lunedì 4 maggio 2009

focus: I rapporti tra negozi a titolo gratuito e liberalità


Approfondimento

Il rapporto fra negozi a titolo gratuito e liberalità.
Caratteri, struttura e requisiti della donazione

La donazione in senso stretto: definizione
Ai sensi dell’art. 769 la donazione è il contratto con il quale, per spirito di liberalità, una parte arricchisce l’altra, disponendo a favore di questa di un diritto proprio, presente nel patrimonio (art. 771), o assumendo verso la stessa un’obbligazione.
I requisiti della donazioneAlla luce di tale definizione codicistica è possibile affermare che due sono gli elementi qualificatori della figura in esame: lo spirito di liberalità e l’arricchimento del donatario.
L’animus donandi: la differenza fra volontarietà e spontaneità
Il primo parametro (detto anche animus donandi) presenta carattere soggettivo, concretandosi nell’intenzione del donante di attribuire al donatario un’attività patrimoniale non dovuta, con la consapevolezza di tale indebenza e, dunque, in modo volontario (1).Non sarebbe sufficiente, allora, per integrare tale requisito, la presenza di un’intenzione di arricchire senza corrispettivo.È necessario, invece, che il soggetto abbia la volontà di attribuire un quid senza esservi tenuto e con la consapevolezza di tale stato di non coercizione.La “volontarietà”, che contraddistingue l’atto donativo, non deve, inoltre, essere confusa con la “spontaneità”, cui il legislatore fa espresso riferimento in tema di adempimento delle obbligazioni naturali (art. 2034).Quest’ultimo concetto, difatti, descrive semplicemente la necessità che l’atto adempitivo non sia frutto d’una costrizione esogena, essendo, invece, irrilevante la credenza che l’obbligato abbia di essere tenuto, “secondo diritto”, a soddisfare il creditore.Viceversa, come detto, la “volontarietà” descrive lo stato di piena contezza del donante circa l’assenza di qualsivoglia vincolo, non solo giuridico ma anche morale o sociale, al compimento dell’attribuzione patrimoniale:
Giurisprudenza
Il negozio di liberalità – che costituisce una categoria generale nella quale rientrano varie figure negoziali, tra cui la donazione, che è tipizzata distintamente dal legislatore perché sottoposta ad una particolare disciplina – è quello con il quale un soggetto, consapevole di non esservi tenuto in virtù di un vincolo giuridico o di un vincolo extragiuridico rilevante per la legge, opera liberamente e spontaneamente un’attribuzione patrimoniale gratuita a favore di un altro soggetto allo scopo di arricchirlo. Conseguentemente, la causa di tale negozio è costituita dall’effettuazione di una attribuzione patrimoniale gratuita, che comporti un arricchimento del destinatario, qualificata soggettivamente dalla consapevolezza, nell’autore di essa, che la medesima è operata in assenza di un qualsiasi dovere, giuridico oppure soltanto morale o sociale, e, perciò, in definitiva, per quello spirito di liberalità, che è legislativamente riferito al contratto di donazione (art. 769 c.c.) (Cass. 3 giugno 1980, n. 3621, rv. 407474).
L’ondivaga nozione di arricchimento: l’accezione economica e quella giuridica
Il secondo elemento ha, viceversa, un consistenza oggettiva, sostanziandosi nel meccanismo di mutamento diretto delle poste patrimoniali pertinenti alle sfere giuridiche dei contraenti.Perché si versi in materia di donazione, allora, sarà necessario che il contratto attributivo sia costruito in modo tale da comportare un depauperamento del patrimonio del donante cui corrisponda un diretto ed equivalente arricchimento di quello del donatario.Più precisamente è necessario che gli elementi patrimoniali, di cui il donante risulta impoverito, confluiscano nella sfera del donatario, incrementandone la consistenza patrimoniale.Come è desumibile dall’art. 769, tale effetto attributivo può consistere sia nel trasferimento/costituzione di un diritto reale o nel trasferimento di diritto di credito (c.d. donazione a effetti reali), sia nella costituzione di un diritto di credito a carico del donante e favore del donatario (c.d. donazione ad effetti obbligatori):
Giurisprudenza
Per aversi donazione non basta l’elemento soggettivo o spirito di liberalità, consistente nella consapevolezza di attribuire ad altri un vantaggio patrimoniale senza esservi in alcun modo costretti, ma occorre anche l’elemento oggettivo costituito dall’incremento del patrimonio altrui (l’arricchimento del donatario) ed il depauperamento di chi ha disposto del diritto o assunto l’obbligo (l’impoverimento del donante), mentre non assumono rilievo i motivi interni psicologici che inducono a compiere la donazione (Cass. 26 maggio 2000, n. 6994 rv. 536971 - conforme Cass. 28 agosto 2008, n. 2178, rv. 604650).
In realtà la rappresentazione di tale elemento costituisce oggetto di un’annosa diatriba dottrinaria, che tuttora non ha trovato sicuro esito.Una prima tesi, infatti, (detta dell’arricchimento in senso economico) assevera che di donazione (e più in generale di liberalità) si possa parlare solo quando la donazione importi un plusvalore patrimoniale nella sfera del donatario. Ne discenderebbe che non donazione, ma negozio a titolo gratuito sarebbe quello ove il vantaggio patrimoniale non vi sia (come nel caso in cui esso sia totalmente assorbito dall’imposizione di un modus) o via sia addirittura una riduzione dello spessore economico del patrimonio del donatario (come nel caso di donazione d’eredità dannosa).Altra parte della dottrina (2) (tesi dell’arricchimento in senso giuridico), viceversa, sostiene che l’arricchimento ex art. 769 debba intendersi come semplice addizione di un nuovo diritto alla sfera giuridica del donatario, ancorché esso non determini incrementi economici. Tale impostazione muove, infatti, dallo stesso testo dell’art. 769, norma che pare chiarire il concetto di arricchimento proprio indicandone le due modalità alternative di realizzazione: disponendo di un diritto o assumendo un obbligo verso il donatario. Ne discende che l’incremento economico è effetto normale, ma non necessario, della donazione.
I problematici rapporti fra i negozi a titolo gratuito ed i negozi liberali:Dubbi sono i rapporti intercorrenti fra i negozi a titolo gratuito e quelli liberali.
Tale ultima figura rappresenta un genus compendiantesi nelle categorie della liberalità donativa (art. 769) e non donativa (fondamentalmente composta dalle donazioni indirette e dalle liberalità d’uso).Di tale genus la donazione ex art. 769 costituisce certamente paradigma, dacché potremo limitarci ad analizzare i profili ad essa pertinenti, rinviando ad un momento successivo per l’esame delle liberalità non donative.
a) La teoria del rapporto di genus ad speciem e la soluzione “oggettiva”Una parte della dottrina ritiene che fra gratuità e liberalità intercorra un rapporto di genus ad speciem. Non ogni atto gratuito (ad es: comodato) sarebbe liberale, ma certamente ogni liberalità sarebbe a titolo gratuito. Peculiarità della gratuità sarebbe data, infatti, dalla presenza di un’attribuzione senza corrispettivo, caratteristica certamente presente nelle donazioni.Tuttavia queste ultime presenterebbero un elemento ultroneo, non riscontrabile in ogni atto gratuito ma solo, appunto, in quelli qualificabili come liberali: il depauperamento di un contraente per l’arricchimento dell’altro.Nei generici negozi a titolo gratuito, infatti, il vantaggio conferito consisterebbe nella semplice “non richiesta” di una contropartita per il beneficio procurato (es: godimento di un bene nel comodato, disponibilità di beni fungibili nel mutuo senza interessi, ecc.).I negozi gratuiti generici, allora, darebbero luogo ad uno svantaggio e ad un vantaggio patrimoniale qualitativamente diversi da quelli tipici della donazione.Lo svantaggio, difatti, si compendierebbe in una semplice omissio adquirendi e non in un depauperamento patrimoniale strictu sensu.Il vantaggio patrimoniale, parimenti, si sostanzierebbe in una “mancata spesa”, correlata a quel beneficio, e non in un incremento del patrimonio (3).
b) la teoria dell’alterità e la soluzione soggettiva Altra parte della dottrina, viceversa, sostiene che il distinguo fra le due categorie debba essere letto non in senso di specialità ma d’eterogenesi (4).Mentre, infatti, i negozi gratuiti sarebbero peculiarizzati dalla destinazione a realizzare un interesse patrimoniale del contraente, le liberalità sarebbero caratterizzate dalla presenza di un interesse non patrimoniale, causa giuridica dell’atto donativo.Il discrimen fra le due categorie negoziali sarebbe, allora, ontologico e non semplicemente dato da un elemento specializzante (tesi dell’inconfigurabilità di un rapporto di genus ad speciem).

Causa ed oggetto della donazione alla luce della teoria del rapporto di genus ad speciem
La problematica, com’è evidente, è strettamente correlata alla soluzione della questione inerente la sussunzione della causa del contratto di donazione, paradigma causale degli atti liberali.Secondo i fautori della prima corrente esposta (teoria del rapporto di genus ad speciem), infatti, la causa della donazione dovrebbe rintracciarsi esattamente nell’elemento oggettivo (depauperamento/arricchimento) (5). Tale arricchimento, poi, dovrebbe essere letto, secondo tale tesi, in senso giuridico e non economico, nel senso surriferito. Sotto il profilo causale, allora, la donazione ed i negozi gratuiti sarebbero davvero parzialmente sovrapponibili. Anche in questa prima, infatti, come negli ultimi, il proprium causale sarebbe rintracciabile in un vantaggio patrimoniale non corrisposto, correlato ad un certo svantaggio d’identica natura. L’unica differenza sarebbe identificabile nel “tipo” di vantaggio/svantaggio cui il negozio darebbe luogo. Nei generici atti a titolo gratuito, infatti, le poste patrimoniali del contraente che conferisce il vantaggio e quella del beneficiario che lo percepisce resterebbero immutate. L’una, infatti, non patirebbe alcuna decurtazione, l’altra, ovviamente, non subirebbe alcun aumento.Lo svantaggio, come detto, si concreterebbe in una mera omissio adquirendi, cioè nel non pretendere alcunché per il vantaggio reso. Il vantaggio, come accennato, s’atteggerebbe non nella percezione d’alcunché, ma in una mancata spesa.Nella donazione, viceversa, lo svantaggio si concreterebbe in una contrazione patrimoniale, che convoglierebbe nella sfera del beneficiario, determinandone un incremento. La distinzione causale fra negozi genericamente gratuiti e donativi sarebbe riferibile, allora, solo alla sostanza del sacrificio/beneficio delle parti, pur presente in ambedue.Tale impostazione, a ben vedere, incide anche sulla questione relativa all’oggetto della donazione.Affermare, infatti, che il distinguo fra donazione e atti gratuiti riposa unicamente nel carattere addittivo/decurtativo, vuol dire dover identificare dei negozi attributivi (cioè non di mero accertamento) non aventi tale qualità, onde riconoscergli il nomen atti gratuiti, pena l’abrogatio ermeneutica dell’intera categoria.In altri termini la tesi del distinguo oggettivo e della specialità impone di identificare un vantaggio patrimoniale, attribuito per contratto, che non incrementi la sfera del percipiente e non impoverisca quella del conferente (perciò proprio di un negozio gtatuito non liberale).La corrente in esame (6), allora, ritiene di poter risolvere il problema asseverando la manchevolezza di tale qualità presso i negozi (non sinallagmatici) aventi ad oggetto l’obbligo d’un facere (o di un non facere), quali il comodato, il mutuo non feneratizio, ecc.L’assunzione di un tale obbligo infatti, si dice, non decurterebbe il patrimonio di chi si impegna, come non arricchirebbe quello di chi ne beneficia.Ne avremo che ogni negozio (non corrispettivo o solutorio), non importa se tipico o meno, che abbia ad oggetto l’assunzione d’un obbligo di tal fatta, sarà catalogabile come atto a titolo gratuito.Ne discenderà che la donazione ad effetti obbligatori non potrà mai avere ad oggetto un facere (o un non facere), ma solo un dare, qualificandosi altrimenti come negozio a titolo gratuito. Secondo questa tesi, dunque, l’assunzione di un obbligo di fare (o non fare), non impoverisce il patrimonio del conferente come non arricchisce quella del percipiente.Questa soluzione, tuttavia, non convince.Non pare dubbio, infatti, che l’assunzione di un obbligo di fare, non diversamente da quella d’un obbligo di dare, importa una decurtazione patrimoniale di chi si impegna (per aumento delle poste patrimoniali passive) e un arricchimento per chi riceve l’impegno (per aumento delle poste patrimoniali attive) (7). Non a caso l’art. 769, nel prevedere che la donazione può avere ad oggetto anche l’assunzione di un obbligo, non distingue tra obblighi di dare e di fare. Pare, allora, scorretta la ripartizione fra negozi gratuiti e donazioni in ragione del rapporto di specialità nel profilo oggettivo, avendo ambedue le figure carattere incrementativo/decurtativo, estensibile ad ogni forma di attribuzione, reale o obbligatoria.Parimenti scorretta ci pare, di conseguenza, l’individuazione della causa della donazione nel momento oggettivo e la riduzione della donazione obbligatoria alla specie delle liberalità di dare.

Causa ed oggetto della donazione alla luce della teoria dell’alterità
Meglio articolata pare, invece, la prospettazione formulata dai fautori della tesi avversa (del rapporto di non specificazione fra gratuità e liberalità) che, in punto di causa, sottolinea l’importanza dell’elemento soggettivo.Tale corrente ritiene che ciò che qualifica la donazione sotto il profilo causale (e in tal senso la distingue dai negozi gratuiti) sia proprio l’elemento soggettivo.Tale elemento, tuttavia, non deve essere apprezzato (a tal fine) nella sua accezione negativa (cioè come spirito di liberalità o animus donandi), essendo questi i profili che non concorrono a descriverne la finalità concreta.Esso, invece, deve essere inteso in chiave positiva, ovvero come motivo che spinge il soggetto ad attribuire un bene ad un altro soggetto.Tale motivo assume le vesti d’un “interesse non patrimoniale”, che viene soddisfatto per tramite dell’attribuzione e che della stessa è causa (8).Lo spirito di liberalità, allora, (inteso come consapevolezza della non debenza dell’attribuzione) non è rilevante in sé (descrivendo un profilo non qualificante in termini causali) se non legato ad un elemento peculiarizzante di natura positiva.Tale elemento, allora, è dato dall’interesse non patrimoniale (morale, religioso, ecc.) che il donante, tramite l’operazione negoziale, mira a soddisfare.Il distinguo ripetto ai negozi gratuiti, allora, sarebbe rinvenibile non nel carattere attributivo/decurtativo, presente in ambedue, ma nell’interesse sottostante (e dunque nella causa), avente carattere non patrimoniale nella donazione e patrimoniale negli atti gratuiti.Ne discenderebbe l’assoluta eterogeneità (ovvero la non specialità) delle due figure. Secondo tale tesi, allora, non risiedendo la distinzione fra negozi gratuiti e donazioni nel requisito oggettivo (incremento/decurtazione), essi potranno ben avere identico contenuto (reale o obbligatorio, relativo ad un dare, facere, non facere), con piena ammissibilità delle donazioni di fare.
La donazione come negozio acausale
Vi è poi da aggiungere come, secondo una parte dei fautori della ricostruzione qui sostenuta (9), l’interesse non patrimoniale resti normalmente al di fuori della struttura del contratto donativo, relegato a mero motivo.Ne discende che tale contratto avrebbe normalmente carattere “acausale”.Questo tratto, com’è noto, costituirebbe un’eccezione in un sistema giuridico qual è il nostro, che non ammette attribuzioni non giustificate e, dunque, negozi “sostanzialmente astratti”.Ciò farebbe della donazione un negozio doppiamente “debole”:1) perché avrebbe indole (e non contenuto) non patrimoniale, contravvenendo alla normale natura del contratto (art. 1321);2) perché difetterebbe normalmente di causa.Tale debolezza verrebbe compensata dalla forma forte (atto pubblico con due testimoni) che la legge impone ad substantiam.
________(1) A. TORRENTE, La donazione, in Trattato di diritto civile e commerciale, diretto da A. CICU e F. MESSINEO, Milano, 1956, pp. 25 e ss. (2) F. MESSINEO, Manuale di diritto civile e commerciale, Milano, 1953, vol. III, parte I, pp. 5 e ss. G. CAPOZZI, Successioni e donazioni, cit., p. 765.(4) F. GAZZONI, Manuale diritto privato, cit., pp. 532 e ss.; G. BALBI, La donazione, in Trattato di diritto civile, diretto da G. GROSSO e F. SANTORO PASSARELLI, Milano, 1964, pp. 19 e ss. (5) F. MESSINEO, Manuale di diritto civile e commerciale, Milano, 1953, vol.III, parte I, pp. 5 e ss. (6) A. TORRENTE, op. ult. cit., pp. 219 e ss.(7) B. BIONDI, Le donazioni, in Trattato di diritto civile italiano, diretto da F. VASSALLI, Torino, 1961, pp. 380 e ss. (8) F. GAZZONI, Manuale diritto privato, cit., pp. 532 e ss. (9) F. GAZZONI, op. et loc. ult. cit.
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Tratto daSUCCESSIONI E DONAZIONI di Francesco Lupia
Maggioli Editore, 2009

focus: I rapporti tra negozi a titolo gratuito e liberalità


Approfondimento

Il rapporto fra negozi a titolo gratuito e liberalità.
Caratteri, struttura e requisiti della donazione

La donazione in senso stretto: definizione
Ai sensi dell’art. 769 la donazione è il contratto con il quale, per spirito di liberalità, una parte arricchisce l’altra, disponendo a favore di questa di un diritto proprio, presente nel patrimonio (art. 771), o assumendo verso la stessa un’obbligazione.
I requisiti della donazioneAlla luce di tale definizione codicistica è possibile affermare che due sono gli elementi qualificatori della figura in esame: lo spirito di liberalità e l’arricchimento del donatario.
L’animus donandi: la differenza fra volontarietà e spontaneità
Il primo parametro (detto anche animus donandi) presenta carattere soggettivo, concretandosi nell’intenzione del donante di attribuire al donatario un’attività patrimoniale non dovuta, con la consapevolezza di tale indebenza e, dunque, in modo volontario (1).Non sarebbe sufficiente, allora, per integrare tale requisito, la presenza di un’intenzione di arricchire senza corrispettivo.È necessario, invece, che il soggetto abbia la volontà di attribuire un quid senza esservi tenuto e con la consapevolezza di tale stato di non coercizione.La “volontarietà”, che contraddistingue l’atto donativo, non deve, inoltre, essere confusa con la “spontaneità”, cui il legislatore fa espresso riferimento in tema di adempimento delle obbligazioni naturali (art. 2034).Quest’ultimo concetto, difatti, descrive semplicemente la necessità che l’atto adempitivo non sia frutto d’una costrizione esogena, essendo, invece, irrilevante la credenza che l’obbligato abbia di essere tenuto, “secondo diritto”, a soddisfare il creditore.Viceversa, come detto, la “volontarietà” descrive lo stato di piena contezza del donante circa l’assenza di qualsivoglia vincolo, non solo giuridico ma anche morale o sociale, al compimento dell’attribuzione patrimoniale:
Giurisprudenza
Il negozio di liberalità – che costituisce una categoria generale nella quale rientrano varie figure negoziali, tra cui la donazione, che è tipizzata distintamente dal legislatore perché sottoposta ad una particolare disciplina – è quello con il quale un soggetto, consapevole di non esservi tenuto in virtù di un vincolo giuridico o di un vincolo extragiuridico rilevante per la legge, opera liberamente e spontaneamente un’attribuzione patrimoniale gratuita a favore di un altro soggetto allo scopo di arricchirlo. Conseguentemente, la causa di tale negozio è costituita dall’effettuazione di una attribuzione patrimoniale gratuita, che comporti un arricchimento del destinatario, qualificata soggettivamente dalla consapevolezza, nell’autore di essa, che la medesima è operata in assenza di un qualsiasi dovere, giuridico oppure soltanto morale o sociale, e, perciò, in definitiva, per quello spirito di liberalità, che è legislativamente riferito al contratto di donazione (art. 769 c.c.) (Cass. 3 giugno 1980, n. 3621, rv. 407474).
L’ondivaga nozione di arricchimento: l’accezione economica e quella giuridica
Il secondo elemento ha, viceversa, un consistenza oggettiva, sostanziandosi nel meccanismo di mutamento diretto delle poste patrimoniali pertinenti alle sfere giuridiche dei contraenti.Perché si versi in materia di donazione, allora, sarà necessario che il contratto attributivo sia costruito in modo tale da comportare un depauperamento del patrimonio del donante cui corrisponda un diretto ed equivalente arricchimento di quello del donatario.Più precisamente è necessario che gli elementi patrimoniali, di cui il donante risulta impoverito, confluiscano nella sfera del donatario, incrementandone la consistenza patrimoniale.Come è desumibile dall’art. 769, tale effetto attributivo può consistere sia nel trasferimento/costituzione di un diritto reale o nel trasferimento di diritto di credito (c.d. donazione a effetti reali), sia nella costituzione di un diritto di credito a carico del donante e favore del donatario (c.d. donazione ad effetti obbligatori):
Giurisprudenza
Per aversi donazione non basta l’elemento soggettivo o spirito di liberalità, consistente nella consapevolezza di attribuire ad altri un vantaggio patrimoniale senza esservi in alcun modo costretti, ma occorre anche l’elemento oggettivo costituito dall’incremento del patrimonio altrui (l’arricchimento del donatario) ed il depauperamento di chi ha disposto del diritto o assunto l’obbligo (l’impoverimento del donante), mentre non assumono rilievo i motivi interni psicologici che inducono a compiere la donazione (Cass. 26 maggio 2000, n. 6994 rv. 536971 - conforme Cass. 28 agosto 2008, n. 2178, rv. 604650).
In realtà la rappresentazione di tale elemento costituisce oggetto di un’annosa diatriba dottrinaria, che tuttora non ha trovato sicuro esito.Una prima tesi, infatti, (detta dell’arricchimento in senso economico) assevera che di donazione (e più in generale di liberalità) si possa parlare solo quando la donazione importi un plusvalore patrimoniale nella sfera del donatario. Ne discenderebbe che non donazione, ma negozio a titolo gratuito sarebbe quello ove il vantaggio patrimoniale non vi sia (come nel caso in cui esso sia totalmente assorbito dall’imposizione di un modus) o via sia addirittura una riduzione dello spessore economico del patrimonio del donatario (come nel caso di donazione d’eredità dannosa).Altra parte della dottrina (2) (tesi dell’arricchimento in senso giuridico), viceversa, sostiene che l’arricchimento ex art. 769 debba intendersi come semplice addizione di un nuovo diritto alla sfera giuridica del donatario, ancorché esso non determini incrementi economici. Tale impostazione muove, infatti, dallo stesso testo dell’art. 769, norma che pare chiarire il concetto di arricchimento proprio indicandone le due modalità alternative di realizzazione: disponendo di un diritto o assumendo un obbligo verso il donatario. Ne discende che l’incremento economico è effetto normale, ma non necessario, della donazione.
I problematici rapporti fra i negozi a titolo gratuito ed i negozi liberali:Dubbi sono i rapporti intercorrenti fra i negozi a titolo gratuito e quelli liberali.
Tale ultima figura rappresenta un genus compendiantesi nelle categorie della liberalità donativa (art. 769) e non donativa (fondamentalmente composta dalle donazioni indirette e dalle liberalità d’uso).Di tale genus la donazione ex art. 769 costituisce certamente paradigma, dacché potremo limitarci ad analizzare i profili ad essa pertinenti, rinviando ad un momento successivo per l’esame delle liberalità non donative.
a) La teoria del rapporto di genus ad speciem e la soluzione “oggettiva”Una parte della dottrina ritiene che fra gratuità e liberalità intercorra un rapporto di genus ad speciem. Non ogni atto gratuito (ad es: comodato) sarebbe liberale, ma certamente ogni liberalità sarebbe a titolo gratuito. Peculiarità della gratuità sarebbe data, infatti, dalla presenza di un’attribuzione senza corrispettivo, caratteristica certamente presente nelle donazioni.Tuttavia queste ultime presenterebbero un elemento ultroneo, non riscontrabile in ogni atto gratuito ma solo, appunto, in quelli qualificabili come liberali: il depauperamento di un contraente per l’arricchimento dell’altro.Nei generici negozi a titolo gratuito, infatti, il vantaggio conferito consisterebbe nella semplice “non richiesta” di una contropartita per il beneficio procurato (es: godimento di un bene nel comodato, disponibilità di beni fungibili nel mutuo senza interessi, ecc.).I negozi gratuiti generici, allora, darebbero luogo ad uno svantaggio e ad un vantaggio patrimoniale qualitativamente diversi da quelli tipici della donazione.Lo svantaggio, difatti, si compendierebbe in una semplice omissio adquirendi e non in un depauperamento patrimoniale strictu sensu.Il vantaggio patrimoniale, parimenti, si sostanzierebbe in una “mancata spesa”, correlata a quel beneficio, e non in un incremento del patrimonio (3).
b) la teoria dell’alterità e la soluzione soggettiva Altra parte della dottrina, viceversa, sostiene che il distinguo fra le due categorie debba essere letto non in senso di specialità ma d’eterogenesi (4).Mentre, infatti, i negozi gratuiti sarebbero peculiarizzati dalla destinazione a realizzare un interesse patrimoniale del contraente, le liberalità sarebbero caratterizzate dalla presenza di un interesse non patrimoniale, causa giuridica dell’atto donativo.Il discrimen fra le due categorie negoziali sarebbe, allora, ontologico e non semplicemente dato da un elemento specializzante (tesi dell’inconfigurabilità di un rapporto di genus ad speciem).

Causa ed oggetto della donazione alla luce della teoria del rapporto di genus ad speciem
La problematica, com’è evidente, è strettamente correlata alla soluzione della questione inerente la sussunzione della causa del contratto di donazione, paradigma causale degli atti liberali.Secondo i fautori della prima corrente esposta (teoria del rapporto di genus ad speciem), infatti, la causa della donazione dovrebbe rintracciarsi esattamente nell’elemento oggettivo (depauperamento/arricchimento) (5). Tale arricchimento, poi, dovrebbe essere letto, secondo tale tesi, in senso giuridico e non economico, nel senso surriferito. Sotto il profilo causale, allora, la donazione ed i negozi gratuiti sarebbero davvero parzialmente sovrapponibili. Anche in questa prima, infatti, come negli ultimi, il proprium causale sarebbe rintracciabile in un vantaggio patrimoniale non corrisposto, correlato ad un certo svantaggio d’identica natura. L’unica differenza sarebbe identificabile nel “tipo” di vantaggio/svantaggio cui il negozio darebbe luogo. Nei generici atti a titolo gratuito, infatti, le poste patrimoniali del contraente che conferisce il vantaggio e quella del beneficiario che lo percepisce resterebbero immutate. L’una, infatti, non patirebbe alcuna decurtazione, l’altra, ovviamente, non subirebbe alcun aumento.Lo svantaggio, come detto, si concreterebbe in una mera omissio adquirendi, cioè nel non pretendere alcunché per il vantaggio reso. Il vantaggio, come accennato, s’atteggerebbe non nella percezione d’alcunché, ma in una mancata spesa.Nella donazione, viceversa, lo svantaggio si concreterebbe in una contrazione patrimoniale, che convoglierebbe nella sfera del beneficiario, determinandone un incremento. La distinzione causale fra negozi genericamente gratuiti e donativi sarebbe riferibile, allora, solo alla sostanza del sacrificio/beneficio delle parti, pur presente in ambedue.Tale impostazione, a ben vedere, incide anche sulla questione relativa all’oggetto della donazione.Affermare, infatti, che il distinguo fra donazione e atti gratuiti riposa unicamente nel carattere addittivo/decurtativo, vuol dire dover identificare dei negozi attributivi (cioè non di mero accertamento) non aventi tale qualità, onde riconoscergli il nomen atti gratuiti, pena l’abrogatio ermeneutica dell’intera categoria.In altri termini la tesi del distinguo oggettivo e della specialità impone di identificare un vantaggio patrimoniale, attribuito per contratto, che non incrementi la sfera del percipiente e non impoverisca quella del conferente (perciò proprio di un negozio gtatuito non liberale).La corrente in esame (6), allora, ritiene di poter risolvere il problema asseverando la manchevolezza di tale qualità presso i negozi (non sinallagmatici) aventi ad oggetto l’obbligo d’un facere (o di un non facere), quali il comodato, il mutuo non feneratizio, ecc.L’assunzione di un tale obbligo infatti, si dice, non decurterebbe il patrimonio di chi si impegna, come non arricchirebbe quello di chi ne beneficia.Ne avremo che ogni negozio (non corrispettivo o solutorio), non importa se tipico o meno, che abbia ad oggetto l’assunzione d’un obbligo di tal fatta, sarà catalogabile come atto a titolo gratuito.Ne discenderà che la donazione ad effetti obbligatori non potrà mai avere ad oggetto un facere (o un non facere), ma solo un dare, qualificandosi altrimenti come negozio a titolo gratuito. Secondo questa tesi, dunque, l’assunzione di un obbligo di fare (o non fare), non impoverisce il patrimonio del conferente come non arricchisce quella del percipiente.Questa soluzione, tuttavia, non convince.Non pare dubbio, infatti, che l’assunzione di un obbligo di fare, non diversamente da quella d’un obbligo di dare, importa una decurtazione patrimoniale di chi si impegna (per aumento delle poste patrimoniali passive) e un arricchimento per chi riceve l’impegno (per aumento delle poste patrimoniali attive) (7). Non a caso l’art. 769, nel prevedere che la donazione può avere ad oggetto anche l’assunzione di un obbligo, non distingue tra obblighi di dare e di fare. Pare, allora, scorretta la ripartizione fra negozi gratuiti e donazioni in ragione del rapporto di specialità nel profilo oggettivo, avendo ambedue le figure carattere incrementativo/decurtativo, estensibile ad ogni forma di attribuzione, reale o obbligatoria.Parimenti scorretta ci pare, di conseguenza, l’individuazione della causa della donazione nel momento oggettivo e la riduzione della donazione obbligatoria alla specie delle liberalità di dare.

Causa ed oggetto della donazione alla luce della teoria dell’alterità
Meglio articolata pare, invece, la prospettazione formulata dai fautori della tesi avversa (del rapporto di non specificazione fra gratuità e liberalità) che, in punto di causa, sottolinea l’importanza dell’elemento soggettivo.Tale corrente ritiene che ciò che qualifica la donazione sotto il profilo causale (e in tal senso la distingue dai negozi gratuiti) sia proprio l’elemento soggettivo.Tale elemento, tuttavia, non deve essere apprezzato (a tal fine) nella sua accezione negativa (cioè come spirito di liberalità o animus donandi), essendo questi i profili che non concorrono a descriverne la finalità concreta.Esso, invece, deve essere inteso in chiave positiva, ovvero come motivo che spinge il soggetto ad attribuire un bene ad un altro soggetto.Tale motivo assume le vesti d’un “interesse non patrimoniale”, che viene soddisfatto per tramite dell’attribuzione e che della stessa è causa (8).Lo spirito di liberalità, allora, (inteso come consapevolezza della non debenza dell’attribuzione) non è rilevante in sé (descrivendo un profilo non qualificante in termini causali) se non legato ad un elemento peculiarizzante di natura positiva.Tale elemento, allora, è dato dall’interesse non patrimoniale (morale, religioso, ecc.) che il donante, tramite l’operazione negoziale, mira a soddisfare.Il distinguo ripetto ai negozi gratuiti, allora, sarebbe rinvenibile non nel carattere attributivo/decurtativo, presente in ambedue, ma nell’interesse sottostante (e dunque nella causa), avente carattere non patrimoniale nella donazione e patrimoniale negli atti gratuiti.Ne discenderebbe l’assoluta eterogeneità (ovvero la non specialità) delle due figure. Secondo tale tesi, allora, non risiedendo la distinzione fra negozi gratuiti e donazioni nel requisito oggettivo (incremento/decurtazione), essi potranno ben avere identico contenuto (reale o obbligatorio, relativo ad un dare, facere, non facere), con piena ammissibilità delle donazioni di fare.
La donazione come negozio acausale
Vi è poi da aggiungere come, secondo una parte dei fautori della ricostruzione qui sostenuta (9), l’interesse non patrimoniale resti normalmente al di fuori della struttura del contratto donativo, relegato a mero motivo.Ne discende che tale contratto avrebbe normalmente carattere “acausale”.Questo tratto, com’è noto, costituirebbe un’eccezione in un sistema giuridico qual è il nostro, che non ammette attribuzioni non giustificate e, dunque, negozi “sostanzialmente astratti”.Ciò farebbe della donazione un negozio doppiamente “debole”:1) perché avrebbe indole (e non contenuto) non patrimoniale, contravvenendo alla normale natura del contratto (art. 1321);2) perché difetterebbe normalmente di causa.Tale debolezza verrebbe compensata dalla forma forte (atto pubblico con due testimoni) che la legge impone ad substantiam.
________(1) A. TORRENTE, La donazione, in Trattato di diritto civile e commerciale, diretto da A. CICU e F. MESSINEO, Milano, 1956, pp. 25 e ss. (2) F. MESSINEO, Manuale di diritto civile e commerciale, Milano, 1953, vol. III, parte I, pp. 5 e ss. G. CAPOZZI, Successioni e donazioni, cit., p. 765.(4) F. GAZZONI, Manuale diritto privato, cit., pp. 532 e ss.; G. BALBI, La donazione, in Trattato di diritto civile, diretto da G. GROSSO e F. SANTORO PASSARELLI, Milano, 1964, pp. 19 e ss. (5) F. MESSINEO, Manuale di diritto civile e commerciale, Milano, 1953, vol.III, parte I, pp. 5 e ss. (6) A. TORRENTE, op. ult. cit., pp. 219 e ss.(7) B. BIONDI, Le donazioni, in Trattato di diritto civile italiano, diretto da F. VASSALLI, Torino, 1961, pp. 380 e ss. (8) F. GAZZONI, Manuale diritto privato, cit., pp. 532 e ss. (9) F. GAZZONI, op. et loc. ult. cit.
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Tratto daSUCCESSIONI E DONAZIONI di Francesco Lupia
Maggioli Editore, 2009

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