sabato 11 aprile 2009

Caduta dalle scale bagnate: il custode non risarcisce il danno se il pericolo era evidente

16/03/2009)
Se cadi sulle scale bagnate del condominio il custode non risarcisce il danno sofferto se il pericolo era evidente
Avv. Valter Marchetti
Cass. civ., Sez. III, sentenza 19 giugno 2008, n. 16607
Il fatto ed i giudizi di primo e secondo grado. Una signora era scivolata nell'atrio dell'edificio codominiale a causa della cera applicata dal custode dello stabile, combinata con l’acqua piovana trasportata dal passaggio degli inquilini. La stessa conveniva in giudizio dinanzi al Tribunale di Milano il Condominio milanese per sentirlo condannare al risarcimento dei danni da essa patiti ai sensi dell'art. 2051 cc, quale custode delle parti comuni dell'edificio o, in subordine, ai sensi dell'art. 2043 CC. Il Condominio si costituiva chiedendo il rigetto dell’avversa domanda.Il Tribunale adito rigettava le domande e, dopo la proposizione da parte della signora dell'appello, resistito dall'appellato, che a sua volta spiegava appello incidentale relativamente alla disposta compensazione delle spese del primo grado di giudizio, la Corte di appello di Milano, rigettava entrambi gli appelli, con la condanna dell'appellante alle spese del secondo grado di giudizio; avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione la signora. La Cassazione.I giudici della Cassazione nella sentenza in esame riaffermano il principio, più volte espresso in sede di legittimità, secondo cui la responsabilità del custode ex art. 2051 c.c. è esclusa soltanto quando il danno sia eziologicamente riconducibile non alla cosa, ma al fortuito senza che rilevi che questo sia costituito da un comportamento umano, nel fatto cioè dello stesso danneggiato o di un terzo.La signora T., in punto di fatto della sentenza di secondo grado così come richiamata dai giudici della Cassazione, pur potendo verificare in condizioni di normale visibilità che il pavimento appariva in condizioni di percepibile scivolosità, non aveva prestato la normale diligenza e la dovuta particolare attenzione alla situazione anomala dei luoghi; siamo, quindi, in presenza di un accertamento in punto di fatto, che, sorretto com'è da congrua e coerente motivazione, deve ritenersi sottratto ad ogni sindacato sul piano di legittimità. Questo il ragionamento della Corte di Cassazione.Né può sostenersi che i giudici di merito si siano sottratti all'onere di motivazione sul punto decisivo che l'accertata condotta negligente e disattenta della ricorrente sia stata l’esclusiva causa della sua scivolata sul pavimento, atteso che le argomentate considerazioni su detto comportamento, sopra richiamate, hanno correttamente evidenziato che l’evento dannoso era stato cagionato esclusivamente da caso fortuito (nella specie rappresentato da un fatto imputabile alla stessa persona danneggiata), che per sua intrinseca natura risulta idoneo ad interrompere il collegamento causale tra la cosa ed il danno (v. Cass. 17.1.2001, n. 584).Accertato, anche in via di fatto, che l’evento lesivo sia stato cagionato esclusivamente dal comportamento della danneggiata, giustamente la Corte di merito ha escluso che possa trovare applicazione la responsabilità oggettive del custode ex art. 2051 cc, che presuppone invece la diversa ipotesi dei danni cagionati dal la cosa in custodia per la sua intrinseca natura ovvero per l’insorgenza in essa di fattori, dannosi.Ed invero, ad avviso dei giudici di legittimità, la scivolosità del pavimento è stata congruamente valutata dai giudici di merito, che hanno però motivatamente ritenuto che la conseguente scivolata della ricorrente sia dipesa esclusivamente dalla condotta negligente della medesima, con inevitabile interruzione del nesso causale tra la cosa custodita ed il danno patito.La sentenza impugnata ha escluso nella fattispecie la possibilità di applicazione dell'art. 1227 primo comma c.c. che, presupponendo l’individuazione di un fatto colposo ascrivibile - in termini di responsabilità aquilana - al creditore, non può applicarsi nel caso in esame, nel quale con decisione ormai passata in giudicato è stata esclusa la responsabilità extracontrattuale del condominio, e dunque la relativa responsabilità. Inoltre la Corte di merito ha specificamente individuato il comportamento ascritto alla T.A. a titolo di colpa che abbia cagionato in via esclusiva il danno dalla medesima patito, precisando che il mancato uso, da parte della danneggiata, della normale diligenza era consistito nell'avere alzato il piede sinistro sul primo gradino prima ancora di assicurarsi la presa al corrimani delle scale.È evidente, quindi, che la Corte di merito ha attribuito alla T.A. un preciso comportamento, valutato come colposo nel contesto delle accertate condizioni di fatto del momento (pavimento che presentava una situazione di percepibile possibile scivolosità) ed idoneo a cagionare in via esclusiva il danno lamentato, e che tale comportamento non può certamente risolversi in un mero "atteggiamento mentale" della T.A. medesima, come quest'ultima pretenderebbe.Sul punto in questione la Corte di Cassazione riscontra una valida ed insindacabile motivazione della sentenza di secondo grado, la quale ha adeguatamente spiegato quale avrebbe dovuto essere lo specifico comportamento che la ricorrente avrebbe dovuto tenere per evitare il danno, e cioè quello di sorreggersi al corrimani delle scale prima di iniziarne la salita.
Valter Marchetti, Foro di Savona

Caduta dalle scale bagnate: il custode non risarcisce il danno se il pericolo era evidente

16/03/2009)
Se cadi sulle scale bagnate del condominio il custode non risarcisce il danno sofferto se il pericolo era evidente
Avv. Valter Marchetti
Cass. civ., Sez. III, sentenza 19 giugno 2008, n. 16607
Il fatto ed i giudizi di primo e secondo grado. Una signora era scivolata nell'atrio dell'edificio codominiale a causa della cera applicata dal custode dello stabile, combinata con l’acqua piovana trasportata dal passaggio degli inquilini. La stessa conveniva in giudizio dinanzi al Tribunale di Milano il Condominio milanese per sentirlo condannare al risarcimento dei danni da essa patiti ai sensi dell'art. 2051 cc, quale custode delle parti comuni dell'edificio o, in subordine, ai sensi dell'art. 2043 CC. Il Condominio si costituiva chiedendo il rigetto dell’avversa domanda.Il Tribunale adito rigettava le domande e, dopo la proposizione da parte della signora dell'appello, resistito dall'appellato, che a sua volta spiegava appello incidentale relativamente alla disposta compensazione delle spese del primo grado di giudizio, la Corte di appello di Milano, rigettava entrambi gli appelli, con la condanna dell'appellante alle spese del secondo grado di giudizio; avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione la signora. La Cassazione.I giudici della Cassazione nella sentenza in esame riaffermano il principio, più volte espresso in sede di legittimità, secondo cui la responsabilità del custode ex art. 2051 c.c. è esclusa soltanto quando il danno sia eziologicamente riconducibile non alla cosa, ma al fortuito senza che rilevi che questo sia costituito da un comportamento umano, nel fatto cioè dello stesso danneggiato o di un terzo.La signora T., in punto di fatto della sentenza di secondo grado così come richiamata dai giudici della Cassazione, pur potendo verificare in condizioni di normale visibilità che il pavimento appariva in condizioni di percepibile scivolosità, non aveva prestato la normale diligenza e la dovuta particolare attenzione alla situazione anomala dei luoghi; siamo, quindi, in presenza di un accertamento in punto di fatto, che, sorretto com'è da congrua e coerente motivazione, deve ritenersi sottratto ad ogni sindacato sul piano di legittimità. Questo il ragionamento della Corte di Cassazione.Né può sostenersi che i giudici di merito si siano sottratti all'onere di motivazione sul punto decisivo che l'accertata condotta negligente e disattenta della ricorrente sia stata l’esclusiva causa della sua scivolata sul pavimento, atteso che le argomentate considerazioni su detto comportamento, sopra richiamate, hanno correttamente evidenziato che l’evento dannoso era stato cagionato esclusivamente da caso fortuito (nella specie rappresentato da un fatto imputabile alla stessa persona danneggiata), che per sua intrinseca natura risulta idoneo ad interrompere il collegamento causale tra la cosa ed il danno (v. Cass. 17.1.2001, n. 584).Accertato, anche in via di fatto, che l’evento lesivo sia stato cagionato esclusivamente dal comportamento della danneggiata, giustamente la Corte di merito ha escluso che possa trovare applicazione la responsabilità oggettive del custode ex art. 2051 cc, che presuppone invece la diversa ipotesi dei danni cagionati dal la cosa in custodia per la sua intrinseca natura ovvero per l’insorgenza in essa di fattori, dannosi.Ed invero, ad avviso dei giudici di legittimità, la scivolosità del pavimento è stata congruamente valutata dai giudici di merito, che hanno però motivatamente ritenuto che la conseguente scivolata della ricorrente sia dipesa esclusivamente dalla condotta negligente della medesima, con inevitabile interruzione del nesso causale tra la cosa custodita ed il danno patito.La sentenza impugnata ha escluso nella fattispecie la possibilità di applicazione dell'art. 1227 primo comma c.c. che, presupponendo l’individuazione di un fatto colposo ascrivibile - in termini di responsabilità aquilana - al creditore, non può applicarsi nel caso in esame, nel quale con decisione ormai passata in giudicato è stata esclusa la responsabilità extracontrattuale del condominio, e dunque la relativa responsabilità. Inoltre la Corte di merito ha specificamente individuato il comportamento ascritto alla T.A. a titolo di colpa che abbia cagionato in via esclusiva il danno dalla medesima patito, precisando che il mancato uso, da parte della danneggiata, della normale diligenza era consistito nell'avere alzato il piede sinistro sul primo gradino prima ancora di assicurarsi la presa al corrimani delle scale.È evidente, quindi, che la Corte di merito ha attribuito alla T.A. un preciso comportamento, valutato come colposo nel contesto delle accertate condizioni di fatto del momento (pavimento che presentava una situazione di percepibile possibile scivolosità) ed idoneo a cagionare in via esclusiva il danno lamentato, e che tale comportamento non può certamente risolversi in un mero "atteggiamento mentale" della T.A. medesima, come quest'ultima pretenderebbe.Sul punto in questione la Corte di Cassazione riscontra una valida ed insindacabile motivazione della sentenza di secondo grado, la quale ha adeguatamente spiegato quale avrebbe dovuto essere lo specifico comportamento che la ricorrente avrebbe dovuto tenere per evitare il danno, e cioè quello di sorreggersi al corrimani delle scale prima di iniziarne la salita.
Valter Marchetti, Foro di Savona

residenza anagrafica e agevolazioni prima casa

(09/04/2009)
La residenza anagrafica del contribuente costituisce requisito indispensabile per usufruire delle agevolazioni prima casa
Corte di Cassazione, Sez. Tributaria, sentenza del 16 aprile 2008, n. 9949
il contribuente non ha diritto al beneficio delle agevolazioni fiscali per l’acquisto della prima casa quando, pur essendosi già trasferito nell’immobile comperato, non risulta ancora all’anagrafe come residente. Sella sentenza della Cassazione 9949/2008, si legge: "il tenore letterale della disposizione contenuta nell’art. 2, D.L. n. 12/1985, in tema di agevolazioni per l’acquisto della c.d. prima casa induce a ritenere insufficiente la circostanza che l’acquirente abbia trasferito la propria residenza nell’immobile compravenduto laddove detta modificazione non sia recepita presso l’ufficio dell’anagrafe. Conseguentemente, è irrilevante alla data dell’acquisto la residenza di fatto difforme da quella fatta constare dall’esame delle iscrizioni all’anagrafe della popolazione residente".

residenza anagrafica e agevolazioni prima casa

(09/04/2009)
La residenza anagrafica del contribuente costituisce requisito indispensabile per usufruire delle agevolazioni prima casa
Corte di Cassazione, Sez. Tributaria, sentenza del 16 aprile 2008, n. 9949
il contribuente non ha diritto al beneficio delle agevolazioni fiscali per l’acquisto della prima casa quando, pur essendosi già trasferito nell’immobile comperato, non risulta ancora all’anagrafe come residente. Sella sentenza della Cassazione 9949/2008, si legge: "il tenore letterale della disposizione contenuta nell’art. 2, D.L. n. 12/1985, in tema di agevolazioni per l’acquisto della c.d. prima casa induce a ritenere insufficiente la circostanza che l’acquirente abbia trasferito la propria residenza nell’immobile compravenduto laddove detta modificazione non sia recepita presso l’ufficio dell’anagrafe. Conseguentemente, è irrilevante alla data dell’acquisto la residenza di fatto difforme da quella fatta constare dall’esame delle iscrizioni all’anagrafe della popolazione residente".

venerdì 10 aprile 2009

Infiltrazioni causate da terrazzo a livello deteriorato: la responsabilità segue l'art. 1126 c.c.

(07/04/2009)
Risarcimento danni, infiltrazioni di acqua provenienti dalla terrazza deteriorata per difetto di manutenzione
Cassazione, civ. Sez. III, del 12 dicembre 2008 n. 29212
In tema di condominio, la terrazza a livello, anche se di proprietà o in godimento esclusivo di un singolo condomino, assolve anche alla stessa funzione di copertura del lastrico solare posto alla sommità dell'edificio nei confronti degli appartamenti sottostanti. Ne consegue che a norma dell'art. 1126 c.c., alla manutenzione della terrazza a livello sono tenuti, a norma della stessa disposizione, tutti i condomini cui la terrazza funge da copertura, in concorso con l'eventuale proprietario superficiario o titolare del diritto di uso esclusivo. Conseguentemente, dei danni cagionati all'appartamento sottostante da infiltrazioni di acqua provenienti dalla terrazza deteriorata per difetto di manutenzione devono rispondere tutti i condomini tenuti alla sua manutenzione, secondo i criteri di ripartizione della spesa stabiliti dall'art. 1126 c.c.. Ulteriore conseguenza è che la domanda di risarcimento dei danni è proponibile nei confronti del condominio in persona dell'amministratore, quale rappresentante di tutti i condomini tenuti ad effettuare la manutenzione, ivi compreso il proprietario dell'appartamento posto allo stesso livello della terrazza

Infiltrazioni causate da terrazzo a livello deteriorato: la responsabilità segue l'art. 1126 c.c.

(07/04/2009)
Risarcimento danni, infiltrazioni di acqua provenienti dalla terrazza deteriorata per difetto di manutenzione
Cassazione, civ. Sez. III, del 12 dicembre 2008 n. 29212
In tema di condominio, la terrazza a livello, anche se di proprietà o in godimento esclusivo di un singolo condomino, assolve anche alla stessa funzione di copertura del lastrico solare posto alla sommità dell'edificio nei confronti degli appartamenti sottostanti. Ne consegue che a norma dell'art. 1126 c.c., alla manutenzione della terrazza a livello sono tenuti, a norma della stessa disposizione, tutti i condomini cui la terrazza funge da copertura, in concorso con l'eventuale proprietario superficiario o titolare del diritto di uso esclusivo. Conseguentemente, dei danni cagionati all'appartamento sottostante da infiltrazioni di acqua provenienti dalla terrazza deteriorata per difetto di manutenzione devono rispondere tutti i condomini tenuti alla sua manutenzione, secondo i criteri di ripartizione della spesa stabiliti dall'art. 1126 c.c.. Ulteriore conseguenza è che la domanda di risarcimento dei danni è proponibile nei confronti del condominio in persona dell'amministratore, quale rappresentante di tutti i condomini tenuti ad effettuare la manutenzione, ivi compreso il proprietario dell'appartamento posto allo stesso livello della terrazza

L'indennità per i miglioramenti spetta esclusivamente se c'è il consenso del locatore


(06/04/2009)
Nessuna indennità per i miglioramenti effettuati dal conduttore senza il consenso del locatore
Cassazione Civile, Sezione III, sentenza del 30 gennaio 2009 n. 2494
Il diritto del conduttore all'indennità per i miglioramenti della cosa locata presuppone, ex art 1592 c.c., che le relative opere siano state eseguite con il consenso del locatore. Il consenso, il quale importa una valutazione sia riguardo all'opportunità che alla convenienza delle opere stesse, non può essere considerato implicito o desumersi da atti di tolleranza, ma deve risultare da una manifestazione esplicita ed inequivoca di volontà, senza la quale deve ritenersi applicabile il principio secondo cui il conduttore non ha diritto all'indennità per i miglioramenti apportati al bene oggetto di locazione senza il consenso del locatore. Con la recente pronuncia, la Suprema Corte, in ottemperanza ad un forte orientamento giurisprudenziale, ribadisce che il conduttore non ha diritto ad alcuna indennità per i miglioramenti effettuati dallo stesso conduttore senza il consenso del locatore. E, si badi bene, detto consenso non può essere manifestato per mera tolleranza o accettazione o non opposizione, bensì in modo esplicito o per facta concludentia o anche con un comportamento incompatibile ad un contrario proposito. Non sussistendo il consenso reso esplicito nelle succitate ultime modalità, il conduttore non può vantare alcun diritto all'indennizzo ex art 1592 c.c., indennizzo che peraltro corrisponde alla minor somma tra l'importo della spesa e il valore del miglioramento al momento della consegna.Il principio espresso dalla Cassazione nella sopra indicata sentenza, infine, deve essere applicato a maggior ragione, come peraltro accade sovente nella pratica quotidiana, nell'ipotesi in cui i contraenti hanno previsto nel contratto di locazione che nessuna opera può essere effettuata senza l'autorizzazione del locatore.
Avv. Luigi Modaffari

L'indennità per i miglioramenti spetta esclusivamente se c'è il consenso del locatore


(06/04/2009)
Nessuna indennità per i miglioramenti effettuati dal conduttore senza il consenso del locatore
Cassazione Civile, Sezione III, sentenza del 30 gennaio 2009 n. 2494
Il diritto del conduttore all'indennità per i miglioramenti della cosa locata presuppone, ex art 1592 c.c., che le relative opere siano state eseguite con il consenso del locatore. Il consenso, il quale importa una valutazione sia riguardo all'opportunità che alla convenienza delle opere stesse, non può essere considerato implicito o desumersi da atti di tolleranza, ma deve risultare da una manifestazione esplicita ed inequivoca di volontà, senza la quale deve ritenersi applicabile il principio secondo cui il conduttore non ha diritto all'indennità per i miglioramenti apportati al bene oggetto di locazione senza il consenso del locatore. Con la recente pronuncia, la Suprema Corte, in ottemperanza ad un forte orientamento giurisprudenziale, ribadisce che il conduttore non ha diritto ad alcuna indennità per i miglioramenti effettuati dallo stesso conduttore senza il consenso del locatore. E, si badi bene, detto consenso non può essere manifestato per mera tolleranza o accettazione o non opposizione, bensì in modo esplicito o per facta concludentia o anche con un comportamento incompatibile ad un contrario proposito. Non sussistendo il consenso reso esplicito nelle succitate ultime modalità, il conduttore non può vantare alcun diritto all'indennizzo ex art 1592 c.c., indennizzo che peraltro corrisponde alla minor somma tra l'importo della spesa e il valore del miglioramento al momento della consegna.Il principio espresso dalla Cassazione nella sopra indicata sentenza, infine, deve essere applicato a maggior ragione, come peraltro accade sovente nella pratica quotidiana, nell'ipotesi in cui i contraenti hanno previsto nel contratto di locazione che nessuna opera può essere effettuata senza l'autorizzazione del locatore.
Avv. Luigi Modaffari

lunedì 6 aprile 2009

Novara dopo le Sezioni Unite in tem di danno morale ed esistenziale: non sono in re ipsa

Nota a sentenza 30.03.08
Danno non patrimoniale: il Tribunale di Novara si pronuncia dopo le Sezioni Unite
Nota a Tribunale di Novara, Sentenza 16 febbraio 2009, n.23

Il Tribunale di Novara Sezione Lavoro si è pronunciato sul danno non patrimoniale, con la sentenza n. 23 del 4/2/2009, depositata il 16/2/2009.
La pronuncia è interessante perché stata resa dopo la nota sentenza SS.UU. 26972/2008 e costituisce un’applicazione pratica dei principi dettati dalla Cassazione in consesso plenario.
‘Casus belli’ per il Tribunale di Novara un infortunio sul lavoro. Un operaio si frattura una mano mentre sta sostituendo la punta di un trapano.
Risulta che la macchina non avesse le protezioni di legge e che l’operaio non avesse seguito le dovute procedure di sicurezza.
L’operaio ricorre avanti al Tribunale di Novara chiedendo il risarcimento dei danni subiti.Il Giudice di Novara rilevava la responsabilità del datore di lavoro ex art. 2087 c.c., dacchè tale norma non impone soltanto l’obbligo di adozione, da parte del datore di lavoro, di tutte le misure che “in concreto si rendano necessarie per la tutela della sicurezza del lavoro, in base alla particolarità dell’attività lavorativa, all’esperienza e alla tecnica”, ma perché, scriveva in motivazione, “la violazione del dovere generale di sicurezza comporta la responsabilità datoriale, non solo quando omette di adottare le idonee misure protettive imposte dalla legge o suggerite dall’esperienza o dalle conoscenze tecniche, ma anche quando omette di controllare e vigilare che di tali misure sia fatto effettivamente uso da parte del dipendente”. Era quanto accaduto nella fattispecie, sottoposta a disamina.
Poi però, atteso che, il Ctu aveva rilevato la sussistenza di lesioni alla persona, sia permanente sia temporanea, si poneva, nel giudizio in oggetto, la questione di come liquidarli. E, soprattutto, di se e, se sì, di come, liquidare quelle voci di pregiudizio che, prima della note SSUU 26972/2008, si definivano danno morale soggettivo e danno esistenziale o alla vita di relazione.Il Giudice spiegava in motivazione: “La Corte di Cassazione con pronuncia resa a Sezioni Unite n. 26972 in data 24 giugno 2008 ha osservato che la lesione degli interessi non suscettivi di valutazione economica dà luogo al risarcimento dei danni conseguenza, sotto il profilo della lesione dell’integrità psicofisica, (art. 32 Cost.) secondo le modalità del danno biologico, o della lesione della dignità personale del lavoratore (artt. 2,4,32 Cost.), come avviene nel caso dei pregiudizi alla professionalità da dequalificazione che si risolvano nella compromissione delle aspettative di sviluppo della personalità del lavoratore che si svolge nella formazione sociale co-stituita dall’impresa”.Proseguiva quindi, osservando che “la Corte di Cassazione ha inoltre precisato che definitivamente accantonata la figura del c.d. danno morale soggettivo, la sofferenza morale senza ulteriori connotazioni in termini di durata, integra pregiudizio non patrimoniale. Deve tuttavia trattarsi di sofferenza soggettiva in sé considerata, non come componente di più complesso pregiudizio non patrimoniale”.Ricorre il primo caso, aggiungeva, “ove sia allegato il turbamento dell’animo, il dolore intimo sofferti, ad esempio, dalla persona diffamata o lesa nella indennità personale, senza lamentare degenerazioni patologiche della sofferenza”. Nel caso siano dedotte siffatte conseguenze, quindi, “si rientra nell’area del danno biologico, del quale ogni sofferenza, fisica o psichica, per sua natura intrinseca costituisce componente. Determina quindi duplicazione di risarcimento la congiunta attribuzione del danno biologico e del danno morale nei suindicati termini inteso, sovente liquidato in percentuale (da un terzo alla metà) del primo”. In conseguenza, affermava il magistrato, “esclusa la praticabilità di tale operazione, dovrà il giudice, qualora si avvalga delle note tabelle procedere ad adeguata personalizzazione della liquidazione del danno biologico, valutando nella loro effettiva consistenza le sofferenze fisiche e psichiche patite dal soggetto leso, onde pervenire al ristoro del danno nella sua interezza”.E decideva la causa, liquidando prima il danno biologico e in seguito provvedendo alla sua personalizzazione in considerazione della sofferenza patita e dalla incidenza che la lesione era destinata ad assumere anche nella sfera della vita privata dell’infortunato.La sentenza in oggetto, come detto, si segnala all’attenzione del lettore perché affronta il delicatissimo problema di come ‘trattare’ il danno non patrimoniale nella sua componente soggettivo o morale o esistenziale o comunque legato alla sofferenza psichica e al fare areddituale della persona.Interessanti altri precedenti sul tema specifico.Il Tribunale di Milano, decima sezione civile, nella sentenza n. 2427 del 23/2/2009, scriveva in motivazione, di essere pervenuto “all’importo indicato, sulla base delle indicazioni fornite con riferimento al danno biologico, sia temporaneo che permanente, dalla tabella legale per le micropermanenti - i cui ordini di grandezza vengono in questa sede equitativamente utilizzati - indicazioni che, avendo come unico riferimento il pregiudizio derivante dalla lesione dell’integrità psicofisica del danneggiato (ossia il danno biologico de-privato dalla componente di sofferenze fisiche e morali, così come usava secondo la diffusa accezione del danno biologico precedente alle Sezioni Unite 2008), possono e devono essere oggetto della personalizzazione cui le stesse Sezioni Unite fanno riferimento, solo così potendo assicurarsi l’integralità del risarcimento”.Il Tribunale di Torino, Sezione quarta civile, nella sentenza n. 7876 del 27/11/2008, dopo aver rilevato che “la sentenza delle Sezioni Unite impone oggi un diverso approccio alla liquidazione del danno non patrimoniale”, ripercorsi i principi affermati da esse SS.UU., rileva per ciò che ivi viene definito danno “da sofferenza” – specificando “che per mera comodità espositiva si può continuare a chiamare ‘morale’” – che “a soli fini orientativi, e fatte salve le peculiarità di ogni caso concreto, è possibile distinguere tre tipologie di fattispecie, corrispondenti ciascuna a un diverso modo di manifestazione di questo danno, cui devono corrispondere differenti criteri di liquidazione”. E così viene identificato, dal Tribunale di Torino, un “primo gruppo” nei “casi in cui il patimento è normalmente momentaneo, strettamente legato a un certo evento di breve durata (p.es. un incidente stradale, lievi percosse, una rapina) e destinato ad attenuarsi e risolversi con rapidità: così la sofferenza e la preoccupazione di chi subisce lievi lesioni, che guariscono senza lasciare postumi e con postumi minimi. In questi casi la ‘sofferenza morale’ è principalmente legata alla entità della lesione fisica e alla durata della malattia. Si giustifica quindi un criterio che ancori la liquidazione del danno in oggetto a quella del danno biologico, sia da invalidità permanente che da invalidità temporanea”: liquidazione, in tal caso, “contenuta entro il limite massimo di un terzo (1/3) del danno biologico”. Secondo gruppo: “i casi in cui la sofferenza è conseguenza di una lesione fisica o psichica di una certa gravità”, “normalmente destinata a durare a lungo, spesso per tutta la vita del danneggiato. Si tratta della sofferenza che deriva dalla perdurante percezione della propria invalidità (non poter muovere un arto, non poter deambulare normalmente…); e della sofferenza derivante dal non poter compiere attività a cui prima si era dediti”. Anche in questo caso “il ‘patimento morale’ è il portato di una lesione fisica” “anche qui, dunque, pare corretto un criterio di liquidazione ancorato al danno biologico”, che va liquidato “in misura superiore, da un minimo di un terzo ad un massimo corrispondente all’intero importo del danno biologico”. Con una precisazione, però: la sofferenza derivante dalla perdurante percezione della lesione fisica può ritenersi, afferma il Tribunale, “provata in via presuntiva”, mentre la sofferenza derivante dal non poter fare deve essere “positivamente dimostrata”. Terzo gruppo, infine, “i casi in cui il ‘patimento’ da risarcire è completamente svincolato dal pregiudizio fisico”, come nel danno per diffamazione. In dette ipotesi, dichiara il Tribunale di Torino, “la liquidazione deve essere svincolata da quella del danno biologico (quand’anche esistente) e ancorata a criteri che non possono essere indicati in astratto, perché devono trovare riscontro nelle peculiarità della singola fattispecie”.Sempre il Tribunale di Torino, Sezione quarta civile, nella sentenza n. 8428 del 23/12/2008, distingue fra “riflessi oggettivi e soggettivi del danno biologico”, precisando che i primi sono apprezzabili “tramite accertamento medico legale (incidenza su sport, attività fisiche, maggior usura al lavoro, riflessi sulla vita sessuale e di relazione, ecc.)” mentre i secondi includono “gli aspetti più propriamente psicologici, ovvero la sofferenza morale che discende dall’illecito patito e dalle sua conseguenze oggettive”. Tali danni “sembrano liquidabili” “mediante un eventuale incremento ulteriore dei valori” dei danni all’integrità psicofisica della persona, incremento che non sarebbe “predeterminabile allo stato, a priori, in senso assoluto, ma valutabile in concreto, in considerazione delle particolarità oggettive e soggettive del caso, sulla scorta della prova offerta, in modo da garantire l’effettività della tutela rispetto al danno, ovvero risarcirlo per intero”. Nel caso di specie, il Tribunale ha liquidato operando un aumento della valutazione del danno.Il Tribunale di Catania, invece, nella sentenza del 17/11/2008, rilevando che “nel caso di specie, nulla è stato allegato e men che meno è stato provato che possa indurre a ritenere che vi siano ulteriori concrete sofferenze fisiche o psichiche” che non fossero già stata risarcite dai criteri tabellari, negava la risarcibilità dei ‘vecchi’ danno morale o esistenziale, non provvedendo a nessun incremento.Anche il Tribunale di Potenza, nella sentenza del 15/12/2008, affermava che “nulla può, di contro, essere liquidato a titolo di danno morale, non potendosi ritenere in re ipsa”.

Novara dopo le Sezioni Unite in tem di danno morale ed esistenziale: non sono in re ipsa

Nota a sentenza 30.03.08
Danno non patrimoniale: il Tribunale di Novara si pronuncia dopo le Sezioni Unite
Nota a Tribunale di Novara, Sentenza 16 febbraio 2009, n.23

Il Tribunale di Novara Sezione Lavoro si è pronunciato sul danno non patrimoniale, con la sentenza n. 23 del 4/2/2009, depositata il 16/2/2009.
La pronuncia è interessante perché stata resa dopo la nota sentenza SS.UU. 26972/2008 e costituisce un’applicazione pratica dei principi dettati dalla Cassazione in consesso plenario.
‘Casus belli’ per il Tribunale di Novara un infortunio sul lavoro. Un operaio si frattura una mano mentre sta sostituendo la punta di un trapano.
Risulta che la macchina non avesse le protezioni di legge e che l’operaio non avesse seguito le dovute procedure di sicurezza.
L’operaio ricorre avanti al Tribunale di Novara chiedendo il risarcimento dei danni subiti.Il Giudice di Novara rilevava la responsabilità del datore di lavoro ex art. 2087 c.c., dacchè tale norma non impone soltanto l’obbligo di adozione, da parte del datore di lavoro, di tutte le misure che “in concreto si rendano necessarie per la tutela della sicurezza del lavoro, in base alla particolarità dell’attività lavorativa, all’esperienza e alla tecnica”, ma perché, scriveva in motivazione, “la violazione del dovere generale di sicurezza comporta la responsabilità datoriale, non solo quando omette di adottare le idonee misure protettive imposte dalla legge o suggerite dall’esperienza o dalle conoscenze tecniche, ma anche quando omette di controllare e vigilare che di tali misure sia fatto effettivamente uso da parte del dipendente”. Era quanto accaduto nella fattispecie, sottoposta a disamina.
Poi però, atteso che, il Ctu aveva rilevato la sussistenza di lesioni alla persona, sia permanente sia temporanea, si poneva, nel giudizio in oggetto, la questione di come liquidarli. E, soprattutto, di se e, se sì, di come, liquidare quelle voci di pregiudizio che, prima della note SSUU 26972/2008, si definivano danno morale soggettivo e danno esistenziale o alla vita di relazione.Il Giudice spiegava in motivazione: “La Corte di Cassazione con pronuncia resa a Sezioni Unite n. 26972 in data 24 giugno 2008 ha osservato che la lesione degli interessi non suscettivi di valutazione economica dà luogo al risarcimento dei danni conseguenza, sotto il profilo della lesione dell’integrità psicofisica, (art. 32 Cost.) secondo le modalità del danno biologico, o della lesione della dignità personale del lavoratore (artt. 2,4,32 Cost.), come avviene nel caso dei pregiudizi alla professionalità da dequalificazione che si risolvano nella compromissione delle aspettative di sviluppo della personalità del lavoratore che si svolge nella formazione sociale co-stituita dall’impresa”.Proseguiva quindi, osservando che “la Corte di Cassazione ha inoltre precisato che definitivamente accantonata la figura del c.d. danno morale soggettivo, la sofferenza morale senza ulteriori connotazioni in termini di durata, integra pregiudizio non patrimoniale. Deve tuttavia trattarsi di sofferenza soggettiva in sé considerata, non come componente di più complesso pregiudizio non patrimoniale”.Ricorre il primo caso, aggiungeva, “ove sia allegato il turbamento dell’animo, il dolore intimo sofferti, ad esempio, dalla persona diffamata o lesa nella indennità personale, senza lamentare degenerazioni patologiche della sofferenza”. Nel caso siano dedotte siffatte conseguenze, quindi, “si rientra nell’area del danno biologico, del quale ogni sofferenza, fisica o psichica, per sua natura intrinseca costituisce componente. Determina quindi duplicazione di risarcimento la congiunta attribuzione del danno biologico e del danno morale nei suindicati termini inteso, sovente liquidato in percentuale (da un terzo alla metà) del primo”. In conseguenza, affermava il magistrato, “esclusa la praticabilità di tale operazione, dovrà il giudice, qualora si avvalga delle note tabelle procedere ad adeguata personalizzazione della liquidazione del danno biologico, valutando nella loro effettiva consistenza le sofferenze fisiche e psichiche patite dal soggetto leso, onde pervenire al ristoro del danno nella sua interezza”.E decideva la causa, liquidando prima il danno biologico e in seguito provvedendo alla sua personalizzazione in considerazione della sofferenza patita e dalla incidenza che la lesione era destinata ad assumere anche nella sfera della vita privata dell’infortunato.La sentenza in oggetto, come detto, si segnala all’attenzione del lettore perché affronta il delicatissimo problema di come ‘trattare’ il danno non patrimoniale nella sua componente soggettivo o morale o esistenziale o comunque legato alla sofferenza psichica e al fare areddituale della persona.Interessanti altri precedenti sul tema specifico.Il Tribunale di Milano, decima sezione civile, nella sentenza n. 2427 del 23/2/2009, scriveva in motivazione, di essere pervenuto “all’importo indicato, sulla base delle indicazioni fornite con riferimento al danno biologico, sia temporaneo che permanente, dalla tabella legale per le micropermanenti - i cui ordini di grandezza vengono in questa sede equitativamente utilizzati - indicazioni che, avendo come unico riferimento il pregiudizio derivante dalla lesione dell’integrità psicofisica del danneggiato (ossia il danno biologico de-privato dalla componente di sofferenze fisiche e morali, così come usava secondo la diffusa accezione del danno biologico precedente alle Sezioni Unite 2008), possono e devono essere oggetto della personalizzazione cui le stesse Sezioni Unite fanno riferimento, solo così potendo assicurarsi l’integralità del risarcimento”.Il Tribunale di Torino, Sezione quarta civile, nella sentenza n. 7876 del 27/11/2008, dopo aver rilevato che “la sentenza delle Sezioni Unite impone oggi un diverso approccio alla liquidazione del danno non patrimoniale”, ripercorsi i principi affermati da esse SS.UU., rileva per ciò che ivi viene definito danno “da sofferenza” – specificando “che per mera comodità espositiva si può continuare a chiamare ‘morale’” – che “a soli fini orientativi, e fatte salve le peculiarità di ogni caso concreto, è possibile distinguere tre tipologie di fattispecie, corrispondenti ciascuna a un diverso modo di manifestazione di questo danno, cui devono corrispondere differenti criteri di liquidazione”. E così viene identificato, dal Tribunale di Torino, un “primo gruppo” nei “casi in cui il patimento è normalmente momentaneo, strettamente legato a un certo evento di breve durata (p.es. un incidente stradale, lievi percosse, una rapina) e destinato ad attenuarsi e risolversi con rapidità: così la sofferenza e la preoccupazione di chi subisce lievi lesioni, che guariscono senza lasciare postumi e con postumi minimi. In questi casi la ‘sofferenza morale’ è principalmente legata alla entità della lesione fisica e alla durata della malattia. Si giustifica quindi un criterio che ancori la liquidazione del danno in oggetto a quella del danno biologico, sia da invalidità permanente che da invalidità temporanea”: liquidazione, in tal caso, “contenuta entro il limite massimo di un terzo (1/3) del danno biologico”. Secondo gruppo: “i casi in cui la sofferenza è conseguenza di una lesione fisica o psichica di una certa gravità”, “normalmente destinata a durare a lungo, spesso per tutta la vita del danneggiato. Si tratta della sofferenza che deriva dalla perdurante percezione della propria invalidità (non poter muovere un arto, non poter deambulare normalmente…); e della sofferenza derivante dal non poter compiere attività a cui prima si era dediti”. Anche in questo caso “il ‘patimento morale’ è il portato di una lesione fisica” “anche qui, dunque, pare corretto un criterio di liquidazione ancorato al danno biologico”, che va liquidato “in misura superiore, da un minimo di un terzo ad un massimo corrispondente all’intero importo del danno biologico”. Con una precisazione, però: la sofferenza derivante dalla perdurante percezione della lesione fisica può ritenersi, afferma il Tribunale, “provata in via presuntiva”, mentre la sofferenza derivante dal non poter fare deve essere “positivamente dimostrata”. Terzo gruppo, infine, “i casi in cui il ‘patimento’ da risarcire è completamente svincolato dal pregiudizio fisico”, come nel danno per diffamazione. In dette ipotesi, dichiara il Tribunale di Torino, “la liquidazione deve essere svincolata da quella del danno biologico (quand’anche esistente) e ancorata a criteri che non possono essere indicati in astratto, perché devono trovare riscontro nelle peculiarità della singola fattispecie”.Sempre il Tribunale di Torino, Sezione quarta civile, nella sentenza n. 8428 del 23/12/2008, distingue fra “riflessi oggettivi e soggettivi del danno biologico”, precisando che i primi sono apprezzabili “tramite accertamento medico legale (incidenza su sport, attività fisiche, maggior usura al lavoro, riflessi sulla vita sessuale e di relazione, ecc.)” mentre i secondi includono “gli aspetti più propriamente psicologici, ovvero la sofferenza morale che discende dall’illecito patito e dalle sua conseguenze oggettive”. Tali danni “sembrano liquidabili” “mediante un eventuale incremento ulteriore dei valori” dei danni all’integrità psicofisica della persona, incremento che non sarebbe “predeterminabile allo stato, a priori, in senso assoluto, ma valutabile in concreto, in considerazione delle particolarità oggettive e soggettive del caso, sulla scorta della prova offerta, in modo da garantire l’effettività della tutela rispetto al danno, ovvero risarcirlo per intero”. Nel caso di specie, il Tribunale ha liquidato operando un aumento della valutazione del danno.Il Tribunale di Catania, invece, nella sentenza del 17/11/2008, rilevando che “nel caso di specie, nulla è stato allegato e men che meno è stato provato che possa indurre a ritenere che vi siano ulteriori concrete sofferenze fisiche o psichiche” che non fossero già stata risarcite dai criteri tabellari, negava la risarcibilità dei ‘vecchi’ danno morale o esistenziale, non provvedendo a nessun incremento.Anche il Tribunale di Potenza, nella sentenza del 15/12/2008, affermava che “nulla può, di contro, essere liquidato a titolo di danno morale, non potendosi ritenere in re ipsa”.

non ha valore di confessione l'ammissione che un determinato evento dannoso sia ascrivibie alla propria colpa in tema di art. 2054 c.c.

Cassazione Sezione III 3 marzo 2009, n.5057 - (402)






Assicurazioni,circolazione stradale,concorso di colpa, interrogatorio,valore delle dichiarazioni
fonte:

http://www.unarca.it/Portals/0/cass%20civ.pdf




"doveva essere affermata la presunzione di eguale concorso di colpa dei due conducenti ai sensi dell’ art, 2054 c.c., essendo irrilevante la mancata risposta del N. all'interrogatorio formale deferitogli, considerato che la legge consente di desumere solo elementi indiziari dalla mancata risposta della parte all'interrogatorio e che, nel caso di specie, le circostanze sulle quale l'interrogatorio avrebbe dovuto essere reso dal M. non erano affatto rilevanti, al fini dell'accertamento delle modalita' concrete del sinistro

Del resto, non ha valore di confessione l'ammissione che un determinato evento dannoso sia ascrivibile alla propria colpa, trattandosi semplicemente di un giudizio, a formare il quale concorrono ragioni di ordine giuridico, cfr. Cass. 16 marzo 1995 n. 3075 e 17 luglio 1990 n. 7302."

...

"-in tema di risarcimento del danno, non osta alla risarcibilita' dei danno non patrimoniale, al sensi dell’art, 2059 cod. cív- e art. 185 cod. pen., il mancato positivo accertamento della colpa dell'autore del danno, se essa, come nel caso di cui all'art. 2054 cod. civ. , debba ritenersi sussistente, in base ad una presunzione di legge e se, ricorrendo la colpa, Il fatto sia qualificabile come reato.


Nel caso dl specie, il danno morale - gia' riconosciuto dal primo giudice sul presupposto che si trattava di illecito idoneo a configurare illecito penale - e' stato quindi erroneamente escluso dal giudice di appello."










SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE
Sezione III 3 marzo 2009, n.5057


Svolgimento del Processo


N_L, ha proposto ricorso per cassazione avverso la decisione della Corte di Appello di Catanzaro 30 giugno-15 luglio 2003 che ha dichiarato il pari concorso di colpa di M. D. e dello stesso N. nella causazione dell'Incidente stradale del (OMISSIS), determinando nella minor somma di Euro 3.744,31 il risarcimento per i danni subiti dal N. tenuto conto del concorso di colpa.


Avverso tale decisione ha proposto ricorso per cassazione il N. con quattro motivi di ricorso.


Resiste con controricorso la ... Italiana di assicurazioni spa In liquidazione coatta amministrativa.


II Procuratore Generale presso questa Corte ha concluso, al sensi dell'art. 375 c.p.c., per il rigetto del ricorso.


Motivi della.decisione Con Il primo motivo il ricorrente denuncia assoluta carenza di interesse ad appellare della ... Italiana assicurazioni in liquidazione coatta amministrativa, non avendo la stessa pagato alcunche' in ordine alla sentenza del Tribunale di Lametia Terme.


Unica legittimata a proporre appello, ad avviso dei ricorrente, Sarebbe stata la societa' Assitalia, assicurazioni di Italia, polche' era stata questa ultima societa' a provvedere al pagamento di sorte capitale, interessi e spese.


Il motivo e' manifestamente infondato.


Sul punto si e' gia' pronunciata questa Corte osservando che: 'In tema di assicurazione obbligatoria della responsabilita' civile derivante dalla circolazione del veicoli e motore e dei natanti, la legittimazione passiva rispetto all'azione risarcitoria dei danneggiato spetta, nell'ipotesi di sottoposizione a liquidazione coatta amministrativa dell'originaria impresa assicuratrice, all'impresa designata per la liquidazione del sinistri per conto del Fondo di garanzia, secondo la disciplina della L. n. 990 del 1969, art. 19 e segg., mentre Il Commissario liquidatore riveste la qualita' di litisconsorte necessario.


Tuttavia, in dipendenza della circostanza che la condanna emanata contro l'impresa designata produce effetti anche nel confronti del Commissario liquidatore poiche' la sentenza pronunciata nel riguardi della prima spiega valore di accertamento del credito nei rapporti fra la stessa e la liquidazione coatta amministrativa, deve ritenersi che sussiste la legittimazione e l'interesse del Commissario liquidatore a proporre eventuali impugnazIoni, ivi compresa il ricorso per cassazione (Cass. n. 27448 dei 2005).


Dopo il pagamento del risarcimento, tuttavia, la Impresa designata ha diritto, In via di surroga, di inserire II relativo credito nella liquidazione coatta amministrativa della Impresa obbligata - in origine - al pagamento e di ottenere, altresi', il rimborso dal Fondo di garanzia per Il residua non recuperato, dopo aver Insinuato al passivo della procedura concorsuale la somma effettivamente versata al danneggiato (in caso di pagamento effettuato In ottemperanza a titolo giudiziale)_ Con il secondo motivo iI ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione dell'art. 2054 cod, civ., censurando la decisione dei giudici di' appello che aveva ritenuto il pari concorso dl colpa dei due conducenti.


Il M. aveva ammesso la propria responsabilita', avendo dichiarato alla propria assicurazione di avere investito, in fase di sorpasso, il N. che si trovava sulla stessa strada alla guida del proprio ciclomotore.


Un teste aveva confermato che il M. aveva ammesso senza esitazioni la propria responsabilita' www.unarca.it 2 nella produzione dell'incidente.


Doveva, pertanto, escludersi che il N. avesse in qualsiasi modo contribuito a determinare la collisione, non essendovi alcun motivo per affermare che lo stesso avesse potuto spostarsi sulla sua sinistra.


Con il terzo motivo il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 1226 cod. civ,, In relazione al danno patrimoniale richiesto dall'attore. I giudici di appello avrebbero dovuto applicare il criterio del triplo della pensione sociale, tenuto conto che Il N., commerciante, produceva un reddito che era stato certamente depauperato dall'Incidente occorsogli.


Con il quarto motivo il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione dell'art. 2735 e 2733 cod. civ., censurando la decisione del giudici di appello che non aveva tenuto conto della confessione del M. e delle dichiarazioni rese dal teste G., La prima parte del secondo motivo ed il quarto motivo, da esaminare congiuntamente in quanto connessi tra dl loro, non sono fondati. Attraverso essi il ricorrente tende ad una nuova valutazione delle risultanze probatoria, Inammissibile in questa sede.


Con motivazione adeguata, che sfugge a qualsiasi censura, i giudici di appello hanno esaminato tutte le risultanze processuali, concludendo che doveva essere affermata la presunzione di eguale concorso di colpa dei due conducenti ai sensi dell’ art, 2054 c.c., essendo irrilevante la mancata risposta del N. all'interrogatorio formale deferitogli, considerato che la legge consente di desumere solo elementi indiziari dalla mancata risposta della parte all'interrogatorio e che, nel caso di specie, le circostanze sulle quale l'interrogatorio avrebbe dovuto essere reso dal M. non erano affatto rilevanti, al fini dell'accertamento delle modalita' concrete del sinistro.


Del resto, non ha valore di confessione l'ammissione che un determinato evento dannoso sia ascrivibile alla propria colpa, trattandosi semplicemente di un giudizio, a formare il quale concorrono ragioni di ordine giuridico, cfr. Cass. 16 marzo 1995 n. 3075 e 17 luglio 1990 n. 7302.



Quanto alla seconda parte dei secondo motivo, con la quale si censura la decisione della Corte di appello che ha escluso la risarcibilita' del danno morale, In considerazione dell'accertamento della responsabilita' della controparte sulla base di una presunzione di legge ex art. 2054 c.c., la censura e' - invece - fondata, alla luce del piu' recente orientamento di questa corte (Cass. 2007 n. 23918 e-2«8 n. 1158191,secondo il quale -in tema di risarcimento del danno, non osta alla risarcibilita' dei danno non patrimoniale, al sensi dell’art, 2059 cod. cív- e art. 185 cod. pen., il mancato positivo accertamento della colpa dell'autore del danno, se essa, come nel caso di cui all'art. 2054 cod. civ. , debba ritenersi sussistente, in base ad una presunzione di legge e se, ricorrendo la colpa, Il fatto sia qualificabile come reato.


Nel caso dl specie, il danno morale - gia' riconosciuto dal primo giudice sul presupposto che si trattava di illecito idoneo a configurare illecito penale - e' stato quindi erroneamente escluso dal giudice di appello.


Infine, per quanto riguarda il terzo motivo, con il quale il ricorrente ha dedotto la violazione dell'art. 1226 cod, civ sul rilievo che iI giudice di appello bene avrebbe potuto liquidare il danno patrimoniale in vie equitativa, tenuto conto dell'attivita' di commerciante svolta dal ricorrente e della riduzione di reddito in conseguenza dell'incidente, lo stesso e' inammissibile e comunque infondato, avendo la Corte Territoriale rigettato la domanda sia per assoluto difetto di prova in ordine alla perdita di capacita' specifica di guadagno, sia perche' si trattava di "micropermanente" (Inabilita' permanente dell'8%) e che tale, secondo autonoma "ratio decidendi' non e' stata neppure censurata dal ricorrente.


Donde un ulteriore profilo di inammissibilita' della censura.


Conclusivamente deve essere accolto il ricorso limitatamente alla seconda parte dei secondo www.unarca.it 3 motivo, con li rigetto del resto.


La sentenza deve essere cassata in relazione alla censura accolta, con rinvio ad altro giudice che provvedera' anche in ordine alle spese del presente giudizio.


P.Q.M..


La Corte accoglie la seconda parte del Secondo motivo di ricorso, Che rigetta nel resto.


Cassa in relazione ago censura accolti e rinvia, anche per le spese del presente giudizio, alla Corte di Appello di Catanzaro, In diversa composizione.


Cosi' deciso in Roma il 14 gennaio 2009


Depositato in Cancelleria il 3 marzo 2009-04-01


Tags: assicurazioni > circolazione stradale > concorso di colpa > interrogatorio > valore delle dichiarazioni > civile > danno morale >


PROVVEDIMENTI E ISTITUTI CORRELATI
1. Cassazione Sezione III 3 marzo 2009, n.5057
assicurazioni,circolazione stradale,concorso di colpa, interrogatorio,valore delle dichiarazioni

2. Cassazione Sezione II civile Sentenza 26 marzo 2009, n. 7388
semaforo,circolazione stradale,contestazione immediata,vigile

3. Cassazione SEZ. III CIVILE - SENTENZA 16 settembre 2008, n.23725
risarcimento danni, iure ereditario,matrimonio non trascritto,circolazione stradale,assicurativo,famiglia,civile

4. Cassazione III civile Sentenza 20 gennaio 2009, n. 1346
circolazione stradale,azione penale, prescrizione,azione civile,risarcimento

5. Cassazione civile, 20 febbraio 2009, sent. n. 4235
procedura civile,assicurativo,appello,solido,risarcimento,danni

6. Cassazione Sezioni unite civili Sentenza 25 febbraio 2009, n. 4464
protesto,cancellazione,giudice ordinario,poteri,natura poteri camere di commercio,prova del pagamento,

7. Cassazione Civile, Sezione III Civile, Sentenza n. 1975 del 27/01/2009
parcheggio,pagamento,incustodito,responsabilità,qualificazione,circolazione stradale,auto,civile

8. Cassazione, Sezione Prima Civile, sentenza n.3019/2002
polizia comunale,contravvenzione,competenza,auto,circolazione stradale

9. Cassazione sez III Civile n. 4493/2009 deposito del 25.02.09
animali,risarcimenti,danni,cure,diligenza,civile

10. Corte Costituzionale sentenza 63 del 2009
azione diretta, dipendente, corte costituzionale, lavoratore,assicurativo,civile






non ha valore di confessione l'ammissione che un determinato evento dannoso sia ascrivibie alla propria colpa in tema di art. 2054 c.c.

Cassazione Sezione III 3 marzo 2009, n.5057 - (402)






Assicurazioni,circolazione stradale,concorso di colpa, interrogatorio,valore delle dichiarazioni
fonte:

http://www.unarca.it/Portals/0/cass%20civ.pdf




"doveva essere affermata la presunzione di eguale concorso di colpa dei due conducenti ai sensi dell’ art, 2054 c.c., essendo irrilevante la mancata risposta del N. all'interrogatorio formale deferitogli, considerato che la legge consente di desumere solo elementi indiziari dalla mancata risposta della parte all'interrogatorio e che, nel caso di specie, le circostanze sulle quale l'interrogatorio avrebbe dovuto essere reso dal M. non erano affatto rilevanti, al fini dell'accertamento delle modalita' concrete del sinistro

Del resto, non ha valore di confessione l'ammissione che un determinato evento dannoso sia ascrivibile alla propria colpa, trattandosi semplicemente di un giudizio, a formare il quale concorrono ragioni di ordine giuridico, cfr. Cass. 16 marzo 1995 n. 3075 e 17 luglio 1990 n. 7302."

...

"-in tema di risarcimento del danno, non osta alla risarcibilita' dei danno non patrimoniale, al sensi dell’art, 2059 cod. cív- e art. 185 cod. pen., il mancato positivo accertamento della colpa dell'autore del danno, se essa, come nel caso di cui all'art. 2054 cod. civ. , debba ritenersi sussistente, in base ad una presunzione di legge e se, ricorrendo la colpa, Il fatto sia qualificabile come reato.


Nel caso dl specie, il danno morale - gia' riconosciuto dal primo giudice sul presupposto che si trattava di illecito idoneo a configurare illecito penale - e' stato quindi erroneamente escluso dal giudice di appello."










SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE
Sezione III 3 marzo 2009, n.5057


Svolgimento del Processo


N_L, ha proposto ricorso per cassazione avverso la decisione della Corte di Appello di Catanzaro 30 giugno-15 luglio 2003 che ha dichiarato il pari concorso di colpa di M. D. e dello stesso N. nella causazione dell'Incidente stradale del (OMISSIS), determinando nella minor somma di Euro 3.744,31 il risarcimento per i danni subiti dal N. tenuto conto del concorso di colpa.


Avverso tale decisione ha proposto ricorso per cassazione il N. con quattro motivi di ricorso.


Resiste con controricorso la ... Italiana di assicurazioni spa In liquidazione coatta amministrativa.


II Procuratore Generale presso questa Corte ha concluso, al sensi dell'art. 375 c.p.c., per il rigetto del ricorso.


Motivi della.decisione Con Il primo motivo il ricorrente denuncia assoluta carenza di interesse ad appellare della ... Italiana assicurazioni in liquidazione coatta amministrativa, non avendo la stessa pagato alcunche' in ordine alla sentenza del Tribunale di Lametia Terme.


Unica legittimata a proporre appello, ad avviso dei ricorrente, Sarebbe stata la societa' Assitalia, assicurazioni di Italia, polche' era stata questa ultima societa' a provvedere al pagamento di sorte capitale, interessi e spese.


Il motivo e' manifestamente infondato.


Sul punto si e' gia' pronunciata questa Corte osservando che: 'In tema di assicurazione obbligatoria della responsabilita' civile derivante dalla circolazione del veicoli e motore e dei natanti, la legittimazione passiva rispetto all'azione risarcitoria dei danneggiato spetta, nell'ipotesi di sottoposizione a liquidazione coatta amministrativa dell'originaria impresa assicuratrice, all'impresa designata per la liquidazione del sinistri per conto del Fondo di garanzia, secondo la disciplina della L. n. 990 del 1969, art. 19 e segg., mentre Il Commissario liquidatore riveste la qualita' di litisconsorte necessario.


Tuttavia, in dipendenza della circostanza che la condanna emanata contro l'impresa designata produce effetti anche nel confronti del Commissario liquidatore poiche' la sentenza pronunciata nel riguardi della prima spiega valore di accertamento del credito nei rapporti fra la stessa e la liquidazione coatta amministrativa, deve ritenersi che sussiste la legittimazione e l'interesse del Commissario liquidatore a proporre eventuali impugnazIoni, ivi compresa il ricorso per cassazione (Cass. n. 27448 dei 2005).


Dopo il pagamento del risarcimento, tuttavia, la Impresa designata ha diritto, In via di surroga, di inserire II relativo credito nella liquidazione coatta amministrativa della Impresa obbligata - in origine - al pagamento e di ottenere, altresi', il rimborso dal Fondo di garanzia per Il residua non recuperato, dopo aver Insinuato al passivo della procedura concorsuale la somma effettivamente versata al danneggiato (in caso di pagamento effettuato In ottemperanza a titolo giudiziale)_ Con il secondo motivo iI ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione dell'art. 2054 cod, civ., censurando la decisione dei giudici di' appello che aveva ritenuto il pari concorso dl colpa dei due conducenti.


Il M. aveva ammesso la propria responsabilita', avendo dichiarato alla propria assicurazione di avere investito, in fase di sorpasso, il N. che si trovava sulla stessa strada alla guida del proprio ciclomotore.


Un teste aveva confermato che il M. aveva ammesso senza esitazioni la propria responsabilita' www.unarca.it 2 nella produzione dell'incidente.


Doveva, pertanto, escludersi che il N. avesse in qualsiasi modo contribuito a determinare la collisione, non essendovi alcun motivo per affermare che lo stesso avesse potuto spostarsi sulla sua sinistra.


Con il terzo motivo il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 1226 cod. civ,, In relazione al danno patrimoniale richiesto dall'attore. I giudici di appello avrebbero dovuto applicare il criterio del triplo della pensione sociale, tenuto conto che Il N., commerciante, produceva un reddito che era stato certamente depauperato dall'Incidente occorsogli.


Con il quarto motivo il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione dell'art. 2735 e 2733 cod. civ., censurando la decisione del giudici di appello che non aveva tenuto conto della confessione del M. e delle dichiarazioni rese dal teste G., La prima parte del secondo motivo ed il quarto motivo, da esaminare congiuntamente in quanto connessi tra dl loro, non sono fondati. Attraverso essi il ricorrente tende ad una nuova valutazione delle risultanze probatoria, Inammissibile in questa sede.


Con motivazione adeguata, che sfugge a qualsiasi censura, i giudici di appello hanno esaminato tutte le risultanze processuali, concludendo che doveva essere affermata la presunzione di eguale concorso di colpa dei due conducenti ai sensi dell’ art, 2054 c.c., essendo irrilevante la mancata risposta del N. all'interrogatorio formale deferitogli, considerato che la legge consente di desumere solo elementi indiziari dalla mancata risposta della parte all'interrogatorio e che, nel caso di specie, le circostanze sulle quale l'interrogatorio avrebbe dovuto essere reso dal M. non erano affatto rilevanti, al fini dell'accertamento delle modalita' concrete del sinistro.


Del resto, non ha valore di confessione l'ammissione che un determinato evento dannoso sia ascrivibile alla propria colpa, trattandosi semplicemente di un giudizio, a formare il quale concorrono ragioni di ordine giuridico, cfr. Cass. 16 marzo 1995 n. 3075 e 17 luglio 1990 n. 7302.



Quanto alla seconda parte dei secondo motivo, con la quale si censura la decisione della Corte di appello che ha escluso la risarcibilita' del danno morale, In considerazione dell'accertamento della responsabilita' della controparte sulla base di una presunzione di legge ex art. 2054 c.c., la censura e' - invece - fondata, alla luce del piu' recente orientamento di questa corte (Cass. 2007 n. 23918 e-2«8 n. 1158191,secondo il quale -in tema di risarcimento del danno, non osta alla risarcibilita' dei danno non patrimoniale, al sensi dell’art, 2059 cod. cív- e art. 185 cod. pen., il mancato positivo accertamento della colpa dell'autore del danno, se essa, come nel caso di cui all'art. 2054 cod. civ. , debba ritenersi sussistente, in base ad una presunzione di legge e se, ricorrendo la colpa, Il fatto sia qualificabile come reato.


Nel caso dl specie, il danno morale - gia' riconosciuto dal primo giudice sul presupposto che si trattava di illecito idoneo a configurare illecito penale - e' stato quindi erroneamente escluso dal giudice di appello.


Infine, per quanto riguarda il terzo motivo, con il quale il ricorrente ha dedotto la violazione dell'art. 1226 cod, civ sul rilievo che iI giudice di appello bene avrebbe potuto liquidare il danno patrimoniale in vie equitativa, tenuto conto dell'attivita' di commerciante svolta dal ricorrente e della riduzione di reddito in conseguenza dell'incidente, lo stesso e' inammissibile e comunque infondato, avendo la Corte Territoriale rigettato la domanda sia per assoluto difetto di prova in ordine alla perdita di capacita' specifica di guadagno, sia perche' si trattava di "micropermanente" (Inabilita' permanente dell'8%) e che tale, secondo autonoma "ratio decidendi' non e' stata neppure censurata dal ricorrente.


Donde un ulteriore profilo di inammissibilita' della censura.


Conclusivamente deve essere accolto il ricorso limitatamente alla seconda parte dei secondo www.unarca.it 3 motivo, con li rigetto del resto.


La sentenza deve essere cassata in relazione alla censura accolta, con rinvio ad altro giudice che provvedera' anche in ordine alle spese del presente giudizio.


P.Q.M..


La Corte accoglie la seconda parte del Secondo motivo di ricorso, Che rigetta nel resto.


Cassa in relazione ago censura accolti e rinvia, anche per le spese del presente giudizio, alla Corte di Appello di Catanzaro, In diversa composizione.


Cosi' deciso in Roma il 14 gennaio 2009


Depositato in Cancelleria il 3 marzo 2009-04-01


Tags: assicurazioni > circolazione stradale > concorso di colpa > interrogatorio > valore delle dichiarazioni > civile > danno morale >


PROVVEDIMENTI E ISTITUTI CORRELATI
1. Cassazione Sezione III 3 marzo 2009, n.5057
assicurazioni,circolazione stradale,concorso di colpa, interrogatorio,valore delle dichiarazioni

2. Cassazione Sezione II civile Sentenza 26 marzo 2009, n. 7388
semaforo,circolazione stradale,contestazione immediata,vigile

3. Cassazione SEZ. III CIVILE - SENTENZA 16 settembre 2008, n.23725
risarcimento danni, iure ereditario,matrimonio non trascritto,circolazione stradale,assicurativo,famiglia,civile

4. Cassazione III civile Sentenza 20 gennaio 2009, n. 1346
circolazione stradale,azione penale, prescrizione,azione civile,risarcimento

5. Cassazione civile, 20 febbraio 2009, sent. n. 4235
procedura civile,assicurativo,appello,solido,risarcimento,danni

6. Cassazione Sezioni unite civili Sentenza 25 febbraio 2009, n. 4464
protesto,cancellazione,giudice ordinario,poteri,natura poteri camere di commercio,prova del pagamento,

7. Cassazione Civile, Sezione III Civile, Sentenza n. 1975 del 27/01/2009
parcheggio,pagamento,incustodito,responsabilità,qualificazione,circolazione stradale,auto,civile

8. Cassazione, Sezione Prima Civile, sentenza n.3019/2002
polizia comunale,contravvenzione,competenza,auto,circolazione stradale

9. Cassazione sez III Civile n. 4493/2009 deposito del 25.02.09
animali,risarcimenti,danni,cure,diligenza,civile

10. Corte Costituzionale sentenza 63 del 2009
azione diretta, dipendente, corte costituzionale, lavoratore,assicurativo,civile






NEWS DALLA SUPREMA CORTE

Diritto penale del lavoro: portata delle prescrizioni di normative ed art. 23 Cost.
IN PARTICOLARE: IRRILEVANZA D VIOLAZIONI PURAMENTE FORMALI ED OBBLIGO DI LEALE COLLABORAZIONE DELLE AUTORITA' PREPOSTE ALL'ACCERTAMENTO


SENTENZA N. 12483 UD. 8 GENNAIO 2009 - DEPOSITO DEL 20 MARZO 2009



LAVORO (DIRITTO PENALE) – PROCEDURA DI DEFINIZIONE EX D.LGS. N. 758 DEL 1994 - PRESCRIZIONI DELL'ORGANO DI VIGILANZA - ONERE DEL CONTRAVVENTORE DI COMUNICARE L'AVVENUTO ADEMPIMENTO - ESCLUSIONE


Con la decisione in esame - in una fattispecie nella quale il giudice di merito aveva dichiarato l’imputato colpevole di una contravvenzione antinfortunistica, per la quale era stata esperita la procedura di definizione ex D.Lgs. n. 758 del 1994, non perché avesse accertato il mancato adempimento delle prescrizioni imposte dall’organo di vigilanza ovvero il mancato pagamento dell’oblazione nel termine di legge, ma semplicemente per la tardiva comunicazione al predetto organo dell’avvenuto adempimento delle prescrizioni imposte - ha affermato che l’onere di comunicare l’avvenuto adempimento non può costituire oggetto delle prescrizioni che l’organo di vigilanza ha il potere di imporre al contravventore ai sensi dell’art. 21 del citato D.Lgs., essendo ciò vietato dall’art. 23 Cost. (prestazione personale imposta da una disposizione non avente forza di legge).

Testo Completo: in www.cortedicassazione.it

Sentenza n. 12483 dell'8 gennaio 2009 – depositata il 20 marzo 2009(Sezione Terza Penale, Presidente G. De Maio, Relatore A. Franco

NEWS DALLA SUPREMA CORTE

Diritto penale del lavoro: portata delle prescrizioni di normative ed art. 23 Cost.
IN PARTICOLARE: IRRILEVANZA D VIOLAZIONI PURAMENTE FORMALI ED OBBLIGO DI LEALE COLLABORAZIONE DELLE AUTORITA' PREPOSTE ALL'ACCERTAMENTO


SENTENZA N. 12483 UD. 8 GENNAIO 2009 - DEPOSITO DEL 20 MARZO 2009



LAVORO (DIRITTO PENALE) – PROCEDURA DI DEFINIZIONE EX D.LGS. N. 758 DEL 1994 - PRESCRIZIONI DELL'ORGANO DI VIGILANZA - ONERE DEL CONTRAVVENTORE DI COMUNICARE L'AVVENUTO ADEMPIMENTO - ESCLUSIONE


Con la decisione in esame - in una fattispecie nella quale il giudice di merito aveva dichiarato l’imputato colpevole di una contravvenzione antinfortunistica, per la quale era stata esperita la procedura di definizione ex D.Lgs. n. 758 del 1994, non perché avesse accertato il mancato adempimento delle prescrizioni imposte dall’organo di vigilanza ovvero il mancato pagamento dell’oblazione nel termine di legge, ma semplicemente per la tardiva comunicazione al predetto organo dell’avvenuto adempimento delle prescrizioni imposte - ha affermato che l’onere di comunicare l’avvenuto adempimento non può costituire oggetto delle prescrizioni che l’organo di vigilanza ha il potere di imporre al contravventore ai sensi dell’art. 21 del citato D.Lgs., essendo ciò vietato dall’art. 23 Cost. (prestazione personale imposta da una disposizione non avente forza di legge).

Testo Completo: in www.cortedicassazione.it

Sentenza n. 12483 dell'8 gennaio 2009 – depositata il 20 marzo 2009(Sezione Terza Penale, Presidente G. De Maio, Relatore A. Franco

Giurisdizione tributaria: quid iuris per gli atti non riompresi nell'alenco di cui all'art. 19 del D.lgs. 546/92?


I limiti esterni della giurisdizione del gidice tributario e gli avvisi di verifica
fonti:
http://www.studiolegalelaw.it/consulenza-legale/8961

"Nella stessa sentenza, inoltre, si è precisato che “tale principio… non può mai comportare una doppia tutela (dinanzi al giudice amministrativo e a quello ordinario o tributario) nei confronti di atti impostivi o di atti del procedimento impositivo.
Quest’ultimo corollario, nel caso, riveste natura decisiva del punto in esame non essendo dubitabile (né essendo stato dubitato del) la sussistenza, in capo al contribuente, del potere di contestare innanzi agli organi di giustizia tributaria la legittimità anche degli “ordini di verifica” de quibus in quanto atti prodromici del provvedimento impositivo eventualmente adottato all’esito di quanto emerso da quella verifica."


Svolgimento del processo
Con ricorso notificato il 17 gennaio 2007 alla Direzione Regionale per la Campania dell’Agenzia delle Entrate ed al MINISTERO dell’ECONOMIA e delle FINANZE (depositato il 6 febbraio 2007), la (…) premesso che con ricorso depositato il 18 settembre 2002 aveva chiesto al Tribunale Amministrativo Regionale della Campania (cui riteneva spettare l’afferente “controllo di legittimità… sulla scorta del disposto dell’art. 7, comma 4, della legge 27 luglio 2000 n. 212″) l’”annullamento” (1) “degli ordini di verifica” (”n. 1009 del 2 settembre 2002 e n. 1126 del 9 settembre 2002″) della sua “contabilità aziendale per gli anni 1997-1998″, “emessi dall’Ufficio Ispettivo Regionale dell’Agenzia delle Entrate”, nonché (2) di “tutti gli atti dell’amministrazione relativi alle procedure indicate, coevi, precedenti o successivi” in quanto (a) “del tutto carenti sotto il profilo del rispetto dell’obbligo di motivazione (artt. 3 legge 241/90 e 7 legge 212/2000)” e (b) “successivi alla verifica generale ai fini delle imposte dirette e dell’IVA per gli anni ‘97 e ‘98, già conclusasi in data 28 dicembre 2000…, cui erano seguiti avvisi di rettifica dell’Ufficio IVA…, per le stesse annualità ‘97 e ‘98, notificati in data 11 marzo 2002 e divenuti definitivi a seguito di pagamento delle imposte richieste” -, in forza di un solo, complesso motivo, chiedeva di cassare (con “vittoria” delle spese processuali) la sentenza n. 3199/06 depositata il 26 maggio 2006 con la quale il Consiglio di Stato aveva rigettato il suo appello avverso la decisione (n. 2806/04, depositata il 9 marzo 2004) del giudice amministrativo di primo grado che aveva dichiarato “l’inanimissibilità del suo ricorso… per difetto di giurisdizione”.
Nel controricorso notificato il 21 febbraio 2007 (depositato il giorno 8 marzo 2007) il Ministero intimato e l’Agenzia, delle Entrate instavano per il rigetto dell’impugnazione, con “ogni consequenziale pronuncia in ordine alle spese del… giudizio”.
Motivi della decisione
1. Nella sentenza gravata, il Consiglio di Stato - premesso aver la (…) dedotto “da un lato che il provvedimento impugnato (… ordine di rinnovo della verifica) non rientra tra gli atti tributari devoluti ai sensi dell’art. 2 del decreto_legislativo_546_1992 alla giurisdizione del giudice tributario; dall’altro che tale provvedimento, costituendo esercizio di potestà amministrativa, esibisce profili di autonomia rispetto alla determinazione finale ed è dunque ex se ed immediatamente contestabile avanti al giudice amministrativo” -, confermando l’inammissibilità del ricorso (”per difetto di giurisdizione del giudice amministrativo”) dichiarata dal TAR, ha disatteso l’appello della società (la quale aveva eccepito “l’insussistenza dei presupposti legali in base ai quali poteva essere ordinata la verifica e dunque aziona, in sostanza, la pretesa a non essere sottoposta a tale forma di controllo amministrativo”) osservando:
- “l’appellante non deduce il carattere lesivo delle specifiche modalità con le quali è stata in concreto espletata la verifica”: di conseguenza “non viene qui in rilievo il dibattuto problema della tutela (specie cautelare) del contribuente a fronte di indagine istruttoria dell’amministrazione che si svolga in modo potenzialmente lesivo del diritto del professionista o dell’imprenditore alla riservatezza o ad evitare intralci nell’esercizio dell’attività economica”; “tale tutela”, comunque, “in quanto volta a proteggere diritti soggettivi non degradabili”, “non potrebbe… essere richiesta al giudice degli interessi”;
- essendosi “conclusa con l’adozione di un atto di accertamento”, la “verifica fiscale” contestata “costituisce espletamento di attività istruttoria finalizzata alla determinazione autoritativa dell’imposta” per cui “l’ordine di rinnovo della verifica e la verifica stessa costituiscono momento strumentale e prodromico rispetto alla esatta determinazione del presupposto di imposta, contenuta nell’atto di accertamento eccesso (corrige: emesso) nei confronti del destinatario del controllo, concretizzandosi perciò in attività giuridicamente infraprocedimentale e dunque non immediatamente lesiva”-, conseguentemente (”dunque”) “spiega… effetto il principio consolidato secondo cui gli atti istruttori ancorché illegittimi non sono autonomamente impugnabili per difetto di concreta lesività, dovendo la relativa contestazione essere differita al momento dell’impugnazione, per illegittimità derivata, del provvedimento finale” sì che, “per quanto… interessa”, “i vizi del procedimento tributario non sono immediatamente contestabili ma, ridondando in vizi del provvedimento finale e cioè dell’atto di accertamento, vanno… dedotti nell’ambito dell’impugnazione di questo”: “nel caso in esame, dunque, l’illegittimità della verifica o dell’ordine di rinnovo della stessa non può essere fatta valere anticipatamente ed in via autonoma ma va invece deddotta mediante impugnazione del provvedimento finale avanti alla commissione tributaria, rientrando pacificamente l’atto di accertamento in questione fra quelli sui quali solo il giudice tributario è fornito di giurisdizione (cfr. art. 2 D. l.vo n. 546 del 1992)” (come “di fatto avvenuto, avendo la società impugnato con successo avanti al giudice tributario l’atto di accertamento”).
Il giudice a quo osserva, ancora:
- “in tal modo l’attività di verifica fiscale”, diversamente da quanto sostenuto dalla appellante, non risulta “sottratta al controllo giurisdizionale, con violazione del precetto di cui all’art. 113 secondo comma della Costituzione” perché “il differimento della impugnazione… non incide sulla giustiziabilità dell’atto istruttorio ma costituisce mera applicazione della regola processuale secondo la quale per agire in giudizio (ed ottenere una pronuncia di merito) occorre avere quell’interesse concreto il quale, al cospetto della funzione amministrativa procedimentalizzata, si radica e diventa attuale solo al momento dell’adozione del provvedimento finale”;
- “sulle conclusioni sin qui raggiunte non incide il disposto dell’art. 7 comma 4 della legge_212_2000 (Statuto del contribuente) secondo cui “la natura tributaria dell’atto non preclude il ricorso agli organi di giustizia amministrativa, quando ne ricorrano i presupposti” in quanto lo stesso “non attribuisce… al giudice amministrativo nuovi ambiti di cognizione in materia tributaria, ma si limita a confermare la sussistenza della giurisdizione amministrativa ove la stessa discenda dal criterio di riparto ordinario, come acquisito in giurisprudenza”: “la giurisdizione generale di legittimità può tuttora essere adita solo se la controversia non sia devoluta al giudice tributario e solo se la posizione giuridica che si pretende lesa abbia consistenza di interesse legittimo (cfr. VI Sez. 30 settembre 2004 n. 6353)”.
In definitiva, per il Consiglio di Stato, “la controversia rientra nell’area riservata alla giurisdizione del giudice tributario speciale e non sussiste quindi il presupposto per il ricorso agli organi di giustizia amministrativa”.
3. La (…)- denunziando “violazione dei limiti esterni della giurisdizione del giudice amministrativo, “violazione dell’art. 103, comma 1, Cost.” nonché “violazione dell’art. 7, comma 4, della legge 27 luglio 2000 n. 212″ - chiede di cassare tale decisione formulando (ex art. 366 bis c.p.c.) il seguente
“quesito di diritto”
“dichiarare la spettanza della giurisdizione al giudice amministrativo ai sensi dell’art. 7, comma 4, della I. 27 luglio 2000, n. 212, recante “Disposizioni in materia di statuto dei diritti del contribuente”, in relazione all’impugnazione degli ordini di verifica con cui l’Agenzia delle Entrate, in difetto dei presupposti che legittimano la riapertura di una verifica e violando l’obbligo di motivazione prescritto per gli atti dell’Amministrazione finanziaria dallo Statuto del contribuente, ha autorizzato il compimento di atti di indagine tributaria con riferimento ad un periodo di imposta per cui si era già svolta ed era stata conclusa una verifica generale, in quanto nella fattispecie ricorrono tutti i presupposti della giurisdizione amministrativa: ovvero in senso negativo, la non spettanza della controversia al giudice tributario, per la mancata inclusione degli ordini di verifica nel novero degli atti assoggettati a tale giurisdizione dall’art. 19 d.lgs. n. 546/1992; e, in senso positivo, la presenza di una situazione giuridica che si pretende lesa, avente la consistenza dell’interesse legittimo, ma anche di libertà costituzionalmente garantite, e l’interesse concreto ed attuale ad agire per la rimozione degli atti impugnati.
A. A sostegno dì tale richiesta la ricorrente - assumendo avere “entrambi i Collegi… posto a fondamento della propria decisione la negazione che possa darsi un’incidenza immediata nella sfera giuridica del contribuente sottoposto a verifica prima che un atto di accertamento sia adottato, e… quindi negato che il medesimo contribuente possa avere un interesse ad agire avverso l’ordine di verifica che ritenga illegittimo” -, in primo luogo, osserva:
- “il principio… in base al quale gli “atti istruttori”, in quanto aventi carattere infraprocedimentale, non sono autonomamente impugnabili per inidoneità a creare una lesione immediata nella sfera giuridica del privato, non può ritenersi… applicabile nel caso dell’attività di indagine fiscale della p.a., la quale si connota per gli incisivi poteri riconosciuti all’amministrazione, i quali sono in grado di comprimere fortemente, in modo da esigere una tutela immediata avverso i medesimi, le libertà (di domicilio, di corrispondenza, di libertà di iniziativa economica, ecc.) del soggetto che li subisce (talvolta imponendo non solo un pati, ma anche un obbligo positivo, un facere), e che, proprio in considerazione di ciò, si caratterizza altresì per la minuziosa regolamentazione dei presupposti e delle modalità di esercizio del potere medesimo, in chiave prettamente garantistica nei confronti del contribuente”;
- “in relazione alla situazione azionata [da essa].. non vale obiettare l’esistenza di una dualità di situazioni giuridiche in capo al contribuente” (”diritti soggettivi/interessi legittimi, di cui i primi tutelabili di fronte al giudice ordinario”) in quanto “laddove egli si dolga di una verifica che ritiene illegittima, ad essere lesa non è solo “la posizione complessiva del contribuente (…) a che la potestà amministrativa venga esercitata in conformità alle regole poste dall’ordinamento per l’esercizio della stessa”, ovvero l’interesse legittimo, ma anche, inevitabilmente, le posizioni soggettive aventi rango costituzionale, per l’evidente ragione che le stesse possono essere limitate solo nei casi e “nei modi indicati dalla legge” (… TAR, a pag. 3) “l’indicazione di effettuare le verifiche presso i locali del contribuente solo in presenza di effettive esigenze, durante l’orario di lavoro e con modalità tali da arrecare la minore turbativa possibile, così come quelle che inducono a limitare la permanenza nei locali e che impongono di esaminare i documenti in luoghi diversi da quelli del contribuente, ove questi lo richieda”, infatti, “si muovono nell’ottica di attuare il bilanciamento delle contrapposte posizioni secondo i criteri della necessarietà e della proporzionalità, i quali discendono direttamente dai precetti costituzionali racchiusi negli artt. 2, 13, 14 e 15 Cost., che sovrintendono alle libertà inviolabili”).
- gli stessi criteri sono ritraibili dai principi di imparzialità e buon andamento dettati dall’art. 97 Cost., il quale… è menzionato dall’art. 1 dello Statuto (assieme agli artt. 3, 23 e 53 Cost.), come disposizione alla cui attuazione è diretto lo Statuto medesimo”; “ai medesimi principi rispondono, poi, le prescrizioni che concernono la motivazione di tutti gli atti dell’amministrazione (secondo l’ampia formula utilizza dal legislatore all’art. 7, comma l, dello Statuto del contribuente), l’esposizione delle ragioni che hanno giustificato la verifica, il divieto di richiedere documenti e informazioni di cui l’amministrazione già dispone, e, non ultimo, l’obbligo di improntare il rapporto con i contribuenti ai principi di buona fede e collaborazione”.
Secondo la ricorrente, invero, “lo stesso Consiglio di Stato (”richiamando l’orientamento sul punto di questa… Corte (… sez. un. civ. 25 ottobre 1998 n. 10186 e… 28 ottobre 2005 n. 20994)”) ha riconosciuto che “quando la vertenza ha ad oggetto la contestazione della legittimità dell’esercizio del potere amministrativo, ossia quando l’atto amministrativo sia assunto nel giudizio non come fatto materiale o come semplice espressione di una condotta illecita, ma sia considerato nel ricorso quale attuazione illegittima di un potere amministrativo, di cui si chiede l’annullamento, la posizione del cittadino si concreta come posizione di interesse legittimo (CdS, sez. VI, n. 556/2006… ), per cui il fatto che l’azione sia proposta a tutela (anche) di un diritto costituzionale non è discriminante ai fini della giurisdizione, risultando invece decisiva la circostanza che l’azione sia diretta (o meno) contro un’atto che costituisce esercizio di un pubblico potere (… in tal senso anche la sentenza delle Sezioni unite Civili della Corte di Cassazione dell’8 marzo 2006 n. 4908, che afferma la giurisdizione del G.O. in relazione alla domanda di risarcimento dei danni alla salute, sulla base del rilievo dato alla mancanza, nella fattispecie, “di provvedimenti della pubblica amministrazione o di suoi concessionari, che siano stati impugnati o dei quali si chiede l’annullamento ” e ivi ravvisando solo “comportamenti (…), che non possono incidere negativamente sulle posizioni di diritto soggettivo fatte valere dagli interessati”)”: “nel caso di specie [essa] istante si doleva dell’illegittimità degli atti adottati dall’Amministrazione nell’esercizio del proprio potere (discrezionale) di autorizzare la verifica tributaria, per cui, anche sotto questo profilo, doveva ritenersi correttamente incardinata la controversia dinanzi al giudice amministrativo”. A conclusione del punto la società afferma che il giudice a quo (il quale ha ritenuto “la controversia rientrante nell’area riservata alla giurisdizione tributaria”) ha “errato… nel considerare l’art. 7, comma 4, dello Statuto non applicabile” perché nella fattispecie ricorrono “tutti i presupposti della giurisdizione amministrativa”;
- “in senso negativo, la non spettanza della controversia al giudice tributario, per la mancata inclusione degli ordini di verifica nel novero degli atti assoggettati a tale giurisdizione dall’art. 19 d.lgs. n. 546/1992″: peraltro “il carattere “residuale” del ricorso al G.A. in caso di atti aventi natura tributaria, che i due Collegi sembrano porre a presupposto delle decisioni prese, non si deduce dalla disposizione in esame” (scilicet, quella del quarto comma dell’art. 7) “che, viceversa, costituisce applicazione dell’art. 103, comma 1, Cost., il quale espressamente dispone che il plesso giurisdizionale costituito dai TAR e dal Consiglio di Stato sia il giudice “naturale” degli interessi legittimi, principio cui si deroga nel caso della giurisdizione tributaria, ma solo nei casi previsti dalla legge (e cioè per l’impugnazione degli atti elencati all’art. 19 D. Lgs. 546/92), per cui a fronte dell’esercizio illegittimo dell’attività di indagine fiscale, ed in presenza delle condizioni per agire in giudizio, si riespande la regola (generale, non residuale) della giurisdizione del G.A.”;
- “in senso positivo, la presenza di una situazione giuridica che si pretende lesa, avente la consistenza dell’interesse legittimo, ma anche di libertà costituzionalmente garantite, e l’interesse concreto ed attuale ad agire per la rimozione degli atti impugnati”.
B. ” In relazione”, poi, “all’interesse ad agire”, “la ricordante sostiene che “negare la tutela immediata a fronte degli ordini di verifica che costituiscono reitera di altre verifiche già effettuate, senza il rispetto dei requisiti di forma e di sostanza previsti dalla legge, ed affermare l’esistenza di una tutela “differita”, equivalga a negarla del tutto” atteso che “invece di bloccare un’attività di indagine, di cui [essa] contestava fondamento e modalità,… ha dovuto subire per ben due volte le conseguenze negative dei processi verbali di constatazione redatti in esito alla verifica illegittima, vedendosi costretta ad adire la commissione tributaria per ottenere l’annullamento degli avvisi di rettifica adottati su quella base, con… inutile dispendio anche delle risorse pubbliche”.
Secondo la società, invero, non è fondato asserire che il “differimento” della tutela non incida sulla giustiziabilità dell’atto, ai sensi dell’art. 113 Cost. (pag. 6 della sentenza del Consiglio di Stato)” perché, pur essendo “vero… che nell’ordinamento tributario (e solo in questo) si conosce la figura del “differimento della tutela”", “questa risulterebbe (costituzionalmente) ammissibile non semplicemente per via della non lesività attuale dell’atto” (”condizione che… non ricorre nel caso di specie, in cui sono immediatamente ed autonomamente rilevabili i vizi della reitera della verifica”) ma “sulla base della circostanza che le ragioni della lesione sono esternate (o pienamente conoscibili) solo con il provvedimento finale”.
La ricorrente, infine (”conclusivamente”), osserva che “ammettere la giurisdizione del giudice amministrativo nella fattispecie in esame non equivale” (come “affermato dalle Amministrazioni resistenti”) “ad introdurre una giurisdizione concorrente a quella delle Commissioni tributarie” attesa “la diversità della tutela atttenibile, in quanto il giudizio (in sede di tutela differita) davanti alle Commissioni avrebbe ad oggetto solo la pretesa del singolo, quale contribuente, di pagare imposte e sanzioni in misura non superiore a quella dovuta, ma detto giudizio non tutelerebbe quegli interessi di natura patrimoniale e non patrimoniale direttamente “pregiudicati dall’attività ispettiva, non aventi necessariamente riflesso sull’ammontare del debito d’imposta, quali, ad esempio, la libertà di domicilio o la riservatezza”: “quella ottenuta con l’impugnazione dell’atto di accertamento”, infatti, secondo la… “sarebbe, alla fine, una tutela incompleta, nel senso che le lesioni alla sfera della riservatezza o del domicilio, rimarrebbero tali anche se il successivo atto di accertamento venisse annullato dai giudici di merito”.
C. In terzo (ed ultimo) luogo la ricorrente contesta il “contrario avviso espresso dal giudice amministrativo… sulla presenza dei presupposti per agire sulla base dell’art. 7, comma 4 legge n. 212 del 2000 affermando che “né il TAR, né il Consiglio di Stato, pervengono ad una chiara definizione dell’ambito di applicazione della norma di cui all’art. 7, comma 4, dello Statuto del contribuente” e sostiene di non “comprende(re), in particolare, che significato abbia l’affermazione in base alla quale “tale disposizione non attribuisce (…) al giudice amministrativo nuovi ambiti di cognizione in materia tributaria, ma si limita a confermare la sussistenza della giurisdizione amministrativa ove la stessa discenda dal criterio di riparto ordinario, come acquisito in giurisprudenza ” e ancora “dunque la giurisdizione generale di legittimità può tuttora essere adita solo se la controversia non sia devoluta al giudice tributario e solo se la posizione giuridica che si pretende lesa abbia consistenza di interesse legittimo”": secondo la società a questo modo di argomentare… non solo non chiarisce realmente quale sia il concreto ambito applicativo della disposizione di cui si tratta, in relazione ai confini della giurisdizione, ma,.. giunge ad una conclusione che può dirsi ampiamente errata” perché, come “ricordato”, gli “stessi giudici di Palazzo Spada…, aderendo all’orientamento sul punto di (questa)… Corte, hanno affermato come, ai fini dell’individuazione della giurisdizione, non sia decisiva la natura della situazione fatta valere, quanto piuttosto la circostanza che ad essere impugnato sia un atto costituente esercizio di un pubblico potere, per concludere come in tale ultimo caso la giurisdizione appartenga sempre al giudice amministrativo, anche quando vengano in questione diritti fondamentali (v. CdS, sezione VI, sentenza n. 556/2006, cit.)” (”il TAR Napoli… aveva limitato l’applicazione della disposizione di cui all’art. 7, comma 4, ai casi “in cui non consegue alcun atto impositivo per intervenuta decadenza dell’azione accertatrice ovvero la verifica tributaria illegittimamente condotta non conduca ad alcun rilievo…”).
“Su questo punto decisivo della controversia”, pertanto, secondo la ricorrente, “l’argomentazione del giudice di seconde cure appare totalmente erronea con riferimento alla determinazione della giurisdizione amministrativa”: “in considerazione del “criterio di riparto ordinario, come acquisito in giurisprudenza”", infatti, “nelle ipotesi richiamate dal TAR non si verterebbe in materia di interessi legittimi, ma di diritti soggettivi, sottoposti ad un comportamento fattuale della p.a. lesivo della loro consistenza per cui la loro violazione in ipotesi siffatte dovrebbe rilevare davanti al giudice ordinario, non già davanti a quello amministrativo”.
La ricorrente, infine, non ritiene “logico il ragionamento dell’Amministrazione procedente volto a contraddire il principio della giurisdizione amministrativa, di cui all’art. 7, comma 4, cit.,… attraverso le argomentazioni espresse dal Consiglio di Stato in Adunanza Generale nel parere del 22 gennaio 2001, in quanto il tentativo di delimitare la giurisdizione del giudice amministrativo contenuto in detto parere si basava su disposizioni formulate nella proposta di decreto legislativo di dubbia costituzionalità, che non a caso non sono mai state emanate e non risultano affatto accolte dal decreto legislativo n. 32 del 2001, adottato sulla base della delega di cui”all’art. 16 della legge n. 212 del 2000″ per cui “resta… valido che con l’espressione “organi di giustizia amministrativa” si intenda il complesso “TAR-Consiglio di Stato”, come afferma non solo il parere citato, ma anche il parere del 5 dicembre 2000 del Consiglio di presidenza della Giustizia tributaria”.
4. Il ricorso deve essere respinto perché infondato.
A. Sul primo profilo di doglianza va, innanzitutto, ribadito (in carenza di qualsivoglia convincente argomentazione contraria) che (Cass. sez. un., 29 aprile 2003 n. 6693 (ordinanza interlocutoria), da cui gli excerpta testuali che seguono)
(a) “nella disciplina del contenzioso tributario quale risultante… dal d.lgs. 31.XII.1992, n. 546 (art. 2 sia nel testo originario, che in quello novellato dall’art. 12, comma 2, L. 28.XII.2001 n. 448) la tutela giurisdizionale dei contribuenti, con riguardo ai tributi cui le norme citate hanno riferimento, è affidata in esclusiva alla giurisdizione delle commissioni tributarie, concepita comprensiva di ogni questione afferente all’esistenza ed alla consistenza dell’obbligazione tributaria (cfr., in terminis, ex multis, Cass. SS.UU. civ., sent. n. 103 del 12.III/2001)” e
(b) tale esclusività “non” è “suscettibile di venir meno in presenza di situazioni di carenza di un provvedimento impugnabile e, quindi, di impossibilità di proporre contro tale provvedimento quel reclamo che costituisce il veicolo di accesso, ineludibile, a detta giurisdizione” perché siffatte “situazioni” (’”quando fattualmente riscontrate”) incidono “unicamente sull’accoglibilità della domanda (ossia sul merito), valutabile esclusivamente dal giudice avente competenza giurisdizionale sulla stessa, e non già sulla giurisdizione di detto giudice (cfr., in proposito; ex aliis, Cass. SS.UU. civ., sent. n. 11217 del 13.XI.1997)”.
La giurisdizione (piena ed esclusiva) del giudice tributario fissata dall’art. 2 del D. Lg.vo n. 546 del 1992, poi, non ha ad “oggetto” solo gli atti per così dire “finali” del procedimento amministrativo di imposizione tributaria (ovverosia gli atti definiti, propriamente, come “impugnabili” dall’art. 19 D. Lg.vo n. 546 del 1992) ma investe - nei limiti, ovviamente, dei “motivi” sottoposti dal contribuente all’esame di quel giudice ai sensi dell’art. 18, comma 2, lett. e), stesso D. Lg.vo - tutte Ie fasi del procedimento che hanno portato alla adozione ed alla formazione di quell’atto tanto che l’eventuale giudizio negativo in ordine alla legittimità e/o alla regolarità (formale e/o sostanziale) su un qualche atto “istruttorio” prodromico può determinare la caducazione, per illegittimità derivata, dell’atto “finale” impugnato: “la correttezza del procedimento di formazione della pretesa tributaria”, infatti (Cass., un., 4 marzo 2008 n. 5791; ma già, Cass., un., 25 luglio 2007 n. 16412), “è assicurata mediante il rispetto di una sequenza ordinata secondo una progressione di determinati atti, con le relative notificazioni, destinati, con diversa e specifica funzione, a farla emergere e a portarla nella sfera di conoscenza dei destinatari, allo scopo, soprattutto, di rendere possibile per questi ultimi un efficace esercizio del diritto di difesa.
Siffatta latitudine della giurisdizione tributaria - estesa (come detto) anche al controllo della regolarità (formale e sostanziale) di tutte le fasi del procedimento di imposizione fiscale - evidenzia l’applicabilità (vanamente, “pertanto, contestata dalla ricorrente) anche agli “atti istruttori” fiscali - nonostante la compressione (”comprimere fortemente”, dice la ricorrente) delle “libertà” (”di domicilio, di corrispondenza, di libertà di iniziativa economica, ecc.”) indicate dalla contribuente posta in essere dagli stessi - del principio della non autonoma (ed immediata) impugnabilità proprio in quanto “aventi carattere infraprocedimentali”.
“Per quanto attiene”‘, inoltre, specificamente “alla problematica della riconducibilità dell’atto impugnato alle categorie indicate dal D. Lgs. 31 dicembre 1992 n. 546, art. 19″, queste sezioni unite (sentenza 27 marzo 2007 n. 7388) - confermato che (giusta “una consolidata giurisprudenza… (da ultima, sez. un., ord. n. 22245/06)”) ” tale problematica… non attiene alla giurisdizione, ma alla proponibilità della domanda” -, pur rilevando (”non possono non rilevare”) che “la mancata inclusione degli atti in contestazione nel catalogo contenuto in detto articolo comporterebbe una lacuna di tutela giurisdizionale, in violazione dei principi contenuti negli articoli 24 e 113 Cost.”, hanno specificato esser ” compito della commissione tributaria verificare se l’atto in contestazione possa ritenersi impugnabile nell’ambito delle categorie individuate dall’art. 19 del d.l.vo n. 546 del 1992″.
“Il carattere esclusivo della giurisdizione tributaria”, ancora (Cass., un., 27 marzo 2007 n. 7388), “non consente che atti non impugnabili in tale sede siano devoluti, in via residuale, ad altri giudici, secondo le ordinarie regole di riparto della giurisdizione (Sez. Un., ord. N. 13793/04)”: l’attribuzione al giudice tributario di una controversia che può concernere la lesione di interessi legittimi, infatti, come chiarito, ” non incontra un limite nell’art. 103 Cost.” perché (”secondo una costante giurisprudenza costituzionale”: “da ultime, ordinanze n. 165 e 414 del 2001 e sentenza n. 240 del 2006″ ) ” non esiste una riserva assoluta di giurisdizione sugli interessi legittimi a favore del giudice amministrativo, potendo il legislatore attribuire la relativa tutela ad altri giudici”.
In secondo luogo, poi, deve evidenziarsi che l’incidenza della specifica attività amministrativa contestata su “posizioni soggettive aventi rango costituzionale” (in particolare, come adduce la ricorrente, su “posizioni soggettive” tutelate dai “precetti costituzionali racchiusi negli artt. 2, 13, 14 e 15 Cost., che sovraintendono alle liberti inviolabili”), limitabili quindi “solo nei casi e “nei modi indicati dalla legge”", non consente affatto di ravvisare nell’eventuale lesione di quelle “posizioni” (o “situazione ” composita”) una “situazione giuridica… avente la consistenza di interesse legittimo” perché le condizioni fissate per la legale temporanea “violabilità” di quelle libertà lasciano integra la originaria consistenza di diritto soggettivo delle stesse attesa la loro mera, temporalmente e funzionalmente limitata, compressione.
Il preteso “difetto”, negli “ordini” qui impugnati, “dei presupposti” di legge - lamentato dalla ricorrente -, quindi, non lede un mero interesse legittimo ma integra (se sussistente) la lesione di un vero e proprio diritto soggettivo del contribuente nei cui confronti viene eseguita la verifica ordinata perché solo l’esistenza di quei “presupposti” (che nella specie si assumono, in ipotesi, mancanti) rendono legittima l’azione accertativa e fa sorgere, a carico del contribuente verificato, gli obblighi di “pati” detta azione nonché di “facere” quanto eventualmente le afferenti norme gli impongano per consentire agli inquirenti di svolgere appieno la propria attività, il tutto sempre a prescindere dall’eventuale esito, negativo per l’Ufficio, del controllo stesso.
È appena il caso di evidenziare, di poi, che l’eventuale esito negativo per l’”Ufficio dell’attività di accertamento (con conseguente non emissione di alcun provvedimento fiscale) compiuta in forza di ordini ritenuti illegittimi dal contribuente integra fattispecie del tutto diversa da quella in esame (conclusasi con l’emissione di un provvedimento impositivo, come evidenziato dal giudice a quo) e, comunque, porta la valutazione di quel fatto nell’orbita giurisdizionale del giudice ordinario (quindi, non del giudice amministrativo) siccome ipoteticamente lesiva di diritti aquisitamente soggettivi del contribuente a subire, al di fuori dei casi espressamente previsti dalla legge, verifiche fiscali e di conseguenza, le connesse compressioni legali ai suoi corrispondenti diritti (anche costituzionalmente garantiti, come espone la stessa società ricorrente), al di fuori dei casi e delle ipotesi previste dalle afferenti leggi che attribuiscono e circoscrivono il sorgere e l’esercizio del potere fiscale di controllo.
B. In “ordine alla legittimità del differimento al momento della impugnazione dell’atto impositivo della tutela giurisdizionale per vizi e/o per irregolarità concernenti atti compiuti nel corso dell’iter amministrativo conclusosi con l’adozione dell’atto impositivo notificato è sufficiente ricordare il pensiero (”costantemente affermato”, come dice lo stesso giudice delle leggi) della Corte Costituzionale (decisione 23 novembre 1993 n. 406, che ricorda ” da ultimo le sentenze n. 154 del 1992; n. 15 del 1991; n. 470 del 1990; n. 530 del 1989″) secondo cui “gli artt. 24 e 113 della Costituzione non impongono una correlazione assoluta tra il sorgere del diritto e la sua azionabilità, la quale” può essere differita ad un momento successivo ove ricorrano esigenze di ordine generale e superiori finalità di giustizia”, sempre che “il legislatore” osservi “il limite imposto dall’esigenza di non rendere la tutela giurisdizionale eccessivamente difficoltosa, in conformità al principio della piena attuazione della garanzia stabilita dalle suddette norme costituzionali”: nel caso, non si ravvisano né sono state dedotte difficoltà della “tutela giurisdizionale” relativa agli atti qui impugnati quali conseguenti al differimento di quella tutela al momento della emissione dell’atto di imposizione fiscale.
C. Il “corretto ambito applicativo” della disposizione dettata dal quarto comma dell’art. 7 legge 27 luglio 2000 n. 212 (secondo cui ” la natura tributaria dell’atto non preclude il ricorso agli organi di giustizia amministrativa, quando ne ricorrano i presupposti” - di cui la ricorrente lamenta la mancata delimitazione -, infine, è stato già precisato nella sentenza 13 luglio 2005 n. 14692 di queste sezioni unite per la quale quella disposizione riconferma “il carattere esclusivo e pieno della giurisdizione ordinaria in materia tributaria”, “non fa che enfatizzare un principio già generalmente riconosciuto” e “comporta”, “salvo espresse previsioni di legge”, “una naturale competenza del giudice amministrativo” soltanto “sull’impugnazione di atti amministrativi… a contenuto generale o normativo, come i regolamenti e le delibere tariffarie e di atti” (”aventi natura provvedimentale”) “che costituiscano un presupposto dell’esercizio della potestà impositiva e in relazione ai quali esiste un generale potere di disapplicazione del giudice cui è attribuita la giurisdizione sul rapporto tributario.
Nella stessa sentenza, inoltre, si è precisato che “tale principio… non può mai comportare una doppia tutela (dinanzi al giudice amministrativo e a quello ordinario o tributario) nei confronti di atti impostivi o di atti del procedimento impositivo.
Quest’ultimo corollario, nel caso, riveste natura decisiva del punto in esame non essendo dubitabile (né essendo stato dubitato del) la sussistenza, in capo al contribuente, del potere di contestare innanzi agli organi di giustizia tributaria la legittimità anche degli “ordini di verifica” de quibus in quanto atti prodromici del provvedimento impositivo eventualmente adottato all’esito di quanto emerso da quella verifica.
In ordine al punto concernente la “tutela”, innanzi agli organi di giustizia tributaria, “nei confronti” di tutti gli “atti del procedimento impositivo”, è sufficiente ricordare le decisioni di questa Corte nelle quali si è ammessa la sindacabilità, da parte di detti organi:
(a) degli atti prodromici del “procedimento impositivo” quali i provvedimenti emessi dal Procuratore della Repubblica ex artt. 33 DPR 29 settembre 1973 n. 600 e 52, comma 2, DPR 26 ottobre 1972 n. 633, di autorizzazione alla perquisizione domiciliare e/o personale da parte degli organi fiscali inquirenti (Cass., trib.: 19 ottobre 2005 n. 20253; 12 ottobre 2005 n. 19837; 1° ottobre 2004 n. 19690; 3 dicembre 2001 n. 15230; 19 giugno 2001 n. 8344);
(b) del preventivo invito al pagamento (contenuto nell’art. 60, comma 6, DPR n. 633/72), quale adempimento necessario e prodromico alla iscrizione a ruolo dell’imposta sul valore aggiunto (Cass., trib.: 18 aprile 2008 n. 10179 e 14 aprile 2006 n. 8859);
(c) dell’”invito al pagamento” notificato dal Comune al contribuente quale atto prodromico all’iscrizione a ruolo (Cass., trib., 6 dicembre 2004 n. 22869);
d) dell’invito di cui all’art. 51, comma 2, n. 2, DPR 26 ottobre 1972 n. 633, per fornire dati, notizie e chiarimenti in ordine alle operazioni annotate nei conti bancari (Cass., trib., 18 aprile 2003 n. 6232);
e) dell’invito al pagamento menzionato nell’art. 67, comma 2, lett. a) DPR 28 gennaio 1988 n. 43 (Cass., trib., 12 marzo 2002 n. 3540) e,
f) più in generale, sulla scorta dei principi affermati da queste sezioni unite (sentenza n. 16412 del 2007, cit.), sulla mancata notifica di un atto prodromico quale vizio proprio” (ex art. 19, terzo comma, D. Lg.vo n. 546 del 1992) dell’atto notificato al contribuente (Cass., trib., 25 gennaio 2008 n. 1652).
5. Per la sua totale soccombenza la (…) sensi dell’art. 91 c.p.c., deve essere condannata a rifondere alle amministrazioni pubbliche le spese di questo giudizio di legittimità, liquidate, nella misura indicata in dispositivo, in base al valore indeterminato della controversia ed all’attività difensiva espletata da dette amministrazioni.

[3] P.Q.M.

Rigetta il ricorso e dichiara la giurisdizione del giudice tributario; condanna la (…) a rifondere alle amministrazioni pubbliche le spese del giudizio di legittimità che liquida in complessivi €. 4.000,00 (quattromila/00) per onorario, oltre spese generali e spese prenotate a debito.

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