territorio, sicché tale carattere va escluso quando trattasi di un impianto di energia rinnovabile.

(Altalex, 4 agosto 2009. Nota di Alfredo Matranga)



T.A.R.

Puglia - Lecce

Sezione I

Sentenza 18 luglio 2009, n. 1890

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia

Lecce - Sezione Prima

ha pronunciato la presente

SENTENZA

Sul ricorso numero di registro generale 418 del 2009, proposto da:

X., rappresentato e difeso dagli avv. Andrea Memmo, Valeria Pellegrino, con domicilio eletto presso Valeria Pellegrino in Lecce, via Augusto Imperatore, 16;

contro

Regione Puglia, rappresentato e difeso dall'avv. Antonella Loffredo, con domicilio eletto presso Antonella Loffredo in Lecce, via Moro, 1;
comune di Giuggianello, non costituito;
comune di Minervino, non costituito;
comune di Muro Leccese, non costituito;
comune di Palmariggi, non costituito;
ARPA Puglia, non costituita;
Soprintendenza per i beni archeologici della Puglia, Ministero della Difesa, Ministero dell'Interno, Ministero per i beni e le attività culturali, Soprintendenza per i beni paesaggistici, Ministero delle Politiche Agricole e Forestali, Ministero delle Comunicazioni, Ente Nazionale Aviazione Civile - Enac, tutti rappresentati e difesi dall'Avvocatura dello Stato, domiciliata per legge in Lecce, via Rubichi;

nei confronti di

Wind Service S.r.l., rappresentata e difesa dagli avv.ti Luigi Mariano, Luigi Quinto e Pietro Quinto, con domicilio eletto presso Pietro Quinto in Lecce, via Garibaldi 43;
Gestore della Rete di Trasmissione Nazionale Spa, Enel Distribuzione, Autorità di Bacino della Puglia, Anas, tutti non costituiti;

e con l'intervento di

ad adiuvandum:
Unione Terre D'Oriente, rappresentato e difeso dagli avv.ti Andrea Memmo e Valeria Pellegrino, con domicilio eletto presso Valeria Pellegrino in Lecce, via Augusto Imperatore, 16;
Provincia di Lecce, rappresentato e difeso dagli avv.ti Maria Giovanna Capoccia e Francesca Testi, con domicilio eletto presso Maria Giovanna Capoccia in Lecce, Ufficio Legale C/Amm.Ne Prov.Le;

per l'annullamento

previa sospensione dell'efficacia,

della determinazione del Dirigente Servizio Industria della Regione Puglia 10.10.2008 n. 1065, pubblicata sul BURP 31.12.2008 n. 204, avente ad oggetto Autorizzazione Unica alla costruzione ed esercizio di un impianto di produzione di energia elettrica da fonte eolica della potenza di 24,00 MW, e delle opere connesse e delle infrastrutture indispensabili alla costruzione dell’impianto stesso da realizzarsi nel Comune di Giuggianello (Le), ai sensi del comma 3 dell’articolo 12 del Decreto Legislativo 387 del 2003, ad opera della Società Wind Service Srl, con sede legale in Soleto (Le); di tutti gli atti e i provvedimenti istruttori richiamati nella stessa determinazione ivi compresi gli atti di definizione della conferenza di servizi e tra questi in particolare di: verbale 16.12.04 della conferenza di servizi, nota 15.6.05 n. 38/4324 del Settore Industria e Energia della Reg. Puglia (sconosciuta dalla ricorrente), determinazione dirigenziale 15.2.06 n. 83 del Settore Ecologia della Reg. Puglia, verbale 6.12.06 della conferenza di servizi (sconosciuto dalla ricorrente), nota 19.12.2006 n. 11373 del Ministero per i Beni Culturali e le Attività Culturali di Lecce; nota ASL Le 2 - Maglie prot. N. 2021 del 16 dicembre 2004, nota prot. 6633 del 12 novembre 2004 del Corpo Forestale dello Stato Coordinamento Provinciale di Lecce (sconosciuta dalla ricorrente); nota prot. n. DD/P2003014383 del 4.11.2003 di Enel - Divisione Infrastrutture e Reti – Roma, nota prot. n. 46009 del 22.11.2006 della Provincia di Lecce - Servizio Strade (sconosciuta dalla ricorrente), parere favorevole del Comune di Giuggianello (di estremi e contenuti sconosciuti), nota prot. n. RGC-16/43/49069/2/240/04 del 27.12.2004 della Aeronautica Militare 16° Reparto Genio Campale - Ufficio Demanio (sconosciuta dalla ricorrente); nota del Ministero delle Comunicazioni - Bari prot. n. IT-BA/2-IE/VIE/7947 del 13 novembre 2006 (sconosciuta dalla ricorrente), nota del Comando Reclutamento e Forze di Completamento “Puglia” Prot. n. M_D E 23161/0003006 del 27.2.2007 (sconosciuta dalla ricorrente), note Arpa Puglia Bari, prot. n. 17701 del 13.12.2006 (sconosciute dalla ricorrente); deliberazione di Giunta Comunale n. 136 del 29.11.2007 del Comune di Minervino di Lecce, deliberazione del Consiglio Comunale n. 7 del 29.4.2008 del Comune di Palmariggi, nota prot. N. 7181 del 15.11.2006 della Autorità di Bacino della Puglia, nota del Consorzio di Bonifica Ugento Li Foggi prot. N. 186 del 18.1.2007, tutte sconosciute dalla ricorrente; verbale 6.12.2006 della conferenza di servizi (sconosciuto dalla ricorrente), nota 9.1.07 n. 38/192 del Settore Industria della Regione Puglia, determinazione dirigenziale 11.12.2007 n. 631 del Settore Ecologia della Regione Puglia, autorizzazione paesaggistica 7.7.2008 n. 1447/2008 del Comune di Giuggianello (sconosciuta dalla ricorrente), atto di impegno 24.4.08 e atto di convenzione 24.4.08 tra Regione Puglia-Comune di Giuggianello-Wind Service s.r.l.; nonché ancora dei pareri 11.6.07 e 12.6.07 del Responsabile dell’UTC del Comune di Giuggianello, delle note 26.10.06 e 29.11.06 del Responsabile dell’UTC del Comune di Giuggianello, della nota 19.12.06 n. 11373 della Soprintendenza BBAACC, della nota 17.01.08 n. 448 del Dirigente Settore Industria della Regione Puglia, dell’atto 10.6.03 del Responsabile dell’UTC del Comune di Giuggianello; di ogni altro atto presupposto, connesso, collegato e/o consequenziale;.

Visto il ricorso con i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio della Regione Puglia;

Visto l'atto di costituzione in giudizio della Provincia di Lecce;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero della Difesa;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero dell'Interno;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero per i beni e le attività culturali – Soprintendenza per i beni archeologici;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero delle Politiche Agricole e Forestali;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero delle Comunicazioni;

Visto l'atto di costituzione in giudizio di Wind Service S.r.l.;

Visto l'atto di costituzione in giudizio dell’Ente Nazionale Aviazione Civile - Enac;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del Consorzio di Bonifica Ugento e Li Foggi;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 20/05/2009 il dott. Massimo Santini e uditi per le parti gli Avv.ti Valeria Pellegrino, Memmo, Luigi Quinto, Pietro Quinto, Mariano, Vantaggiato per Loffredo, Pedone e De Giuseppe;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue:

FATTO

Con nota del 28 ottobre 2004 la Wind Service s.r.l. richiedeva alla Regione Puglia il rilascio della autorizzazione unica di cui all’art. 12 del d.lgs. n. 387 del 2003, per la installazione di 14 pale eoliche, pari ad una potenza di 28 MW, all’interno del Comune di Giuggianello (LE).

Nel 2004 si teneva una prima conferenza di servizi, con la quale si avviavano i relativi lavori istruttori.

Con determinazione n. 83 del 15 febbraio 2006, il settore ecologia della Regione escludeva dal canto suo l’impianto dalla procedura di VIA.

In data 6 dicembre 2006, la conferenza di servizi convocata dalla Regione si pronunciava positivamente in ordine al progetto, disponendo altresì alcune prescrizioni che comportavano lo spostamento di alcuni aerogeneratori e dunque una nuova tavola di progetto (1bis) a tal fine esplicativa.

La nuova progettazione veniva ulteriormente sottoposta alla verifica di assoggettabilità a VIA, ulteriormente esclusa, poi, dal dirigente di settore.

Inoltre, poiché emergeva che tutte le torri ricadono in area C del PUTT, veniva richiesta l’autorizzazione paesaggistica al Comune di Giuggianello, il quale si esprimeva positivamente con nota del 7 luglio 2008.

In esito a tale istruttoria la Regione Puglia, settore industria, adottava la determinazione n. 1065 del 10 ottobre 2008, con la quale si autorizzava l’installazione di 12 pale eoliche.

L’associazione ricorrente interponeva dunque gravame per i seguenti motivi, così enucleabili:

1. Violazione degli artt. 14 ss. della legge n. 241 del 1990, nella parte in cui le amministrazioni partecipanti alla conferenza di servizi non si sarebbero espresse sul progetto definitivo, dato che a seguito della conferenza stessa alcune delle pale sarebbero state spostate senza che la conferenza si fosse ulteriormente espressa su dette variazioni progettuali;

2. Violazione degli artt. 14 ss. della legge n. 241 del 1990 nella parte in cui la valutazione di impatto ambientale sarebbe avvenuta ben oltre la conclusione dei lavori della conferenza di servizi;

3. Violazione degli artt. 14 ss. della legge n. 241 del 1990 nella parte in cui non sono stati chiamati a partecipare, ai lavori della conferenza suddetta, anche i comuni di Sanarica, Giurdignano e Poggiardo, che in ogni caso gravitano intorno all’area oggetto dell’intervento;

4. Violazione delle norme in materia di conferenza di servizi nella parte in cui la Provincia di Lecce è stata convocata alla prima delle riunioni previste (2004) senza tenere conto dei termini che debbono necessariamente intercorrere tra avviso della riunione e riunione stessa;

5.1. Violazione delle disposizioni di cui agli artt. 14 ss. nella parte in cui la Soprintendenza Archeologica non è stata messa nella condizioni di partecipare effettivamente alla conferenza di servizi;

5.2. Conseguente difetto di istruttoria, in quanto non sarebbe stato sufficientemente valutato il particolare interesse storico ed archeologico dell’area oggetto di intervento;

6. Violazione della disposizioni in tema di conferenza di servizi nella parte in cui non è stato chiamato a partecipare il Comando provinciale dei Vigili del Fuoco;

7. Violazione delle norme del PUTT nella parte in cui non è stata rilasciata l’attestazione di compatibilità paesaggistica da parte della Regione Puglia;

8. Violazione del regolamento regionale n. 16 del 2006, il quale impone la previa adozione del piano regolatore degli impianti eolici (c.d. PRIE) ai fini della realizzazione dell’intervento de quo;

9. Violazione dell’art. 2, comma 1, della legge regionale n. 31 del 2008, nella parte in cui si vieta la installazione di siffatti impianti all’interno di aree caratterizzate dalla presenza di “ulivi monumentali”;

10. Violazione in ogni caso della legge regionale n. 14 del 2007, la quale tutela per l’appunto gli ulivi monumentali qualora il loro valore storico-antropologico sia accertato e rappresentato da idonee documentazioni di carattere storico. Ciò in quanto il progetto prevede in più parti l’espianto di alcuni olivi che poi saranno ripiantumati;

11. Violazione della delibera regionale n. 35 del 2007 per difetto di istruttoria relativa alla analisi del fabbisogno energetico ed alla compatibilità dell’impianto con altri impianti già previsti nell’area de qua. Non si sarebbe peraltro osservato quanto previsto nel parere della Provincia di Lecce del 16 dicembre 2004;

12. Violazione dell’art. 12, comma 7, del d.lgs. n. 387 del 2003, nella parte in cui la Regione non avrebbe adeguatamente tenuto conto del patrimonio culturale e del paesaggio rurale riguardante la predetta area;

13. Violazione dell’art. 13 del regolamento regionale n. 16 del 2006 nella parte in cui non sarebbe rispettato il c.d. parametro di controllo;

14. Eccesso di potere per sviamento laddove il Comune di Giuggianello ha espresso parere favorevole in merito alla proposta della Wind, rispetto ad altre ditte, soltanto in ragione delle maggiori roylaties da questa eventualmente versate;

15. Difetto di istruttoria, dovuta in particolare a carenze progettuali relative alle dimensioni delle torri eoliche che la conferenza di servizi non avrebbe correttamente rilevato;

16. Violazione sotto vari profili delle linee guida regionali in materia di installazione di impianti eolici (delibera giunta regionale n. 131 del 2004). Più in particolare:

a) non sarebbe rispettata la distanza minima (2 km) tra impianto e centro abitato;

b) non sarebbe rispettata la distanza minima (15 volte il diametro del rotore) tra impianto e area edificabile;

c) non sarebbe stata correttamente indicata la gittata massima degli elementi rotanti in caso di rottura accidentale;

d) non sarebbe rispettato l’indice di ventosità media annua del sito ;

e) il trasformatore non sarebbe all’interno della torre;

f) non sarebbe rispettata la distanza minima tra impianto e strade provinciali e nazionali.

Si è costituita in giudizio, oltre alla Regione Puglia ed alle amministrazioni statali interessate, anche la società controinteressata la quale ha eccepito, in particolare: la carenza di interesse in capo alla associazione ricorrente per quanto riguarda la mancata partecipazione alla conferenza di alcuni comuni contermini; la circostanza secondo cui la Soprintendenza archeologica sarebbe comunque stata resa edotta dell’intervento de quo, i cui elaborati progettuali aveva ricevuto in copia da parte della società interessata; l’assenza in ogni caso di un interesse di tipo archeologico, dato che l’area non è sottoposta al relativo vincolo; la disposizione regionale sul PRIE è illegittima e va disapplicata; non vi sono ulivi monumentali né per dimensione, né per accertato valore storico-antroplogico.

La medesima società controinteressata ha poi depositato perizia di parte dalla quale risulta che l’installazione di alcuni aerogeneratori comporterebbe qualche problematica relativa alla presenza, nell’area interessata, di elementi di interesse archeologico. In particolare, due degli aerogeneratori sarebbero localizzati in aree ascrivibili ad elevati fattori di rischio archeologico (uno ricadente in località San Giovanni e l’altro nell’area del Masso della Vecchia), motivo questo che avrebbe indotto i medesimi periti di parte a suggerire in ogni caso, per tali aree, l’effettuazione di preventivi saggi archeologici.

Con ulteriore perizia agronomica la stessa parte controinteressata riconosce che la localizzazione di alcuni aerogeneratori interessa una zona caratterizzata dalla presenza di ulivi, sottolineando altresì che l’aerogeneratore n. 9 – già segnalato in ordine al fattore di rischio archeologico – è inserito in un’area con presenza di ulivi che “potrebbero” possedere il carattere della monumentalità sia per le dimensioni, sia per la vicinanza al predetto Masso della Vecchia.

Proponeva poi intervento “ad adiuvandum” la Unione di Comuni denominata Terre d’Oriente – costituita da alcuni comuni contermini a quello di Giuggianello tra cui anche le amministrazioni comunali di Poggiardo e Giurdignano - la quale aveva a suo tempo presentato, altresì, ricorso straordinario dinanzi al Capo dello Stato.

DIRITTO

1. Si affronta in via preliminare la questione relativa alla ammissibilità dell’intervento dispiegato dalla Unione di Comuni denominata “Terre d’Oriente”.

Quest’ultima amministrazione ha infatti presentato ricorso straordinario avverso la determinazione dirigenziale n. 1065 del 10 ottobre 2008, dopo che l’odierna ricorrente aveva già interposto (e depositato) il presente gravame contro il medesimo atto.

Si tratta in altre parole della impugnazione dello stesso atto amministrativo, da parte di due soggetti diversi, rispettivamente dinanzi a questa autorità giurisdizionale amministrativa e dinanzi al Capo dello Stato.

Secondo una certa posizione giurisprudenziale, la regola dell’alternatività scatterebbe soltanto in ipotesi di duplice identità, oggettiva e soggettiva.

Ritiene invece il collegio di aderire a quella parte della dottrina la quale afferma che, in caso di impugnazione dello stesso atto, la previa presentazione di uno dei due rimedi, da parte di uno degli interessati al suo annullamento, condiziona la scelta degli altri cointeressati (posizione processuale più correttamente da attribuire, come si vedrà più avanti, alla predetta Unione): e ciò in quanto occorre evitare una discordanza di pronunziamenti sul medesimo atto: esigenza questa che è proprio alla base della regola della suddetta alternatività.

Nel caso di specie andrebbe dunque accordata prevalenza al mezzo giurisdizionale, in quanto pacificamente esperito prima rispetto a quello amministrativo.

Tanto premesso va ritenuto ammissibile l’ingresso in questa sede della posizione vantata dalla Unione in parola, attesa l’esigenza di garantire comunque a taluni soggetti, a fronte della perentorietà scaturente dalla predetta regola processuale dell’alternatività, un livello minimo di effettività della tutela giurisdizionale ai sensi degli artt. 24 e 113 Cost.

Tale posizione deve peraltro essere considerata alla stregua non di interveniente, quanto piuttosto di cointeressata: e ciò dal momento che i due soggetti (Unione di Comuni e associazione X.) sono in realtà portatori di interessi identici, ossia diretti ed immediati, in merito all’impugnativa dell’atto di cui si discute, laddove l’intervento ad adiuvandum postula la presenza a livello processuale di soggetti che coltivano un interesse in ogni caso riflesso e indiretto rispetto a quello coltivato in via principale dal ricorrente originario.

La suddetta riqualificazione della posizione ricoperta dalla Unione come cointeressata implica pertanto il previo riconoscimento, ancora più a monte, del beneficio della rimessione in termini per errore scusabile, dal momento che la stessa non poteva essere a conoscenza della presenza di un ricorso giurisdizionale promosso da altri (è infatti pacifico che il ricorso non deve essere notificato anche ai cointeressati).

2. Nel merito, il primo motivo di ricorso è infondato.

Obiettivo della conferenza di servizi è infatti la massima semplificazione procedimentale: pertanto, poiché lo spostamento di alcuni aerogeneratori è avvenuto proprio a seguito delle prescrizioni imposte dalla conferenza di servizi, una nuova sottoposizione del progetto nel frattempo adeguato alle predette prescrizioni avrebbe costituito una inevitabile forma di aggravio del procedimento, avendo dovuto la conferenza esprimersi – se del caso – in termini di mera conferma circa soluzioni dalla stessa prospettate. In altre parole, gli spostamenti in questione erano non solo ampiamente conosciuti dai partecipanti alla conferenza, ma dagli stessi prescritti, tanto che la redazione della tavola 1-bis, come si evince dalla relazione istruttoria allegata alla determina di autorizzazione unica qui impugnata, è “esplicativa degli spostamenti avvenuti in sede di conferenza di servizi”.

3. Anche il secondo motivo di ricorso è infondato.

Il settore ecologia della Regione Puglia, in data 9 gennaio 2007 (dunque successivamente all’esito dei lavori della conferenza in data 6 dicembre 2006) non ha infatti adottato un parere VIA (valutazione di impatto ambientale), bensì una (ulteriore) determinazione di esclusione della VIA, che per le stesse ragioni legate all’inutile aggravio del procedimento non avrebbe aggiunto alcunché rispetto alle valutazioni già operate in sede di conferenza (la prescrizione circa l’abbattimento di alberi è infatti già contenuta, nella sostanza, nel parere del Corpo forestale dello Stato).

Del resto, le valutazioni della conferenza debbono concentrarsi, secondo quanto previsto dall’art. 14-ter della legge n. 241, unicamente sui pareri VIA, ossia sugli atti in cui vengono espresse determinate posizioni ed eventuali prescrizioni, non anche sulle “determinazioni di esclusione dalla VIA”.

4. Il quarto motivo è senz’altro inammissibile in quanto genericamente formulato. Al di là di ogni considerazione circa la effettiva (ed utile) partecipazione della Provincia di Lecce ai lavori della conferenza di servizi (i quali si sono protratti sino al 2006, con conseguente inclusione delle valutazioni espresse dalla amministrazione provinciale), non è infatti chiaro in che termini la Provincia non sarebbe stata messa in grado di valutare tempestivamente, in vista della prima riunione del 16 dicembre 2004, i documenti progettuali posti alla base della richiesta di autorizzazione. In altre parole, non vi è cenno nel ricorso alla specifica violazione del termine di cui all’art. 14-ter, comma 1, della legge n. 241 del 1990, con particolare riferimento alla data di ricezione della convocazione della predetta riunione del 14 dicembre 2004.

Peraltro, le osservazioni formulate dalla Provincia si attestano su un progetto che ha formato oggetto di successive e profonde modifiche e sul quale la stessa amministrazione, con nota del 26 novembre 2006, ha poi prestato sostanziale assenso.

5. È invece fondato il motivo di ricorso sub 5) sia in relazione alla mancata convocazione della Soprintendenza archeologica, o meglio della sua convocazione in violazione delle regole del procedimento relativo alla conferenza di servizi, sia in ordine al lamentato difetto di istruttoria concernente la sussistenza di un eventuale interesse culturale con riferimento all’area in questione..

5.1. Quanto al primo profilo si evince, dagli atti versati in giudizio, come la soprintendenza archeologica non sia stata convocata in occasione della prima conferenza e sia stata sì convocata, ma in dispregio dei termini previsti dalla legge n. 241 del 1990, in relazione alla conferenza conclusiva del 6 dicembre 2006.

A tale ultimo riguardo la lettera di convocazione è partita il 1° dicembre 2006 e pervenuta soltanto il successivo 13 dicembre, laddove la riunione si era già tenuta il 6 dicembre. Ne deriva la palese violazione di cui all’art. 14-ter, comma 1, della legge n. 241 del 1990, laddove è previsto che la convocazione della riunione “deve pervenire alle amministrazioni interessate … almeno cinque giorni prima della relativa data”. Termine questo ampiamente obliterato dalla amministrazione regionale, la quale ha peraltro provveduto ad inviare la predetta convocazione soltanto al quinto giorno antecedente la riunione, così ampliando le possibilità di incorrere in un vizio di regolarità procedimentale come quello qui esaminato e vagliato.

D’altra parte, il progetto modificato non è stato neppure inviato nella nota in data 8 gennaio 2007, con la quale l’amministrazione regionale si è limitata a dare atto della conclusione dei lavori della conferenza: pertanto, la soprintendenza archeologica non era in condizioni di chiedere una riapertura della suddetta conferenza di servizi.

Né può valere la circostanza per cui la società interessata avrebbe più volte sollecitato il parere della suddetta soprintendenza, non potendo esso costituire elemento idoneo a sanare né tanto meno a surrogare la individuata irregolarità della convocazione (tanto più che le suddette note inviate dalla società non contenevano il riferimento alla riunione della conferenza di servizi del 6 dicembre 2006).

5.2. Ne deriva dalla mancata partecipazione della soprintendenza archeologica – aggravata dal mancato invio del verbale conclusivo, dal quale si sarebbe ricavato peraltro lo spostamento di alcuni aerogeneratori e dunque la modifica del progetto iniziale – non solo (e non tanto) l’irregolarità del procedimento in seno alla conferenza di servizi, ma anche (e soprattutto) il difetto di istruttoria di cui il provvedimento conclusivo sarebbe ineludibilmente viziato (secondo profilo della censura sollevata).

L’eventuale apporto della Soprintendenza avrebbe infatti consentito quelle analisi e quegli approfondimenti necessari per poter consapevolmente e razionalmente intervenire sulla modifica di luoghi che, da quanto emerso in questa sede (si veda in questo senso la memoria difensiva prodotta dalla amministrazione dei beni culturali), senz’altro presentano profili di indubbio interesse storico, archeologico ed antropologico.

5.2.1. Ciò è quanto si rileva non solo dalla copiosa documentazione versata in atti dalla parte ricorrente (ricomprensiva di dati bibliografici e di evidenze in superficie di cui si è offerta riproduzione fotografica), ma anche dalla relazione prodotta in giudizio dalla stesa società controinteressata. Relazione dalla quale si evince, in particolare, che l’installazione di almeno due degli aerogeneratori progettati ricadono in aree ad elevato fattore di rischio archeologico (nella specie, rispettivamente il n. 8 in località “Masso della Vecchia” ed il n. 9 in località “San Giovanni”). Tanto che i periti stessi concludono il proprio esame consigliando la effettuazione di “indagini dirette con saggi preventivi o indagini indirette”.

5.2.2. Ritiene pertanto il collegio che, al di là della presenza o meno di vincoli archeologici sull’area de qua, ciò che rileva è l’incontestato (ed anzi confermato) rilievo di elementi di seria consistenza che fanno propendere per l’oggettiva rilevanza archeologica dell’area in questione (o quanto meno su parte di essa).

5.2.3. Onde individuare il corretto percorso che le amministrazioni coinvolte nel procedimento avrebbero dovuto osservare nel caso di specie giova innanzitutto rammentare, sul piano normativo, che l’art. 1, comma 3, del codice dei beni culturali (decreto legislativo n. 42 del 2004) prevede che “lo Stato, le Regioni, le città metropolitane, le province e i comuni assicurano e sostengono la conservazione del patrimonio culturale e ne consentono la pubblica fruizione e la valorizzazione”.

Il successivo art. 5, comma 1, dal canto suo, stabilisce che le regioni nonché gli altri enti pubblici territoriali (comuni, province, etc.) cooperano con lo Stato nell’esercizio delle funzioni di tutela di cui al Titolo I della parte seconda del Codice stesso.

Ciò appare in linea con quanto previsto dalle disposizioni costituzionali di cui agli artt. 9 – a norma del quale la Repubblica (da intendersi, ai sensi dell’art. 114 Cost., come costituita da Comuni, Province, Città metropolitane, Regioni e Stato) tutela tra l’altro il paesaggio ed il patrimonio storico e artistico della Nazione – e 118, terzo comma, Cost., il quale fonda il principio di leale collaborazione tra Stato e regioni proprio in materia di tutela dei beni culturali.

L’art. 9 Cost., si può ben dire, esprime quindi il fondamentale valore del “pluralismo culturale” in base al quale l’azione congiunta di più agenti istituzionali rappresenta senza dubbio, nella logica del “compito comune” e dunque della leale collaborazione, la migliore garanzia che siano valorizzate le istanze culturali minoritarie e periferiche.

In questa stessa direzione, l’art. 14, comma 1, del codice BAC, prevede che il procedimento per la dichiarazione di interesse culturale viene avviato dal soprintendente “anche” su motivata richiesta della regione e di ogni altro ente territoriale interessato.

Non si trascuri poi, in questo quadro, la possibilità offerta dall’intervento dei privati, in applicazione del principio di sussidiarietà orizzontale di cui all’art. 118, quarto comma, Cost. e dei meccanismi partecipativi non ancora completamente collaudati di cui all’art. 9 della legge n. 241 del 1990. Nell’ottica della “governance” dei beni culturali (concetto questo che implica come noto un elevato livello di cooperazione tra attori statuali da una parte ed attori non statuali dall’altra parte), tale modello sembra peraltro trovare oggi ampia conferma in quanto previsto dall’art. 3-ter del decreto legislativo n. 152 del 2006 (codice dell’ambiente). Questa disposizione, rubricata “principio dell’azione ambientale”, prevede infatti che “la tutela dell’ambiente … e del patrimonio culturale deve essere garantita da tutti gli enti pubblici e privati e dalle persone fisiche e giuridiche pubbliche e private, mediante una adeguata azione che sia informata ai principi della precauzione, dell’azione preventiva, della correzione”.

5.2.4. Tanto premesso si ritiene che, al di là della illegittime modalità di convocazione della competente soprintendenza archeologica, l’invocato difetto di istruttoria sussiste proprio alla luce del predetto quadro normativo (di rango primario e costituzionale) il quale impone, pure nei confronti di regioni ed enti locali (qui partecipanti a vario titolo al procedimento de quo), di apprestare tutte le misure necessarie per garantire – anche in attuazione del principio di buon andamento di cui all’art. 97 Cost. – una tutela adeguata del patrimonio culturale rientrante nella loro sfera di interesse.

Siffatta tutela, nel caso di specie, avrebbe dovuto in particolare concretizzarsi – come già anticipato – mediante una analisi più approfondita dello stato dei luoghi che avrebbe potuto comportare, in prima battuta, il ricorso allo strumento cautelare della inibitoria preventiva di cui all’art. 28, comma 2, del codice BAC, e poi eventualmente, in seconda battuta, la dichiarazione di interesse culturale di cui agli artt. 13 e 14 del codice stesso.

Ed infatti, il menzionato art. 28, comma 2, viene applicato anche per interventi progettati e non ancora avviati ed in relazione a beni per i quali non sia ancora intervenuta intervenuta la dichiarazione di interesse culturale di cui all’art. 13 del codice. Ed anzi a tale strumento per lo più si ricorre proprio allo scopo di giungere, se del caso, a questo tipo di dichiarazione.

Del resto, una simile dichiarazione avrebbe potuto eventualmente coinvolgere – nella specie – soltanto parte dell’area interessata dall’intervento, così consentendo, nell’interesse stesso della società controinteressata, una modifica progettuale tale da rimodulare e concentrare la realizzazione dello stesso in area non caratterizzata da elementi di rilievo culturale.

Tale modus operandi è stato di recente regolamentato, nel dettaglio, all’interno del codice dei contratti pubblici, ove si è affermato il principio della verifica preventiva dell’interesse archeologico.

Pur non avendo il legislatore codificato la stessa procedura per quanto riguarda le opere sì di interesse pubblico come quelle in esame (impianti di energia rinnovabile) ma pur sempre ad iniziativa privata, si ritiene in ogni caso che alle medesime conclusioni possa giungersi qualora sull’area, anche in assenza di specifici vincoli, risulti attestata sulla base di documentazione attendibile la presenza di seri “indizi di culturalità”, ossia di elementi di rilevante interesse archeologico.

“Indizi” che – come nella specie avvenuto – ben potrebbero emergere, altresì, in base all’azione dei privati, ossia in applicazione del principio dell’azione ambientale di cui al menzionato art. 3-ter del d.lgs. n. 152 del 2006.

In tale ipotesi deve allora innestarsi un adeguato livello di approfondimento istruttorio – da parte non solo della soprintendenza statale ma anche di altri soggetti territorialmente interessati, in ottemperanza al principio buon andamento nonché di doverosa e leale collaborazione interistituzionale – diretto a vagliare preliminarmente la eventuale sussistenza dei presupposti richiesti dalla normativa di settore per l’applicazione dei relativi meccanismi di tutela (artt. 28 e 13 del codice BAC).

E ciò anche al fine – come già detto – di offrire al privato che intende svolgere l’iniziativa imprenditoriale di avere un quadro di certezze più ampio riguardo alle effettive possibilità legali connesse alla realizzazione dell’intervento.

Prevale in questo senso un principio di effettività della tutela del bene culturale il quale consenta, in una ottica eminentemente sostanzialista, di prescindere se del caso dalla sussistenza o meno di un provvedimento vincolistico di natura formale: la dichiarazione di interesse culturale, per l’orientamento dominante, implica infatti la preesistenza rispetto ad essa della “culturalità” del bene.

5.2.5. Per tutti i motivi suddetti la specifica censura concernente il difetto di istruttoria merita dunque accoglimento.

6. Si affrontano ora, per ragioni di ordine logico e sistematico, i motivi di ricorso rubricati sub numeri 10, 12 e 3 della parte in fatto.

6.1. Con il motivo sub 10) si eccepisce la violazione della legge regionale n. 14 del 2007 nella parte in cui si autorizza l’intervento su aree caratterizzate dalla presenza di ulivi monumentali, intendendosi per tali non solo quelli aventi determinate dimensioni, ma anche quelli che possiedono età plurisecolare deducibile da un “accertato valore storico-antropologico per citazione o rappresentazione in documenti o rappresentazioni iconiche-storiche” (art. 2, comma 1, lettera b, della legge regionale citata).

Premesso che ai sensi dell’art. 15 della stessa legge regionale questa forma di tutela è consentita, nelle more della formazione degli elenchi degli ulivi monumentali di cui all’art. 5 della legge regionale, per gli ulivi plurisecolari rispondenti ad una delle caratteristiche di cui all’art. 2, da una serie di documenti versati in giudizio emerge come parte dell’area interessata dall’intervento sia in effetti caratterizzata dalla presenza di ulivi puntualmente citati all’interno di rappresentazioni, illustrazioni e citazioni di carattere storico, archeologico, letterario ed antroplogico.

Più in particolare:

a) scrive Nicandro, autore greco del II secolo a.c., che “Dagli ulivi del Colle i fanciulli intrappolati nel legno emettono gemiti udibili talvolta nella notte dagli umani”;

b) il testo di Vincenzo Ruggeri dell’aprile 1989 (“Memorie di storia”) richiama la presenza di ulivi a fare da cornice ai racconti popolari sui luoghi di cui si discute;

c) nei “Bozzetti di Viaggio” di Cosimo De Giorgi (1882) si richiamano per l’appunto gli oliveti della “Serra di Giuggianello”;

d) la pubblicazione di Paul Arthur “Masseria quattro macine”, di carattere storico-archeologico, fa riferimento alla tradizionale coltivazione di uliveti nella zona di interesse.

La stessa relazione agronomica depositata dalla società controinteressata ammette la presenza di ulivi monumentali di questo tipo, e in particolare di quelli allocati in località “Masso della Vecchia”.

Alla luce di quanto sopra riportato appare evidente la presenza – almeno su parte dell’area interessata dal progettato intervento – di uno dei due presupposti richiesti dalla legge regionale ai fini dell’applicazione delle misure di tutela ammesse, altresì, nel descritto periodo transitorio (cfr. artt. 2 e 15 della legge regionale citata): da tanto consegue l’accoglimento del motivo di ricorso rubricato al punto n. 10.

6.2. Parallelamente è da ritenere fondato il motivo di cui al punto n. 12, con il quale si lamenta la violazione dell’art. 12, comma 7, del decreto legislativo n. 387 del 2003, nella parte in cui si impone, alle amministrazioni deputate al rilascio delle previste autorizzazioni relative ad impianti di energia rinnovabile, di tenere conto del “patrimonio culturale” e del “paesaggio rurale” concernente l’area oggetto dei predetti interventi.

Detto patrimonio culturale, nella specie, è per l’appunto costituito da una serie di miti e leggende che si sono sviluppati, nel corso del tempo, intorno ai luoghi di cui si discute (sito megalitico c.d. delle “Rocce Sacre”).

Varie sono le testimonianze in questa direzione – tra cui anche quelle poc’anzi citate con riferimento alla presenza di ulivi monumentali - le quali stanno a testimoniare il grande valore simbolico e storico-etnografico dell’area in questione.

Sono infatti presenti, in questo luogo chiamato anche il “Colle dei Fanciulli e delle Ninfe”, una serie di monoliti evocati in antiche credenze popolari – ed in particolare della tradizione contadina - legate alla ritenuta presenza di forze magiche e benefiche che governavano lo svolgersi degli eventi nelle campagne.

Pertanto, le amministrazioni partecipanti al procedimento de quo avrebbero dovuto adeguatamente tenere conto, altresì, della sussistenza di questi fondamentali aspetti di carattere storico-antroplogico e culturale.

Da quanto sopra detto deriva l’accoglimento dello specifico motivo di ricorso.

6.3. Va conseguentemente accolto il motivo sub n. 3, con il quale si deduce la violazione degli artt. 14 ss. della legge n. 241 del 1990 nella parte in cui non sono stati chiamati a partecipare, ai lavori della conferenza suddetta, anche i comuni di Sanarica, Giurdignano e Poggiardo, i quali graviterebbero in ogni caso intorno all’area oggetto dell’intervento. Detti comuni distano rispettivamente 3,5, 7 e 5 km dall’area dell’intervento.

Quanto all’interesse a coltivare tale parte di gravame da parte dell’associazione ricorrente, esso risiede nella possibilità che la conferenza di servizi si esprima nuovamente ed approfonditamente sull’oggetto dell’intervento anche attraverso una gamma più ampia e soprattutto più fedele dei soggetti effettivamente “legati”, per le ragioni prima evidenziate, all’area interessata dall’intervento medesimo. L’interesse risiede in altre parole nella più allargata possibile partecipazione di tutti i soggetti che si trovano nell’orbita del sito di ritenuta meritevolezza sul piano culturale, in modo da pervenire ad una posizione adeguatamente condivisa, informata e consapevole circa la tutela da accordare al patrimonio storico archeologico di cui si discute.

Quanto invece rispetto all’interesse, da parte di questi comuni, in ordine alla realizzazione o meno dell’impianto in oggetto e dunque alla partecipazione in seno alla conferenza di servizi indetta dalla Regione, ciò appare stretta derivazione di quanto appena affermato al punto n. 6.2.

Ed infatti la presenza di miti e leggende, da intendersi quali racconti di avvenimenti che hanno avuto luogo nel tempo primordiale (la serra di Giuggianello è altresì chiamata “La collina dei Fanciulli e delle Ninfe”), determina un legame tra le popolazioni che ruotano attorno all’area de qua che va ben oltre la percezione visiva e dunque fisica dei luoghi che formano oggetto del presente intervento; tale legame – basato su un luogo ritenuto di fondamentale valore simbolico – ha piuttosto un carattere spirituale e sentimentale, sì da radicare ben più profonde radici di identità culturale tra diverse comunità, pur se non necessariamente contermini.

Ne deriva da quanto sopra l’accoglimento del motivo sub 3) e l’ulteriore conferma circa la legittimazione ad agire in questa sede da parte della Unione Terre d’Oriente.

7. Circa la mancata convocazione del Comando provinciale dei Vigili del Fuoco si osserva che la delibera regionale n. 35 del 2007 contempla in effetti, tra gli enti chiamati a partecipare ai lavori della conferenza di servizi di cui si discute, anche la predetta amministrazione.

Ora, a prescindere dalla circostanza che tale disposizione regionale è entrata in vigore in un momento successivo alla conclusione dei lavori della conferenza, si osserva che la normativa già vigente al momento dell’avvio del procedimento in oggetto (artt. 1 e 2 del DPR n. 37 del 1998) prevede in ogni caso il rilascio del parere di conformità alla normativa antincendio per tutti gli impianti di produzione di energia elettrica rientranti nell’elenco di cui al DM 16 febbraio 1982.

È ben vero che gli impianti di energia rinnovabile non rientrano espressamente in tale elenco, ma ciò e senz’altro dovuto al fatto che, al tempo della emanazione del predetto decreto ministeriale, siffatti impianti erano pressoché sconosciuti al legislatore.

La presenza di cavidotti, nonché di cabine di consegna e di trasformazione elettrica, fa invece propendere per la necessità di acquisire preventivamente, o comunque all’interno della apposita conferenza di servizi, lo specifico nulla osta previsto dalla normativa anti incendio, così come ricognitivamente previsto dalla predetta delibera regionale n. 35 del 2007.

Lo specifico motivo di ricorso è dunque fondato.

8. Per quanto attiene alla mancata attestazione di compatibilità paesaggistica da parte della Regione, si osserva che il PUTT richiede tale adempimento, al punto 5.04 delle NTA, in relazione ad opere di rilevante trasformazione ai sensi dell’art. 4.01 dello stesso documento di piano. Quest’ultimo, a sua volta, definisce quali “opere di rilevante trasformazione territoriale quelle derivanti dalla infrastrutturazione … relativa a: … energia”, evidenziando al tempo stesso che debba trattarsi altresì di opere “comportanti modificazioni permanenti”.

Parte controinteressata assume che gli impianti in questione avrebbero al contrario carattere precario e non permanente, requisito questo necessario ai fini della applicazione della richiamata disposizione regionale in tema di tutela paesaggistica.

Occorre tuttavia rilevare, al riguardo, che per la giurisprudenza amministrativa (cfr. Cons. Stato, sez. V, 15 giugno 2000, n. 3321; sez. V, 30 ottobre 2000, n. 5828) il concetto di precarietà (mobilità) di un manufatto o di un impianto come quello di specie “dipende non già dal suo sistema di ancoraggio, ma dalla sua idoneità a determinare una stabile trasformazione del territorio. Il detto carattere va quindi escluso quando trattasi di struttura destinata a dare un’utilità prolungata nel tempo”.

La permanenza o meno di un manufatto o di un impianto deve dunque essere letta in termini “funzionali”, piuttosto che “strutturali”.

Ebbene, è indubbo che l’impianto in questione sia in grado di realizzare una siffatta prolungata utilità nel tempo (tanto lunga da poter costituire elemento idoneo, di per sé, ad agevolare l’acquisto della proprietà immobiliare in ragione del decorso del tempo).

A siffatta conclusione si perviene ove soltanto si consideri la natura e l’efficacia (durevole nel tempo) del provvedimento autorizzatorio di cui si discute, preordinato a consentire l’esercizio di una complessa attività imprenditoriale che, anche per assicurare il ritorno degli investimenti (c.d. “break even point”), non potrà che essere svolta per molti anni.

Anche tale censura, per i motivi sopra indicati, deve dunque trovare accoglimento.

9. In ordine alla assenza del PRIE (piano regolatore degli impianti eolici) quale elemento ostativo alla autorizzazione dell’impianto eolico, si rammenta in proposito che la legge Regione Puglia n. 9 del 2005 aveva a suo tempo stabilito che le procedure autorizzatorie in materia di impianti di energia eolica erano sospese fino all'approvazione del piano energetico ambientale regionale e, comunque, fino al 30 giugno 2006.

La Corte costituzionale, con la sentenza n. 364 del 2006, pur affermando la legittimità dell’intervento regionale sul piano delle competenze costituzionalmente assegnate (trattandosi di energia), ha in ogni caso dichiarato la incostituzionalità della norma regionale poiché si poneva in contrasto con il principio fondamentale posto dall'art. 12 del decreto legislativo n. 387 del 2003, il quale fissa, alla stregua di principio fondamentale di semplificazione ed accelerazione dell’azione amministrativa in subiecta materia (produzione di energia), un termine massimo di 180 gg. per la conclusione del procedimento autorizzativo: termine questo che nella specie sarebbe stato superato dalla prevista moratoria (c.d. ad tempus).

A questa declaratoria ha fatto seguito il regolamento regionale n. 16 del 2006, il quale ha previsto la adozione da parte dei comuni di piani regolatori degli impianti eolici, soggetti ad approvazione regionale. La disposizione transitoria di cui all’art. 14, comma 1, prevede che, decorsi 180 gg. dalla entrata in vigore del regolamento, in assenza di PRIE – così vengono definiti i suddetti piani di settore – non possono più essere approvati impianti eolici in quella determinata località.

Anche ragionando in termini di effetto equivalente, si osserva tuttavia come in questo modo si passerebbe da una sospensione “ad tempus” ad una sospensione “sine die”, dato che la mancata approvazione del PRIE nei suddetti termini, peraltro meramente ordinatori, se per un verso già comporta il superamento del tempo massimo stabilito dalla legge statale di principio, per altro verso si traduce in concreto in una moratoria a tempo indeterminato (per l’appunto, sine die) se poi tale inerzia si protrae nel tempo senza che ad essa l’ordinamento (regionale) riconnetta una qualche sanzione o conseguenza negativa.

Determinandosi de facto, in questo modo, non solo un ritardo ma addirittura la sostanziale impossibilità di installare in determinate aree della regione gli impianti di cui si discute (stante l’inerzia comunale o regionale rispettivamente ad adottare o ad approvare il suddetto piano di settore), ne consegue la violazione della suddetta normativa nazionale e comunitaria non solo nella parte in cui si impone la conclusione del procedimento entro tempi che siano “certi”, ma anche laddove viene espresso un certo favor legislativo per la realizzazione di tali impianti, ritenuti come noto di pubblica utilità, senza che ad essa vengano frapposti ostacoli di carattere normativo ed amministrativo (si veda in proposito anche l’art. 6 della direttiva comunitaria 2001/77/CE) o comunque preclusioni di carattere generale ed assoluto.

Da quanto sopra detto, al collegio non resta che disapplicare la disposizione di cui all’art. 14, comma 1, ultimo periodo, del regolamento regionale n. 16 del 2006, in quanto contrastante con i suddetti principi fondamentali della legge statale e delle presupposte disposizioni di derivazione comunitaria.

Ne deriva ulteriormente il rigetto della censura in argomento.

10. Infondato è poi il motivo con cui si deduce la violazione della legge regionale n. 31 del 2008, e ciò in quanto al momento della adozione della determinazione impugnata (10 ottobre 2008) la legge regionale non era stata ancora pubblicata (21 ottobre 2008), né tanto meno entrata in vigore.

11. È invece generica e dunque inammissibile la censura riguardante la delibera regionale n. 35 del 2007. Il difetto di istruttoria di cui sarebbe viziato il provvedimento gravato non è stato infatti sufficientemente allegato mediante elementi seri e circostanziati.

Parimenti generica ed inammissibile è la censura riguardante la mancata osservanza del parere espresso dalla Provincia di Lecce in data 16 dicembre 2004, dato che non viene neppure indicato a quale parte del predetto parere l’amministrazione regionale non si sarebbe attenuta.

12. Ancora generico è l’ulteriore motivo con cui si lamenta l’omessa valutazione del parametro di controllo di cui all’art. 13 del regolamento regionale n. 16 del 2006, il quale è costituito dal rapporto tra la somma delle lunghezze di tutti gli aerogeneratori ed il lato della superficie comunale; tale rapporto non deve superare il valore di 0,75.

Il motivo è palesemente inammissibile in quanto non viene allegato il benché minimo elemento utile a poter calcolare tale rapporto.

D’altronde si consideri che il comma 7 dell’art. 14 del regolamento regionale n. 16 del 2006 esclude dalla applicazione del suddetto parametro le istanze presentate, come nella specie, prima della adozione del regolamento stesso.

13. La censura riguardante la scelta da parte del Comune di Giuggianello nei confronti di Wind, asseritamente ispirata da ragioni unicamente connesse alla migliore offerta economica da questa presentata (mediante royalties) rispetto ad altri operatori, è inammissibile per difetto di interesse, e ciò in quanto una simile censura poteva essere sollevata soltanto da un soggetto avente aspirazione ad installare analogo impianto nella stessa zona. Peraltro la associazione ricorrente tutela interessi di tipo ambientale, nella specie non altrimenti rinvenibili (trattandosi infatti di aspetti meramente economici).

14. La censura riguardante la carenza progettuale concernente le torri è generica, dunque inammissibile, in quanto l’associazione ricorrente non ha sufficientemente allegato, al di là delle ritenute incompletezze, l’insussistenza dei prescritti requisiti dimensionali.

15. Con riferimento all’ultima censura, riguardante la asserita violazione della delibera regionale n. 131 del 2004, si osserva che – al di là della loro condizionata efficacia alla entrata in vigore del piano energetico regionale (poi adottato con delibera n. 827 del 2007) – molte delle previsioni in esso contemplate sono state poi superate da successivi regolamenti regionali (regolamentazioni per la verità succedutesi in materia in modo quasi alluvionale, con conseguente difficoltà per gli interpreti e gli operatori di avere un quadro organico e razionale di riferimento normativo), ed in particolare dal citato regolamento regionale n. 16 del 2006. Nel merito delle singole censure si osserva dunque come le stesse siano in parte infondate ed in parte inammissibili. In particolare:

a) la distanza minima dal centro abitato è stata ridotta ad 1 km ad opera del regolamento regionale n. 16 del 2006 (art. 6, comma 3, lettera d). Tale distanza sarebbe dunque rispettata, distando 1,6 km l’aerogeneratore più vicino al centro abitato di Palmariggi;

b) la distanza minima pari a 15 volte il rotore non è stata ripresa dal ridetto regolamento regionale del 2006, il quale si limita ad affermare – coerentemente con quanto detto al punto a) – che è sufficiente la distanza di 1 km dal centro abitato (lo stesso ricorrente ha affermato al riguardo che la gittata massima di residui è in ogni caso di 500 mt);

c) la società contro interessata indica in 220 mt la gittata massima degli elementi rotanti in caso di rottura accidentale. La ricorrente contesta tale assunto sulla base di uno studio condotto in collaborazione con l’Università – che indicherebbe tale gittata in 500-600 mt. – senza tuttavia indicare il percorso attraverso il quale si giungerebbe a tale conclusione, né si allega al riguardo la esistenza di eventuali relazioni di approfondimento tematico. La censura è dunque inammissibile in quanto genericamente formulata;

d) quanto all’indice di ventosità media, lo stesso è ora mutato in base all’art. 14, comma 3, lettera A), del regolamento n. 16 del 2006, il quale fissa tale valore in 1.600 ore annue. In base a tale nuovo parametro non sono state dedotte specifiche contestazioni;

e) l’art. 10 del regolamento regionale conferma la previsione della delibera 131 secondo cui per gli impianti superiori ad 1 MW il trasformatore deve essere all’interno della torre. Tale requisito tecnico appare in ogni caso confermato sulla base dei documenti progettuali versati in atti dalla medesima ricorrente [cfr. doc. 22 della produzione originaria, ossia la relazione tecnica al progetto definitivo del luglio 2006, pag. 11 (norme sulle linee elettriche)];

f) quanto alla distanza tra pale e strade, la perizia giurata prodotta dalla società controinteressata indica in 300 mt tale valore, corrispondente a quello previsto dal regolamento regionale n. 16 del 2006 (art. 14, comma 3, lettera C);

16. Per tutte le ragioni sopra individuate il ricorso è fondato, in relazione ai motivi affrontati nei punti 5, 6 e 7, con conseguente annullamento della autorizzazione regionale 10 ottobre 2008, n. 1065, nonché delle determinazioni di non assoggettabilità a VIA n. 83 del 15 febbraio 2006 e n. 631 in data 11 dicembre 2007 della stessa Regione Puglia.

Stante la complessità e la sostanziale novità delle numerose questioni qui affrontate sussistono in ogni caso giusti motivi per compensare integralmente tra le parti le spese del presente giudizio.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia – Lecce, Prima Sezione, definitivamente pronunciando sul ricorso n. 418/2009, lo accoglie nei sensi e nei limiti di cui in motivazione e per l’effetto annulla la determinazione 10 ottobre 2008, n. 1065, del Dirigente servizio industria della Regione Puglia, nonché le determinazioni rispettivamente 15 febbraio 2006, n. 83, e 11 dicembre 2007, n. 631, entrambe del Dirigente settore ecologia della Regione Puglia.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Lecce nella camera di consiglio del giorno 20/05/2009 con l'intervento dei Magistrati:

Aldo Ravalli, Presidente

Luigi Viola, Consigliere

Massimo Santini, Referendario, Estensore

DEPOSITATA IN SEGRETERIA IL 18/07/2009.

Impianti per l'energia rinnovabile: verifica preventiva archeologica edefinizione di "mobilità-precarietà" di un manufatto ai fini urbanistico-edilizi

Impianti di energia rinnovabile e verifica preventiva dell’interesse archeologico
TAR Lecce-Puglia, sez. I, sentenza 18.07.2009 n° 1890 (Alfredo Matranga)

Anche per gli impianti di energia rinnovabile trova applicazione il principio della verifica preventiva dell’interesse archeologico.

E' con questo principio che Tar Lecce ha accolto il ricorso qualora sull’area, anche in assenza di specifici vincoli, risulti attestata sulla base di documentazione attendibile la presenza di seri “indizi di culturalità”, ossia di elementi di rilevante interesse archeologico.

Per li Tar in tema di realizzazione di impianti di energia rinnovabile, sussiste la violazione dell’art. 12 comma 7, d.lgs. 29 dicembre 2003, n. 387, quando le amministrazioni partecipanti al procedimento de quo non hanno tenuto adeguatamente conto della sussistenza di fondamentali aspetti di carattere storico-antropologico e culturale.

Peraltro, per Tar da un lato:

  • il parere di conformità alla normativa antincendio necessario per tutti gli impianti di produzione di energia elettrica rientranti nell’elenco di cui al D.M. 16 febbraio 1982 deve essere acquisito per gli impianti di energia rinnovabile, preventivamente, o comunque all’interno della apposita conferenza di servizi;
  • dall'altro il concetto di precarietà (mobilità) di un manufatto o di un impianto dipende non già dal suo sistema di ancoraggio, ma dalla sua idoneità a determinare una stabile trasformazione del territorio, sicché tale carattere va escluso quando trattasi di un impianto di energia rinnovabile.

(Altalex, 4 agosto 2009. Nota di Alfredo Matranga)



T.A.R.

Puglia - Lecce

Sezione I

Sentenza 18 luglio 2009, n. 1890

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia

Lecce - Sezione Prima

ha pronunciato la presente

SENTENZA

Sul ricorso numero di registro generale 418 del 2009, proposto da:

X., rappresentato e difeso dagli avv. Andrea Memmo, Valeria Pellegrino, con domicilio eletto presso Valeria Pellegrino in Lecce, via Augusto Imperatore, 16;

contro

Regione Puglia, rappresentato e difeso dall'avv. Antonella Loffredo, con domicilio eletto presso Antonella Loffredo in Lecce, via Moro, 1;
comune di Giuggianello, non costituito;
comune di Minervino, non costituito;
comune di Muro Leccese, non costituito;
comune di Palmariggi, non costituito;
ARPA Puglia, non costituita;
Soprintendenza per i beni archeologici della Puglia, Ministero della Difesa, Ministero dell'Interno, Ministero per i beni e le attività culturali, Soprintendenza per i beni paesaggistici, Ministero delle Politiche Agricole e Forestali, Ministero delle Comunicazioni, Ente Nazionale Aviazione Civile - Enac, tutti rappresentati e difesi dall'Avvocatura dello Stato, domiciliata per legge in Lecce, via Rubichi;

nei confronti di

Wind Service S.r.l., rappresentata e difesa dagli avv.ti Luigi Mariano, Luigi Quinto e Pietro Quinto, con domicilio eletto presso Pietro Quinto in Lecce, via Garibaldi 43;
Gestore della Rete di Trasmissione Nazionale Spa, Enel Distribuzione, Autorità di Bacino della Puglia, Anas, tutti non costituiti;

e con l'intervento di

ad adiuvandum:
Unione Terre D'Oriente, rappresentato e difeso dagli avv.ti Andrea Memmo e Valeria Pellegrino, con domicilio eletto presso Valeria Pellegrino in Lecce, via Augusto Imperatore, 16;
Provincia di Lecce, rappresentato e difeso dagli avv.ti Maria Giovanna Capoccia e Francesca Testi, con domicilio eletto presso Maria Giovanna Capoccia in Lecce, Ufficio Legale C/Amm.Ne Prov.Le;

per l'annullamento

previa sospensione dell'efficacia,

della determinazione del Dirigente Servizio Industria della Regione Puglia 10.10.2008 n. 1065, pubblicata sul BURP 31.12.2008 n. 204, avente ad oggetto Autorizzazione Unica alla costruzione ed esercizio di un impianto di produzione di energia elettrica da fonte eolica della potenza di 24,00 MW, e delle opere connesse e delle infrastrutture indispensabili alla costruzione dell’impianto stesso da realizzarsi nel Comune di Giuggianello (Le), ai sensi del comma 3 dell’articolo 12 del Decreto Legislativo 387 del 2003, ad opera della Società Wind Service Srl, con sede legale in Soleto (Le); di tutti gli atti e i provvedimenti istruttori richiamati nella stessa determinazione ivi compresi gli atti di definizione della conferenza di servizi e tra questi in particolare di: verbale 16.12.04 della conferenza di servizi, nota 15.6.05 n. 38/4324 del Settore Industria e Energia della Reg. Puglia (sconosciuta dalla ricorrente), determinazione dirigenziale 15.2.06 n. 83 del Settore Ecologia della Reg. Puglia, verbale 6.12.06 della conferenza di servizi (sconosciuto dalla ricorrente), nota 19.12.2006 n. 11373 del Ministero per i Beni Culturali e le Attività Culturali di Lecce; nota ASL Le 2 - Maglie prot. N. 2021 del 16 dicembre 2004, nota prot. 6633 del 12 novembre 2004 del Corpo Forestale dello Stato Coordinamento Provinciale di Lecce (sconosciuta dalla ricorrente); nota prot. n. DD/P2003014383 del 4.11.2003 di Enel - Divisione Infrastrutture e Reti – Roma, nota prot. n. 46009 del 22.11.2006 della Provincia di Lecce - Servizio Strade (sconosciuta dalla ricorrente), parere favorevole del Comune di Giuggianello (di estremi e contenuti sconosciuti), nota prot. n. RGC-16/43/49069/2/240/04 del 27.12.2004 della Aeronautica Militare 16° Reparto Genio Campale - Ufficio Demanio (sconosciuta dalla ricorrente); nota del Ministero delle Comunicazioni - Bari prot. n. IT-BA/2-IE/VIE/7947 del 13 novembre 2006 (sconosciuta dalla ricorrente), nota del Comando Reclutamento e Forze di Completamento “Puglia” Prot. n. M_D E 23161/0003006 del 27.2.2007 (sconosciuta dalla ricorrente), note Arpa Puglia Bari, prot. n. 17701 del 13.12.2006 (sconosciute dalla ricorrente); deliberazione di Giunta Comunale n. 136 del 29.11.2007 del Comune di Minervino di Lecce, deliberazione del Consiglio Comunale n. 7 del 29.4.2008 del Comune di Palmariggi, nota prot. N. 7181 del 15.11.2006 della Autorità di Bacino della Puglia, nota del Consorzio di Bonifica Ugento Li Foggi prot. N. 186 del 18.1.2007, tutte sconosciute dalla ricorrente; verbale 6.12.2006 della conferenza di servizi (sconosciuto dalla ricorrente), nota 9.1.07 n. 38/192 del Settore Industria della Regione Puglia, determinazione dirigenziale 11.12.2007 n. 631 del Settore Ecologia della Regione Puglia, autorizzazione paesaggistica 7.7.2008 n. 1447/2008 del Comune di Giuggianello (sconosciuta dalla ricorrente), atto di impegno 24.4.08 e atto di convenzione 24.4.08 tra Regione Puglia-Comune di Giuggianello-Wind Service s.r.l.; nonché ancora dei pareri 11.6.07 e 12.6.07 del Responsabile dell’UTC del Comune di Giuggianello, delle note 26.10.06 e 29.11.06 del Responsabile dell’UTC del Comune di Giuggianello, della nota 19.12.06 n. 11373 della Soprintendenza BBAACC, della nota 17.01.08 n. 448 del Dirigente Settore Industria della Regione Puglia, dell’atto 10.6.03 del Responsabile dell’UTC del Comune di Giuggianello; di ogni altro atto presupposto, connesso, collegato e/o consequenziale;.

Visto il ricorso con i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio della Regione Puglia;

Visto l'atto di costituzione in giudizio della Provincia di Lecce;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero della Difesa;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero dell'Interno;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero per i beni e le attività culturali – Soprintendenza per i beni archeologici;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero delle Politiche Agricole e Forestali;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero delle Comunicazioni;

Visto l'atto di costituzione in giudizio di Wind Service S.r.l.;

Visto l'atto di costituzione in giudizio dell’Ente Nazionale Aviazione Civile - Enac;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del Consorzio di Bonifica Ugento e Li Foggi;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 20/05/2009 il dott. Massimo Santini e uditi per le parti gli Avv.ti Valeria Pellegrino, Memmo, Luigi Quinto, Pietro Quinto, Mariano, Vantaggiato per Loffredo, Pedone e De Giuseppe;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue:

FATTO

Con nota del 28 ottobre 2004 la Wind Service s.r.l. richiedeva alla Regione Puglia il rilascio della autorizzazione unica di cui all’art. 12 del d.lgs. n. 387 del 2003, per la installazione di 14 pale eoliche, pari ad una potenza di 28 MW, all’interno del Comune di Giuggianello (LE).

Nel 2004 si teneva una prima conferenza di servizi, con la quale si avviavano i relativi lavori istruttori.

Con determinazione n. 83 del 15 febbraio 2006, il settore ecologia della Regione escludeva dal canto suo l’impianto dalla procedura di VIA.

In data 6 dicembre 2006, la conferenza di servizi convocata dalla Regione si pronunciava positivamente in ordine al progetto, disponendo altresì alcune prescrizioni che comportavano lo spostamento di alcuni aerogeneratori e dunque una nuova tavola di progetto (1bis) a tal fine esplicativa.

La nuova progettazione veniva ulteriormente sottoposta alla verifica di assoggettabilità a VIA, ulteriormente esclusa, poi, dal dirigente di settore.

Inoltre, poiché emergeva che tutte le torri ricadono in area C del PUTT, veniva richiesta l’autorizzazione paesaggistica al Comune di Giuggianello, il quale si esprimeva positivamente con nota del 7 luglio 2008.

In esito a tale istruttoria la Regione Puglia, settore industria, adottava la determinazione n. 1065 del 10 ottobre 2008, con la quale si autorizzava l’installazione di 12 pale eoliche.

L’associazione ricorrente interponeva dunque gravame per i seguenti motivi, così enucleabili:

1. Violazione degli artt. 14 ss. della legge n. 241 del 1990, nella parte in cui le amministrazioni partecipanti alla conferenza di servizi non si sarebbero espresse sul progetto definitivo, dato che a seguito della conferenza stessa alcune delle pale sarebbero state spostate senza che la conferenza si fosse ulteriormente espressa su dette variazioni progettuali;

2. Violazione degli artt. 14 ss. della legge n. 241 del 1990 nella parte in cui la valutazione di impatto ambientale sarebbe avvenuta ben oltre la conclusione dei lavori della conferenza di servizi;

3. Violazione degli artt. 14 ss. della legge n. 241 del 1990 nella parte in cui non sono stati chiamati a partecipare, ai lavori della conferenza suddetta, anche i comuni di Sanarica, Giurdignano e Poggiardo, che in ogni caso gravitano intorno all’area oggetto dell’intervento;

4. Violazione delle norme in materia di conferenza di servizi nella parte in cui la Provincia di Lecce è stata convocata alla prima delle riunioni previste (2004) senza tenere conto dei termini che debbono necessariamente intercorrere tra avviso della riunione e riunione stessa;

5.1. Violazione delle disposizioni di cui agli artt. 14 ss. nella parte in cui la Soprintendenza Archeologica non è stata messa nella condizioni di partecipare effettivamente alla conferenza di servizi;

5.2. Conseguente difetto di istruttoria, in quanto non sarebbe stato sufficientemente valutato il particolare interesse storico ed archeologico dell’area oggetto di intervento;

6. Violazione della disposizioni in tema di conferenza di servizi nella parte in cui non è stato chiamato a partecipare il Comando provinciale dei Vigili del Fuoco;

7. Violazione delle norme del PUTT nella parte in cui non è stata rilasciata l’attestazione di compatibilità paesaggistica da parte della Regione Puglia;

8. Violazione del regolamento regionale n. 16 del 2006, il quale impone la previa adozione del piano regolatore degli impianti eolici (c.d. PRIE) ai fini della realizzazione dell’intervento de quo;

9. Violazione dell’art. 2, comma 1, della legge regionale n. 31 del 2008, nella parte in cui si vieta la installazione di siffatti impianti all’interno di aree caratterizzate dalla presenza di “ulivi monumentali”;

10. Violazione in ogni caso della legge regionale n. 14 del 2007, la quale tutela per l’appunto gli ulivi monumentali qualora il loro valore storico-antropologico sia accertato e rappresentato da idonee documentazioni di carattere storico. Ciò in quanto il progetto prevede in più parti l’espianto di alcuni olivi che poi saranno ripiantumati;

11. Violazione della delibera regionale n. 35 del 2007 per difetto di istruttoria relativa alla analisi del fabbisogno energetico ed alla compatibilità dell’impianto con altri impianti già previsti nell’area de qua. Non si sarebbe peraltro osservato quanto previsto nel parere della Provincia di Lecce del 16 dicembre 2004;

12. Violazione dell’art. 12, comma 7, del d.lgs. n. 387 del 2003, nella parte in cui la Regione non avrebbe adeguatamente tenuto conto del patrimonio culturale e del paesaggio rurale riguardante la predetta area;

13. Violazione dell’art. 13 del regolamento regionale n. 16 del 2006 nella parte in cui non sarebbe rispettato il c.d. parametro di controllo;

14. Eccesso di potere per sviamento laddove il Comune di Giuggianello ha espresso parere favorevole in merito alla proposta della Wind, rispetto ad altre ditte, soltanto in ragione delle maggiori roylaties da questa eventualmente versate;

15. Difetto di istruttoria, dovuta in particolare a carenze progettuali relative alle dimensioni delle torri eoliche che la conferenza di servizi non avrebbe correttamente rilevato;

16. Violazione sotto vari profili delle linee guida regionali in materia di installazione di impianti eolici (delibera giunta regionale n. 131 del 2004). Più in particolare:

a) non sarebbe rispettata la distanza minima (2 km) tra impianto e centro abitato;

b) non sarebbe rispettata la distanza minima (15 volte il diametro del rotore) tra impianto e area edificabile;

c) non sarebbe stata correttamente indicata la gittata massima degli elementi rotanti in caso di rottura accidentale;

d) non sarebbe rispettato l’indice di ventosità media annua del sito ;

e) il trasformatore non sarebbe all’interno della torre;

f) non sarebbe rispettata la distanza minima tra impianto e strade provinciali e nazionali.

Si è costituita in giudizio, oltre alla Regione Puglia ed alle amministrazioni statali interessate, anche la società controinteressata la quale ha eccepito, in particolare: la carenza di interesse in capo alla associazione ricorrente per quanto riguarda la mancata partecipazione alla conferenza di alcuni comuni contermini; la circostanza secondo cui la Soprintendenza archeologica sarebbe comunque stata resa edotta dell’intervento de quo, i cui elaborati progettuali aveva ricevuto in copia da parte della società interessata; l’assenza in ogni caso di un interesse di tipo archeologico, dato che l’area non è sottoposta al relativo vincolo; la disposizione regionale sul PRIE è illegittima e va disapplicata; non vi sono ulivi monumentali né per dimensione, né per accertato valore storico-antroplogico.

La medesima società controinteressata ha poi depositato perizia di parte dalla quale risulta che l’installazione di alcuni aerogeneratori comporterebbe qualche problematica relativa alla presenza, nell’area interessata, di elementi di interesse archeologico. In particolare, due degli aerogeneratori sarebbero localizzati in aree ascrivibili ad elevati fattori di rischio archeologico (uno ricadente in località San Giovanni e l’altro nell’area del Masso della Vecchia), motivo questo che avrebbe indotto i medesimi periti di parte a suggerire in ogni caso, per tali aree, l’effettuazione di preventivi saggi archeologici.

Con ulteriore perizia agronomica la stessa parte controinteressata riconosce che la localizzazione di alcuni aerogeneratori interessa una zona caratterizzata dalla presenza di ulivi, sottolineando altresì che l’aerogeneratore n. 9 – già segnalato in ordine al fattore di rischio archeologico – è inserito in un’area con presenza di ulivi che “potrebbero” possedere il carattere della monumentalità sia per le dimensioni, sia per la vicinanza al predetto Masso della Vecchia.

Proponeva poi intervento “ad adiuvandum” la Unione di Comuni denominata Terre d’Oriente – costituita da alcuni comuni contermini a quello di Giuggianello tra cui anche le amministrazioni comunali di Poggiardo e Giurdignano - la quale aveva a suo tempo presentato, altresì, ricorso straordinario dinanzi al Capo dello Stato.

DIRITTO

1. Si affronta in via preliminare la questione relativa alla ammissibilità dell’intervento dispiegato dalla Unione di Comuni denominata “Terre d’Oriente”.

Quest’ultima amministrazione ha infatti presentato ricorso straordinario avverso la determinazione dirigenziale n. 1065 del 10 ottobre 2008, dopo che l’odierna ricorrente aveva già interposto (e depositato) il presente gravame contro il medesimo atto.

Si tratta in altre parole della impugnazione dello stesso atto amministrativo, da parte di due soggetti diversi, rispettivamente dinanzi a questa autorità giurisdizionale amministrativa e dinanzi al Capo dello Stato.

Secondo una certa posizione giurisprudenziale, la regola dell’alternatività scatterebbe soltanto in ipotesi di duplice identità, oggettiva e soggettiva.

Ritiene invece il collegio di aderire a quella parte della dottrina la quale afferma che, in caso di impugnazione dello stesso atto, la previa presentazione di uno dei due rimedi, da parte di uno degli interessati al suo annullamento, condiziona la scelta degli altri cointeressati (posizione processuale più correttamente da attribuire, come si vedrà più avanti, alla predetta Unione): e ciò in quanto occorre evitare una discordanza di pronunziamenti sul medesimo atto: esigenza questa che è proprio alla base della regola della suddetta alternatività.

Nel caso di specie andrebbe dunque accordata prevalenza al mezzo giurisdizionale, in quanto pacificamente esperito prima rispetto a quello amministrativo.

Tanto premesso va ritenuto ammissibile l’ingresso in questa sede della posizione vantata dalla Unione in parola, attesa l’esigenza di garantire comunque a taluni soggetti, a fronte della perentorietà scaturente dalla predetta regola processuale dell’alternatività, un livello minimo di effettività della tutela giurisdizionale ai sensi degli artt. 24 e 113 Cost.

Tale posizione deve peraltro essere considerata alla stregua non di interveniente, quanto piuttosto di cointeressata: e ciò dal momento che i due soggetti (Unione di Comuni e associazione X.) sono in realtà portatori di interessi identici, ossia diretti ed immediati, in merito all’impugnativa dell’atto di cui si discute, laddove l’intervento ad adiuvandum postula la presenza a livello processuale di soggetti che coltivano un interesse in ogni caso riflesso e indiretto rispetto a quello coltivato in via principale dal ricorrente originario.

La suddetta riqualificazione della posizione ricoperta dalla Unione come cointeressata implica pertanto il previo riconoscimento, ancora più a monte, del beneficio della rimessione in termini per errore scusabile, dal momento che la stessa non poteva essere a conoscenza della presenza di un ricorso giurisdizionale promosso da altri (è infatti pacifico che il ricorso non deve essere notificato anche ai cointeressati).

2. Nel merito, il primo motivo di ricorso è infondato.

Obiettivo della conferenza di servizi è infatti la massima semplificazione procedimentale: pertanto, poiché lo spostamento di alcuni aerogeneratori è avvenuto proprio a seguito delle prescrizioni imposte dalla conferenza di servizi, una nuova sottoposizione del progetto nel frattempo adeguato alle predette prescrizioni avrebbe costituito una inevitabile forma di aggravio del procedimento, avendo dovuto la conferenza esprimersi – se del caso – in termini di mera conferma circa soluzioni dalla stessa prospettate. In altre parole, gli spostamenti in questione erano non solo ampiamente conosciuti dai partecipanti alla conferenza, ma dagli stessi prescritti, tanto che la redazione della tavola 1-bis, come si evince dalla relazione istruttoria allegata alla determina di autorizzazione unica qui impugnata, è “esplicativa degli spostamenti avvenuti in sede di conferenza di servizi”.

3. Anche il secondo motivo di ricorso è infondato.

Il settore ecologia della Regione Puglia, in data 9 gennaio 2007 (dunque successivamente all’esito dei lavori della conferenza in data 6 dicembre 2006) non ha infatti adottato un parere VIA (valutazione di impatto ambientale), bensì una (ulteriore) determinazione di esclusione della VIA, che per le stesse ragioni legate all’inutile aggravio del procedimento non avrebbe aggiunto alcunché rispetto alle valutazioni già operate in sede di conferenza (la prescrizione circa l’abbattimento di alberi è infatti già contenuta, nella sostanza, nel parere del Corpo forestale dello Stato).

Del resto, le valutazioni della conferenza debbono concentrarsi, secondo quanto previsto dall’art. 14-ter della legge n. 241, unicamente sui pareri VIA, ossia sugli atti in cui vengono espresse determinate posizioni ed eventuali prescrizioni, non anche sulle “determinazioni di esclusione dalla VIA”.

4. Il quarto motivo è senz’altro inammissibile in quanto genericamente formulato. Al di là di ogni considerazione circa la effettiva (ed utile) partecipazione della Provincia di Lecce ai lavori della conferenza di servizi (i quali si sono protratti sino al 2006, con conseguente inclusione delle valutazioni espresse dalla amministrazione provinciale), non è infatti chiaro in che termini la Provincia non sarebbe stata messa in grado di valutare tempestivamente, in vista della prima riunione del 16 dicembre 2004, i documenti progettuali posti alla base della richiesta di autorizzazione. In altre parole, non vi è cenno nel ricorso alla specifica violazione del termine di cui all’art. 14-ter, comma 1, della legge n. 241 del 1990, con particolare riferimento alla data di ricezione della convocazione della predetta riunione del 14 dicembre 2004.

Peraltro, le osservazioni formulate dalla Provincia si attestano su un progetto che ha formato oggetto di successive e profonde modifiche e sul quale la stessa amministrazione, con nota del 26 novembre 2006, ha poi prestato sostanziale assenso.

5. È invece fondato il motivo di ricorso sub 5) sia in relazione alla mancata convocazione della Soprintendenza archeologica, o meglio della sua convocazione in violazione delle regole del procedimento relativo alla conferenza di servizi, sia in ordine al lamentato difetto di istruttoria concernente la sussistenza di un eventuale interesse culturale con riferimento all’area in questione..

5.1. Quanto al primo profilo si evince, dagli atti versati in giudizio, come la soprintendenza archeologica non sia stata convocata in occasione della prima conferenza e sia stata sì convocata, ma in dispregio dei termini previsti dalla legge n. 241 del 1990, in relazione alla conferenza conclusiva del 6 dicembre 2006.

A tale ultimo riguardo la lettera di convocazione è partita il 1° dicembre 2006 e pervenuta soltanto il successivo 13 dicembre, laddove la riunione si era già tenuta il 6 dicembre. Ne deriva la palese violazione di cui all’art. 14-ter, comma 1, della legge n. 241 del 1990, laddove è previsto che la convocazione della riunione “deve pervenire alle amministrazioni interessate … almeno cinque giorni prima della relativa data”. Termine questo ampiamente obliterato dalla amministrazione regionale, la quale ha peraltro provveduto ad inviare la predetta convocazione soltanto al quinto giorno antecedente la riunione, così ampliando le possibilità di incorrere in un vizio di regolarità procedimentale come quello qui esaminato e vagliato.

D’altra parte, il progetto modificato non è stato neppure inviato nella nota in data 8 gennaio 2007, con la quale l’amministrazione regionale si è limitata a dare atto della conclusione dei lavori della conferenza: pertanto, la soprintendenza archeologica non era in condizioni di chiedere una riapertura della suddetta conferenza di servizi.

Né può valere la circostanza per cui la società interessata avrebbe più volte sollecitato il parere della suddetta soprintendenza, non potendo esso costituire elemento idoneo a sanare né tanto meno a surrogare la individuata irregolarità della convocazione (tanto più che le suddette note inviate dalla società non contenevano il riferimento alla riunione della conferenza di servizi del 6 dicembre 2006).

5.2. Ne deriva dalla mancata partecipazione della soprintendenza archeologica – aggravata dal mancato invio del verbale conclusivo, dal quale si sarebbe ricavato peraltro lo spostamento di alcuni aerogeneratori e dunque la modifica del progetto iniziale – non solo (e non tanto) l’irregolarità del procedimento in seno alla conferenza di servizi, ma anche (e soprattutto) il difetto di istruttoria di cui il provvedimento conclusivo sarebbe ineludibilmente viziato (secondo profilo della censura sollevata).

L’eventuale apporto della Soprintendenza avrebbe infatti consentito quelle analisi e quegli approfondimenti necessari per poter consapevolmente e razionalmente intervenire sulla modifica di luoghi che, da quanto emerso in questa sede (si veda in questo senso la memoria difensiva prodotta dalla amministrazione dei beni culturali), senz’altro presentano profili di indubbio interesse storico, archeologico ed antropologico.

5.2.1. Ciò è quanto si rileva non solo dalla copiosa documentazione versata in atti dalla parte ricorrente (ricomprensiva di dati bibliografici e di evidenze in superficie di cui si è offerta riproduzione fotografica), ma anche dalla relazione prodotta in giudizio dalla stesa società controinteressata. Relazione dalla quale si evince, in particolare, che l’installazione di almeno due degli aerogeneratori progettati ricadono in aree ad elevato fattore di rischio archeologico (nella specie, rispettivamente il n. 8 in località “Masso della Vecchia” ed il n. 9 in località “San Giovanni”). Tanto che i periti stessi concludono il proprio esame consigliando la effettuazione di “indagini dirette con saggi preventivi o indagini indirette”.

5.2.2. Ritiene pertanto il collegio che, al di là della presenza o meno di vincoli archeologici sull’area de qua, ciò che rileva è l’incontestato (ed anzi confermato) rilievo di elementi di seria consistenza che fanno propendere per l’oggettiva rilevanza archeologica dell’area in questione (o quanto meno su parte di essa).

5.2.3. Onde individuare il corretto percorso che le amministrazioni coinvolte nel procedimento avrebbero dovuto osservare nel caso di specie giova innanzitutto rammentare, sul piano normativo, che l’art. 1, comma 3, del codice dei beni culturali (decreto legislativo n. 42 del 2004) prevede che “lo Stato, le Regioni, le città metropolitane, le province e i comuni assicurano e sostengono la conservazione del patrimonio culturale e ne consentono la pubblica fruizione e la valorizzazione”.

Il successivo art. 5, comma 1, dal canto suo, stabilisce che le regioni nonché gli altri enti pubblici territoriali (comuni, province, etc.) cooperano con lo Stato nell’esercizio delle funzioni di tutela di cui al Titolo I della parte seconda del Codice stesso.

Ciò appare in linea con quanto previsto dalle disposizioni costituzionali di cui agli artt. 9 – a norma del quale la Repubblica (da intendersi, ai sensi dell’art. 114 Cost., come costituita da Comuni, Province, Città metropolitane, Regioni e Stato) tutela tra l’altro il paesaggio ed il patrimonio storico e artistico della Nazione – e 118, terzo comma, Cost., il quale fonda il principio di leale collaborazione tra Stato e regioni proprio in materia di tutela dei beni culturali.

L’art. 9 Cost., si può ben dire, esprime quindi il fondamentale valore del “pluralismo culturale” in base al quale l’azione congiunta di più agenti istituzionali rappresenta senza dubbio, nella logica del “compito comune” e dunque della leale collaborazione, la migliore garanzia che siano valorizzate le istanze culturali minoritarie e periferiche.

In questa stessa direzione, l’art. 14, comma 1, del codice BAC, prevede che il procedimento per la dichiarazione di interesse culturale viene avviato dal soprintendente “anche” su motivata richiesta della regione e di ogni altro ente territoriale interessato.

Non si trascuri poi, in questo quadro, la possibilità offerta dall’intervento dei privati, in applicazione del principio di sussidiarietà orizzontale di cui all’art. 118, quarto comma, Cost. e dei meccanismi partecipativi non ancora completamente collaudati di cui all’art. 9 della legge n. 241 del 1990. Nell’ottica della “governance” dei beni culturali (concetto questo che implica come noto un elevato livello di cooperazione tra attori statuali da una parte ed attori non statuali dall’altra parte), tale modello sembra peraltro trovare oggi ampia conferma in quanto previsto dall’art. 3-ter del decreto legislativo n. 152 del 2006 (codice dell’ambiente). Questa disposizione, rubricata “principio dell’azione ambientale”, prevede infatti che “la tutela dell’ambiente … e del patrimonio culturale deve essere garantita da tutti gli enti pubblici e privati e dalle persone fisiche e giuridiche pubbliche e private, mediante una adeguata azione che sia informata ai principi della precauzione, dell’azione preventiva, della correzione”.

5.2.4. Tanto premesso si ritiene che, al di là della illegittime modalità di convocazione della competente soprintendenza archeologica, l’invocato difetto di istruttoria sussiste proprio alla luce del predetto quadro normativo (di rango primario e costituzionale) il quale impone, pure nei confronti di regioni ed enti locali (qui partecipanti a vario titolo al procedimento de quo), di apprestare tutte le misure necessarie per garantire – anche in attuazione del principio di buon andamento di cui all’art. 97 Cost. – una tutela adeguata del patrimonio culturale rientrante nella loro sfera di interesse.

Siffatta tutela, nel caso di specie, avrebbe dovuto in particolare concretizzarsi – come già anticipato – mediante una analisi più approfondita dello stato dei luoghi che avrebbe potuto comportare, in prima battuta, il ricorso allo strumento cautelare della inibitoria preventiva di cui all’art. 28, comma 2, del codice BAC, e poi eventualmente, in seconda battuta, la dichiarazione di interesse culturale di cui agli artt. 13 e 14 del codice stesso.

Ed infatti, il menzionato art. 28, comma 2, viene applicato anche per interventi progettati e non ancora avviati ed in relazione a beni per i quali non sia ancora intervenuta intervenuta la dichiarazione di interesse culturale di cui all’art. 13 del codice. Ed anzi a tale strumento per lo più si ricorre proprio allo scopo di giungere, se del caso, a questo tipo di dichiarazione.

Del resto, una simile dichiarazione avrebbe potuto eventualmente coinvolgere – nella specie – soltanto parte dell’area interessata dall’intervento, così consentendo, nell’interesse stesso della società controinteressata, una modifica progettuale tale da rimodulare e concentrare la realizzazione dello stesso in area non caratterizzata da elementi di rilievo culturale.

Tale modus operandi è stato di recente regolamentato, nel dettaglio, all’interno del codice dei contratti pubblici, ove si è affermato il principio della verifica preventiva dell’interesse archeologico.

Pur non avendo il legislatore codificato la stessa procedura per quanto riguarda le opere sì di interesse pubblico come quelle in esame (impianti di energia rinnovabile) ma pur sempre ad iniziativa privata, si ritiene in ogni caso che alle medesime conclusioni possa giungersi qualora sull’area, anche in assenza di specifici vincoli, risulti attestata sulla base di documentazione attendibile la presenza di seri “indizi di culturalità”, ossia di elementi di rilevante interesse archeologico.

“Indizi” che – come nella specie avvenuto – ben potrebbero emergere, altresì, in base all’azione dei privati, ossia in applicazione del principio dell’azione ambientale di cui al menzionato art. 3-ter del d.lgs. n. 152 del 2006.

In tale ipotesi deve allora innestarsi un adeguato livello di approfondimento istruttorio – da parte non solo della soprintendenza statale ma anche di altri soggetti territorialmente interessati, in ottemperanza al principio buon andamento nonché di doverosa e leale collaborazione interistituzionale – diretto a vagliare preliminarmente la eventuale sussistenza dei presupposti richiesti dalla normativa di settore per l’applicazione dei relativi meccanismi di tutela (artt. 28 e 13 del codice BAC).

E ciò anche al fine – come già detto – di offrire al privato che intende svolgere l’iniziativa imprenditoriale di avere un quadro di certezze più ampio riguardo alle effettive possibilità legali connesse alla realizzazione dell’intervento.

Prevale in questo senso un principio di effettività della tutela del bene culturale il quale consenta, in una ottica eminentemente sostanzialista, di prescindere se del caso dalla sussistenza o meno di un provvedimento vincolistico di natura formale: la dichiarazione di interesse culturale, per l’orientamento dominante, implica infatti la preesistenza rispetto ad essa della “culturalità” del bene.

5.2.5. Per tutti i motivi suddetti la specifica censura concernente il difetto di istruttoria merita dunque accoglimento.

6. Si affrontano ora, per ragioni di ordine logico e sistematico, i motivi di ricorso rubricati sub numeri 10, 12 e 3 della parte in fatto.

6.1. Con il motivo sub 10) si eccepisce la violazione della legge regionale n. 14 del 2007 nella parte in cui si autorizza l’intervento su aree caratterizzate dalla presenza di ulivi monumentali, intendendosi per tali non solo quelli aventi determinate dimensioni, ma anche quelli che possiedono età plurisecolare deducibile da un “accertato valore storico-antropologico per citazione o rappresentazione in documenti o rappresentazioni iconiche-storiche” (art. 2, comma 1, lettera b, della legge regionale citata).

Premesso che ai sensi dell’art. 15 della stessa legge regionale questa forma di tutela è consentita, nelle more della formazione degli elenchi degli ulivi monumentali di cui all’art. 5 della legge regionale, per gli ulivi plurisecolari rispondenti ad una delle caratteristiche di cui all’art. 2, da una serie di documenti versati in giudizio emerge come parte dell’area interessata dall’intervento sia in effetti caratterizzata dalla presenza di ulivi puntualmente citati all’interno di rappresentazioni, illustrazioni e citazioni di carattere storico, archeologico, letterario ed antroplogico.

Più in particolare:

a) scrive Nicandro, autore greco del II secolo a.c., che “Dagli ulivi del Colle i fanciulli intrappolati nel legno emettono gemiti udibili talvolta nella notte dagli umani”;

b) il testo di Vincenzo Ruggeri dell’aprile 1989 (“Memorie di storia”) richiama la presenza di ulivi a fare da cornice ai racconti popolari sui luoghi di cui si discute;

c) nei “Bozzetti di Viaggio” di Cosimo De Giorgi (1882) si richiamano per l’appunto gli oliveti della “Serra di Giuggianello”;

d) la pubblicazione di Paul Arthur “Masseria quattro macine”, di carattere storico-archeologico, fa riferimento alla tradizionale coltivazione di uliveti nella zona di interesse.

La stessa relazione agronomica depositata dalla società controinteressata ammette la presenza di ulivi monumentali di questo tipo, e in particolare di quelli allocati in località “Masso della Vecchia”.

Alla luce di quanto sopra riportato appare evidente la presenza – almeno su parte dell’area interessata dal progettato intervento – di uno dei due presupposti richiesti dalla legge regionale ai fini dell’applicazione delle misure di tutela ammesse, altresì, nel descritto periodo transitorio (cfr. artt. 2 e 15 della legge regionale citata): da tanto consegue l’accoglimento del motivo di ricorso rubricato al punto n. 10.

6.2. Parallelamente è da ritenere fondato il motivo di cui al punto n. 12, con il quale si lamenta la violazione dell’art. 12, comma 7, del decreto legislativo n. 387 del 2003, nella parte in cui si impone, alle amministrazioni deputate al rilascio delle previste autorizzazioni relative ad impianti di energia rinnovabile, di tenere conto del “patrimonio culturale” e del “paesaggio rurale” concernente l’area oggetto dei predetti interventi.

Detto patrimonio culturale, nella specie, è per l’appunto costituito da una serie di miti e leggende che si sono sviluppati, nel corso del tempo, intorno ai luoghi di cui si discute (sito megalitico c.d. delle “Rocce Sacre”).

Varie sono le testimonianze in questa direzione – tra cui anche quelle poc’anzi citate con riferimento alla presenza di ulivi monumentali - le quali stanno a testimoniare il grande valore simbolico e storico-etnografico dell’area in questione.

Sono infatti presenti, in questo luogo chiamato anche il “Colle dei Fanciulli e delle Ninfe”, una serie di monoliti evocati in antiche credenze popolari – ed in particolare della tradizione contadina - legate alla ritenuta presenza di forze magiche e benefiche che governavano lo svolgersi degli eventi nelle campagne.

Pertanto, le amministrazioni partecipanti al procedimento de quo avrebbero dovuto adeguatamente tenere conto, altresì, della sussistenza di questi fondamentali aspetti di carattere storico-antroplogico e culturale.

Da quanto sopra detto deriva l’accoglimento dello specifico motivo di ricorso.

6.3. Va conseguentemente accolto il motivo sub n. 3, con il quale si deduce la violazione degli artt. 14 ss. della legge n. 241 del 1990 nella parte in cui non sono stati chiamati a partecipare, ai lavori della conferenza suddetta, anche i comuni di Sanarica, Giurdignano e Poggiardo, i quali graviterebbero in ogni caso intorno all’area oggetto dell’intervento. Detti comuni distano rispettivamente 3,5, 7 e 5 km dall’area dell’intervento.

Quanto all’interesse a coltivare tale parte di gravame da parte dell’associazione ricorrente, esso risiede nella possibilità che la conferenza di servizi si esprima nuovamente ed approfonditamente sull’oggetto dell’intervento anche attraverso una gamma più ampia e soprattutto più fedele dei soggetti effettivamente “legati”, per le ragioni prima evidenziate, all’area interessata dall’intervento medesimo. L’interesse risiede in altre parole nella più allargata possibile partecipazione di tutti i soggetti che si trovano nell’orbita del sito di ritenuta meritevolezza sul piano culturale, in modo da pervenire ad una posizione adeguatamente condivisa, informata e consapevole circa la tutela da accordare al patrimonio storico archeologico di cui si discute.

Quanto invece rispetto all’interesse, da parte di questi comuni, in ordine alla realizzazione o meno dell’impianto in oggetto e dunque alla partecipazione in seno alla conferenza di servizi indetta dalla Regione, ciò appare stretta derivazione di quanto appena affermato al punto n. 6.2.

Ed infatti la presenza di miti e leggende, da intendersi quali racconti di avvenimenti che hanno avuto luogo nel tempo primordiale (la serra di Giuggianello è altresì chiamata “La collina dei Fanciulli e delle Ninfe”), determina un legame tra le popolazioni che ruotano attorno all’area de qua che va ben oltre la percezione visiva e dunque fisica dei luoghi che formano oggetto del presente intervento; tale legame – basato su un luogo ritenuto di fondamentale valore simbolico – ha piuttosto un carattere spirituale e sentimentale, sì da radicare ben più profonde radici di identità culturale tra diverse comunità, pur se non necessariamente contermini.

Ne deriva da quanto sopra l’accoglimento del motivo sub 3) e l’ulteriore conferma circa la legittimazione ad agire in questa sede da parte della Unione Terre d’Oriente.

7. Circa la mancata convocazione del Comando provinciale dei Vigili del Fuoco si osserva che la delibera regionale n. 35 del 2007 contempla in effetti, tra gli enti chiamati a partecipare ai lavori della conferenza di servizi di cui si discute, anche la predetta amministrazione.

Ora, a prescindere dalla circostanza che tale disposizione regionale è entrata in vigore in un momento successivo alla conclusione dei lavori della conferenza, si osserva che la normativa già vigente al momento dell’avvio del procedimento in oggetto (artt. 1 e 2 del DPR n. 37 del 1998) prevede in ogni caso il rilascio del parere di conformità alla normativa antincendio per tutti gli impianti di produzione di energia elettrica rientranti nell’elenco di cui al DM 16 febbraio 1982.

È ben vero che gli impianti di energia rinnovabile non rientrano espressamente in tale elenco, ma ciò e senz’altro dovuto al fatto che, al tempo della emanazione del predetto decreto ministeriale, siffatti impianti erano pressoché sconosciuti al legislatore.

La presenza di cavidotti, nonché di cabine di consegna e di trasformazione elettrica, fa invece propendere per la necessità di acquisire preventivamente, o comunque all’interno della apposita conferenza di servizi, lo specifico nulla osta previsto dalla normativa anti incendio, così come ricognitivamente previsto dalla predetta delibera regionale n. 35 del 2007.

Lo specifico motivo di ricorso è dunque fondato.

8. Per quanto attiene alla mancata attestazione di compatibilità paesaggistica da parte della Regione, si osserva che il PUTT richiede tale adempimento, al punto 5.04 delle NTA, in relazione ad opere di rilevante trasformazione ai sensi dell’art. 4.01 dello stesso documento di piano. Quest’ultimo, a sua volta, definisce quali “opere di rilevante trasformazione territoriale quelle derivanti dalla infrastrutturazione … relativa a: … energia”, evidenziando al tempo stesso che debba trattarsi altresì di opere “comportanti modificazioni permanenti”.

Parte controinteressata assume che gli impianti in questione avrebbero al contrario carattere precario e non permanente, requisito questo necessario ai fini della applicazione della richiamata disposizione regionale in tema di tutela paesaggistica.

Occorre tuttavia rilevare, al riguardo, che per la giurisprudenza amministrativa (cfr. Cons. Stato, sez. V, 15 giugno 2000, n. 3321; sez. V, 30 ottobre 2000, n. 5828) il concetto di precarietà (mobilità) di un manufatto o di un impianto come quello di specie “dipende non già dal suo sistema di ancoraggio, ma dalla sua idoneità a determinare una stabile trasformazione del territorio. Il detto carattere va quindi escluso quando trattasi di struttura destinata a dare un’utilità prolungata nel tempo”.

La permanenza o meno di un manufatto o di un impianto deve dunque essere letta in termini “funzionali”, piuttosto che “strutturali”.

Ebbene, è indubbo che l’impianto in questione sia in grado di realizzare una siffatta prolungata utilità nel tempo (tanto lunga da poter costituire elemento idoneo, di per sé, ad agevolare l’acquisto della proprietà immobiliare in ragione del decorso del tempo).

A siffatta conclusione si perviene ove soltanto si consideri la natura e l’efficacia (durevole nel tempo) del provvedimento autorizzatorio di cui si discute, preordinato a consentire l’esercizio di una complessa attività imprenditoriale che, anche per assicurare il ritorno degli investimenti (c.d. “break even point”), non potrà che essere svolta per molti anni.

Anche tale censura, per i motivi sopra indicati, deve dunque trovare accoglimento.

9. In ordine alla assenza del PRIE (piano regolatore degli impianti eolici) quale elemento ostativo alla autorizzazione dell’impianto eolico, si rammenta in proposito che la legge Regione Puglia n. 9 del 2005 aveva a suo tempo stabilito che le procedure autorizzatorie in materia di impianti di energia eolica erano sospese fino all'approvazione del piano energetico ambientale regionale e, comunque, fino al 30 giugno 2006.

La Corte costituzionale, con la sentenza n. 364 del 2006, pur affermando la legittimità dell’intervento regionale sul piano delle competenze costituzionalmente assegnate (trattandosi di energia), ha in ogni caso dichiarato la incostituzionalità della norma regionale poiché si poneva in contrasto con il principio fondamentale posto dall'art. 12 del decreto legislativo n. 387 del 2003, il quale fissa, alla stregua di principio fondamentale di semplificazione ed accelerazione dell’azione amministrativa in subiecta materia (produzione di energia), un termine massimo di 180 gg. per la conclusione del procedimento autorizzativo: termine questo che nella specie sarebbe stato superato dalla prevista moratoria (c.d. ad tempus).

A questa declaratoria ha fatto seguito il regolamento regionale n. 16 del 2006, il quale ha previsto la adozione da parte dei comuni di piani regolatori degli impianti eolici, soggetti ad approvazione regionale. La disposizione transitoria di cui all’art. 14, comma 1, prevede che, decorsi 180 gg. dalla entrata in vigore del regolamento, in assenza di PRIE – così vengono definiti i suddetti piani di settore – non possono più essere approvati impianti eolici in quella determinata località.

Anche ragionando in termini di effetto equivalente, si osserva tuttavia come in questo modo si passerebbe da una sospensione “ad tempus” ad una sospensione “sine die”, dato che la mancata approvazione del PRIE nei suddetti termini, peraltro meramente ordinatori, se per un verso già comporta il superamento del tempo massimo stabilito dalla legge statale di principio, per altro verso si traduce in concreto in una moratoria a tempo indeterminato (per l’appunto, sine die) se poi tale inerzia si protrae nel tempo senza che ad essa l’ordinamento (regionale) riconnetta una qualche sanzione o conseguenza negativa.

Determinandosi de facto, in questo modo, non solo un ritardo ma addirittura la sostanziale impossibilità di installare in determinate aree della regione gli impianti di cui si discute (stante l’inerzia comunale o regionale rispettivamente ad adottare o ad approvare il suddetto piano di settore), ne consegue la violazione della suddetta normativa nazionale e comunitaria non solo nella parte in cui si impone la conclusione del procedimento entro tempi che siano “certi”, ma anche laddove viene espresso un certo favor legislativo per la realizzazione di tali impianti, ritenuti come noto di pubblica utilità, senza che ad essa vengano frapposti ostacoli di carattere normativo ed amministrativo (si veda in proposito anche l’art. 6 della direttiva comunitaria 2001/77/CE) o comunque preclusioni di carattere generale ed assoluto.

Da quanto sopra detto, al collegio non resta che disapplicare la disposizione di cui all’art. 14, comma 1, ultimo periodo, del regolamento regionale n. 16 del 2006, in quanto contrastante con i suddetti principi fondamentali della legge statale e delle presupposte disposizioni di derivazione comunitaria.

Ne deriva ulteriormente il rigetto della censura in argomento.

10. Infondato è poi il motivo con cui si deduce la violazione della legge regionale n. 31 del 2008, e ciò in quanto al momento della adozione della determinazione impugnata (10 ottobre 2008) la legge regionale non era stata ancora pubblicata (21 ottobre 2008), né tanto meno entrata in vigore.

11. È invece generica e dunque inammissibile la censura riguardante la delibera regionale n. 35 del 2007. Il difetto di istruttoria di cui sarebbe viziato il provvedimento gravato non è stato infatti sufficientemente allegato mediante elementi seri e circostanziati.

Parimenti generica ed inammissibile è la censura riguardante la mancata osservanza del parere espresso dalla Provincia di Lecce in data 16 dicembre 2004, dato che non viene neppure indicato a quale parte del predetto parere l’amministrazione regionale non si sarebbe attenuta.

12. Ancora generico è l’ulteriore motivo con cui si lamenta l’omessa valutazione del parametro di controllo di cui all’art. 13 del regolamento regionale n. 16 del 2006, il quale è costituito dal rapporto tra la somma delle lunghezze di tutti gli aerogeneratori ed il lato della superficie comunale; tale rapporto non deve superare il valore di 0,75.

Il motivo è palesemente inammissibile in quanto non viene allegato il benché minimo elemento utile a poter calcolare tale rapporto.

D’altronde si consideri che il comma 7 dell’art. 14 del regolamento regionale n. 16 del 2006 esclude dalla applicazione del suddetto parametro le istanze presentate, come nella specie, prima della adozione del regolamento stesso.

13. La censura riguardante la scelta da parte del Comune di Giuggianello nei confronti di Wind, asseritamente ispirata da ragioni unicamente connesse alla migliore offerta economica da questa presentata (mediante royalties) rispetto ad altri operatori, è inammissibile per difetto di interesse, e ciò in quanto una simile censura poteva essere sollevata soltanto da un soggetto avente aspirazione ad installare analogo impianto nella stessa zona. Peraltro la associazione ricorrente tutela interessi di tipo ambientale, nella specie non altrimenti rinvenibili (trattandosi infatti di aspetti meramente economici).

14. La censura riguardante la carenza progettuale concernente le torri è generica, dunque inammissibile, in quanto l’associazione ricorrente non ha sufficientemente allegato, al di là delle ritenute incompletezze, l’insussistenza dei prescritti requisiti dimensionali.

15. Con riferimento all’ultima censura, riguardante la asserita violazione della delibera regionale n. 131 del 2004, si osserva che – al di là della loro condizionata efficacia alla entrata in vigore del piano energetico regionale (poi adottato con delibera n. 827 del 2007) – molte delle previsioni in esso contemplate sono state poi superate da successivi regolamenti regionali (regolamentazioni per la verità succedutesi in materia in modo quasi alluvionale, con conseguente difficoltà per gli interpreti e gli operatori di avere un quadro organico e razionale di riferimento normativo), ed in particolare dal citato regolamento regionale n. 16 del 2006. Nel merito delle singole censure si osserva dunque come le stesse siano in parte infondate ed in parte inammissibili. In particolare:

a) la distanza minima dal centro abitato è stata ridotta ad 1 km ad opera del regolamento regionale n. 16 del 2006 (art. 6, comma 3, lettera d). Tale distanza sarebbe dunque rispettata, distando 1,6 km l’aerogeneratore più vicino al centro abitato di Palmariggi;

b) la distanza minima pari a 15 volte il rotore non è stata ripresa dal ridetto regolamento regionale del 2006, il quale si limita ad affermare – coerentemente con quanto detto al punto a) – che è sufficiente la distanza di 1 km dal centro abitato (lo stesso ricorrente ha affermato al riguardo che la gittata massima di residui è in ogni caso di 500 mt);

c) la società contro interessata indica in 220 mt la gittata massima degli elementi rotanti in caso di rottura accidentale. La ricorrente contesta tale assunto sulla base di uno studio condotto in collaborazione con l’Università – che indicherebbe tale gittata in 500-600 mt. – senza tuttavia indicare il percorso attraverso il quale si giungerebbe a tale conclusione, né si allega al riguardo la esistenza di eventuali relazioni di approfondimento tematico. La censura è dunque inammissibile in quanto genericamente formulata;

d) quanto all’indice di ventosità media, lo stesso è ora mutato in base all’art. 14, comma 3, lettera A), del regolamento n. 16 del 2006, il quale fissa tale valore in 1.600 ore annue. In base a tale nuovo parametro non sono state dedotte specifiche contestazioni;

e) l’art. 10 del regolamento regionale conferma la previsione della delibera 131 secondo cui per gli impianti superiori ad 1 MW il trasformatore deve essere all’interno della torre. Tale requisito tecnico appare in ogni caso confermato sulla base dei documenti progettuali versati in atti dalla medesima ricorrente [cfr. doc. 22 della produzione originaria, ossia la relazione tecnica al progetto definitivo del luglio 2006, pag. 11 (norme sulle linee elettriche)];

f) quanto alla distanza tra pale e strade, la perizia giurata prodotta dalla società controinteressata indica in 300 mt tale valore, corrispondente a quello previsto dal regolamento regionale n. 16 del 2006 (art. 14, comma 3, lettera C);

16. Per tutte le ragioni sopra individuate il ricorso è fondato, in relazione ai motivi affrontati nei punti 5, 6 e 7, con conseguente annullamento della autorizzazione regionale 10 ottobre 2008, n. 1065, nonché delle determinazioni di non assoggettabilità a VIA n. 83 del 15 febbraio 2006 e n. 631 in data 11 dicembre 2007 della stessa Regione Puglia.

Stante la complessità e la sostanziale novità delle numerose questioni qui affrontate sussistono in ogni caso giusti motivi per compensare integralmente tra le parti le spese del presente giudizio.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia – Lecce, Prima Sezione, definitivamente pronunciando sul ricorso n. 418/2009, lo accoglie nei sensi e nei limiti di cui in motivazione e per l’effetto annulla la determinazione 10 ottobre 2008, n. 1065, del Dirigente servizio industria della Regione Puglia, nonché le determinazioni rispettivamente 15 febbraio 2006, n. 83, e 11 dicembre 2007, n. 631, entrambe del Dirigente settore ecologia della Regione Puglia.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Lecce nella camera di consiglio del giorno 20/05/2009 con l'intervento dei Magistrati:

Aldo Ravalli, Presidente

Luigi Viola, Consigliere

Massimo Santini, Referendario, Estensore

DEPOSITATA IN SEGRETERIA IL 18/07/2009.

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