lunedì 25 gennaio 2010

Semaforo Rosso: 384 cds quando non serve la contestazione immediata

Cassazione civile sez II, 17 novembre 2009, n. 24248 - (1107)























Semaforo rosso,incrocio,circolazione stradale,contestazione immediata





fonte:











" l'art. 384 reg. C.d.S., lett. b) contempla non qualsiasi ipotesi di mancato rispetto del segnale costituito dalla luce rossa di un semaforo, bensì soltanto quella dell'attraversamento di un incrocio in presenza di detto segnale, onde la relativa causa tipica di esclusione dell'obbligo della contestazione immediata non ricorre in tutte le altre ipotesi"











SVOLGIMENTO DEL PROCESSO



che con la sentenza indicata in epigrafe è stata respinta l'opposizione del sig. P.V. a verbale di contestazione della violazione dell'art. 146 C.d.S., comma 3, elevato nei suoi confronti dalla Polizia Municipale di Pontassieve perchè il veicolo "proseguiva la marcia nonostante il divieto imposto dalla segnalazione del semaforo che proiettava luce rossa";



che, in particolare, il Giudice di pace ha affermato che non era nella specie necessaria la contestazione immediata dell'illecito, ricorrendo l'ipotesi di attraversamento di un incrocio con il semaforo indicante luce rossa, di cui all'art. 384 reg. esec. C.d.S., lett. b);



che il soccombente ha dunque proposto ricorso per cassazione articolando un solo motivo di censura, cui resiste con controricorso il Comune intimato. Motivi della decisione che il ricorrente, premesso che nella specie il semaforo non era posto a presidio di alcun incrocio, essendo la strada ove era stato accertato l'illecito priva di intersezioni, denuncia violazione e falsa applicazione dell'art. 384 reg. C.d.S. e degli artt. 210 e 146 C.d.S., osservando che l'art. 384 reg. C.d.S. cit., lett. b) prevede, come ipotesi tipica di esclusione dell'obbligo della contestazione immediata, soltanto quella dell'attraversamento "di un incrocio" con il semaforo indicante la luce rossa;



che il motivo è manifestamente fondato, atteso che, come giustamente osservato dal ricorrente, l'art. 384 reg. C.d.S., lett. b) contempla non qualsiasi ipotesi di mancato rispetto del segnale costituito dalla luce rossa di un semaforo, bensì soltanto quella dell'attraversamento di un incrocio in presenza di detto segnale, onde la relativa causa tipica di esclusione dell'obbligo della contestazione immediata non ricorre in tutte le altre ipotesi,;



che a tale principio di diritto, invece, il giudice di pace non si è attenuto, avendo ritenuto sussistente l'ipotesi di cui all'art. 384 reg. C.d.S. cit., lett. b) senza aver previamente accertato se l'illecito fosse stato commesso ad un incrocio; che la sentenza impugnata va pertanto cassata con rinvio al giudice indicato in dispositivo, il quale si atterrà al principio di diritto sopra enunciato e provvederà, altresì, sulle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.



La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, al Giudice di pace di Pontassieve in persona di altro giudicante.



Così deciso in Roma, il 20 maggio 2009.



Depositata in Cancelleria il 17 novembre 09.

Semaforo Rosso: 384 cds quando non serve la contestazione immediata

Cassazione civile sez II, 17 novembre 2009, n. 24248 - (1107)











Semaforo rosso,incrocio,circolazione stradale,contestazione immediata


fonte:





" l'art. 384 reg. C.d.S., lett. b) contempla non qualsiasi ipotesi di mancato rispetto del segnale costituito dalla luce rossa di un semaforo, bensì soltanto quella dell'attraversamento di un incrocio in presenza di detto segnale, onde la relativa causa tipica di esclusione dell'obbligo della contestazione immediata non ricorre in tutte le altre ipotesi"





SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

che con la sentenza indicata in epigrafe è stata respinta l'opposizione del sig. P.V. a verbale di contestazione della violazione dell'art. 146 C.d.S., comma 3, elevato nei suoi confronti dalla Polizia Municipale di Pontassieve perchè il veicolo "proseguiva la marcia nonostante il divieto imposto dalla segnalazione del semaforo che proiettava luce rossa";

che, in particolare, il Giudice di pace ha affermato che non era nella specie necessaria la contestazione immediata dell'illecito, ricorrendo l'ipotesi di attraversamento di un incrocio con il semaforo indicante luce rossa, di cui all'art. 384 reg. esec. C.d.S., lett. b);

che il soccombente ha dunque proposto ricorso per cassazione articolando un solo motivo di censura, cui resiste con controricorso il Comune intimato. Motivi della decisione che il ricorrente, premesso che nella specie il semaforo non era posto a presidio di alcun incrocio, essendo la strada ove era stato accertato l'illecito priva di intersezioni, denuncia violazione e falsa applicazione dell'art. 384 reg. C.d.S. e degli artt. 210 e 146 C.d.S., osservando che l'art. 384 reg. C.d.S. cit., lett. b) prevede, come ipotesi tipica di esclusione dell'obbligo della contestazione immediata, soltanto quella dell'attraversamento "di un incrocio" con il semaforo indicante la luce rossa;

che il motivo è manifestamente fondato, atteso che, come giustamente osservato dal ricorrente, l'art. 384 reg. C.d.S., lett. b) contempla non qualsiasi ipotesi di mancato rispetto del segnale costituito dalla luce rossa di un semaforo, bensì soltanto quella dell'attraversamento di un incrocio in presenza di detto segnale, onde la relativa causa tipica di esclusione dell'obbligo della contestazione immediata non ricorre in tutte le altre ipotesi,;

che a tale principio di diritto, invece, il giudice di pace non si è attenuto, avendo ritenuto sussistente l'ipotesi di cui all'art. 384 reg. C.d.S. cit., lett. b) senza aver previamente accertato se l'illecito fosse stato commesso ad un incrocio; che la sentenza impugnata va pertanto cassata con rinvio al giudice indicato in dispositivo, il quale si atterrà al principio di diritto sopra enunciato e provvederà, altresì, sulle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, al Giudice di pace di Pontassieve in persona di altro giudicante.

Così deciso in Roma, il 20 maggio 2009.

Depositata in Cancelleria il 17 novembre 09.

Danni cagionati da cani randagi: chi paga?????

Randagismo, Comune, responsabilità, sussistenza, precisazioni







Giudice di Pace Fasano, sentenza 07.01.2010 n° 2









Secondo quanto previsto dalla legge della Regione Puglia 3 aprile 1995, n. 12, in materia di prevenzione del randagismo, che ha attribuito all’Asl territorialmente competente ed ai suoi servizi veterinari la lotta al randagismo, deve ritenersi che obbligata a rispondere delle richieste di risarcimento dei danni alle persone che si assume aver subito da cani randagi, sia la sola stessa ASL,e non anche il comune nel cui territorio si è verificato l’evento dannoso. (1)











(1) Cfr., nello stesso senso, Cass. Civ., Sez. III, sentenza 7 dicembre 2005, n. 27001 e Cass. Civ., Sez. III, sentenza 3 aprile 2009, n. 8137.













(Fonte: Massimario.it - 3/2010. Si ringrazia Ottavio Carparelli)

















Giudice di Pace di Fasano



Sentenza 7 gennaio 2010, n. 2



(G.P.: Dott. Avv. Giovanni Quaranta)







REPUBBLICA ITALIANA



In Nome del Popolo Italiano



Ufficio del Giudice di Pace di Fasano (BR)



*****



Il Giudice di Pace di Fasano, dott. Giovanni Quaranta,



ha pronunciato la seguente



SENTENZA



Nella causa civile iscritta nel ruolo generale affari contenziosi sotto il numero d’ordine 1455 dell’anno 2007



TRA



- C. S., elettivamente domiciliata in Fasano alla via C. Alberto n. 6, c/o lo studio dell’avv. Oronzo DE LEONARDIS, che la rappresenta e difende;



PARTE ATTRICE



CONTRO



- A.S.L. BR – Azienda Sanitaria Locale di Brindisi, in persona del suo legale rappresentate p.t., elettivamente domiciliata in Bari alla via Piccinni n.33, c/o lo studio dell’avv. Luigi DI LEO, che la rappresenta e difende;



CONVENUTA



NONCHE’



- Comune di Fasano (Br), in persona del suo legale rappresentante p.t., elettivamente domiciliato in Fasano, P.zza Ciaia, Palazzo Municipale; rappresentato e difeso dall’avv. Ottavio CARPARELLI, dirigente dell’Avvocatura Comunale;



TERZO CHIAMATO



OGGETTO: Risarcimento danni.

MOTIVI DELLA DECISIONE

La domanda è fondata, e, pertanto, si deve accogliere.



Preliminarmente deve affermarsi la legittimazione passiva della convenuta: infatti, sebbene la fauna selvatica rientri nel patrimonio indisponibile dello Stato, la legge n. 157 del 1992 ha attribuito alle Regioni l’emanazione di norme relative alla gestione ed alla tutela di tutte le specie di fauna selvatica, obbligandole, quindi, ad adottare le misure idonee ad evitare che detta fauna arrechi danni a terzi, pena la responsabilità dell’ente regionale al risarcimento del danno ex art. 2043 cod. civ. (cfr. Cass. N. 8953/2008 e Cass. N. 8137/2009).



La Regione Puglia, in esecuzione di quanto previsto con la legge n. 281/1991 (“legge quadro in materia di animali da affezione e prevenzione del randagismo”), ha approvato la L.R. n. 12/1995 “Interventi per la tutela degli animali d’affezione e prevenzione del randagismo”, laddove con l’art. 6 si dispone che “Spetta ai Servizi veterinari delle USL il recupero dei cani randagi”, da ricoverarsi, una volta catturati, presso canili per i quali, l’art. 6 prevede che “I Comuni … provvedono al risanamento dei canili comunali esistenti e costruiscono rifugi per i cani …”.



Trattandosi, nella fattispecie, di lesioni provocate da un cane randagio, direttamente ricollegabili ad una condotta omissiva di chi era obbligato al recupero (cioè all’ASL succeduta alle USL ex d.lgs. n. 502/92) e dovendosi escludere, come si vedrà, una responsabilità del Comune, anche per omessa custodia di detto cane nell’esistente canile, ne consegue, come prima detto, la esclusiva legittimazione passiva della convenuta.



Quanto al merito:



Premesso che ex art. 2697 c.c. chi vuol far valere un diritto in giudizio deve provare i fatti che ne costituiscono il fondamento, e che ex art. 115 c.c. il giudice deve porre a fondamento della decisione la prove proposte dalle parti, parte attrice ha fornito valida prova sulla esclusiva responsabilità della convenuta.

E’ risultato certo che in data 25/06/2007 alle ore 15,00 circa l’attrice, mentre percorreva a bordo di un ciclomotore condotto da Sacco Lucio, la via Appia di Torre Canne, veniva morsa al piede sinistro da un cane randagio, che le provocava lesioni, per le quali ora chiede un risarcimento di € 1.018,00 oltre interessi e spese.



Tanto è risultato provato a mezzo del teste Sacco, il quale, ha confermato la dinamica del fatto, come dedotto in citazione, senza contraddizioni od incongruenze, in mancanza di prova contraria, aggiungendo di avere accompagnato l’attrice in Ospedale a mezzo di un veicolo di un suo conoscente.



Contrariamente a quanto sostenuto dalla convenuta, il piede indicato come morso, nel Referto medico, è il sinistro e non il destro, per cui, alcuna contraddizione c’è con quanto riferito dall’attrice in sede di interrogatorio formale.



Inoltre, quest’ultima coerentemente afferma di aver visto il cane senza collare mentre transitava sul ciclomotore, prima di perdere i sensi, che detto cane rincorreva, essendo stata, quindi, in grado di scorgerlo chiaramente, come, del resto, risulta avere dichiarato il Sacco.



Le ferite al piede dell’attrice, rilevate al Pronto Soccorso, come da referto in atti, sono state rilevate, sia pure come esiti cicatriziali, dal C.T.U. dott. Giuseppe Maggi, il quale, le ha ritenute compatibili con l’evento traumatico da morso di cane.



Il cane risulta descritto dal teste come “di media altezza, pelo di media lunghezza, di colore bianco con macchie marroncine ed era privo di collare. Ricordo di non avere mai visto nessuno dar da mangiare al suddetto cane. Ricordo di avere visto detto cane sempre solo …”, e ciò in chiara corrispondenza con quanto dichiarato dall’attrice “Non sono in grado di dire di chi fosse il cane, ma ricordo di averli visto altre volte, … sempre solo e senza collare, non ho mai visto nessuno che gli desse da mangiare”.



Pertanto, mentre parte attrice, in ottemperanza al 1° comma dell’art. 2697 cod. civ., ha fornito la prova dei fatti costitutivi del proprio assunto, e cioè che il cane appariva randagio, senza collare e senza padrone, la convenuta, ai sensi del 2° comma, non ha provato la esistenza di fatti impeditivi, modificativi o estintivi che assume, e cioè, ad es. che detto cane un padrone lo avesse, o lo avesse avuto (in tali casi dovendone rispondere quest’ultimo ex art. 2052 cod. civ.), al contrario, è emersa la condotta omissiva dell’ASL, eziologicamente collegata all’evento dannoso de qua, consistente nel non aver provveduto autonomamente, come possibile nell’anno 2006 (cfr. deposizione Pinto), ad azioni concretamente finalizzate alla prevenzione del randagismo, e , quindi, alla cattura di quel cane, che pure da diversi giorni risultava aggirarsi nella zona di via Appia a Torre Canne.



Alla stregua di tali emergenze deve, quindi, affermarsi la responsabilità della convenuta ASL, dovendosi escludere la responsabilità della regione, stante l’emanazione della cit. L.R. n. 12/95.



Deve, tuttavia, dichiararsi la infondatezza della chiamata in causa, da parte della convenuta, del Comune di Fasano: infatti, in presenza della legge regionale anzidetta con la quale è stata affidata all’ASL territorialmente competente, in particolare ai suoi servizi veterinari, la lotta al randagismo, sarà la sola ASL stessa a dover rispondere delle richieste dei danni alle persone che si assume aver subito da cani randagi (cfr. in tal senso Cass. n. 27001/2005 e Cass. n. 8137/2009).



A maggior ragione, in considerazione del fatto che il Comune di Fasano ha predisposto e mantenuto funzionale il canile fin dal marzo 2001, come riferito dai testi Carrieri e Virgilio, così come previsto dal cit. art. 6 della legge regionale n. 12/95, adempiendo, in tal maniera, all’obbligo impostogli in materia, ed escludendo, così, una responsabilità solidale con l’ASL (cfr. Cass. n. 10638/2002).



Gli Ermellini hanno infatti disposto con la predetta sent. n. 8137/2009 in un caso analogo, che “la legittimazione passiva spetta alla locale azienda sanitaria, succeduta alla USL, e non al Comune, sul quale, perciò, non può ritenersi ricadente il giudizio di imputazione dei danni dipendenti dal suddetto evento”.



Non rileva a giustificare una responsabilità del Comune il richiamo all’art. 2 della L.R. n. 26/2006, in base al quale “Il Comune provvede a effettuare una polizza per eventuali danni”, stante l’evidente incongruenza e apoditticità della norma, in cui il riferimento agli eventuali danni non risulta provenire da una univoca fonte legislativa di responsabilità dei Comuni, in materia.



Ed inoltre, anche perché il periodo che contiene detto art. 2 fa riferimento soltanto ad attività demandate alle ASL, e poiché queste ultime risultano avere una configurazione giuridica autonoma, non essendo considerate più strutture operative dei Comuni, ma aziende dipendenti dalla regione, strumentali per la erogazione dei servizi sanitari di competenza regionale, risulta reciso il cordone ombelicale fra Comuni ed USL prima esistente, con la conseguente ultroneità dell’inciso normativo ora detto.



Quanto ai danni fisici, la consulenza tecnica d’ufficio richiesta al dr. Maggi ha chiarito a questo giudice l’esatta entità delle lesioni subite dalla ricorrente: l’Ausiliare, infatti, ritenendo compatibile con l’occorso sinistro la “FLC piede sinistro da morso di cane”, ha valutato il protrarsi della conseguente malattia per gg. 8 di invalidità totale, di gg. 24 di invalidità parziale al 50%.



Non essendoci motivi per disattendere tali conclusioni, il giudicante le fa proprie, così determinando il relativo danno risarcibile, comprensivo dell’aumento del 30% della invalidità temporanea, per danno morale, come più avanti si dirà:







- I.T.T. di gg. 8 x € 42,48 + 30% = € 442,00





- I.T.P. 50% di gg. 24 x € 21,24 + 30% = € 663,00





per un totale, quindi, di € 1.105,00 da contenersi entro il limite della domanda, pari ad € 1.018,00.







- Quanto al dedotto danno morale:







le Sezioni Unite della S.C. hanno ritenuto che nella ipotesi in cui il fatto illecito si configura anche solo astrattamente come reato, è risarcibile il danno non patrimoniale, sofferto dalla persona offesa, nella sua ampia accezione di danno determinato dalla lesione di interessi inerenti la persona non connotati da rilevanza economica.



Quindi, superata la tradizionale figura del c.d. danno morale soggettivo come sofferenza meramente transitoria, deve farsi riferimento all’idea di un danno non patrimoniale onnicomprensivo, come affermato da ben 4 pronunce gemelle delle SS.UU. (26972–26973–26974-26975 dell’11/11/08 le quali si riportano espressamente alle precedenti n. 8827/2003– 8828/2003), che può essere riconosciuto dal Giudice soltanto sulla base di violazione dei diritti costituzionalmente qualificati.



In tale concetto di danno non patrimoniale vanno, quindi, ricompresi sia il danno biologico accertabile nella sua componente fisica che nella sua componente psichica, in quanto “Ove siano state dedotte siffatte conseguenze si rientra nel danno biologico, del quale ogni sofferenza, fisica o psichica, per sua natura intrinseca costituisce componente” (26972/08)



Poiché la lesione è in re ipsa , ne discende che incombe al danneggiato, ai sensi dell’art. 2697 c.c., l’onere di allegare circostanze concrete che ne consentano la prova, anche presuntiva, della sua esistenza.



In particolare le sentenze gemelle, pur avendo ritenuto che la categoria del danno morale non esiste più, tranne nel caso di reato e danno morale terminale, hanno rafforzato ed esteso la sua portata oltre che nel caso si configuri anche astrattamente un reato, anche in occasione di altri casi previsti, ovvero in caso di puro sentire il danno, così da garantire sempre e comunque l’integrale risarcimento del danno in ogni sua espressione, oggettiva e soggettiva.

D’altronde nel senso della reviviscenza della categoria del danno morale, sia pure nella sua anzidetta accezione, depone la sentenza successiva della S.C. n. 29191 del 12/12/2008, secondo cui: “nella valutazione del danno morale contestuale alla lesione del diritto alla salute, la valutazione di tale voce, …deve tener conto delle condizioni soggettive della persona umana e della gravità del fatto, senza che possa considerarsi il valore della integrità morale una quota minore del danno alla salute”.



La recente sentenza n. 479 del 13/01/2009 ha ribadito sostanzialmente tale assunto, affermando che il danno morale deve essere risarcito come danno non patrimoniale, secondo equità circostanziata in relazione alla gravità del danno cagionato.



Valorizzando, pertanto, anche la componente di sofferenza del pregiudizio biologico, è d’uopo maggiorare del 30% gli importi relativi a quest’ultimo danno temporaneo.



Inoltre, “Poiché il risarcimento del danno da fatto illecito extracontrattuale costituisce un tipico debito di valore…sono dovuti interessi e rivalutazione…” (Cass. 5234/2006).



Le spese del giudizio seguono la soccombenza, come da dispositivo



P.Q.M.

Il Giudice di pace di Fasano, in persona del dr. Giovanni Quaranta, definitivamente pronunciando sulla domanda proposta da C. S. nei confronti della ASL BR Azienda Sanitaria Locale di Brindisi, così provvede:







DICHIARA il sinistro per cui è causa verificato per responsabilità e colpa ascrivibili esclusivamente alla ASL BR Azienda Sanitaria Locale di Brindisi, nel contempo dichiarando il difetto di legittimazione passiva del chiamato Comune di Fasano;





CONDANNA per l’effetto, l’ ASL BR Azienda Sanitaria Locale di Brindisi al pagamento in favore di C. S. della somma di €. 1.018,00, oltre interessi legali dalla domanda fino al soddisfo e rivalutazione monetaria;





CONDANNA, inoltre, l’ASL BR Azienda Sanitaria Locale di Brindisi, al rimborso delle spese di giudizio in favore di C. S., liquidate nella complessiva somma di €. 1.590,00 di cui €.600,00 per onorari, di €. 700,00 per diritti ed €. 290,00 per borsuali e c.t.u., oltre Iva, CAP e 12,50% L.P., come per legge.





CONDANNA, inoltre, ASL BR Azienda Sanitaria Locale di Brindisi, al rimborso delle spese di giudizio in favore del Comune di Fasano, liquidate nella complessiva somma di €. 1300,00 di cui €. 600,00 per onorari, di €. 700,00 per diritti, oltre Iva, CAP e 12,50% L.P., come per legge.





Così deciso in Fasano addì 31/12/2009







Il Giudice di Pace







(dr. Giovanni Quaranta)







Depositata in Cancelleria il 7 gennaio 2010.







Il Cancelliere B3







(Agnese D’Arienzo)

Danni cagionati da cani randagi: chi paga?????

Randagismo, Comune, responsabilità, sussistenza, precisazioni



Giudice di Pace Fasano, sentenza 07.01.2010 n° 2




Secondo quanto previsto dalla legge della Regione Puglia 3 aprile 1995, n. 12, in materia di prevenzione del randagismo, che ha attribuito all’Asl territorialmente competente ed ai suoi servizi veterinari la lotta al randagismo, deve ritenersi che obbligata a rispondere delle richieste di risarcimento dei danni alle persone che si assume aver subito da cani randagi, sia la sola stessa ASL,e non anche il comune nel cui territorio si è verificato l’evento dannoso. (1)





(1) Cfr., nello stesso senso, Cass. Civ., Sez. III, sentenza 7 dicembre 2005, n. 27001 e Cass. Civ., Sez. III, sentenza 3 aprile 2009, n. 8137.






(Fonte: Massimario.it - 3/2010. Si ringrazia Ottavio Carparelli)








Giudice di Pace di Fasano

Sentenza 7 gennaio 2010, n. 2

(G.P.: Dott. Avv. Giovanni Quaranta)



REPUBBLICA ITALIANA

In Nome del Popolo Italiano

Ufficio del Giudice di Pace di Fasano (BR)

*****

Il Giudice di Pace di Fasano, dott. Giovanni Quaranta,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

Nella causa civile iscritta nel ruolo generale affari contenziosi sotto il numero d’ordine 1455 dell’anno 2007

TRA

- C. S., elettivamente domiciliata in Fasano alla via C. Alberto n. 6, c/o lo studio dell’avv. Oronzo DE LEONARDIS, che la rappresenta e difende;

PARTE ATTRICE

CONTRO

- A.S.L. BR – Azienda Sanitaria Locale di Brindisi, in persona del suo legale rappresentate p.t., elettivamente domiciliata in Bari alla via Piccinni n.33, c/o lo studio dell’avv. Luigi DI LEO, che la rappresenta e difende;

CONVENUTA

NONCHE’

- Comune di Fasano (Br), in persona del suo legale rappresentante p.t., elettivamente domiciliato in Fasano, P.zza Ciaia, Palazzo Municipale; rappresentato e difeso dall’avv. Ottavio CARPARELLI, dirigente dell’Avvocatura Comunale;

TERZO CHIAMATO

OGGETTO: Risarcimento danni.
MOTIVI DELLA DECISIONE
La domanda è fondata, e, pertanto, si deve accogliere.

Preliminarmente deve affermarsi la legittimazione passiva della convenuta: infatti, sebbene la fauna selvatica rientri nel patrimonio indisponibile dello Stato, la legge n. 157 del 1992 ha attribuito alle Regioni l’emanazione di norme relative alla gestione ed alla tutela di tutte le specie di fauna selvatica, obbligandole, quindi, ad adottare le misure idonee ad evitare che detta fauna arrechi danni a terzi, pena la responsabilità dell’ente regionale al risarcimento del danno ex art. 2043 cod. civ. (cfr. Cass. N. 8953/2008 e Cass. N. 8137/2009).

La Regione Puglia, in esecuzione di quanto previsto con la legge n. 281/1991 (“legge quadro in materia di animali da affezione e prevenzione del randagismo”), ha approvato la L.R. n. 12/1995 “Interventi per la tutela degli animali d’affezione e prevenzione del randagismo”, laddove con l’art. 6 si dispone che “Spetta ai Servizi veterinari delle USL il recupero dei cani randagi”, da ricoverarsi, una volta catturati, presso canili per i quali, l’art. 6 prevede che “I Comuni … provvedono al risanamento dei canili comunali esistenti e costruiscono rifugi per i cani …”.

Trattandosi, nella fattispecie, di lesioni provocate da un cane randagio, direttamente ricollegabili ad una condotta omissiva di chi era obbligato al recupero (cioè all’ASL succeduta alle USL ex d.lgs. n. 502/92) e dovendosi escludere, come si vedrà, una responsabilità del Comune, anche per omessa custodia di detto cane nell’esistente canile, ne consegue, come prima detto, la esclusiva legittimazione passiva della convenuta.

Quanto al merito:

Premesso che ex art. 2697 c.c. chi vuol far valere un diritto in giudizio deve provare i fatti che ne costituiscono il fondamento, e che ex art. 115 c.c. il giudice deve porre a fondamento della decisione la prove proposte dalle parti, parte attrice ha fornito valida prova sulla esclusiva responsabilità della convenuta.
E’ risultato certo che in data 25/06/2007 alle ore 15,00 circa l’attrice, mentre percorreva a bordo di un ciclomotore condotto da Sacco Lucio, la via Appia di Torre Canne, veniva morsa al piede sinistro da un cane randagio, che le provocava lesioni, per le quali ora chiede un risarcimento di € 1.018,00 oltre interessi e spese.

Tanto è risultato provato a mezzo del teste Sacco, il quale, ha confermato la dinamica del fatto, come dedotto in citazione, senza contraddizioni od incongruenze, in mancanza di prova contraria, aggiungendo di avere accompagnato l’attrice in Ospedale a mezzo di un veicolo di un suo conoscente.

Contrariamente a quanto sostenuto dalla convenuta, il piede indicato come morso, nel Referto medico, è il sinistro e non il destro, per cui, alcuna contraddizione c’è con quanto riferito dall’attrice in sede di interrogatorio formale.

Inoltre, quest’ultima coerentemente afferma di aver visto il cane senza collare mentre transitava sul ciclomotore, prima di perdere i sensi, che detto cane rincorreva, essendo stata, quindi, in grado di scorgerlo chiaramente, come, del resto, risulta avere dichiarato il Sacco.

Le ferite al piede dell’attrice, rilevate al Pronto Soccorso, come da referto in atti, sono state rilevate, sia pure come esiti cicatriziali, dal C.T.U. dott. Giuseppe Maggi, il quale, le ha ritenute compatibili con l’evento traumatico da morso di cane.

Il cane risulta descritto dal teste come “di media altezza, pelo di media lunghezza, di colore bianco con macchie marroncine ed era privo di collare. Ricordo di non avere mai visto nessuno dar da mangiare al suddetto cane. Ricordo di avere visto detto cane sempre solo …”, e ciò in chiara corrispondenza con quanto dichiarato dall’attrice “Non sono in grado di dire di chi fosse il cane, ma ricordo di averli visto altre volte, … sempre solo e senza collare, non ho mai visto nessuno che gli desse da mangiare”.

Pertanto, mentre parte attrice, in ottemperanza al 1° comma dell’art. 2697 cod. civ., ha fornito la prova dei fatti costitutivi del proprio assunto, e cioè che il cane appariva randagio, senza collare e senza padrone, la convenuta, ai sensi del 2° comma, non ha provato la esistenza di fatti impeditivi, modificativi o estintivi che assume, e cioè, ad es. che detto cane un padrone lo avesse, o lo avesse avuto (in tali casi dovendone rispondere quest’ultimo ex art. 2052 cod. civ.), al contrario, è emersa la condotta omissiva dell’ASL, eziologicamente collegata all’evento dannoso de qua, consistente nel non aver provveduto autonomamente, come possibile nell’anno 2006 (cfr. deposizione Pinto), ad azioni concretamente finalizzate alla prevenzione del randagismo, e , quindi, alla cattura di quel cane, che pure da diversi giorni risultava aggirarsi nella zona di via Appia a Torre Canne.

Alla stregua di tali emergenze deve, quindi, affermarsi la responsabilità della convenuta ASL, dovendosi escludere la responsabilità della regione, stante l’emanazione della cit. L.R. n. 12/95.

Deve, tuttavia, dichiararsi la infondatezza della chiamata in causa, da parte della convenuta, del Comune di Fasano: infatti, in presenza della legge regionale anzidetta con la quale è stata affidata all’ASL territorialmente competente, in particolare ai suoi servizi veterinari, la lotta al randagismo, sarà la sola ASL stessa a dover rispondere delle richieste dei danni alle persone che si assume aver subito da cani randagi (cfr. in tal senso Cass. n. 27001/2005 e Cass. n. 8137/2009).

A maggior ragione, in considerazione del fatto che il Comune di Fasano ha predisposto e mantenuto funzionale il canile fin dal marzo 2001, come riferito dai testi Carrieri e Virgilio, così come previsto dal cit. art. 6 della legge regionale n. 12/95, adempiendo, in tal maniera, all’obbligo impostogli in materia, ed escludendo, così, una responsabilità solidale con l’ASL (cfr. Cass. n. 10638/2002).

Gli Ermellini hanno infatti disposto con la predetta sent. n. 8137/2009 in un caso analogo, che “la legittimazione passiva spetta alla locale azienda sanitaria, succeduta alla USL, e non al Comune, sul quale, perciò, non può ritenersi ricadente il giudizio di imputazione dei danni dipendenti dal suddetto evento”.

Non rileva a giustificare una responsabilità del Comune il richiamo all’art. 2 della L.R. n. 26/2006, in base al quale “Il Comune provvede a effettuare una polizza per eventuali danni”, stante l’evidente incongruenza e apoditticità della norma, in cui il riferimento agli eventuali danni non risulta provenire da una univoca fonte legislativa di responsabilità dei Comuni, in materia.

Ed inoltre, anche perché il periodo che contiene detto art. 2 fa riferimento soltanto ad attività demandate alle ASL, e poiché queste ultime risultano avere una configurazione giuridica autonoma, non essendo considerate più strutture operative dei Comuni, ma aziende dipendenti dalla regione, strumentali per la erogazione dei servizi sanitari di competenza regionale, risulta reciso il cordone ombelicale fra Comuni ed USL prima esistente, con la conseguente ultroneità dell’inciso normativo ora detto.

Quanto ai danni fisici, la consulenza tecnica d’ufficio richiesta al dr. Maggi ha chiarito a questo giudice l’esatta entità delle lesioni subite dalla ricorrente: l’Ausiliare, infatti, ritenendo compatibile con l’occorso sinistro la “FLC piede sinistro da morso di cane”, ha valutato il protrarsi della conseguente malattia per gg. 8 di invalidità totale, di gg. 24 di invalidità parziale al 50%.

Non essendoci motivi per disattendere tali conclusioni, il giudicante le fa proprie, così determinando il relativo danno risarcibile, comprensivo dell’aumento del 30% della invalidità temporanea, per danno morale, come più avanti si dirà:



- I.T.T. di gg. 8 x € 42,48 + 30% = € 442,00


- I.T.P. 50% di gg. 24 x € 21,24 + 30% = € 663,00


per un totale, quindi, di € 1.105,00 da contenersi entro il limite della domanda, pari ad € 1.018,00.



- Quanto al dedotto danno morale:



le Sezioni Unite della S.C. hanno ritenuto che nella ipotesi in cui il fatto illecito si configura anche solo astrattamente come reato, è risarcibile il danno non patrimoniale, sofferto dalla persona offesa, nella sua ampia accezione di danno determinato dalla lesione di interessi inerenti la persona non connotati da rilevanza economica.

Quindi, superata la tradizionale figura del c.d. danno morale soggettivo come sofferenza meramente transitoria, deve farsi riferimento all’idea di un danno non patrimoniale onnicomprensivo, come affermato da ben 4 pronunce gemelle delle SS.UU. (26972–26973–26974-26975 dell’11/11/08 le quali si riportano espressamente alle precedenti n. 8827/2003– 8828/2003), che può essere riconosciuto dal Giudice soltanto sulla base di violazione dei diritti costituzionalmente qualificati.

In tale concetto di danno non patrimoniale vanno, quindi, ricompresi sia il danno biologico accertabile nella sua componente fisica che nella sua componente psichica, in quanto “Ove siano state dedotte siffatte conseguenze si rientra nel danno biologico, del quale ogni sofferenza, fisica o psichica, per sua natura intrinseca costituisce componente” (26972/08)

Poiché la lesione è in re ipsa , ne discende che incombe al danneggiato, ai sensi dell’art. 2697 c.c., l’onere di allegare circostanze concrete che ne consentano la prova, anche presuntiva, della sua esistenza.

In particolare le sentenze gemelle, pur avendo ritenuto che la categoria del danno morale non esiste più, tranne nel caso di reato e danno morale terminale, hanno rafforzato ed esteso la sua portata oltre che nel caso si configuri anche astrattamente un reato, anche in occasione di altri casi previsti, ovvero in caso di puro sentire il danno, così da garantire sempre e comunque l’integrale risarcimento del danno in ogni sua espressione, oggettiva e soggettiva.
D’altronde nel senso della reviviscenza della categoria del danno morale, sia pure nella sua anzidetta accezione, depone la sentenza successiva della S.C. n. 29191 del 12/12/2008, secondo cui: “nella valutazione del danno morale contestuale alla lesione del diritto alla salute, la valutazione di tale voce, …deve tener conto delle condizioni soggettive della persona umana e della gravità del fatto, senza che possa considerarsi il valore della integrità morale una quota minore del danno alla salute”.

La recente sentenza n. 479 del 13/01/2009 ha ribadito sostanzialmente tale assunto, affermando che il danno morale deve essere risarcito come danno non patrimoniale, secondo equità circostanziata in relazione alla gravità del danno cagionato.

Valorizzando, pertanto, anche la componente di sofferenza del pregiudizio biologico, è d’uopo maggiorare del 30% gli importi relativi a quest’ultimo danno temporaneo.

Inoltre, “Poiché il risarcimento del danno da fatto illecito extracontrattuale costituisce un tipico debito di valore…sono dovuti interessi e rivalutazione…” (Cass. 5234/2006).

Le spese del giudizio seguono la soccombenza, come da dispositivo

P.Q.M.
Il Giudice di pace di Fasano, in persona del dr. Giovanni Quaranta, definitivamente pronunciando sulla domanda proposta da C. S. nei confronti della ASL BR Azienda Sanitaria Locale di Brindisi, così provvede:



DICHIARA il sinistro per cui è causa verificato per responsabilità e colpa ascrivibili esclusivamente alla ASL BR Azienda Sanitaria Locale di Brindisi, nel contempo dichiarando il difetto di legittimazione passiva del chiamato Comune di Fasano;


CONDANNA per l’effetto, l’ ASL BR Azienda Sanitaria Locale di Brindisi al pagamento in favore di C. S. della somma di €. 1.018,00, oltre interessi legali dalla domanda fino al soddisfo e rivalutazione monetaria;


CONDANNA, inoltre, l’ASL BR Azienda Sanitaria Locale di Brindisi, al rimborso delle spese di giudizio in favore di C. S., liquidate nella complessiva somma di €. 1.590,00 di cui €.600,00 per onorari, di €. 700,00 per diritti ed €. 290,00 per borsuali e c.t.u., oltre Iva, CAP e 12,50% L.P., come per legge.


CONDANNA, inoltre, ASL BR Azienda Sanitaria Locale di Brindisi, al rimborso delle spese di giudizio in favore del Comune di Fasano, liquidate nella complessiva somma di €. 1300,00 di cui €. 600,00 per onorari, di €. 700,00 per diritti, oltre Iva, CAP e 12,50% L.P., come per legge.


Così deciso in Fasano addì 31/12/2009



Il Giudice di Pace



(dr. Giovanni Quaranta)



Depositata in Cancelleria il 7 gennaio 2010.



Il Cancelliere B3



(Agnese D’Arienzo)

Risarcimento danno da illegittimo diniego di autotutela: nell'ambito tributario

21.01.10 - Cassazione Civile: risarcimento del danno patito per mancata autotutela della PA























Importante pronuncia della Cassazione su un caso di illegittima pretesa tributaria. In particolare, alla domanda "se, in linea di principio la PA possa essere tenuta responsabile ai sensi dell'articolo 2043 Codice Civile per il mancato o ritardato annullamento di un atto illegittimo, nell'esercizio del potere di autotutela, ove tale comportamento abbia arrecato danno al privato, o se ciò costituisca violazione di principi fondamentali dell'ordinamento" la Cassazione ha risposto positivamente.













La Cassazione ha ricordato di avere in passato, in un caso analogo, "affermato che può essere riconosciuto il risarcimento del danno sopportato da un soggetto per ottenere l'annullamento di un provvedimento amministrativo in sede di autotutela (danno consistente nelle spese legali sostenute per proporre ricorso contro l'atto illegittimo), non essendo esclusa la qualificazione di tali spese come danno risarcibile, per il solo fatto che esse si riferiscono ad un procedimento amministrativo (Cass. civ. Sez. I, 23 luglio 2004 n. 13801)".













"Nel caso in esame l'ingiustizia del danno è messa in questione sotto un diverso profilo, cioè nel senso che si dovrebbe ritenere sottratto al giudice ordinario il potere di valutare tempi e modalità di esercizio del potere di autotutela. La soluzione, tuttavia, non può essere diversa, in quanto il danno di cui si chiede il risarcimento in realtà deriva dal compimento dell'atto illegittimo, essendo l'intervento in autotutela solo il mezzo che avrebbe potuto eliminarne tempestivamente gli effetti.













Ove il provvedimento di autotutela non venga tempestivamente adottato, al punto di costringere il privato ad affrontare spese legali e d'altro genere per proporre ricorso e per ottenere per questa via l'annullamento dell'atto, la responsabilità della P.A. permane ed è innegabile.













Non si tratta, quindi, dell'indebita interferenza della giurisdizione sulle modalità di esercizio del potere amministrativo, ma dell'accertamento che il danno conseguente all'atto illegittimo ha esplicato tutti i suoi effetti, per non essere la PA tempestivamente intervenuta ad evitarli, con i mezzi che la legge le attribuisce".













(Corte di Cassazione - Sezione Terza Civile, Sentenza 19 gennaio 2010, n.2010: Risarcimento del danno - Omesso esercizio dell'autotutela da parte della PA - Ammissibilità).

Risarcimento danno da illegittimo diniego di autotutela: nell'ambito tributario

21.01.10 - Cassazione Civile: risarcimento del danno patito per mancata autotutela della PA











Importante pronuncia della Cassazione su un caso di illegittima pretesa tributaria. In particolare, alla domanda "se, in linea di principio la PA possa essere tenuta responsabile ai sensi dell'articolo 2043 Codice Civile per il mancato o ritardato annullamento di un atto illegittimo, nell'esercizio del potere di autotutela, ove tale comportamento abbia arrecato danno al privato, o se ciò costituisca violazione di principi fondamentali dell'ordinamento" la Cassazione ha risposto positivamente.






La Cassazione ha ricordato di avere in passato, in un caso analogo, "affermato che può essere riconosciuto il risarcimento del danno sopportato da un soggetto per ottenere l'annullamento di un provvedimento amministrativo in sede di autotutela (danno consistente nelle spese legali sostenute per proporre ricorso contro l'atto illegittimo), non essendo esclusa la qualificazione di tali spese come danno risarcibile, per il solo fatto che esse si riferiscono ad un procedimento amministrativo (Cass. civ. Sez. I, 23 luglio 2004 n. 13801)".






"Nel caso in esame l'ingiustizia del danno è messa in questione sotto un diverso profilo, cioè nel senso che si dovrebbe ritenere sottratto al giudice ordinario il potere di valutare tempi e modalità di esercizio del potere di autotutela. La soluzione, tuttavia, non può essere diversa, in quanto il danno di cui si chiede il risarcimento in realtà deriva dal compimento dell'atto illegittimo, essendo l'intervento in autotutela solo il mezzo che avrebbe potuto eliminarne tempestivamente gli effetti.






Ove il provvedimento di autotutela non venga tempestivamente adottato, al punto di costringere il privato ad affrontare spese legali e d'altro genere per proporre ricorso e per ottenere per questa via l'annullamento dell'atto, la responsabilità della P.A. permane ed è innegabile.






Non si tratta, quindi, dell'indebita interferenza della giurisdizione sulle modalità di esercizio del potere amministrativo, ma dell'accertamento che il danno conseguente all'atto illegittimo ha esplicato tutti i suoi effetti, per non essere la PA tempestivamente intervenuta ad evitarli, con i mezzi che la legge le attribuisce".






(Corte di Cassazione - Sezione Terza Civile, Sentenza 19 gennaio 2010, n.2010: Risarcimento del danno - Omesso esercizio dell'autotutela da parte della PA - Ammissibilità).

Il nuovo rito sommario 702 bis c.p.c.: le prime pronunce

Nuovo processo civile: sulla conversione dal rito sommario al rito ordinario



Tribunale Sant’Angelo dei Lombardi, ordinanza 02.11.2009 (Giuseppe Buffone)











Mentre alcuni Tribunali confezionano i primi provvedimenti interlocutori e decisivi, in punto di rito sommario di cognizione, alcuni giudici mettono mano alle prime pronunce di conversione, oggetto non bene identificato nella riforma del 18 giugno 2009 (legge n. 69): per tale motivo, l’ordinanza 2 novembre 2009 del Tribunale di Sant’Angelo dei Lombardi è di particolare interesse per gli interpreti.

Come noto, l’art. 702-ter, comma III, c.p.c. prevede che: «se ritiene che le difese svolte dalle parti richiedono un’istruzione non sommaria, il giudice, con ordinanza non impugnabile, fissa l’udienza di cui all’articolo 183. In tal caso si applicano le disposizioni del libro II».



Nel caso oggetto dell’ordinanza in commento, il giudice conclude proprio per una diagnosi di istruzione “non sommaria” , alla luce delle difese svolte dalle parti, anche al verbale dell’udienza di prima comparizione.

Secondo il giudice “la pluralità e varietà dei mezzi istruttori richiesti (prove orali, consulenza tecnica, perizia fonica, acquisizione di documentazione bancaria e di scritture private), imponendo necessariamente il dipanarsi dell’istruzione per numerose udienze, rende in concreto non praticabile l’istruzione sommaria della causa, anche alla luce del disposto del quinto comma dell’art. 702-ter c.p.c., il quale correla la detta facoltà alla ragionevole previsione di un’istruttoria deformalizzata (che in questa sede non può formularsi, prefigurandosi invece un’istruttoria incompatibile con le esigenze di speditezza del rito sommario)”.



Quanto alla valutazione in ordine alla decidibilità nelle forme del sommario, la giurisprudenza aderisce[1], per la maggiore, all’orientamento prevalente in Dottrina secondo il quale il tribunale dovrebbe valutare:



a. l’oggetto “originario” del processo ed i fatti costitutivi della domanda (anche in relazione al valore della causa);









b. le eventuali domande riconvenzionali e quelle nei confronti di terzi e le difese svolte in sede di costituzione dal convenuto e dai terzi;









c. l’impostazione complessiva del sistema difensivo del convenuto (e dei terzi), da cui desumere le questioni, di fatto e di diritto, controverse tra le parti, tenendo anche conto di singole eccezioni di rito e di merito, nonché delle richieste istruttorie già formulate o comunque prospettate quale thema probandum.









Il parametro valutativo da assumere quale primario riferimento per il giudizio di “decidibilità” nelle forme del sommario è, dunque, l”oggetto” della causa ed il complesso articolato di difese ed eccezioni introitate nel giudizio, passando, anche, per le richieste istruttorie articolate dalle parti[2] e le eventuali istanze per la estensione del contraddittorio ad altri soggetti. Non è un caso che l’art. 702-ter, comma III, c.p.c. richiami espressamente “le difese svolte dalle parti”, ai fini della eventuale conversione[3].









All’esito delle valutazioni che precedono, il giudice, tenuto conto della complessità oggettiva e soggettiva della causa, deve prefigurarsi il percorso che, a suo giudizio, si prospetta per la decisione e, dunque, verificarne la sua compatibilità con le forme semplificate. La compatibilità va esclusa ove venga meno uno degli assi portanti del giudizio sommario e, cioè: I) celerità dei tempi e II) snellezza delle forme.





 












Il Rito Sommario[4]: prima Udienza e possibili sbocchi



 
Se il giudice reputa non decidibile la causa con il rito sommario, deve disporre la conversione del rito fissando l’udienza ex art. 183 c.p.c. In molti hanno ritenuto che, in tale ipotesi, dovrebbe essere garantito uno spazio temporale pari a quello che impone l’art. 163-bis c.p.c. A tale indicazione non sembra aderire il tribunale di Sant’Angelo dei Lombardi che, infatti, dalla data del provvedimento (20.11.2009) alla prima comparizione (10.02.2010), lascia intercorrere un lasso temporale inferiore a novanta giorni.

Ed, invero, la norma ex art. 702-ter c.p.c. è silente sul punto ma, come noto, vi è un acceso dibattito al riguardo. L’ordine di servizio del Tribunale di Genova, ad esempio, del 30 settembre 2009, suggerisce, quale “interpretazione costituzionalmente orientata”, che nel disporsi “il passaggio dalla causa al rito ordinario sia rispettato l’art. 163-bis c.p.c. e l’art. 166 c.p.c.” con concessione al convenuto, quindi, della facoltà di presentare una nuova comparsa di costituzione e risposta.



Sulla stessa linea l’ordine di servizio del Tribunale di Bologna del 9 novembre 2009.



Non va sottaciuto come alcuni commentatori abbiano ritenuto tale situazione un po’ “meccanicistica e rigida”[5] ritenendo che sia preferibile distinguere “caso per caso”.



Ad ogni modo, l’ordinanza di conversione non è impugnabile.























(Altalex, 18 gennaio 2010. Nota di Giuseppe Buffone)





______________





[1] V. sul punto, Trib. Mondovì, or. 10.11.2009 in Guida al diritto, 2009, 50 e in http://www.ilcaso.it/.





[2] Elemento preso in considerazione dal giudice Levita nell’ordinanza in commento.





[3] Trib. Varese, ord. 18.11.2009 in Guida al diritto, 2009, 50 e in www.dirittoegiustizia.it.





[4] Tratto da: Buffone, La riforma del processo civile, Buffetti ed., 2009.





[5] Caponi, Consentito al giudice un solo tipo di passaggio dalla trattazione semplificata a quella ordinaria in Guida al diritto, 2009, 50, 52 e ss..



 






Tribunale di Sant’Angelo dei Lombardi





Ordinanza 2 novembre 2009





(giudice Levita)



 




Il giudice dott. Luigi Levita

letti gli atti e sciogliendo la riserva di cui al verbale che precede



OSSERVA



A seguito dell’introduzione nell’ordito processuale civile del rito sommario (ex l. n. 69/2009), questo giudice è chiamato ad effettuare una valutazione complessiva e di sintesi del materiale di causa, prefigurando il percorso che si rende necessario per la decisione e la sua compatibilità con le forme semplificate.



Orbene, nel caso in esame è agevole evidenziare che le difese delle parti, per come svolte nel corpo del verbale d’udienza, richiedano un’istruzione “non sommaria” ai sensi dell’art. 702-ter c.p.c.



Ed infatti, la pluralità e varietà dei mezzi istruttori richiesti (prove orali, consulenza tecnica, perizia fonica, acquisizione di documentazione bancaria e di scritture private), imponendo necessariamente il dipanarsi dell’istruzione per numerose udienze, rende in concreto non praticabile l’istruzione sommaria della causa, anche alla luce del disposto del quinto comma dell’art. 702­-ter c.p.c., il quale correla la detta facoltà alla ragionevole previsione di un’istruttoria deformalizzata (che in questa sede non può formularsi, prefigurandosi invece un’istruttoria incompatibile con le esigenze di speditezza del rito sommario).



Pertanto, letto l’art. 702-ter comma 3 c.p.c., fissa l’udienza di cui all’art. 183 c.p.c. per il 10 febbraio 2010.



Si comunichi.





 






Sant’Angelo dei Lombardi, 20 novembre 2009

Il giudice









dott. Luigi Levita.













Decreto flussi: le istruzioni per le domande di nulla osta per il lavoro in somministrazione

Le agenzie per il lavoro possono fare domanda di nulla osta per l’ingresso di lavoratori non comunitari per motivi di lavoro in somministraz...