venerdì 26 febbraio 2010

E' legittimo il rifiuto del locatore di accettare la restituzione della cosa locata sino a quando il conduttore non l'abbia rimessa in pristino stato



(02/07/2009)

Cass.Civ., Sez. III, 2 aprile 2009 n. 7992





"Il conduttore ha l'obbligo di restituire la cosa nello stato in cui l'ha ricevuta.





E conclude che, risultando provata la circostanza delle modifiche apportate all'immobile e la mancata remissione in pristino dello stesso, le doglianze a suo tempo formulate sul punto erano senz'altro fondate, in quanto tale situazione di fatto, da un lato legittimava la mancata restituzione del deposito cauzionale; dall'altro doveva portare a ritenere priva di efficacia l'offerta di restituzione dell'immobile effettuata ex art. 1216 c.c., in quanto sarebbe stato cosi' restituito un immobile non rimesso in pristino stato.

La persistenza delle modifiche in discussione costituiva un danno risarcibile, se non altro per il fatto di avere costretto il proprietario a provvedere lui stesso alla rimessione in pristino, con le relative spese.

La tesi del ricorrente e' fondata e trova conferma nella giurisprudenza di questa Corte che considera legittimo il rifiuto del locatore, ai sensi degli art. 1176 e 1218 c.c., di accettare la restituzione della cosa locata sino a quando il conduttore non l'abbia rimessa in pristino stato, rendendosi altrimenti inadempiente all'obbligazione di cui all'art. 1590 c.c.."
E' legittimo il rifiuto del locatore di accettare la restituzione della cosa locata sino a quando il conduttore non l'abbia rimessa in pristino stato

(02/07/2009)
Cass.Civ., Sez. III, 2 aprile 2009 n. 7992


"Il conduttore ha l'obbligo di restituire la cosa nello stato in cui l'ha ricevuta.


E conclude che, risultando provata la circostanza delle modifiche apportate all'immobile e la mancata remissione in pristino dello stesso, le doglianze a suo tempo formulate sul punto erano senz'altro fondate, in quanto tale situazione di fatto, da un lato legittimava la mancata restituzione del deposito cauzionale; dall'altro doveva portare a ritenere priva di efficacia l'offerta di restituzione dell'immobile effettuata ex art. 1216 c.c., in quanto sarebbe stato cosi' restituito un immobile non rimesso in pristino stato.
La persistenza delle modifiche in discussione costituiva un danno risarcibile, se non altro per il fatto di avere costretto il proprietario a provvedere lui stesso alla rimessione in pristino, con le relative spese.
La tesi del ricorrente e' fondata e trova conferma nella giurisprudenza di questa Corte che considera legittimo il rifiuto del locatore, ai sensi degli art. 1176 e 1218 c.c., di accettare la restituzione della cosa locata sino a quando il conduttore non l'abbia rimessa in pristino stato, rendendosi altrimenti inadempiente all'obbligazione di cui all'art. 1590 c.c.."

mercoledì 24 febbraio 2010

Difesa personale della parte, spese liquidate e ritenuta di acconto

PROPRIETA’. Azione di nunciazione. La violazione delle norme edilizie costituisce illecito civile ai sensi dell’art.872 c.c., sanzionato con la condanna al risarcimento dei danni causati. Sussiste il diritto a chiedere la riduzione in pristino, art.957 c.c. – le norme del piano regolatore non tendono soltanto a realizzare il pubblico interesse di un ordinato assetto urbanistico ma sono integrative dell’art.873 c.c. , disciplinano anche i rapporti intersoggettivi di vicinato e i limiti legali della proprietà, art.872 – la concessione edilizia non può autorizzare comportamenti lesivi dell’altrui diritto di proprietà - sussiste la giurisdizione del G.O. quando non si tratta di atti amministrativi o di potestà pubbliche – gli edifici insistenti in zone urbanisticamente non omogenee sono soggetti a due diversi regimi di distanze costruttive – ai fini della proponibilità dell’azione l’opera si considera terminata quando l’intero edificio è completato – la concessione in sanatoria mentre rileva per le conseguenze penali e amministrative, non rileva per quelle civili – il piano seminterrato dell’edificio non totalmente interrato è tenuto al rispetto delle distanze di costruzione la violazione della volumetria non consente la demolizione dell’opera ma solo il risarcimento del danno – la distanza di rispetto dalle strade pubbliche non rientra nelle distanze tra edifici o confini alieni tutelate dall’art.873 c.c. . [Tribunale di Nola, ordinanza del 19.02.04]






_________________________________________________________________














TRIBUNALE DI NOLA






seconda sezione civile






Il Giudice Delegato






nel giudizio N.4362/02 R.G. contenzioso civile, ha emesso la seguente














ORDINANZA


Sciolta la riserva disposta all'udienza del 15.1.04, osserva quanto segue.






La ricorrente è proprietaria di un immobile sito in Palma Campania, Via Xxxx ed afferma che su un fondo finitimo i resistenti hanno iniziato la costruzione di un fabbricato urbanisticamente illegittimo sia perché difforme dalla C.E. ottenuta, sia perché tale C.E. ha assentito una volumetria superiore a quella consentita dal R.E., sia perché il fabbricato non rispetta le distanze di costruzione previste dal R.E..






Chiedono, pertanto, la sospensione dei lavori di costruzione del medesimo.






Ciò premesso si osserva che il ctu ha rilevato quanto segue.






L’immobile della ricorrente, costituito da un piano terra ed un piano primo, si trova in zona classificata come D2 (artigianale) nel vigente R.E. comunale.






Tale immobile è stato oggetto di vari atti concessori ed in sanatoria ed è da considerarsi, in sostanza, urbanisticamente regolare.






Il R.E. prevede che in zona D2 debba rispettarsi la distanza di costruzione prevista dalla tabella generale.






Tale distanza è pari alla metà dell’altezza del fabbricato dal confine, salva la possibilità di costruire sul confine o in aderenza.






Il fabbricato in questione è alto m 11,25, pertanto dovrebbe distare dal confine m 5,625.






Esso si trova, invece, ad una distanza dal confine col fondo dei resistenti variabile tra m 4,90 e m 5,00.






L’immobile dei resistenti è costituito da un piano seminterrato destinato a deposito ed autorimessa, un piano terra destinato a strutture produttive, un piano primo destinato ad abitazione ed un sottotetto avente caratteristiche di abitabilità.






Dell’immobile risultano completate le sole strutture e tompagnature.






Esso si trova in zona classificata come E (agricola) nel vigente R.E. comunale.






L’edificio è oggetto della C.E. n. 133/02.






Per quanto riguarda la sua regolarità urbanistica l’immobile, allo stato, risulta grosso modo conforme alla C.E..






La C.E., invece, risulta illegittima in quanto assente una cubatura superiore a quella consentita dal R.E. (3.773 mc anziché 2.137); inoltre sono stati destinati a residenza mc 500 laddove ne erano assentibili mc 165 non avendo il resistente dimostrato le proprie necessità abitative quale imprenditore agricolo e non potendo, quindi, operare l’accorpamento dei volumi insistenti su comuni limitrofi.






Per quanto riguarda le distanze di costruzione il R.E. prevede che in zona E debba essere rispettata la distanza dal confine pari a metà dell’altezza del fabbricato con un minimo di m 5,00 per la parte residenziale e di m 20,00 per la parte produttiva.






L’immobile è ubicato alla distanza di m 10,20 dal confine ed è alto m 7,30.






La distanza da rispettare è, quindi, di m 20,00 per la parte produttiva e di m 5,00 per quella abitativa mentre la parte seminterrata non è soggetta al rispetto di distanze.






I resistenti eccepiscono quanto segue:






1. il difetto di giurisdizione del giudice adito in quanto ai sensi dell’art. 34 d.lgs. 31 marzo 1998 n. 80, modificato dall’art. 7 l. 21 luglio 2000 n. 205, sono devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo tutte le controversie aventi per oggetto i provvedimenti della pubblica amministrazione in materia di edilizia e, nella fattispecie, si controverte proprio della validità di una concessione edilizia;






2. gli edifici in questione insistono su zone di terreno urbanisticamente non omogenee, pertanto non possono applicarsi le distanze previste dal R.E. ma, in assenza di una disposizione specifica del R.E. suddetto, deve applicarsi in via suppletiva l’art. 41 quinquies l. 1150/42, norma che prevede la distanza minima di m 10,00 tra edifici confinanti;






3. il piano seminterrato ed il piano terraneo dell’edificio erano già completati al momento della proposizione del ricorso, pertanto l’azione proposta è inammissibile;






4. l’art. 32 comma 25 d.l. 269/03 consente la sanatoria di opere abusive ultimate entro il 31.3.03 mentre l’art. 44 d.l. cit. dispone la sospensione dei procedimenti giurisdizionali in corso in relazione a tali opere sino alla data di scadenza per la presentazione delle domande di condono, 31.3.04.






Pertanto i resistenti chiedevano il rigetto della domanda o, in subordine, la sospensione del procedimento.






La ricorrente, a sua volta contestava le conclusioni del ctu dai seguenti punti di vista:






5. il piano seminterrato dell’edificio dei resistenti è tenuto al rispetto delle distanze trattandosi di piano non totalmente interrato;






6. l’accorpamento di fondi non contigui, operato ai fini del rilascio della concessione in esame, è consentito al solo fine di soddisfare le necessità abitative dell’imprenditore agricolo e non anche per fini produttivi, pertanto la cubatura realizzabile è ancora minore;






7. l’edificio in questione non rispetta neppure la distanza di m 30,00 dalla confinante strada provinciale Via Xxxx prevista dal Codice della Strada.






Tutto ciò premesso quanto al punto 1. si osserva che la violazione delle norme edilizie costituisce illecito civile ai sensi dell’art. 872 cc. sanzionato con la condanna al risarcimento dei danni causati.






Inoltre, all’art. 873, il codice civile riconosce un vero e proprio diritto soggettivo al rispetto delle distanze di costruzione la cui violazione è sanzionata col diritto a chiedere la riduzione in pristino.






Tali facoltà sono estrinsecazione della pienezza del diritto di proprietà, la cui integrità è lesa anche da comportamenti che riducano il valore commerciale del bene in proprietà.






Infatti le norme del piano regolatore non tendono soltanto a realizzare il pubblico interesse di un ordinato assetto urbanistico ma sono integrative dell'art. 873 c.c.; pertanto disciplinano anche i rapporti intersoggettivi di vicinato nonché, in virtù del rinvio stabilito dall'art. 872 del c.c., i limiti legali della proprietà.






Tra i limiti suddetti si annoverano le norme che stabiliscono una determinata distanza delle costruzioni tra i contrapposti edifici o dal confine del fondo.






Pertanto la classificazione di un terreno in una determinata zona del piano regolatore, oltre ad imprimere al terreno stesso determinate caratteristiche di edificabilità, influisce sui rapporti di vicinato facendo sorgere diritti ed obblighi reciproci nei confronti dei proprietari limitrofi.






Ne consegue che la concessione edilizia non può autorizzare comportamenti lesivi dell’altrui diritto di proprietà poiché si tradurrebbe, altrimenti, in un atto espropriativo.






La sua sussistenza e regolarità sono, quindi, irrilevanti nelle cause inerenti ai rapporti di vicinato in quanto il proprietario confinante è titolare di un autonomo diritto soggettivo al rispetto delle norme urbanistiche che non può essere leso dal provvedimento concessorio.






Al riguardo la Suprema Corte è chiara; citiamo, tra le tante, Cassazione civile, sez. II, 30 luglio 1984 n. 4519 secondo cui Il carattere di norma integrativa rispetto alla disciplina dettata dal codice civile ad una norma del piano regolatore non deriva dall'inderogabilità della stessa, ma dallo scopo della norma regolamentare, con la conseguenza che la stessa è integrativa se è dettata nelle materie disciplinate dagli art. 873 ss. c.c. e tende a completare, rafforzare e armonizzare col pubblico interesse di un ordinato assetto urbanistico la disciplina dei rapporti intersoggettivi di vicinato; mentre non è integrativa se ha come scopo principale la tutela di interessi generali urbanistici, quali la limitazione del volume, dell'altezza, della densità degli edifici, le esigenze dell'igiene e della viabilità, la conservazione dell'ambiente etc. Appartengono pertanto alle norme integrative del codice civile, che, se violate, conferiscono al vicino la facoltà di ottenere la riduzione in pristino, le disposizioni del piano regolatore che stabiliscono una determinata distanza delle costruzioni dal confine del fondo, anziché fra i contrapposti edifici, pur ammettendo la possibilità di costruzione in aderenza sull'accordo delle parti (da tradurre in atto notarile con intervento del comune), trattandosi di disposizioni che tendono a disciplinare i rapporti di vicinato e ad assicurare in modo equo l'utilizzazione edilizia dei suoli privati.






Sussiste, pertanto, la giurisdizione del giudice ordinario per la causa in esame non riguardando la suddetta, in realtà, atti amministrativi o potestà pubbliche.






Quanto al punto 2. si osserva che gli edifici in questione insistono su zone di terreno urbanisticamente non omogenee e, pertanto, sono soggetti a due diversi regimi di distanze costruttive.






La ricorrente afferma che i resistenti sono tenuti a rispettare le distanze previste per la zona su cui insiste il loro immobile.






I resistenti affermano che la mancanza di una previsione specifica costituisce una lacuna del R.E. che va colmata con il ricorso alle norme suppletive della cd. legge – ponte.






Tale ultimo assunto non è accoglibile perché il R.E. ha compiutamente regolato i criteri costruttivi da seguire in tutto il territorio comunale, fornendo un’adeguata pianificazione urbanistica della zona; pertanto non può parlarsi di lacune ma si porrà soltanto un problema di coordinamento interpretativo delle norme in questione.






Occorre, pertanto, coordinare le normative previste in tema di distanze per le diverse zone su cui insistono i fabbricati finitimi.






La ricorrente cita Cassazione civile, sez. II, 30 luglio 1984 n. 4519 la quale enuncia che in ogni zona del piano regolatore vanno rispettate le norme dettate per ciascuna di esse e pertanto, afferma la ricorrente, ogni edificio deve rispettare le distanze previste per la zona di terreno su cui insiste.






In realtà la sentenza citata non si attaglia precisamente alla fattispecie in questione poiché riguarda il caso in cui un fondo si estenda in più zone omogenee; in tal caso, afferma la Suprema Corte, si dovrà tener conto della zona in cui ricade il confine tra i fondi dei litiganti.






Nella fattispecie, invece, il confine ricade proprio sulla linea di demarcazione tra i due fondi.






Tuttavia la sentenza citata esprime la seguente regola di giudizio: Per stabilire quale sia la distanza applicabile nei singoli casi, occorre fare riferimento alla zona in cui è situato il confine fra i due fondi, in modo da valutare con lo stesso criterio le limitazioni imposte ai due proprietari, mentre non ha rilevanza il fatto che uno dei terreni o degli edifici si estenda in altra zona del piano regolatore, sottoposta a diversa disciplina, dal momento che in ogni zona del piano regolatore vanno rispettate le norme dettate per ciascuna di esse, senza alcuna possibilità di applicare il criterio di prevalenza che si risolve in danno del proprietario confinante allorché il terreno sia compreso in più zone.






Se tale regola è corretta ne consegue che non dovrà utilizzarsi il criterio della prevalenza, che potrebbe portare a conseguenze inique per il proprietario di uno dei due fondi limitrofi, bensì quello della reciprocità, per cui ogni proprietario avrà il diritto di pretendere che il vicino rispetti, nell'esercizio della facoltà di edificare, le norme edilizie disciplinanti l'area di propria appartenenza.






Pertanto l’edificio dei resistenti dovrà rispettare le distanze di costruzione previste per la zona su cui insiste.






Quanto al punto 3. si osserva che l’intero edificio deve essere completato perché il ricorrente sia decaduto dall’azione.






In ogni caso dei piani seminterrato e terraneo dell’edificio sono state realizzate le sole strutture e tompagnature, laddove perché l’opera sia terminata è necessario che essa sia ad uno stadio tale da poter essere utilizzata.






Quanto al punto 4. si osserva che la sospensione dei procedimenti giurisdizionali in corso disposta dall’art. 44 comma 25 d.l. 269/03 non si applica alle cause civili.






La concessione in sanatoria ottenibile in base alla legge citata, infatti, elimina le conseguenze penali ed amministrative dell’illecito commesso ma non quelle civili poiché, come abbiamo visto, il rispetto della normativa urbanistica da parte dei proprietari confinanti costituisce un diritto soggettivo del proprietario del fondo finitimo che non può venir limitato da atti amministrativi non aventi carattere ablatorio.






Pertanto è evidente che la norma in esame non può riferirsi a controversie relative a diritti sui quali la sanatoria non incide.






Quanto al punto 5. si osserva che, effettivamente, il piano seminterrato dell’edificio dei resistenti non è totalmente interrato e, pertanto, è tenuto al rispetto delle distanze di costruzione come affermato da Cassazione civile sez. II, 5 gennaio 2000, n. 45 che recita Ai fini dell'osservanza delle distanze legali nelle costruzioni, prescritte dall'art. 873 c.c. e dalle norme di questo integrative, alla nozione di "costruzione" deve essere ricondotto, avuto riguardo alle finalità della disciplina di regolare i rapporti intersoggettivi di vicinato assicurando in modo equo l'utilizzazione dei fondi limitrofi, qualsiasi manufatto non completamente interrato avente i requisiti della solidità e della immobilizzazione al suolo anche mediante appoggio, incorporazione o collegamento fisso ad una preesistente fabbrica.






Quanto al punto 6. si osserva che la questione della legittimità della volumetria realizzata è irrilevante in questa sede in quanto la violazione di norme urbanistiche che non siano integrative del codice civile in tema di distanze non legittima la proposizione delle azioni di nunciazione poiché non consente la demolizione dell’opera ma solo il risarcimento dei danni.






Quanto al punto 7. si osserva che i ricorrenti non sono legittimati a proporre tale doglianza in quanto la distanza di rispetto da strade pubbliche non rientra nelle distanze tra edifici o confini alieni tutelate dall’art. 873 cc.






In conclusione, considerato tutto quanto sopra esposto e ritenute condivisibili le conclusioni raggiunte dal ctu nei limiti indicati, la costruzione dei resistenti viola le distanze previste dal R.E. in quanto si trova a m 10,00 circa dal confine laddove il piano interrato ed il primo piano dovrebbero trovarsi a m 20,00.






Il ricorso va quindi accolto.






Spese al definitivo.














P.Q.M.






1. ordina ai resistenti di sospendere i lavori di costruzione dell’edificio in questione;






2. fissa il termine di giorni 30 dalla comunicazione del presente provvedimento per l’inizio del giudizio di merito;






3. nulla per le spese;






4. manda alla Cancelleria di darne avviso alle parti costituite.






Nola, 19.2.04






Il Giudice Delegato






dott. Ciro Caccaviello










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Difesa personale della parte, spese liquidate e ritenuta di acconto

PROPRIETA’. Azione di nunciazione. La violazione delle norme edilizie costituisce illecito civile ai sensi dell’art.872 c.c., sanzionato con la condanna al risarcimento dei danni causati. Sussiste il diritto a chiedere la riduzione in pristino, art.957 c.c. – le norme del piano regolatore non tendono soltanto a realizzare il pubblico interesse di un ordinato assetto urbanistico ma sono integrative dell’art.873 c.c. , disciplinano anche i rapporti intersoggettivi di vicinato e i limiti legali della proprietà, art.872 – la concessione edilizia non può autorizzare comportamenti lesivi dell’altrui diritto di proprietà - sussiste la giurisdizione del G.O. quando non si tratta di atti amministrativi o di potestà pubbliche – gli edifici insistenti in zone urbanisticamente non omogenee sono soggetti a due diversi regimi di distanze costruttive – ai fini della proponibilità dell’azione l’opera si considera terminata quando l’intero edificio è completato – la concessione in sanatoria mentre rileva per le conseguenze penali e amministrative, non rileva per quelle civili – il piano seminterrato dell’edificio non totalmente interrato è tenuto al rispetto delle distanze di costruzione la violazione della volumetria non consente la demolizione dell’opera ma solo il risarcimento del danno – la distanza di rispetto dalle strade pubbliche non rientra nelle distanze tra edifici o confini alieni tutelate dall’art.873 c.c. . [Tribunale di Nola, ordinanza del 19.02.04]



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TRIBUNALE DI NOLA



seconda sezione civile



Il Giudice Delegato



nel giudizio N.4362/02 R.G. contenzioso civile, ha emesso la seguente







ORDINANZA

Sciolta la riserva disposta all'udienza del 15.1.04, osserva quanto segue.



La ricorrente è proprietaria di un immobile sito in Palma Campania, Via Xxxx ed afferma che su un fondo finitimo i resistenti hanno iniziato la costruzione di un fabbricato urbanisticamente illegittimo sia perché difforme dalla C.E. ottenuta, sia perché tale C.E. ha assentito una volumetria superiore a quella consentita dal R.E., sia perché il fabbricato non rispetta le distanze di costruzione previste dal R.E..



Chiedono, pertanto, la sospensione dei lavori di costruzione del medesimo.



Ciò premesso si osserva che il ctu ha rilevato quanto segue.



L’immobile della ricorrente, costituito da un piano terra ed un piano primo, si trova in zona classificata come D2 (artigianale) nel vigente R.E. comunale.



Tale immobile è stato oggetto di vari atti concessori ed in sanatoria ed è da considerarsi, in sostanza, urbanisticamente regolare.



Il R.E. prevede che in zona D2 debba rispettarsi la distanza di costruzione prevista dalla tabella generale.



Tale distanza è pari alla metà dell’altezza del fabbricato dal confine, salva la possibilità di costruire sul confine o in aderenza.



Il fabbricato in questione è alto m 11,25, pertanto dovrebbe distare dal confine m 5,625.



Esso si trova, invece, ad una distanza dal confine col fondo dei resistenti variabile tra m 4,90 e m 5,00.



L’immobile dei resistenti è costituito da un piano seminterrato destinato a deposito ed autorimessa, un piano terra destinato a strutture produttive, un piano primo destinato ad abitazione ed un sottotetto avente caratteristiche di abitabilità.



Dell’immobile risultano completate le sole strutture e tompagnature.



Esso si trova in zona classificata come E (agricola) nel vigente R.E. comunale.



L’edificio è oggetto della C.E. n. 133/02.



Per quanto riguarda la sua regolarità urbanistica l’immobile, allo stato, risulta grosso modo conforme alla C.E..



La C.E., invece, risulta illegittima in quanto assente una cubatura superiore a quella consentita dal R.E. (3.773 mc anziché 2.137); inoltre sono stati destinati a residenza mc 500 laddove ne erano assentibili mc 165 non avendo il resistente dimostrato le proprie necessità abitative quale imprenditore agricolo e non potendo, quindi, operare l’accorpamento dei volumi insistenti su comuni limitrofi.



Per quanto riguarda le distanze di costruzione il R.E. prevede che in zona E debba essere rispettata la distanza dal confine pari a metà dell’altezza del fabbricato con un minimo di m 5,00 per la parte residenziale e di m 20,00 per la parte produttiva.



L’immobile è ubicato alla distanza di m 10,20 dal confine ed è alto m 7,30.



La distanza da rispettare è, quindi, di m 20,00 per la parte produttiva e di m 5,00 per quella abitativa mentre la parte seminterrata non è soggetta al rispetto di distanze.



I resistenti eccepiscono quanto segue:



1. il difetto di giurisdizione del giudice adito in quanto ai sensi dell’art. 34 d.lgs. 31 marzo 1998 n. 80, modificato dall’art. 7 l. 21 luglio 2000 n. 205, sono devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo tutte le controversie aventi per oggetto i provvedimenti della pubblica amministrazione in materia di edilizia e, nella fattispecie, si controverte proprio della validità di una concessione edilizia;



2. gli edifici in questione insistono su zone di terreno urbanisticamente non omogenee, pertanto non possono applicarsi le distanze previste dal R.E. ma, in assenza di una disposizione specifica del R.E. suddetto, deve applicarsi in via suppletiva l’art. 41 quinquies l. 1150/42, norma che prevede la distanza minima di m 10,00 tra edifici confinanti;



3. il piano seminterrato ed il piano terraneo dell’edificio erano già completati al momento della proposizione del ricorso, pertanto l’azione proposta è inammissibile;



4. l’art. 32 comma 25 d.l. 269/03 consente la sanatoria di opere abusive ultimate entro il 31.3.03 mentre l’art. 44 d.l. cit. dispone la sospensione dei procedimenti giurisdizionali in corso in relazione a tali opere sino alla data di scadenza per la presentazione delle domande di condono, 31.3.04.



Pertanto i resistenti chiedevano il rigetto della domanda o, in subordine, la sospensione del procedimento.



La ricorrente, a sua volta contestava le conclusioni del ctu dai seguenti punti di vista:



5. il piano seminterrato dell’edificio dei resistenti è tenuto al rispetto delle distanze trattandosi di piano non totalmente interrato;



6. l’accorpamento di fondi non contigui, operato ai fini del rilascio della concessione in esame, è consentito al solo fine di soddisfare le necessità abitative dell’imprenditore agricolo e non anche per fini produttivi, pertanto la cubatura realizzabile è ancora minore;



7. l’edificio in questione non rispetta neppure la distanza di m 30,00 dalla confinante strada provinciale Via Xxxx prevista dal Codice della Strada.



Tutto ciò premesso quanto al punto 1. si osserva che la violazione delle norme edilizie costituisce illecito civile ai sensi dell’art. 872 cc. sanzionato con la condanna al risarcimento dei danni causati.



Inoltre, all’art. 873, il codice civile riconosce un vero e proprio diritto soggettivo al rispetto delle distanze di costruzione la cui violazione è sanzionata col diritto a chiedere la riduzione in pristino.



Tali facoltà sono estrinsecazione della pienezza del diritto di proprietà, la cui integrità è lesa anche da comportamenti che riducano il valore commerciale del bene in proprietà.



Infatti le norme del piano regolatore non tendono soltanto a realizzare il pubblico interesse di un ordinato assetto urbanistico ma sono integrative dell'art. 873 c.c.; pertanto disciplinano anche i rapporti intersoggettivi di vicinato nonché, in virtù del rinvio stabilito dall'art. 872 del c.c., i limiti legali della proprietà.



Tra i limiti suddetti si annoverano le norme che stabiliscono una determinata distanza delle costruzioni tra i contrapposti edifici o dal confine del fondo.



Pertanto la classificazione di un terreno in una determinata zona del piano regolatore, oltre ad imprimere al terreno stesso determinate caratteristiche di edificabilità, influisce sui rapporti di vicinato facendo sorgere diritti ed obblighi reciproci nei confronti dei proprietari limitrofi.



Ne consegue che la concessione edilizia non può autorizzare comportamenti lesivi dell’altrui diritto di proprietà poiché si tradurrebbe, altrimenti, in un atto espropriativo.



La sua sussistenza e regolarità sono, quindi, irrilevanti nelle cause inerenti ai rapporti di vicinato in quanto il proprietario confinante è titolare di un autonomo diritto soggettivo al rispetto delle norme urbanistiche che non può essere leso dal provvedimento concessorio.



Al riguardo la Suprema Corte è chiara; citiamo, tra le tante, Cassazione civile, sez. II, 30 luglio 1984 n. 4519 secondo cui Il carattere di norma integrativa rispetto alla disciplina dettata dal codice civile ad una norma del piano regolatore non deriva dall'inderogabilità della stessa, ma dallo scopo della norma regolamentare, con la conseguenza che la stessa è integrativa se è dettata nelle materie disciplinate dagli art. 873 ss. c.c. e tende a completare, rafforzare e armonizzare col pubblico interesse di un ordinato assetto urbanistico la disciplina dei rapporti intersoggettivi di vicinato; mentre non è integrativa se ha come scopo principale la tutela di interessi generali urbanistici, quali la limitazione del volume, dell'altezza, della densità degli edifici, le esigenze dell'igiene e della viabilità, la conservazione dell'ambiente etc. Appartengono pertanto alle norme integrative del codice civile, che, se violate, conferiscono al vicino la facoltà di ottenere la riduzione in pristino, le disposizioni del piano regolatore che stabiliscono una determinata distanza delle costruzioni dal confine del fondo, anziché fra i contrapposti edifici, pur ammettendo la possibilità di costruzione in aderenza sull'accordo delle parti (da tradurre in atto notarile con intervento del comune), trattandosi di disposizioni che tendono a disciplinare i rapporti di vicinato e ad assicurare in modo equo l'utilizzazione edilizia dei suoli privati.



Sussiste, pertanto, la giurisdizione del giudice ordinario per la causa in esame non riguardando la suddetta, in realtà, atti amministrativi o potestà pubbliche.



Quanto al punto 2. si osserva che gli edifici in questione insistono su zone di terreno urbanisticamente non omogenee e, pertanto, sono soggetti a due diversi regimi di distanze costruttive.



La ricorrente afferma che i resistenti sono tenuti a rispettare le distanze previste per la zona su cui insiste il loro immobile.



I resistenti affermano che la mancanza di una previsione specifica costituisce una lacuna del R.E. che va colmata con il ricorso alle norme suppletive della cd. legge – ponte.



Tale ultimo assunto non è accoglibile perché il R.E. ha compiutamente regolato i criteri costruttivi da seguire in tutto il territorio comunale, fornendo un’adeguata pianificazione urbanistica della zona; pertanto non può parlarsi di lacune ma si porrà soltanto un problema di coordinamento interpretativo delle norme in questione.



Occorre, pertanto, coordinare le normative previste in tema di distanze per le diverse zone su cui insistono i fabbricati finitimi.



La ricorrente cita Cassazione civile, sez. II, 30 luglio 1984 n. 4519 la quale enuncia che in ogni zona del piano regolatore vanno rispettate le norme dettate per ciascuna di esse e pertanto, afferma la ricorrente, ogni edificio deve rispettare le distanze previste per la zona di terreno su cui insiste.



In realtà la sentenza citata non si attaglia precisamente alla fattispecie in questione poiché riguarda il caso in cui un fondo si estenda in più zone omogenee; in tal caso, afferma la Suprema Corte, si dovrà tener conto della zona in cui ricade il confine tra i fondi dei litiganti.



Nella fattispecie, invece, il confine ricade proprio sulla linea di demarcazione tra i due fondi.



Tuttavia la sentenza citata esprime la seguente regola di giudizio: Per stabilire quale sia la distanza applicabile nei singoli casi, occorre fare riferimento alla zona in cui è situato il confine fra i due fondi, in modo da valutare con lo stesso criterio le limitazioni imposte ai due proprietari, mentre non ha rilevanza il fatto che uno dei terreni o degli edifici si estenda in altra zona del piano regolatore, sottoposta a diversa disciplina, dal momento che in ogni zona del piano regolatore vanno rispettate le norme dettate per ciascuna di esse, senza alcuna possibilità di applicare il criterio di prevalenza che si risolve in danno del proprietario confinante allorché il terreno sia compreso in più zone.



Se tale regola è corretta ne consegue che non dovrà utilizzarsi il criterio della prevalenza, che potrebbe portare a conseguenze inique per il proprietario di uno dei due fondi limitrofi, bensì quello della reciprocità, per cui ogni proprietario avrà il diritto di pretendere che il vicino rispetti, nell'esercizio della facoltà di edificare, le norme edilizie disciplinanti l'area di propria appartenenza.



Pertanto l’edificio dei resistenti dovrà rispettare le distanze di costruzione previste per la zona su cui insiste.



Quanto al punto 3. si osserva che l’intero edificio deve essere completato perché il ricorrente sia decaduto dall’azione.



In ogni caso dei piani seminterrato e terraneo dell’edificio sono state realizzate le sole strutture e tompagnature, laddove perché l’opera sia terminata è necessario che essa sia ad uno stadio tale da poter essere utilizzata.



Quanto al punto 4. si osserva che la sospensione dei procedimenti giurisdizionali in corso disposta dall’art. 44 comma 25 d.l. 269/03 non si applica alle cause civili.



La concessione in sanatoria ottenibile in base alla legge citata, infatti, elimina le conseguenze penali ed amministrative dell’illecito commesso ma non quelle civili poiché, come abbiamo visto, il rispetto della normativa urbanistica da parte dei proprietari confinanti costituisce un diritto soggettivo del proprietario del fondo finitimo che non può venir limitato da atti amministrativi non aventi carattere ablatorio.



Pertanto è evidente che la norma in esame non può riferirsi a controversie relative a diritti sui quali la sanatoria non incide.



Quanto al punto 5. si osserva che, effettivamente, il piano seminterrato dell’edificio dei resistenti non è totalmente interrato e, pertanto, è tenuto al rispetto delle distanze di costruzione come affermato da Cassazione civile sez. II, 5 gennaio 2000, n. 45 che recita Ai fini dell'osservanza delle distanze legali nelle costruzioni, prescritte dall'art. 873 c.c. e dalle norme di questo integrative, alla nozione di "costruzione" deve essere ricondotto, avuto riguardo alle finalità della disciplina di regolare i rapporti intersoggettivi di vicinato assicurando in modo equo l'utilizzazione dei fondi limitrofi, qualsiasi manufatto non completamente interrato avente i requisiti della solidità e della immobilizzazione al suolo anche mediante appoggio, incorporazione o collegamento fisso ad una preesistente fabbrica.



Quanto al punto 6. si osserva che la questione della legittimità della volumetria realizzata è irrilevante in questa sede in quanto la violazione di norme urbanistiche che non siano integrative del codice civile in tema di distanze non legittima la proposizione delle azioni di nunciazione poiché non consente la demolizione dell’opera ma solo il risarcimento dei danni.



Quanto al punto 7. si osserva che i ricorrenti non sono legittimati a proporre tale doglianza in quanto la distanza di rispetto da strade pubbliche non rientra nelle distanze tra edifici o confini alieni tutelate dall’art. 873 cc.



In conclusione, considerato tutto quanto sopra esposto e ritenute condivisibili le conclusioni raggiunte dal ctu nei limiti indicati, la costruzione dei resistenti viola le distanze previste dal R.E. in quanto si trova a m 10,00 circa dal confine laddove il piano interrato ed il primo piano dovrebbero trovarsi a m 20,00.



Il ricorso va quindi accolto.



Spese al definitivo.







P.Q.M.



1. ordina ai resistenti di sospendere i lavori di costruzione dell’edificio in questione;



2. fissa il termine di giorni 30 dalla comunicazione del presente provvedimento per l’inizio del giudizio di merito;



3. nulla per le spese;



4. manda alla Cancelleria di darne avviso alle parti costituite.



Nola, 19.2.04



Il Giudice Delegato



dott. Ciro Caccaviello





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