giovedì 5 marzo 2009

Lite temeraria: le Sezioni Unite sulla mala fede

ORDINANZA N. 3057 DEL 09/02/2009

SPESE GIUDIZIALI - RESPONSABILITA' AGGRAVATA
La S.C. ha riconosciuto la responsabilità aggravata per atti e comportamenti processuali posti in essere in difetto di elementare diligenza, condannando il soccombente al risarcimento del danno, in una ipotesi in cui il regolamento di giurisdizione era stato proposto sostenendo una tesi erronea alla stregua della disciplina positiva e della giurisprudenza.


Ordinanza n. 3057 del 9 febbraio 2009(Sezioni Unite Civili, Presidente S. Mattone, Relatore A. Segreto)

Lite temeraria: le Sezioni Unite sulla mala fede

ORDINANZA N. 3057 DEL 09/02/2009

SPESE GIUDIZIALI - RESPONSABILITA' AGGRAVATA
La S.C. ha riconosciuto la responsabilità aggravata per atti e comportamenti processuali posti in essere in difetto di elementare diligenza, condannando il soccombente al risarcimento del danno, in una ipotesi in cui il regolamento di giurisdizione era stato proposto sostenendo una tesi erronea alla stregua della disciplina positiva e della giurisprudenza.


Ordinanza n. 3057 del 9 febbraio 2009(Sezioni Unite Civili, Presidente S. Mattone, Relatore A. Segreto)

La lite temeraria e la colpa grave


SENTENZA N. 2636 DEL 04/02/2009



PROCESSO CIVILE - SPESE GIUDIZIALI - CONDANNA PER COLPA GRAVE
Per la prima volta la Corte ha condannato la parte soccombente ad una somma ulteriore, equitativamente determinata, ravvisando – ai sensi dell’art. 385, u.c. c.p.c., come novellato dal d.lgs. n. 40 del 2006 – un’ ipotesi di colpa grave. Il ricorso per cassazione era stato proposto in forza di procura generale rilasciata in data antecedente alla sentenza impugnata; i presupposti della colpa grave sono stati ravvisati nel carattere evidente e testuale del requisito della procura speciale e nella circostanza che è assolutamente consolidato l’orientamento giurisprudenziale secondo cui è indispensabile la posteriorità della stessa rispetto alla sentenza impugnata.


Sentenza n. 2636 del 4 febbraio 2009

(Sezioni Unite Civili, Presidente S. Mattone, Relatore R. Rordorf)

La lite temeraria e la colpa grave


SENTENZA N. 2636 DEL 04/02/2009



PROCESSO CIVILE - SPESE GIUDIZIALI - CONDANNA PER COLPA GRAVE
Per la prima volta la Corte ha condannato la parte soccombente ad una somma ulteriore, equitativamente determinata, ravvisando – ai sensi dell’art. 385, u.c. c.p.c., come novellato dal d.lgs. n. 40 del 2006 – un’ ipotesi di colpa grave. Il ricorso per cassazione era stato proposto in forza di procura generale rilasciata in data antecedente alla sentenza impugnata; i presupposti della colpa grave sono stati ravvisati nel carattere evidente e testuale del requisito della procura speciale e nella circostanza che è assolutamente consolidato l’orientamento giurisprudenziale secondo cui è indispensabile la posteriorità della stessa rispetto alla sentenza impugnata.


Sentenza n. 2636 del 4 febbraio 2009

(Sezioni Unite Civili, Presidente S. Mattone, Relatore R. Rordorf)

Fideiussione a garanzia del pagamento dei canoni di locazione

SENTENZA N. 3525 DEL 13/02/2009a>

FIDEIUSSIONE A GARANZIA DI UNA LOCAZIONE - MOROSITA' DEL CONDUTTORE TALE DA LEGITTIMARE LA DOMANDA DI RISOLUZIONE DA PARTE DEL CONDUTTORE - PERMANENZA DELL'OBBLIGAZIONE DEL FIDEIUSSORE - CONDIZIONI - FATTISPECIE

Qualora un contratto di fideiussione venga stipulato a garanzia del pagamento dei canoni di un contratto di locazione, ove si determini una morosità del conduttore tale da giustificare la domanda di risoluzione da parte del locatore, questi è tenuto a riferire al fideiussore della morosità, onde farsi autorizzare ad attendere il pagamento, in tal modo facendo credito al conduttore con la garanzia del fideiussore; se ciò non avviene, è applicabile la previsione dell'art. 1956 cod. civ., secondo cui in tale ipotesi il fideiussore è liberato dalla propria obbligazione (nella specie, la S.C. ha cassato la sentenza di merito che, nonostante il fideiussore avesse chiesto di vedere riconosciuta la propria liberazione ai sensi degli artt. 1956 e 1957 cod. civ., aveva omesso di pronunciarsi sul punto, ritenendo il permanere dell'obbligazione di garanzia).


Sentenza n. 3525 del 13 febbraio 2009
(Sezione Terza Civile, Presidente P. Vttoria, Relatore P. D'Amico)

Fideiussione a garanzia del pagamento dei canoni di locazione

SENTENZA N. 3525 DEL 13/02/2009a>

FIDEIUSSIONE A GARANZIA DI UNA LOCAZIONE - MOROSITA' DEL CONDUTTORE TALE DA LEGITTIMARE LA DOMANDA DI RISOLUZIONE DA PARTE DEL CONDUTTORE - PERMANENZA DELL'OBBLIGAZIONE DEL FIDEIUSSORE - CONDIZIONI - FATTISPECIE

Qualora un contratto di fideiussione venga stipulato a garanzia del pagamento dei canoni di un contratto di locazione, ove si determini una morosità del conduttore tale da giustificare la domanda di risoluzione da parte del locatore, questi è tenuto a riferire al fideiussore della morosità, onde farsi autorizzare ad attendere il pagamento, in tal modo facendo credito al conduttore con la garanzia del fideiussore; se ciò non avviene, è applicabile la previsione dell'art. 1956 cod. civ., secondo cui in tale ipotesi il fideiussore è liberato dalla propria obbligazione (nella specie, la S.C. ha cassato la sentenza di merito che, nonostante il fideiussore avesse chiesto di vedere riconosciuta la propria liberazione ai sensi degli artt. 1956 e 1957 cod. civ., aveva omesso di pronunciarsi sul punto, ritenendo il permanere dell'obbligazione di garanzia).


Sentenza n. 3525 del 13 febbraio 2009
(Sezione Terza Civile, Presidente P. Vttoria, Relatore P. D'Amico)

Responsabilità del notaio per mancata effettuazione delle visure

Cassazione Civile, Sezione 3, Sentenza n. 1335 del 20/01/2009 -
Notaio,responsabilità,visure catastali,danno,natura,valore
Ottimo commento da leggere alla fonte Avv. Raffaele Plenteda:
http://www.plentedamaggiulli.it/Giurisprudenza/Cassazione-1335-20%201%202009-1335-notaio-responsabilit%C3%A0-obbligazione-valore-avv%20raffaele-plenteda.html

"l'obbligazione di risarcimento del danno, per inadempimento di obbligazioni contrattuali diverse da quelle pecuniarie, costituisce, al pari dell'obbligazione risarcitoria da responsabilità extracontrattuale, un debito, non di valuta, ma di valore, in quanto tiene luogo della materiale utilità che il creditore avrebbe conseguito se avesse ricevuto la prestazione dovutagli, sicché deve tenersi conto della svalutazione monetaria nel frattempo intervenuta, senza necessità che il creditore stesso alleghi e dimostri il maggior danno ai sensi dell'articolo 1224 c.c., comma 2, detta norma attenendo alle conseguenze dannose dell'inadempimento, ulteriori rispetto a quelle riparabili con la corresponsione degli interessi, relativamente alle sole obbligazioni pecuniarie."

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con atto notificato il 18-7-1995, la B. N. d. L. conveniva in giudizio, avanti al Tribunale di Pistoia, il notaio R.M. per sentirlo condannare al pagamento della somma di lire 1.245.404.933, oltre interessi dal 31-5-1994, previo accertamento della sua colpa professionale, nell'espletamento dell'incarico a lui conferito dalla Sezione Speciale per il Credito Industriale presso la B. (poi confluita nella B. s.p.a.). A sostegno della propria domanda, la B. esponeva quanto segue:
con Delib. 7 maggio 1992, l'allora Sezione Speciale per il Credito Industriale della B. N. d. L. (cui, per successive incorporazioni, era succeduta la B. s.p.a.) autorizzò la concessione, alla s.r.l. " C. I. " di Portoferraio, di un finanziamento di lire 1.300.000.000, previa costituzione di un'ipoteca di primo grado sull'immobile ad uso commerciale situato in (...);
con successiva lettera raccomandata del 10-6-1992, la suddetta Sezione conferì a notaio R.M. il mandato di predisporre e, poi, stipulare il contratto di finanziamento, secondo uno schema trasmessogli unitamente ad un "capitolato" che ne doveva formare parte integrante. Contestualmente, il professionista veniva incaricato di accertare e certificare l'esistenza dei presupposti che la B. riteneva necessari per il finanziamento ed, in primo luogo, la circostanza, essenziale ed imprescindibile, che l'immobile da ipotecare fosse di proprietà del futuro mutuatario e che non fosse gravato da qualsiasi iscrizione e/o trascrizione pregiudizievole (nel ventennio), così da poter essere ultimamente assoggettato alla ipoteca di primo grado prevista come necessaria garanzia della restituzione delle somme da erogare. Inoltre, il notaio, entro undici giorni dall'ultimazione di tali adempimenti, avrebbe dovuto trasmettere alla B. un suo "certificato", attestante l'avvenuta esecuzione dei vari adempimenti e, principalmente, l'avvenuta iscrizione ipotecaria di primo grado, sul predetto immobile, completamente libero da qualsiasi gravame pregiudizievole;
di fatto, il notaio R. aveva accettato l'incarico, tanto da aver poi provveduto alla predisposizione e, poi, alla stipula del contratto di finanziamento (in data 11-6-1992 repertorio ...), con il previo invio alla banca di due relazioni scritte. La prima relazione (in data 16-6-1992) attestava, tra l'altro, la libera e piena proprietà dell'immobile costituito in garanzia ipotecaria di primo grado. La seconda relazione (del 6-7-1992) attestava che lo stesso Notaio aveva esaminato i documenti e consultato attentamente le risultanze del Catasto nonchè della Conservatoria dei Registri Immobiliari, riscontrando con certezza la libera proprietà (da parte della società mutuataria) dell'immobile in questione; più esattamente, veniva certificato che, al 16-6-1992 (giorno in cui era stata iscritta l'ipoteca anzidetta), l'immobile risultava libero sia da qualsiasi trascrizione pregiudizievole, sia da iscrizioni ipotecarie, ad eccezione di una accesa per lire 1.431.000.000 in data 14-6-1990, che tuttavia riguardava una posizione debitoria completamente estinta, tanto che erano in corso le formalità di cancellazione. Nello stesso atto, il Notaio R. esprimeva parere favorevole all'erogazione effettiva del finanziamento. Conseguentemente, la Sezione Speciale del Credito Industriale accreditava alla s.r.l. I. l'intera somma mutuata;
la società ora detta veniva, poi, dichiarata fallita dal Tribunale di Livorno, con sentenza del 10-5-1994, e la Sezione, previa tempestiva domanda, era stata ammessa ai passivo quale creditrice ipotecaria "di primo grado", per il suo credito residuo di lire 1.248.404.933. Peraltro, in ulteriore prosieguo, il G.D., a seguito di domanda di insinuazione tardiva, presentata dal C. F. s.p.a., aveva ammesso al passivo il credito di tale istituto, per la somma di lire 1.111.759.848, con garanzia ipotecaria di primo grado sullo stesso immobile di (...), riconosciuta di effettiva spettanza dello stesso C. F. e non della Sezione Speciale. Conseguentemente, il ricavato della vendita fallimentare dell'immobile ora detto, pari a lire 880.000.000, era destinato, per intero, al C. F., mentre nulla avrebbe ricevuto la BN. .
Pertanto, con citazione 6-7-1995, la BN. conveniva in giudizio il notaio R.M. , contestando la negligenza di quest'ultimo nell'adempimento dell'incarico professionale assunto e chiedendo i danni per lire 1.245.404.933, oltre interessi dal 31-5-1994. Il R. , costituendosi in giudizio, chiamava in causa la due compagnie presso le quali era assicurato per la responsabilità professionale, L. N. s.p.a. e U. S. di. A. s.p.a. (poi denominata A. S. s.p.a.), e, in ogni caso, contestava in toto le avverse pretese in quanto infondate in fatto e in diritto; nella denegata ipotesi del riconoscimento di un qualche pregiudizio sofferto dalla B. , chiedeva, comunque, di accertare il colposo concorso do quest'ultima nella produzione dell'evento lesivo, limitando, in ogni caso, l'ammontare del danno risarcibile.
Costituitesi le compagnie di Assicurazioni con sentenza n. 228/2001, depositata in data 8-3-2001, il Tribunale di Pistoia condannava R. M. al pagamento in favore della B. s.p.a. a titolo di risarcimento del danno della somma di lire 311.155.000, oltre interessi secondo il saggio dell'8% annuo su lire 600.000.000 dal 18-7-1995 alla data di deposito della sentenza medesima, nonchè agli interessi secondo la misura legale dal deposito della pronuncia sino al saldo; dichiarava improponibili le domande di garanzia avanziate dal Notaio R. nei confronti de L. N. s.p.a. e di A. S. s.p.a.; disponeva di conseguenza sulle spese di lite.
Proponevano appello, in via principale, il R. e, in via incidentale la B. ; si costituivano le Compagnie e la Corte d'Appello di Firenze, con la decisione in esame n. 150/2004, depositata il 5-2-2004, in parziale riforma dell'impugnata sentenza, condannava il R. al pagamento in favore della B. di euro 85.261,00, oltre interessi.
Ricorrono per cassazione la B. N. d. L. , in via principale, con due motivi, e il R. , in via incidentale, con quattro motivi. Resistono con controricorso la M. A. s.p.a. (già L. N. C J.A.R. s.p.a.) e la A. Su. s.p.a.. Ha depositato memoria la B. N. d. L. .
MOTIVI DELLA DECISIONE
- Ricorso principale:
Con il primo motivo si deduce violazione degli articoli 1218, 1223 e 1225 c.c. nonchè falsa applicazione dell'articolo 1224 c.c., comma 2.
Si censura l'impugnata decisione nel punto in cui la Corte di merito ha escluso, in mancanza di una specifica richiesta, "la spettanza di qualsiasi rivalutazione del risarcimento dovuto alla B. ", erroneamente qualificandolo debito di valuta.
Si aggiunge che la fattispecie in esame riguarda non già un'obbligazione pecuniaria, ma l'inadempimento della specifica obbligazione di fare, che gravava sul notaio R. , in dipendenza dell'incarico professionale a lui conferito.
Si fa presente, infine, che secondo il costante insegnamento del Supremo Collegio, l'obbligazione risarcitorio che nasce dalla responsabilità contrattuale, deve esser sempre qualificata come debito di valore, poichè, eccettuato il caso regolato dal capoverso dall'articolo 1224 c.c., non ha un originario e ben precisato contenuto pecuniario e non può esser, correttamente, qualificata come "debito di valuta".
Con il secondo motivo si deduce mancanza assoluta di motivazione sull'asserita natura di obbligazione di valuta in relazione all'incarico professionale assunto dal R.
Ricorso incidentale:
Con il primo motivo si deduce violazione degli articoli 1176 e 1223 c.c. in ordine ai profili - erroneamente considerati della diligenza nell'adempimento e della risarcibilità del solo danno che sia conseguenza immediata e diretta dell'inadempimento, e relativo difetto di motivazione.
Con il secondo motivo si deduce violazione dell'articolo 1227 c.c. in relazione all'omessa considerazione del concorso di colpa del creditore, e relativo difetto di motivazione.
Con terzo motivo si deduce omessa pronuncia sulla domanda di restituzione delle somme corrisposte dal notaio R. a B. in forza della sentenza, riformata in appello, di primo grado.
Con il quarto motivo si deduce omissione di pronuncia su di una domanda prospettata dalla parte in giudizio, in relazione alla mancata pronuncia sulla domanda di dichiarazione di inefficacia e inopponibilità al notaio R. delle clausole compromissorie contenute nelle polizze assicurative de L. N. s.p.a. e A. s.p.a..
Preliminarmente si dispone la riunione dei ricorsi ai sensi dell'articolo 335 c.p.c..
Fondato e' il ricorso principale, in relazione ad entrambe le censure aventi ad oggetto la natura di debito di valore e non di valuta del debito risarcitorio del R.
Secondo, infatti, il consolidato indirizzo giurisprudenziale di questa Corte (Cass. N. 9517/2002), l'obbligazione di risarcimento del danno, per inadempimento di obbligazioni contrattuali diverse da quelle pecuniarie, costituisce, al pari dell'obbligazione risarcitoria da responsabilità extracontrattuale, un debito, non di valuta, ma di valore, in quanto tiene luogo della materiale utilità che il creditore avrebbe conseguito se avesse ricevuto la prestazione dovutagli, sicché deve tenersi conto della svalutazione monetaria nel frattempo intervenuta, senza necessità che il creditore stesso alleghi e dimostri il maggior danno ai sensi dell'articolo 1224 c.c., comma 2, detta norma attenendo alle conseguenze dannose dell'inadempimento, ulteriori rispetto a quelle riparabili con la corresponsione degli interessi, relativamente alle sole obbligazioni pecuniarie.
E' indubbio che, nella vicenda in esame, il comportamento del R. configura un evidente inadempimento di obbligazione (per quanto accertato, con relativa motivazione, in sede di merito), derivante dall'attività professionale di notaio avente ad oggetto un facere (con specifico riferimento all'accertamento della presenza o meno di iscrizioni pregiudizievoli); in proposito condivisibile e' l'affermazione di questa Corte (Cass. N. 26663/2007) in base alla quale, con specifico riferimento alla vicenda in esame, il suddetto principio (secondo cui l'obbligazione risarcitoria e' sempre debito di valore) opera anche quando si tratta di danni conseguenti ad inadempimento di obblighi che, sebbene nascenti da un contratto che comporta l'esecuzione di prestazioni pecuniarie, abbiano specificato contenuto ed autonoma valenza attinenti ad un diverso facere ed a cosa diversa dal denaro.
Censurabile e', pertanto, l'impugnata decisione là dove afferma che l'obbligazione di risarcimento danno a carico del R. , erroneamente rapportata, per quanto sopra esposto, a inadempimento contrattuale di un'obbligazione pecuniaria, configuri un debito di valuta.
Non meritevole accoglimento e', poi, il ricorso incidentale.
Inammissibili sono i primi due motivi e il quarto in quanto vertenti su un non consentito esame nella presente sede di legittimità di circostanze di fatto, quali la diligenza nell'adempimento, il nesso causale tra fatto e danno, la ricorribilità in concreto dei presupposti per la configurazione del concorso di colpa del creditore e l'interpretazione di clausole compromissorie contenute nelle polizze assicurative.
Assorbito, infine, e' il terzo motivo, a seguito dell'accoglimento del ricorso principale.

P.Q.M.

La Corte, riuniti i ricorsi, accoglie il ricorso principale e rigetta l'incidentale. Cassa l'impugnata decisione in relazione al ricorso accolto, e rinvia anche per le spese della presente fase alla Corte d'Appello di Firenze in diversa composizione.

Responsabilità del notaio per mancata effettuazione delle visure

Cassazione Civile, Sezione 3, Sentenza n. 1335 del 20/01/2009 -
Notaio,responsabilità,visure catastali,danno,natura,valore
Ottimo commento da leggere alla fonte Avv. Raffaele Plenteda:
http://www.plentedamaggiulli.it/Giurisprudenza/Cassazione-1335-20%201%202009-1335-notaio-responsabilit%C3%A0-obbligazione-valore-avv%20raffaele-plenteda.html

"l'obbligazione di risarcimento del danno, per inadempimento di obbligazioni contrattuali diverse da quelle pecuniarie, costituisce, al pari dell'obbligazione risarcitoria da responsabilità extracontrattuale, un debito, non di valuta, ma di valore, in quanto tiene luogo della materiale utilità che il creditore avrebbe conseguito se avesse ricevuto la prestazione dovutagli, sicché deve tenersi conto della svalutazione monetaria nel frattempo intervenuta, senza necessità che il creditore stesso alleghi e dimostri il maggior danno ai sensi dell'articolo 1224 c.c., comma 2, detta norma attenendo alle conseguenze dannose dell'inadempimento, ulteriori rispetto a quelle riparabili con la corresponsione degli interessi, relativamente alle sole obbligazioni pecuniarie."

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con atto notificato il 18-7-1995, la B. N. d. L. conveniva in giudizio, avanti al Tribunale di Pistoia, il notaio R.M. per sentirlo condannare al pagamento della somma di lire 1.245.404.933, oltre interessi dal 31-5-1994, previo accertamento della sua colpa professionale, nell'espletamento dell'incarico a lui conferito dalla Sezione Speciale per il Credito Industriale presso la B. (poi confluita nella B. s.p.a.). A sostegno della propria domanda, la B. esponeva quanto segue:
con Delib. 7 maggio 1992, l'allora Sezione Speciale per il Credito Industriale della B. N. d. L. (cui, per successive incorporazioni, era succeduta la B. s.p.a.) autorizzò la concessione, alla s.r.l. " C. I. " di Portoferraio, di un finanziamento di lire 1.300.000.000, previa costituzione di un'ipoteca di primo grado sull'immobile ad uso commerciale situato in (...);
con successiva lettera raccomandata del 10-6-1992, la suddetta Sezione conferì a notaio R.M. il mandato di predisporre e, poi, stipulare il contratto di finanziamento, secondo uno schema trasmessogli unitamente ad un "capitolato" che ne doveva formare parte integrante. Contestualmente, il professionista veniva incaricato di accertare e certificare l'esistenza dei presupposti che la B. riteneva necessari per il finanziamento ed, in primo luogo, la circostanza, essenziale ed imprescindibile, che l'immobile da ipotecare fosse di proprietà del futuro mutuatario e che non fosse gravato da qualsiasi iscrizione e/o trascrizione pregiudizievole (nel ventennio), così da poter essere ultimamente assoggettato alla ipoteca di primo grado prevista come necessaria garanzia della restituzione delle somme da erogare. Inoltre, il notaio, entro undici giorni dall'ultimazione di tali adempimenti, avrebbe dovuto trasmettere alla B. un suo "certificato", attestante l'avvenuta esecuzione dei vari adempimenti e, principalmente, l'avvenuta iscrizione ipotecaria di primo grado, sul predetto immobile, completamente libero da qualsiasi gravame pregiudizievole;
di fatto, il notaio R. aveva accettato l'incarico, tanto da aver poi provveduto alla predisposizione e, poi, alla stipula del contratto di finanziamento (in data 11-6-1992 repertorio ...), con il previo invio alla banca di due relazioni scritte. La prima relazione (in data 16-6-1992) attestava, tra l'altro, la libera e piena proprietà dell'immobile costituito in garanzia ipotecaria di primo grado. La seconda relazione (del 6-7-1992) attestava che lo stesso Notaio aveva esaminato i documenti e consultato attentamente le risultanze del Catasto nonchè della Conservatoria dei Registri Immobiliari, riscontrando con certezza la libera proprietà (da parte della società mutuataria) dell'immobile in questione; più esattamente, veniva certificato che, al 16-6-1992 (giorno in cui era stata iscritta l'ipoteca anzidetta), l'immobile risultava libero sia da qualsiasi trascrizione pregiudizievole, sia da iscrizioni ipotecarie, ad eccezione di una accesa per lire 1.431.000.000 in data 14-6-1990, che tuttavia riguardava una posizione debitoria completamente estinta, tanto che erano in corso le formalità di cancellazione. Nello stesso atto, il Notaio R. esprimeva parere favorevole all'erogazione effettiva del finanziamento. Conseguentemente, la Sezione Speciale del Credito Industriale accreditava alla s.r.l. I. l'intera somma mutuata;
la società ora detta veniva, poi, dichiarata fallita dal Tribunale di Livorno, con sentenza del 10-5-1994, e la Sezione, previa tempestiva domanda, era stata ammessa ai passivo quale creditrice ipotecaria "di primo grado", per il suo credito residuo di lire 1.248.404.933. Peraltro, in ulteriore prosieguo, il G.D., a seguito di domanda di insinuazione tardiva, presentata dal C. F. s.p.a., aveva ammesso al passivo il credito di tale istituto, per la somma di lire 1.111.759.848, con garanzia ipotecaria di primo grado sullo stesso immobile di (...), riconosciuta di effettiva spettanza dello stesso C. F. e non della Sezione Speciale. Conseguentemente, il ricavato della vendita fallimentare dell'immobile ora detto, pari a lire 880.000.000, era destinato, per intero, al C. F., mentre nulla avrebbe ricevuto la BN. .
Pertanto, con citazione 6-7-1995, la BN. conveniva in giudizio il notaio R.M. , contestando la negligenza di quest'ultimo nell'adempimento dell'incarico professionale assunto e chiedendo i danni per lire 1.245.404.933, oltre interessi dal 31-5-1994. Il R. , costituendosi in giudizio, chiamava in causa la due compagnie presso le quali era assicurato per la responsabilità professionale, L. N. s.p.a. e U. S. di. A. s.p.a. (poi denominata A. S. s.p.a.), e, in ogni caso, contestava in toto le avverse pretese in quanto infondate in fatto e in diritto; nella denegata ipotesi del riconoscimento di un qualche pregiudizio sofferto dalla B. , chiedeva, comunque, di accertare il colposo concorso do quest'ultima nella produzione dell'evento lesivo, limitando, in ogni caso, l'ammontare del danno risarcibile.
Costituitesi le compagnie di Assicurazioni con sentenza n. 228/2001, depositata in data 8-3-2001, il Tribunale di Pistoia condannava R. M. al pagamento in favore della B. s.p.a. a titolo di risarcimento del danno della somma di lire 311.155.000, oltre interessi secondo il saggio dell'8% annuo su lire 600.000.000 dal 18-7-1995 alla data di deposito della sentenza medesima, nonchè agli interessi secondo la misura legale dal deposito della pronuncia sino al saldo; dichiarava improponibili le domande di garanzia avanziate dal Notaio R. nei confronti de L. N. s.p.a. e di A. S. s.p.a.; disponeva di conseguenza sulle spese di lite.
Proponevano appello, in via principale, il R. e, in via incidentale la B. ; si costituivano le Compagnie e la Corte d'Appello di Firenze, con la decisione in esame n. 150/2004, depositata il 5-2-2004, in parziale riforma dell'impugnata sentenza, condannava il R. al pagamento in favore della B. di euro 85.261,00, oltre interessi.
Ricorrono per cassazione la B. N. d. L. , in via principale, con due motivi, e il R. , in via incidentale, con quattro motivi. Resistono con controricorso la M. A. s.p.a. (già L. N. C J.A.R. s.p.a.) e la A. Su. s.p.a.. Ha depositato memoria la B. N. d. L. .
MOTIVI DELLA DECISIONE
- Ricorso principale:
Con il primo motivo si deduce violazione degli articoli 1218, 1223 e 1225 c.c. nonchè falsa applicazione dell'articolo 1224 c.c., comma 2.
Si censura l'impugnata decisione nel punto in cui la Corte di merito ha escluso, in mancanza di una specifica richiesta, "la spettanza di qualsiasi rivalutazione del risarcimento dovuto alla B. ", erroneamente qualificandolo debito di valuta.
Si aggiunge che la fattispecie in esame riguarda non già un'obbligazione pecuniaria, ma l'inadempimento della specifica obbligazione di fare, che gravava sul notaio R. , in dipendenza dell'incarico professionale a lui conferito.
Si fa presente, infine, che secondo il costante insegnamento del Supremo Collegio, l'obbligazione risarcitorio che nasce dalla responsabilità contrattuale, deve esser sempre qualificata come debito di valore, poichè, eccettuato il caso regolato dal capoverso dall'articolo 1224 c.c., non ha un originario e ben precisato contenuto pecuniario e non può esser, correttamente, qualificata come "debito di valuta".
Con il secondo motivo si deduce mancanza assoluta di motivazione sull'asserita natura di obbligazione di valuta in relazione all'incarico professionale assunto dal R.
Ricorso incidentale:
Con il primo motivo si deduce violazione degli articoli 1176 e 1223 c.c. in ordine ai profili - erroneamente considerati della diligenza nell'adempimento e della risarcibilità del solo danno che sia conseguenza immediata e diretta dell'inadempimento, e relativo difetto di motivazione.
Con il secondo motivo si deduce violazione dell'articolo 1227 c.c. in relazione all'omessa considerazione del concorso di colpa del creditore, e relativo difetto di motivazione.
Con terzo motivo si deduce omessa pronuncia sulla domanda di restituzione delle somme corrisposte dal notaio R. a B. in forza della sentenza, riformata in appello, di primo grado.
Con il quarto motivo si deduce omissione di pronuncia su di una domanda prospettata dalla parte in giudizio, in relazione alla mancata pronuncia sulla domanda di dichiarazione di inefficacia e inopponibilità al notaio R. delle clausole compromissorie contenute nelle polizze assicurative de L. N. s.p.a. e A. s.p.a..
Preliminarmente si dispone la riunione dei ricorsi ai sensi dell'articolo 335 c.p.c..
Fondato e' il ricorso principale, in relazione ad entrambe le censure aventi ad oggetto la natura di debito di valore e non di valuta del debito risarcitorio del R.
Secondo, infatti, il consolidato indirizzo giurisprudenziale di questa Corte (Cass. N. 9517/2002), l'obbligazione di risarcimento del danno, per inadempimento di obbligazioni contrattuali diverse da quelle pecuniarie, costituisce, al pari dell'obbligazione risarcitoria da responsabilità extracontrattuale, un debito, non di valuta, ma di valore, in quanto tiene luogo della materiale utilità che il creditore avrebbe conseguito se avesse ricevuto la prestazione dovutagli, sicché deve tenersi conto della svalutazione monetaria nel frattempo intervenuta, senza necessità che il creditore stesso alleghi e dimostri il maggior danno ai sensi dell'articolo 1224 c.c., comma 2, detta norma attenendo alle conseguenze dannose dell'inadempimento, ulteriori rispetto a quelle riparabili con la corresponsione degli interessi, relativamente alle sole obbligazioni pecuniarie.
E' indubbio che, nella vicenda in esame, il comportamento del R. configura un evidente inadempimento di obbligazione (per quanto accertato, con relativa motivazione, in sede di merito), derivante dall'attività professionale di notaio avente ad oggetto un facere (con specifico riferimento all'accertamento della presenza o meno di iscrizioni pregiudizievoli); in proposito condivisibile e' l'affermazione di questa Corte (Cass. N. 26663/2007) in base alla quale, con specifico riferimento alla vicenda in esame, il suddetto principio (secondo cui l'obbligazione risarcitoria e' sempre debito di valore) opera anche quando si tratta di danni conseguenti ad inadempimento di obblighi che, sebbene nascenti da un contratto che comporta l'esecuzione di prestazioni pecuniarie, abbiano specificato contenuto ed autonoma valenza attinenti ad un diverso facere ed a cosa diversa dal denaro.
Censurabile e', pertanto, l'impugnata decisione là dove afferma che l'obbligazione di risarcimento danno a carico del R. , erroneamente rapportata, per quanto sopra esposto, a inadempimento contrattuale di un'obbligazione pecuniaria, configuri un debito di valuta.
Non meritevole accoglimento e', poi, il ricorso incidentale.
Inammissibili sono i primi due motivi e il quarto in quanto vertenti su un non consentito esame nella presente sede di legittimità di circostanze di fatto, quali la diligenza nell'adempimento, il nesso causale tra fatto e danno, la ricorribilità in concreto dei presupposti per la configurazione del concorso di colpa del creditore e l'interpretazione di clausole compromissorie contenute nelle polizze assicurative.
Assorbito, infine, e' il terzo motivo, a seguito dell'accoglimento del ricorso principale.

P.Q.M.

La Corte, riuniti i ricorsi, accoglie il ricorso principale e rigetta l'incidentale. Cassa l'impugnata decisione in relazione al ricorso accolto, e rinvia anche per le spese della presente fase alla Corte d'Appello di Firenze in diversa composizione.

danno da insidia stradale

Cassazione III civile 2 dicembre 2008 - 23 gennaio 2009, n. 1691
Insidie stradali,circolazione stradale,pedone,risarcimento,responsabilità,danno
Sintesi commento e massima su:
http://www.altalex.com/index.php?idnot=44721

"In questa direzione si è orientata anche negli ultimi anni la giurisprudenza di questa Corte, i cui più recenti arresti hanno segnalato, con particolare riguardo al demanio stradale, la necessità che la configurabilità della possibilità in concreto della custodia debba essere indagata non soltanto con riguardo all'estensione della strada, ma anche alle sue caratteristiche, alla posizione, alle dotazioni, ai sistemi di assistenza che lo connotano, agli strumenti che il progresso tecnologico appresta, in quanto tali caratteristiche acquistano rilievo condizionante anche delle aspettative degli utenti, rilevando ancora, quanto alle strade comunali, come figura sintomatica della possibilità del loro effettivo controllo, la circostanza che le stesse si trovino all'interno della perimetrazione del centro abitato (v. Cass. n. 3651/2006; n. 15384/2006)."
...
"la presunzione di responsabilità per il danno cagionato dalle cose che si hanno in custodia, stabilita dall'art. 2051 cc, è applicabile nei confronti dei comuni, quali proprietari delle strade del demanio comunale, pur se tali beni siano oggetto di un uso generale e diretto da parte dei cittadini, qualora la loro estensione sia tale da consentire l'esercizio di un continuo ed efficace controllo che sia idoneo ad impedire l'insorgenza di cause di pericolo per i terzi"

(Presidente Filadoro - Relatore Federico)

Svolgimento del processo
Con atto notificato il 17.3.98 A. V., premesso che il giorno 16.6.97 circolava in Roma alla guida del proprio ciclomotore e che, giunto all'altezza di via Damiano Chiesa (direzione Balduina), in una curva sinistrorsa il motociclo scivolava sul gasolio presente sul manto stradale, travolgendo esso esponente, che riportava gravi lesioni giudicate guaribili in 40 gg. s.c., conveniva in giudizio dinanzi al Tribunale di Roma il Comune di Roma per sentirlo condannare al risarcimento di tutti i danni subiti in conseguenza di detto sinistro.
Si costituiva il Comune di Roma, che in via preliminare chiedeva di essere autorizzato a chiamare in causa l'impresa A. V., appaltatrice dei lavori di manutenzione stradale all'epoca del sinistro ed unica responsabile dell'evento per cui era causa, ed instava che fosse manlevato e/o rimborsato di quanto si dovesse versare a chicchessia per sorte, interessi e spese.
Si costituiva anche l'Impresa V., chiedendo il rigetto della domanda di manleva e di garanzia proposta dal Comune e di quella principale proposta dall'attore.
Espletata l'istruzione, l'adito Tribunale rigettava la domanda dell'A.: interposto appello da parte di quest'ultimo, si costituivano sia il Comune, che chiedeva il rigetto del gravame e proponeva appello incidentale condizionato per la condanna dell'Impresa V. a manlevarlo e garantire, che quest'ultima impresa, che concludeva per il rigetto di entrambe le domande.
Con sentenza depositata il 5.7.04 la Corte di appello di Roma rigettava entrambi gli appelli, e contro tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione l'A., con due motivi, mentre sia il Comune di Roma che l'Impresa V. hanno resistito con controricorso, con cui hanno sollevato ricorso incidentale condizionato.
Motivi della decisione
Va disposta preliminarmente la riunione dei ricorsi ex art. 335 cpc.
A) Ricorso n. 27669/04
1. Il primo motivo, con cui il ricorrente lamenta la violazione degli artt. 2051 cc, 14 cds, 1655 e segg. cc, nonché illogica, apodittica ed omessa motivazione su più punti decisivi della controversia, avendo la Corte di merito erroneamente ritenuto - pur avendo riconosciuto come provata la preesistenza di gasolio sparso sulla strada, nonché la circostanza che analoghi spargimenti in passato avevano dato luogo a vari sinistri - che al caso di specie non potesse applicarsi il disposto dell'art. 2051 cc, deve ritenersi fondato.
Giustamente, infatti, la ricorrente si duole che in ordine ai danni subiti dall'utente in conseguenza dell'omessa o insufficiente manutenzione delle strade pubbliche la Corte territoriale abbia in modo aprioristico ritenuto che il referente normativo per l'inquadramento della responsabilità della P.A. è costituito, non dall'art. 2051 c.c. (che sancirebbe una presunzione inapplicabile nei confronti della P.A. con riferimento ai beni demaniali quando siano oggetto di un uso generale ed ordinario da parte dei terzi) ma dall'art. 2043 c.c., che impone invece, nell'osservanza della norma primaria del neminem laedere, di far sì che la strada aperta al pubblico transito non integri per l'utente una situazione di pericolo occulto.
In realtà, la Corte di merito ha fatto proprio un orientamento giurisprudenziale ormai obsoleto e che non tiene conto dell'evoluzione della giurisprudenza in subiecta materia a partire dalla nota pronuncia n. 156 del 10.5.1999 della Corte costituzionale.
La quale ebbe, infatti, ad affermare il principio che alla P.A. non era applicabile la disciplina normativa dettata dall'art. 2051 c.c. solo allorquando “sul bene di sua proprietà non sia possibile - per la notevole estensione di esso e le modalità di uso, diretto e generale, da parte di terzi - un continuo, efficace controllo, idoneo ad impedire l'insorgenza dì cause di pericolo per gli utenti”.
Ne deriva che, secondo tale autorevole interprete, il fattore decisivo per l'applicabilità della disciplina ex art. 2051 c.c. debba individuarsi nella possibilità o meno di esercitare un potere di controllo e di vigilanza sui beni demaniali, con la conseguenza che l'impossibilità di siffatto potere non potrebbe ricollegarsi puramente e semplicemente alla notevole estensione del bene e all'uso generale e diretto da parte dei terzi, considerati meri indici di tale impossibilità, ma all'esito di una complessa indagine condotta dal giudice di merito con riferimento al caso singolo, che tenga in debito conto innanzitutto gli indici suddetti.
In questa direzione si è orientata anche negli ultimi anni la giurisprudenza di questa Corte, i cui più recenti arresti hanno segnalato, con particolare riguardo al demanio stradale, la necessità che la configurabilità della possibilità in concreto della custodia debba essere indagata non soltanto con riguardo all'estensione della strada, ma anche alle sue caratteristiche, alla posizione, alle dotazioni, ai sistemi di assistenza che lo connotano, agli strumenti che il progresso tecnologico appresta, in quanto tali caratteristiche acquistano rilievo condizionante anche delle aspettative degli utenti, rilevando ancora, quanto alle strade comunali, come figura sintomatica della possibilità del loro effettivo controllo, la circostanza che le stesse si trovino all'interno della perimetrazione del centro abitato (v. Cass. n. 3651/2006; n. 15384/2006).
Questo procedimento di verifica in merito all'esistenza del potere di controllo e vigilanza, di cui si discute, è stato invece totalmente omesso dalla Corte di merito, che si è trincerata dietro l'inapplicabilità in via di principio dell'art. 2051 c.c. alla manutenzione delle strade da parte della P.A.
Alla luce delle considerazioni che precedono va, dunque, affermato il principio che la presunzione di responsabilità per il danno cagionato dalle cose che si hanno in custodia, stabilita dall'art. 2051 cc, è applicabile nei confronti dei comuni, quali proprietari delle strade del demanio comunale, pur se tali beni siano oggetto di un uso generale e diretto da parte dei cittadini, qualora la loro estensione sia tale da consentire l'esercizio di un continuo ed efficace controllo che sia idoneo ad impedire l'insorgenza di cause di pericolo per i terzi.
Sintomatico, in questo senso, deve considerarsi la circostanza, anch'essa tenuta presente dalla Corte di merito (ma da questa non valorizzata ai fini della riconducibilità della responsabilità del Comune di Roma nell'ambito di cui all'art. 2051 cc), che ha riguardo alla suddivisione in “zone” della manutenzione delle strade del territorio comunale, affidata in appalto a varie imprese, tra cui quella A. V..
È indubbio, infatti, che, contrariamente a quanto ritenuto in sentenza gravata, tale “zonizzazione” comporta per il Comune, sul piano meramente fattuale, un maggiore grado di possibilità di sorveglianza e di controllo sui beni del demanio stradale, con conseguente responsabilità del Comune stesso per i danni da essi cagionato, salvo ricorso del caso fortuito.
Né può sostenersi che l'affidamento della manutenzione stradale in appalto alle singole imprese sottrarrebbe la sorveglianza ed il controllo, di cui si discute, al Comune, per assegnarli all'impresa appaltatrice, che così risponderebbe direttamente in caso d'inadempimento: infatti, il contratto d'appalto per la manutenzione delle strade di parte del territorio comunale costituisce soltanto lo strumento tecnico-giuridico per la realizzazione in concreto del compito istituzionale, proprio dell'ente territoriale, di provvedere alla manutenzione, gestione e pulizia delle strade di sua proprietà ai sensi dell'art. 14 del vigente Codice della strada, per cui deve ritenersi che l'esistenza di tale contratto di appalto non vale affatto ad escludere la responsabilità del Comune committente nei confronti degli utenti delle singole strade ai sensi dell'art. 2051 cc.
2. Il secondo motivo, con cui viene dedotta la violazione degli artt. 2043 cc e 115 cpc, nonché illogica, apodittica ed omessa motivazione circa un punto decisivo, per non avere la Corte di merito spiegato adeguatamente le ragioni per cui era stata esclusa la sussistenza dì un'insidia o trabocchetto, resta assorbito in conseguenza dell'accoglimento del primo motivo.
B) Ricorso n. 1573/05 e ricorso n. 1701/05
Sia il ricorso incidentale condizionato, con cui il Comune di Roma, nell'ipotesi di accoglimento del ricorso principale, ripropone la questione dell'obbligo dell'Impresa V. A. a manlevarlo, stante la sua responsabilità nella produzione dell'evento dannoso, che quello incidentale, sempre condizionato all'accoglimento del ricorso principale, con cui l'Impresa predetta deduce l'insussistenza del diritto del Comune di Roma ad essere garantito e manlevato, con la condanna di chi di dovere alla rifusione in suo favore delle spese di tutti i gradi di giudizio, restano assorbiti a seguito dell'accoglimento del primo motivo del ricorso principale.
C) In conclusione, viene accolto il primo motivo del ricorso principale, assorbito il secondo motivo, ed assorbiti altresì i ricorsi incidentali condizionati, e conseguentemente la sentenza impugnata va cassata in relazione, con rinvio della causa dinanzi alla Corte di Appello di Roma in diversa composizione che, oltre che uniformarsi al principio di diritto enunciato al punto 1. della presente sentenza, provvederà anche in ordine alle spese del giudizio dì cassazione.

P.Q.M.

Riunisce i ricorsi, accoglie il primo motivo del ricorso principale, assorbito il secondo motivo, ed assorbiti altresì i ricorsi incidentali proposti dal Comune di Roma e dall'Impresa A. V., cassa in relazione la sentenza impugnata e rinvia la causa dinanzi alla Corte d'Appello di Roma in diversa composizione, che provvederà anche in ordine alle spese del presente giudizio di cassazione.

danno da insidia stradale

Cassazione III civile 2 dicembre 2008 - 23 gennaio 2009, n. 1691
Insidie stradali,circolazione stradale,pedone,risarcimento,responsabilità,danno
Sintesi commento e massima su:
http://www.altalex.com/index.php?idnot=44721

"In questa direzione si è orientata anche negli ultimi anni la giurisprudenza di questa Corte, i cui più recenti arresti hanno segnalato, con particolare riguardo al demanio stradale, la necessità che la configurabilità della possibilità in concreto della custodia debba essere indagata non soltanto con riguardo all'estensione della strada, ma anche alle sue caratteristiche, alla posizione, alle dotazioni, ai sistemi di assistenza che lo connotano, agli strumenti che il progresso tecnologico appresta, in quanto tali caratteristiche acquistano rilievo condizionante anche delle aspettative degli utenti, rilevando ancora, quanto alle strade comunali, come figura sintomatica della possibilità del loro effettivo controllo, la circostanza che le stesse si trovino all'interno della perimetrazione del centro abitato (v. Cass. n. 3651/2006; n. 15384/2006)."
...
"la presunzione di responsabilità per il danno cagionato dalle cose che si hanno in custodia, stabilita dall'art. 2051 cc, è applicabile nei confronti dei comuni, quali proprietari delle strade del demanio comunale, pur se tali beni siano oggetto di un uso generale e diretto da parte dei cittadini, qualora la loro estensione sia tale da consentire l'esercizio di un continuo ed efficace controllo che sia idoneo ad impedire l'insorgenza di cause di pericolo per i terzi"

(Presidente Filadoro - Relatore Federico)

Svolgimento del processo
Con atto notificato il 17.3.98 A. V., premesso che il giorno 16.6.97 circolava in Roma alla guida del proprio ciclomotore e che, giunto all'altezza di via Damiano Chiesa (direzione Balduina), in una curva sinistrorsa il motociclo scivolava sul gasolio presente sul manto stradale, travolgendo esso esponente, che riportava gravi lesioni giudicate guaribili in 40 gg. s.c., conveniva in giudizio dinanzi al Tribunale di Roma il Comune di Roma per sentirlo condannare al risarcimento di tutti i danni subiti in conseguenza di detto sinistro.
Si costituiva il Comune di Roma, che in via preliminare chiedeva di essere autorizzato a chiamare in causa l'impresa A. V., appaltatrice dei lavori di manutenzione stradale all'epoca del sinistro ed unica responsabile dell'evento per cui era causa, ed instava che fosse manlevato e/o rimborsato di quanto si dovesse versare a chicchessia per sorte, interessi e spese.
Si costituiva anche l'Impresa V., chiedendo il rigetto della domanda di manleva e di garanzia proposta dal Comune e di quella principale proposta dall'attore.
Espletata l'istruzione, l'adito Tribunale rigettava la domanda dell'A.: interposto appello da parte di quest'ultimo, si costituivano sia il Comune, che chiedeva il rigetto del gravame e proponeva appello incidentale condizionato per la condanna dell'Impresa V. a manlevarlo e garantire, che quest'ultima impresa, che concludeva per il rigetto di entrambe le domande.
Con sentenza depositata il 5.7.04 la Corte di appello di Roma rigettava entrambi gli appelli, e contro tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione l'A., con due motivi, mentre sia il Comune di Roma che l'Impresa V. hanno resistito con controricorso, con cui hanno sollevato ricorso incidentale condizionato.
Motivi della decisione
Va disposta preliminarmente la riunione dei ricorsi ex art. 335 cpc.
A) Ricorso n. 27669/04
1. Il primo motivo, con cui il ricorrente lamenta la violazione degli artt. 2051 cc, 14 cds, 1655 e segg. cc, nonché illogica, apodittica ed omessa motivazione su più punti decisivi della controversia, avendo la Corte di merito erroneamente ritenuto - pur avendo riconosciuto come provata la preesistenza di gasolio sparso sulla strada, nonché la circostanza che analoghi spargimenti in passato avevano dato luogo a vari sinistri - che al caso di specie non potesse applicarsi il disposto dell'art. 2051 cc, deve ritenersi fondato.
Giustamente, infatti, la ricorrente si duole che in ordine ai danni subiti dall'utente in conseguenza dell'omessa o insufficiente manutenzione delle strade pubbliche la Corte territoriale abbia in modo aprioristico ritenuto che il referente normativo per l'inquadramento della responsabilità della P.A. è costituito, non dall'art. 2051 c.c. (che sancirebbe una presunzione inapplicabile nei confronti della P.A. con riferimento ai beni demaniali quando siano oggetto di un uso generale ed ordinario da parte dei terzi) ma dall'art. 2043 c.c., che impone invece, nell'osservanza della norma primaria del neminem laedere, di far sì che la strada aperta al pubblico transito non integri per l'utente una situazione di pericolo occulto.
In realtà, la Corte di merito ha fatto proprio un orientamento giurisprudenziale ormai obsoleto e che non tiene conto dell'evoluzione della giurisprudenza in subiecta materia a partire dalla nota pronuncia n. 156 del 10.5.1999 della Corte costituzionale.
La quale ebbe, infatti, ad affermare il principio che alla P.A. non era applicabile la disciplina normativa dettata dall'art. 2051 c.c. solo allorquando “sul bene di sua proprietà non sia possibile - per la notevole estensione di esso e le modalità di uso, diretto e generale, da parte di terzi - un continuo, efficace controllo, idoneo ad impedire l'insorgenza dì cause di pericolo per gli utenti”.
Ne deriva che, secondo tale autorevole interprete, il fattore decisivo per l'applicabilità della disciplina ex art. 2051 c.c. debba individuarsi nella possibilità o meno di esercitare un potere di controllo e di vigilanza sui beni demaniali, con la conseguenza che l'impossibilità di siffatto potere non potrebbe ricollegarsi puramente e semplicemente alla notevole estensione del bene e all'uso generale e diretto da parte dei terzi, considerati meri indici di tale impossibilità, ma all'esito di una complessa indagine condotta dal giudice di merito con riferimento al caso singolo, che tenga in debito conto innanzitutto gli indici suddetti.
In questa direzione si è orientata anche negli ultimi anni la giurisprudenza di questa Corte, i cui più recenti arresti hanno segnalato, con particolare riguardo al demanio stradale, la necessità che la configurabilità della possibilità in concreto della custodia debba essere indagata non soltanto con riguardo all'estensione della strada, ma anche alle sue caratteristiche, alla posizione, alle dotazioni, ai sistemi di assistenza che lo connotano, agli strumenti che il progresso tecnologico appresta, in quanto tali caratteristiche acquistano rilievo condizionante anche delle aspettative degli utenti, rilevando ancora, quanto alle strade comunali, come figura sintomatica della possibilità del loro effettivo controllo, la circostanza che le stesse si trovino all'interno della perimetrazione del centro abitato (v. Cass. n. 3651/2006; n. 15384/2006).
Questo procedimento di verifica in merito all'esistenza del potere di controllo e vigilanza, di cui si discute, è stato invece totalmente omesso dalla Corte di merito, che si è trincerata dietro l'inapplicabilità in via di principio dell'art. 2051 c.c. alla manutenzione delle strade da parte della P.A.
Alla luce delle considerazioni che precedono va, dunque, affermato il principio che la presunzione di responsabilità per il danno cagionato dalle cose che si hanno in custodia, stabilita dall'art. 2051 cc, è applicabile nei confronti dei comuni, quali proprietari delle strade del demanio comunale, pur se tali beni siano oggetto di un uso generale e diretto da parte dei cittadini, qualora la loro estensione sia tale da consentire l'esercizio di un continuo ed efficace controllo che sia idoneo ad impedire l'insorgenza di cause di pericolo per i terzi.
Sintomatico, in questo senso, deve considerarsi la circostanza, anch'essa tenuta presente dalla Corte di merito (ma da questa non valorizzata ai fini della riconducibilità della responsabilità del Comune di Roma nell'ambito di cui all'art. 2051 cc), che ha riguardo alla suddivisione in “zone” della manutenzione delle strade del territorio comunale, affidata in appalto a varie imprese, tra cui quella A. V..
È indubbio, infatti, che, contrariamente a quanto ritenuto in sentenza gravata, tale “zonizzazione” comporta per il Comune, sul piano meramente fattuale, un maggiore grado di possibilità di sorveglianza e di controllo sui beni del demanio stradale, con conseguente responsabilità del Comune stesso per i danni da essi cagionato, salvo ricorso del caso fortuito.
Né può sostenersi che l'affidamento della manutenzione stradale in appalto alle singole imprese sottrarrebbe la sorveglianza ed il controllo, di cui si discute, al Comune, per assegnarli all'impresa appaltatrice, che così risponderebbe direttamente in caso d'inadempimento: infatti, il contratto d'appalto per la manutenzione delle strade di parte del territorio comunale costituisce soltanto lo strumento tecnico-giuridico per la realizzazione in concreto del compito istituzionale, proprio dell'ente territoriale, di provvedere alla manutenzione, gestione e pulizia delle strade di sua proprietà ai sensi dell'art. 14 del vigente Codice della strada, per cui deve ritenersi che l'esistenza di tale contratto di appalto non vale affatto ad escludere la responsabilità del Comune committente nei confronti degli utenti delle singole strade ai sensi dell'art. 2051 cc.
2. Il secondo motivo, con cui viene dedotta la violazione degli artt. 2043 cc e 115 cpc, nonché illogica, apodittica ed omessa motivazione circa un punto decisivo, per non avere la Corte di merito spiegato adeguatamente le ragioni per cui era stata esclusa la sussistenza dì un'insidia o trabocchetto, resta assorbito in conseguenza dell'accoglimento del primo motivo.
B) Ricorso n. 1573/05 e ricorso n. 1701/05
Sia il ricorso incidentale condizionato, con cui il Comune di Roma, nell'ipotesi di accoglimento del ricorso principale, ripropone la questione dell'obbligo dell'Impresa V. A. a manlevarlo, stante la sua responsabilità nella produzione dell'evento dannoso, che quello incidentale, sempre condizionato all'accoglimento del ricorso principale, con cui l'Impresa predetta deduce l'insussistenza del diritto del Comune di Roma ad essere garantito e manlevato, con la condanna di chi di dovere alla rifusione in suo favore delle spese di tutti i gradi di giudizio, restano assorbiti a seguito dell'accoglimento del primo motivo del ricorso principale.
C) In conclusione, viene accolto il primo motivo del ricorso principale, assorbito il secondo motivo, ed assorbiti altresì i ricorsi incidentali condizionati, e conseguentemente la sentenza impugnata va cassata in relazione, con rinvio della causa dinanzi alla Corte di Appello di Roma in diversa composizione che, oltre che uniformarsi al principio di diritto enunciato al punto 1. della presente sentenza, provvederà anche in ordine alle spese del giudizio dì cassazione.

P.Q.M.

Riunisce i ricorsi, accoglie il primo motivo del ricorso principale, assorbito il secondo motivo, ed assorbiti altresì i ricorsi incidentali proposti dal Comune di Roma e dall'Impresa A. V., cassa in relazione la sentenza impugnata e rinvia la causa dinanzi alla Corte d'Appello di Roma in diversa composizione, che provvederà anche in ordine alle spese del presente giudizio di cassazione.

Danno da perdita di chance: le Sezioni Unite 1850 del 29 I 2009


Cassazione civile, SS.UU., sentenza 29.01.2009 n. 1850 - (787)
Perdita di chance,nesso causale,quantificazione,risarcimento,danni,civile
Fonte:
http://www.iusetnorma.it/news_giurisprudenza/giurisprudenza/cass-29-01-09n1850.htm

"il creditore che voglia ottenere, oltre al rimborso delle spese sostenute, anche i danni derivanti dalla perdita di “chance” - che, come concreta ed effettiva occasione favorevole di conseguire un determinato bene, non è una mera aspettativa di fatto ma un'entità patrimoniale a sé stante, giuridicamente ed economicamente suscettibile di autonoma valutazione - ha l'onere di provare, pur se solo in modo presuntivo o secondo un calcolo di probabilità, la realizzazione in concreto di alcuni dei presupposti per il raggiungimento del risultato sperato e impedito dalla condotta illecita della quale il danno risarcibile dev'essere conseguenza immediata e diretta”
(Cass., sez. L, 20 giugno 2008, n. 16877, m. 603883, Cass., sez. III, 28 gennaio 2005, n. 1752, m. 578787).

Le Sezioni Unite

Motivi della decisione
1. Riuniti i ricorsi in applicazione dell'art. 335 c.p.c., va esaminato innanzitutto il ricorso incidentale, che propone due questioni pregiudiziali.
2.1 - Con il primo motivo la ricorrente incidentale ripropone infatti 1'eccezione di difetto di giurisdizione del giudice ordinario, già proposta nelle fasi di merito.
Sostiene che in tanto il giudice del merito ha dichiarato illegittimi i dinieghi dell'autorizzazione richiesta da G. C., in quanto ha ritenuto illegittimo e perciò disapplicato il regolamento provinciale di cui i provvedimenti controversi erano attuazione. Ma il regolamento provinciale, in quanto atto generale, non poteva essere disapplicato, non essendo idoneo a incidere su posizioni soggettive individuali. E ciò a maggior ragione in una materia, come quella dei servizi pubblici essenziali qual è quello di autoscuola, che l'art. 7 della legge 21 luglio 2005, n. 205, riserva alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo.
Con il secondo motivo la ricorrente incidentale eccepisce la violazione del giudicato formatosi sulla legittimità del regolamento provinciale. Infatti l'unico giudizio promosso davanti al giudice amministrativo, nel quale era stato formalmente impugnato il regolamento, si era concluso con una sentenza dichiarativa della perenzione del processo e mai impugnata. Sicché la legittimità del regolamento non poteva più essere rimessa in discussione.
2.2 - Il ricorso incidentale è infondato.
Quanto al primo motivo, va rilevato che, secondo la giurisprudenza di questa Corte, la domanda risarcitoria nei confronti della pubblica amministrazione per illegittimo esercizio di una funzione pubblica proposta prima dell'entrata in vigore del d.lgs. n. 80 del 1998, modificato poi dalla legge 21 luglio 2000 n. 205, rientra nella giurisdizione del giudice ordinario anche se venga dedotta la lesione di un interesse legittimo che, al pari di quella di un diritto soggettivo o di altro interesse giuridicamente rilevante, può esser fonte di responsabilità aquiliana e, quindi, dar luogo al risarcimento del danno ingiusto (Cass., sez. I, 17 ottobre 2007, n. 21850, m. 599711). Sicché in questi casi il giudice ordinario adito può procedere direttamente ad accertare l'illegittimità del provvedimento amministrativo nell'ambito della verifica della qualificabilità del fatto controverso come illecito a norma dell'art. 2043 c.c., “non essendo più ravvisabile la pregiudizialità del giudizio di annullamento dell'atto dinanzi al giudice amministrativo, in passato costantemente affermata in quanto solo in tal modo si perveniva all'emersione del diritto soggettivo, unica situazione giuridica soggettiva la cui lesione si riteneva tutelabile dinanzi al giudice ordinario” (Cass., sez. III, 22 luglio 2004, n. 13619, m. 575434, Cass., sez. III, 25 agosto 2006, n. 18486, m. 592067).
Né la natura generale o regolamentare di un atto può essere considerata ostativa alla sua disapplicazione da parte del giudice ordinario, posto che sono appunto i “regolamenti generali e locali”, che, ai sensi dell'art. 5 della legge 20 marzo 1865 n. 2248, all. E, il giudice ha il potere dovere di disapplicare ove illegittimi (Cass., sez. L, 15 febbraio 1985, n. 1304, m. 439393), anche quando sono solo presupposto dell'atto direttamente lesivo della situazione soggettiva individuale (Cass., sez. L, 18 agosto 2004, n. 16175, m. 576531).
Quanto al secondo motivo, si tratta di censura manifestamente infondata, perché la sentenza del Tribunale amministrativo per la Lombardia invocata dal ricorrente dichiarò improcedibile per carenza sopravvenuta di interesse il ricorso di C., che aveva ottenuto alla fine l'autorizzazione lungamente attesa. E la dichiarazione di improcedibilità per carenza di interesse è incompatibile con qualsiasi effetto di giudicato sulla legittimità dell'atto impugnato (Cons. Stato, sez. IV, 20 gennaio 2006, n. 143).
3.1 - Con il primo motivo del suo ricorso il ricorrente principale deduce violazione degli art. 193 e 194 c.p.c., vizi di motivazione della decisione impugnata, erroneamente fondata su una consulenza tecnica d'ufficio che aveva illegittimamente omesso di rispondere ai quesiti sul danno da mancato guadagno.
Sostiene che il consulente d'ufficio:
a) avrebbe dovuto rispondere ai quesiti postigli, indipendentemente dalla documentazione prodottagli dal consulente di parte e ritenuta carente o inidonea in quanto non ufficiale;
b) avrebbe dovuto accertare direttamente il costo medio di un corso di autoscuola, anche basandosi sulla dichiarazione dei redditi relativa all'anno 1999 prodotta in giudizio e anche in mancanza di elementi per determinare l'importo dei ricavi medi;
c) avrebbe dovuto determinare il numero dei potenziali utenti dell'autoscuola, fondandosi sul registro degli iscritti per l'anno 1992, anche in mancanza della dichiarazione IVA assurdamente ritenuta indispensabile;
d) avrebbe dovuto determinare la perdita assumendo le necessarie informazioni sui ricavi medi delle autoscuole della provincia, indipendentemente dalla documentazione relativa alla successiva attività della scuola, in quanto l'attore avrebbe potuto anche rinunciare a intraprendere la nuova attività dopo il 1991, senza per questo perdere il diritto al risarcimento dei danni subiti per gli anni precedenti.
Con il secondo motivo il ricorrente principale deduce violazione e falsa applicazione degli art. 1226 e 2056 c.c., lamentando l'omessa determinazione equitativa dell'entità del danno da mancato guadagno.
Sostiene che, essendo certa l'esistenza del danno, l'incertezza ineliminabile sulla sua entità effettiva ne avrebbe imposto la liquidazione equitativa.
Con il terzo motivo il ricorrente deduce infine vizi di motivazione nella valutazione delle testimonianze e della documentazione di spesa relativa alla sistemazione dei locali da destinare all'autoscuola.
Sostiene che le prove testimoniali e documentali acquisite avrebbero giustificato la liquidazione anche di tale voce di danno, arbitrariamente esclusa dalla corte d'appello.
3.2 - Anche il ricorso principale deve essere rigettato.
I due primi motivi, che vanno esaminati congiuntamente, sono entrambi infondati.
Secondo la giurisprudenza di questa Corte, infatti, “il creditore che voglia ottenere, oltre al rimborso delle spese sostenute, anche i danni derivanti dalla perdita di “chance” - che, come concreta ed effettiva occasione favorevole di conseguire un determinato bene, non è una mera aspettativa di fatto ma un'entità patrimoniale a sé stante, giuridicamente ed economicamente suscettibile di autonoma valutazione - ha l'onere di provare, pur se solo in modo presuntivo o secondo un calcolo di probabilità, la realizzazione in concreto di alcuni dei presupposti per il raggiungimento del risultato sperato e impedito dalla condotta illecita della quale il danno risarcibile dev'essere conseguenza immediata e diretta” (Cass., sez. L, 20 giugno 2008, n. 16877, m. 603883, Cass., sez. III, 28 gennaio 2005, n. 1752, m. 578787).
Nel caso in esame l'attore C., che gestiva anche un'altra autoscuola in un diverso comune e aveva finalmente avviato nel 1992 la nuova autoscuola di Cazzano di Sant'Andrea, era nelle condizioni ottimali per offrire al consulente d'ufficio tutta la documentazione necessaria alla liquidazione in via presuntiva del danno da mancato guadagno.
Come risulta dalla sentenza impugnata, e non è sostanzialmente negato neppure nel ricorso, tale documentazione non fu invece fornita, benché ripetutamente richiesta. Lo stesso elenco degli iscritti all'autoscuola, prodotto solo con riferimento all'anno 1992, era inidoneo a provare qualsiasi danno, posto che il numero degli iscritti risultava insufficiente a coprire le spese di gestione.
Ciò nondimeno il ricorrente lamenta che il consulente non abbia proceduto autonomamente all'acquisizione delle informazioni necessarie.
Ma la consulenza tecnica d'ufficio non può essere destinata a supplire alle iniziative istruttorie cui le parti sono tenute per l'onere probatorio che grava su di esse (Cass., sez. III, 26 novembre 2007, n. 24620, m. 600467, Cass., sez. I, 5 luglio 2007, n. 15219, m. 598314). Mentre la liquidazione equitativa del danno, di cui pure si lamenta l'omissione, è ammessa solo quando non sia possibile o riesca difficoltosa la sua precisa determinazione, non vi si può ricorrere per ovviare all'inadempimento della parte agli oneri probatori che le incombono (Cass., sez. II, 21 novembre 2006, n. 24680, m. 593216, Cass., sez. II, 28 giugno 2000, n. 8795, m. 538126).
Sicché risulta corretta e pertanto incensurabile la motivazione esibita dai giudici del merito per negare il risarcimento del dedotto danno da mancato guadagno.
Quanto alle spese di sistemazione dei locali da destinare ad autoscuola, i giudici del merito non negano che i relativi lavori siano stati effettivamente eseguiti. E quindi sono irrilevanti le prove testimoniali di cui si lamenta in ricorso la mancata valutazione.
I giudici del merito hanno escluso tale voce di danno per la mancanza di prova dell'effettivo esborso da parte del ricorrente della somma cui si riferisce la documentazione di spesa prodotta, che è intestata al proprietario dei locali. E nessuna censura il ricorrente ha proposto con riferimento a tale giustificazione della decisione.
Sicché il terzo motivo del ricorso è inammissibile.
4. Il rigetto di entrambi i ricorsi, con la reciproca parziale soccombenza delle parti, giustifica la compensazione integrale delle spese di questo grado del giudizio.

P.Q.M.

La Corte, pronunciando a Sezioni unite, riunisce i ricorsi, li rigetta entrambi e compensa integralmente tra le parti le spese del giudizio di legittimità.

Danno da perdita di chance: le Sezioni Unite 1850 del 29 I 2009


Cassazione civile, SS.UU., sentenza 29.01.2009 n. 1850 - (787)
Perdita di chance,nesso causale,quantificazione,risarcimento,danni,civile
Fonte:
http://www.iusetnorma.it/news_giurisprudenza/giurisprudenza/cass-29-01-09n1850.htm

"il creditore che voglia ottenere, oltre al rimborso delle spese sostenute, anche i danni derivanti dalla perdita di “chance” - che, come concreta ed effettiva occasione favorevole di conseguire un determinato bene, non è una mera aspettativa di fatto ma un'entità patrimoniale a sé stante, giuridicamente ed economicamente suscettibile di autonoma valutazione - ha l'onere di provare, pur se solo in modo presuntivo o secondo un calcolo di probabilità, la realizzazione in concreto di alcuni dei presupposti per il raggiungimento del risultato sperato e impedito dalla condotta illecita della quale il danno risarcibile dev'essere conseguenza immediata e diretta”
(Cass., sez. L, 20 giugno 2008, n. 16877, m. 603883, Cass., sez. III, 28 gennaio 2005, n. 1752, m. 578787).

Le Sezioni Unite

Motivi della decisione
1. Riuniti i ricorsi in applicazione dell'art. 335 c.p.c., va esaminato innanzitutto il ricorso incidentale, che propone due questioni pregiudiziali.
2.1 - Con il primo motivo la ricorrente incidentale ripropone infatti 1'eccezione di difetto di giurisdizione del giudice ordinario, già proposta nelle fasi di merito.
Sostiene che in tanto il giudice del merito ha dichiarato illegittimi i dinieghi dell'autorizzazione richiesta da G. C., in quanto ha ritenuto illegittimo e perciò disapplicato il regolamento provinciale di cui i provvedimenti controversi erano attuazione. Ma il regolamento provinciale, in quanto atto generale, non poteva essere disapplicato, non essendo idoneo a incidere su posizioni soggettive individuali. E ciò a maggior ragione in una materia, come quella dei servizi pubblici essenziali qual è quello di autoscuola, che l'art. 7 della legge 21 luglio 2005, n. 205, riserva alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo.
Con il secondo motivo la ricorrente incidentale eccepisce la violazione del giudicato formatosi sulla legittimità del regolamento provinciale. Infatti l'unico giudizio promosso davanti al giudice amministrativo, nel quale era stato formalmente impugnato il regolamento, si era concluso con una sentenza dichiarativa della perenzione del processo e mai impugnata. Sicché la legittimità del regolamento non poteva più essere rimessa in discussione.
2.2 - Il ricorso incidentale è infondato.
Quanto al primo motivo, va rilevato che, secondo la giurisprudenza di questa Corte, la domanda risarcitoria nei confronti della pubblica amministrazione per illegittimo esercizio di una funzione pubblica proposta prima dell'entrata in vigore del d.lgs. n. 80 del 1998, modificato poi dalla legge 21 luglio 2000 n. 205, rientra nella giurisdizione del giudice ordinario anche se venga dedotta la lesione di un interesse legittimo che, al pari di quella di un diritto soggettivo o di altro interesse giuridicamente rilevante, può esser fonte di responsabilità aquiliana e, quindi, dar luogo al risarcimento del danno ingiusto (Cass., sez. I, 17 ottobre 2007, n. 21850, m. 599711). Sicché in questi casi il giudice ordinario adito può procedere direttamente ad accertare l'illegittimità del provvedimento amministrativo nell'ambito della verifica della qualificabilità del fatto controverso come illecito a norma dell'art. 2043 c.c., “non essendo più ravvisabile la pregiudizialità del giudizio di annullamento dell'atto dinanzi al giudice amministrativo, in passato costantemente affermata in quanto solo in tal modo si perveniva all'emersione del diritto soggettivo, unica situazione giuridica soggettiva la cui lesione si riteneva tutelabile dinanzi al giudice ordinario” (Cass., sez. III, 22 luglio 2004, n. 13619, m. 575434, Cass., sez. III, 25 agosto 2006, n. 18486, m. 592067).
Né la natura generale o regolamentare di un atto può essere considerata ostativa alla sua disapplicazione da parte del giudice ordinario, posto che sono appunto i “regolamenti generali e locali”, che, ai sensi dell'art. 5 della legge 20 marzo 1865 n. 2248, all. E, il giudice ha il potere dovere di disapplicare ove illegittimi (Cass., sez. L, 15 febbraio 1985, n. 1304, m. 439393), anche quando sono solo presupposto dell'atto direttamente lesivo della situazione soggettiva individuale (Cass., sez. L, 18 agosto 2004, n. 16175, m. 576531).
Quanto al secondo motivo, si tratta di censura manifestamente infondata, perché la sentenza del Tribunale amministrativo per la Lombardia invocata dal ricorrente dichiarò improcedibile per carenza sopravvenuta di interesse il ricorso di C., che aveva ottenuto alla fine l'autorizzazione lungamente attesa. E la dichiarazione di improcedibilità per carenza di interesse è incompatibile con qualsiasi effetto di giudicato sulla legittimità dell'atto impugnato (Cons. Stato, sez. IV, 20 gennaio 2006, n. 143).
3.1 - Con il primo motivo del suo ricorso il ricorrente principale deduce violazione degli art. 193 e 194 c.p.c., vizi di motivazione della decisione impugnata, erroneamente fondata su una consulenza tecnica d'ufficio che aveva illegittimamente omesso di rispondere ai quesiti sul danno da mancato guadagno.
Sostiene che il consulente d'ufficio:
a) avrebbe dovuto rispondere ai quesiti postigli, indipendentemente dalla documentazione prodottagli dal consulente di parte e ritenuta carente o inidonea in quanto non ufficiale;
b) avrebbe dovuto accertare direttamente il costo medio di un corso di autoscuola, anche basandosi sulla dichiarazione dei redditi relativa all'anno 1999 prodotta in giudizio e anche in mancanza di elementi per determinare l'importo dei ricavi medi;
c) avrebbe dovuto determinare il numero dei potenziali utenti dell'autoscuola, fondandosi sul registro degli iscritti per l'anno 1992, anche in mancanza della dichiarazione IVA assurdamente ritenuta indispensabile;
d) avrebbe dovuto determinare la perdita assumendo le necessarie informazioni sui ricavi medi delle autoscuole della provincia, indipendentemente dalla documentazione relativa alla successiva attività della scuola, in quanto l'attore avrebbe potuto anche rinunciare a intraprendere la nuova attività dopo il 1991, senza per questo perdere il diritto al risarcimento dei danni subiti per gli anni precedenti.
Con il secondo motivo il ricorrente principale deduce violazione e falsa applicazione degli art. 1226 e 2056 c.c., lamentando l'omessa determinazione equitativa dell'entità del danno da mancato guadagno.
Sostiene che, essendo certa l'esistenza del danno, l'incertezza ineliminabile sulla sua entità effettiva ne avrebbe imposto la liquidazione equitativa.
Con il terzo motivo il ricorrente deduce infine vizi di motivazione nella valutazione delle testimonianze e della documentazione di spesa relativa alla sistemazione dei locali da destinare all'autoscuola.
Sostiene che le prove testimoniali e documentali acquisite avrebbero giustificato la liquidazione anche di tale voce di danno, arbitrariamente esclusa dalla corte d'appello.
3.2 - Anche il ricorso principale deve essere rigettato.
I due primi motivi, che vanno esaminati congiuntamente, sono entrambi infondati.
Secondo la giurisprudenza di questa Corte, infatti, “il creditore che voglia ottenere, oltre al rimborso delle spese sostenute, anche i danni derivanti dalla perdita di “chance” - che, come concreta ed effettiva occasione favorevole di conseguire un determinato bene, non è una mera aspettativa di fatto ma un'entità patrimoniale a sé stante, giuridicamente ed economicamente suscettibile di autonoma valutazione - ha l'onere di provare, pur se solo in modo presuntivo o secondo un calcolo di probabilità, la realizzazione in concreto di alcuni dei presupposti per il raggiungimento del risultato sperato e impedito dalla condotta illecita della quale il danno risarcibile dev'essere conseguenza immediata e diretta” (Cass., sez. L, 20 giugno 2008, n. 16877, m. 603883, Cass., sez. III, 28 gennaio 2005, n. 1752, m. 578787).
Nel caso in esame l'attore C., che gestiva anche un'altra autoscuola in un diverso comune e aveva finalmente avviato nel 1992 la nuova autoscuola di Cazzano di Sant'Andrea, era nelle condizioni ottimali per offrire al consulente d'ufficio tutta la documentazione necessaria alla liquidazione in via presuntiva del danno da mancato guadagno.
Come risulta dalla sentenza impugnata, e non è sostanzialmente negato neppure nel ricorso, tale documentazione non fu invece fornita, benché ripetutamente richiesta. Lo stesso elenco degli iscritti all'autoscuola, prodotto solo con riferimento all'anno 1992, era inidoneo a provare qualsiasi danno, posto che il numero degli iscritti risultava insufficiente a coprire le spese di gestione.
Ciò nondimeno il ricorrente lamenta che il consulente non abbia proceduto autonomamente all'acquisizione delle informazioni necessarie.
Ma la consulenza tecnica d'ufficio non può essere destinata a supplire alle iniziative istruttorie cui le parti sono tenute per l'onere probatorio che grava su di esse (Cass., sez. III, 26 novembre 2007, n. 24620, m. 600467, Cass., sez. I, 5 luglio 2007, n. 15219, m. 598314). Mentre la liquidazione equitativa del danno, di cui pure si lamenta l'omissione, è ammessa solo quando non sia possibile o riesca difficoltosa la sua precisa determinazione, non vi si può ricorrere per ovviare all'inadempimento della parte agli oneri probatori che le incombono (Cass., sez. II, 21 novembre 2006, n. 24680, m. 593216, Cass., sez. II, 28 giugno 2000, n. 8795, m. 538126).
Sicché risulta corretta e pertanto incensurabile la motivazione esibita dai giudici del merito per negare il risarcimento del dedotto danno da mancato guadagno.
Quanto alle spese di sistemazione dei locali da destinare ad autoscuola, i giudici del merito non negano che i relativi lavori siano stati effettivamente eseguiti. E quindi sono irrilevanti le prove testimoniali di cui si lamenta in ricorso la mancata valutazione.
I giudici del merito hanno escluso tale voce di danno per la mancanza di prova dell'effettivo esborso da parte del ricorrente della somma cui si riferisce la documentazione di spesa prodotta, che è intestata al proprietario dei locali. E nessuna censura il ricorrente ha proposto con riferimento a tale giustificazione della decisione.
Sicché il terzo motivo del ricorso è inammissibile.
4. Il rigetto di entrambi i ricorsi, con la reciproca parziale soccombenza delle parti, giustifica la compensazione integrale delle spese di questo grado del giudizio.

P.Q.M.

La Corte, pronunciando a Sezioni unite, riunisce i ricorsi, li rigetta entrambi e compensa integralmente tra le parti le spese del giudizio di legittimità.

martedì 3 marzo 2009

Elezioni Europee: da Bruxelles riceviamo e gentilmente pubblichiamo

Per la partecipazione al processo politico ed economico che sta muovendo la Comunità Europea,
in vista della maggiore integrazione che seguirà dopo il trattato di Lisbona;

Auspicando un ruolo attivo dell'avvocatura
quale tramite tra il cittadino ed i poteri costituiti.

Per garanitire i diritti e gli interessi della persona, assicurando la conoscenza delle leggi e contribuendo in tal modo all'attuazione dell'ordinamento per i fini della giustizia.

L'Avvocato Azzeccagarbugli dà il suo piccolo contributo di sensibilizzazione della persona alle temtiche del diritto e della giustizia ...
il tutto in attuazioe dei principi deontologici forensi italiani ed europei.

Ecco quindi il "Manifesto CCBE" sulle Elezioni Europee (a cura di "Conseil des barreaux européens" CCBE)


http://picasaweb.google.it/sagradelluva/ManifestoElezioniEuropee?authkey=Gv1sRgCNfS0drDuMPdswE&feat=directlink

Elezioni Europee: da Bruxelles riceviamo e gentilmente pubblichiamo

Per la partecipazione al processo politico ed economico che sta muovendo la Comunità Europea,
in vista della maggiore integrazione che seguirà dopo il trattato di Lisbona;

Auspicando un ruolo attivo dell'avvocatura
quale tramite tra il cittadino ed i poteri costituiti.

Per garanitire i diritti e gli interessi della persona, assicurando la conoscenza delle leggi e contribuendo in tal modo all'attuazione dell'ordinamento per i fini della giustizia.

L'Avvocato Azzeccagarbugli dà il suo piccolo contributo di sensibilizzazione della persona alle temtiche del diritto e della giustizia ...
il tutto in attuazioe dei principi deontologici forensi italiani ed europei.

Ecco quindi il "Manifesto CCBE" sulle Elezioni Europee (a cura di "Conseil des barreaux européens" CCBE)


http://picasaweb.google.it/sagradelluva/ManifestoElezioniEuropee?authkey=Gv1sRgCNfS0drDuMPdswE&feat=directlink

lunedì 2 marzo 2009

Per riflettere un pò ......

Coscienza e conflitto nel diritto
di Sergio Sabetta

Che cosa è la coscienza?
Essa è la consapevolezza di essere consapevoli, ossia la consapevolezza di sé (Kandel), è quindi la capacità di prestare attenzione e di riflettere sulle proprie esperienze nel contesto del nostro vissuto oltre che a focalizzare la nostra attenzione sugli eventi a noi cruciali tagliando l’evento estraneo.
Vi è quindi una unitarietà o unificazione di tutte le nostre esperienze che fa sì che vi sia una loro soggettività (Searle e Nagel ), il diritto assume pertanto la funzione di limitazione organizzativa economica della complessità del soggettivo.
La complessità derivante dal soggettivo determina ansia se concepita inconsciamente come minaccia, solo nel momento in cui ne acquista coscienza il soggetto può attivare i meccanismi di difesa, se tuttavia lo stimolo è elaborato dalla fantasia l’ansia acquista maggiore intensità. In questo scenario il diritto come ripetitività preordinata, ossia consuetudine dell’agire umano acquista una valenza non solo economica di riduzione dell’incertezza negli scambi di beni materiali e servizi, ma anche dell’ansia da conflitto nell’interagire dei rapporti umani.
Gli stati di ansia a cui seguono forme depressive sono disordini dell’emozione scatenati da fattori ambientali, Freud ha osservato che un normale stato di ansia permette di aumentare l’attenzione verso minacce potenziali dando luogo a risposte adattive, l’ansia è quindi fisiologica all’uomo sia in termini istintivi, genetici, che appresa con l’esperienza, tuttavia diventa patologica quando non è più correlata ad una minaccia, ma viene associata nella mente a comportamenti o stimoli neutri. La consuetudine nel ridurre perciò la conflittualità potenziale non riduce solo le occasioni di conflitto ma anche gli stati di ansia, favorendo il controllo delle emozioni negative nei rapporti sociali, questo comporta un rafforzamento della sensazione di sicurezza e quindi di benessere.
Come osservato da Galtung il conflitto presenta tre dimensioni : quella comportamentale relativa alle azioni compiute e osservate dalle parti, quella cognitiva legata agli atteggiamenti e alle percezioni delle parti, quella più propriamente legata al problema effettivo o materiale del conflitto; le tre dimensioni sono interdipendenti si che ogni azione ridefinisce il rapporto negoziale ed il conflitto stesso.
I fattori scatenanti il conflitto possono riguardare fattori individuali, quali valori, atteggiamenti, personalità e giudizi, fattori situazionali, quali grado di interdipendenza, differenze di status, sovrapposizioni o ambiguità di responsabilità e necessità di consenso, o fattori organizzativi, quali quelli da “posizione”, obiettivi, risorse, autorità multipla e da procedure (Tosi – Pilati ).
Comunque nasca il conflitto è un processo, un divenire che ha un antecedente, una percezione e manifestazione, un dopo che può essere risolutivo o premessa per scontri più violenti (Tosi – Pilati), il risultato è un insieme di emozioni che permangono nella coscienza del sé e generano nuovi sentimenti, si crea una storia del vissuto che influenza il divenire sia nell’ampliare la conoscenza che nel creare possibili futuri rancori.
La procedura è un metodo sia per ridurre il potenziale conflittuale fra le parti, contenendo lo spazio per la negoziazione fra gli individui, sia per ridurre l’arbitrio del decisore sul divenire del processo e sulla sua costruzione, secondo la matrice procedimentale romano-canonica per cui all’oralità subentrò la forma scritta, il giudice venne vincolato da precise norme, mentre il processo era diviso in fasi nettamente distinte da ben individuati atti, la rigidità normativa accentuata dalla evoluzione storica politico – amministrativa, quale espressione dell’autocrazia imperiale e teologale, da qui la necessità nella cultura commerciale politica latina dell’interpretazione esasperata della parola, fino ad arrivare alla relatività del sofismo nella disperata ricerca del recupero di uno spazio di elasticità o libertà di azione, contrapposta all’esasperante rigidità militare della norma stessa.
Tuttavia la procedimentalizzazione di per sé non può eliminare il conflitto, il quale diventa negativo nel preciso momento in cui si radicalizza senza soluzione, anche a causa di una sua mancata gestione, come da più parti sostenuto una certa conflittualità a bassa intensità è fisiologica a qualsiasi organizzazione biologica o sociale che sia, infatti è l’intensità, causata anche dalla mancanza di meccanismi di coordinamento e integrazione, che porta a trasformare un confronto in conflitto e guerra (Tosi – Pilati).
Se la conoscenza è il principio creativo della realtà nell’essere umano (Bergson), un trascendere l’atto di conoscenza stessa dell’oggetto dell’evento personalizzandolo (Husserl), tanto da diventare la struttura relazionale che caratterizza l’esistenza umana fino a diventare un progetto del mondo (Heidegger), la comunicazione ne diventa elemento fondamentale per la formazione della conoscenza e quindi della coscienza di sé, questa tuttavia può essere anche dubbio, senso di indeterminazione che preme verso una determinazione, un sistema di significati propri di una formazione sociale (Dewey).
La coscienza del singolo, ognuna diversa, diventa anche elemento ordinatore del caos attraverso la conflittualità/confronto a bassa intensità; l’equilibrio rotto dall’agire della moltitudine viene rimodulato in un equilibrio provvisorio, dall’ordine al disordine, ma anche all’auto-organizzazione (Rubi).
______________
Bibliografia
A. R. Damasio, Emozione e coscienza, Adelphi 2005;
J. E. Le Doux, Il cervello emotivo alle origini delle emozioni, Baldini & Castoldi 2003;
J. R. Searle, La mente, Cortina 2005;
E. R. Kandel, Alla ricerca della memoria, Codice ed. 2007;
J. Galtung, Pace con mezzi pacifici, Esperia 1996;
J. M. Rubi, La lunga mano della seconda legge, Le Scienze, 68/73, 485, gennaio 2009;
H. L. Tosi – M. Pilati, Comportamento organizzativo, Egea 2008;
A. Abbagnano, Storia della filosofia, vol. III, Utet 1974;
P. Bairati, Storia della filosofia ed esperienza in Dewey, Rivista di filosofia, LXI, 1970, 48-70.

Per riflettere un pò ......

Coscienza e conflitto nel diritto
di Sergio Sabetta

Che cosa è la coscienza?
Essa è la consapevolezza di essere consapevoli, ossia la consapevolezza di sé (Kandel), è quindi la capacità di prestare attenzione e di riflettere sulle proprie esperienze nel contesto del nostro vissuto oltre che a focalizzare la nostra attenzione sugli eventi a noi cruciali tagliando l’evento estraneo.
Vi è quindi una unitarietà o unificazione di tutte le nostre esperienze che fa sì che vi sia una loro soggettività (Searle e Nagel ), il diritto assume pertanto la funzione di limitazione organizzativa economica della complessità del soggettivo.
La complessità derivante dal soggettivo determina ansia se concepita inconsciamente come minaccia, solo nel momento in cui ne acquista coscienza il soggetto può attivare i meccanismi di difesa, se tuttavia lo stimolo è elaborato dalla fantasia l’ansia acquista maggiore intensità. In questo scenario il diritto come ripetitività preordinata, ossia consuetudine dell’agire umano acquista una valenza non solo economica di riduzione dell’incertezza negli scambi di beni materiali e servizi, ma anche dell’ansia da conflitto nell’interagire dei rapporti umani.
Gli stati di ansia a cui seguono forme depressive sono disordini dell’emozione scatenati da fattori ambientali, Freud ha osservato che un normale stato di ansia permette di aumentare l’attenzione verso minacce potenziali dando luogo a risposte adattive, l’ansia è quindi fisiologica all’uomo sia in termini istintivi, genetici, che appresa con l’esperienza, tuttavia diventa patologica quando non è più correlata ad una minaccia, ma viene associata nella mente a comportamenti o stimoli neutri. La consuetudine nel ridurre perciò la conflittualità potenziale non riduce solo le occasioni di conflitto ma anche gli stati di ansia, favorendo il controllo delle emozioni negative nei rapporti sociali, questo comporta un rafforzamento della sensazione di sicurezza e quindi di benessere.
Come osservato da Galtung il conflitto presenta tre dimensioni : quella comportamentale relativa alle azioni compiute e osservate dalle parti, quella cognitiva legata agli atteggiamenti e alle percezioni delle parti, quella più propriamente legata al problema effettivo o materiale del conflitto; le tre dimensioni sono interdipendenti si che ogni azione ridefinisce il rapporto negoziale ed il conflitto stesso.
I fattori scatenanti il conflitto possono riguardare fattori individuali, quali valori, atteggiamenti, personalità e giudizi, fattori situazionali, quali grado di interdipendenza, differenze di status, sovrapposizioni o ambiguità di responsabilità e necessità di consenso, o fattori organizzativi, quali quelli da “posizione”, obiettivi, risorse, autorità multipla e da procedure (Tosi – Pilati ).
Comunque nasca il conflitto è un processo, un divenire che ha un antecedente, una percezione e manifestazione, un dopo che può essere risolutivo o premessa per scontri più violenti (Tosi – Pilati), il risultato è un insieme di emozioni che permangono nella coscienza del sé e generano nuovi sentimenti, si crea una storia del vissuto che influenza il divenire sia nell’ampliare la conoscenza che nel creare possibili futuri rancori.
La procedura è un metodo sia per ridurre il potenziale conflittuale fra le parti, contenendo lo spazio per la negoziazione fra gli individui, sia per ridurre l’arbitrio del decisore sul divenire del processo e sulla sua costruzione, secondo la matrice procedimentale romano-canonica per cui all’oralità subentrò la forma scritta, il giudice venne vincolato da precise norme, mentre il processo era diviso in fasi nettamente distinte da ben individuati atti, la rigidità normativa accentuata dalla evoluzione storica politico – amministrativa, quale espressione dell’autocrazia imperiale e teologale, da qui la necessità nella cultura commerciale politica latina dell’interpretazione esasperata della parola, fino ad arrivare alla relatività del sofismo nella disperata ricerca del recupero di uno spazio di elasticità o libertà di azione, contrapposta all’esasperante rigidità militare della norma stessa.
Tuttavia la procedimentalizzazione di per sé non può eliminare il conflitto, il quale diventa negativo nel preciso momento in cui si radicalizza senza soluzione, anche a causa di una sua mancata gestione, come da più parti sostenuto una certa conflittualità a bassa intensità è fisiologica a qualsiasi organizzazione biologica o sociale che sia, infatti è l’intensità, causata anche dalla mancanza di meccanismi di coordinamento e integrazione, che porta a trasformare un confronto in conflitto e guerra (Tosi – Pilati).
Se la conoscenza è il principio creativo della realtà nell’essere umano (Bergson), un trascendere l’atto di conoscenza stessa dell’oggetto dell’evento personalizzandolo (Husserl), tanto da diventare la struttura relazionale che caratterizza l’esistenza umana fino a diventare un progetto del mondo (Heidegger), la comunicazione ne diventa elemento fondamentale per la formazione della conoscenza e quindi della coscienza di sé, questa tuttavia può essere anche dubbio, senso di indeterminazione che preme verso una determinazione, un sistema di significati propri di una formazione sociale (Dewey).
La coscienza del singolo, ognuna diversa, diventa anche elemento ordinatore del caos attraverso la conflittualità/confronto a bassa intensità; l’equilibrio rotto dall’agire della moltitudine viene rimodulato in un equilibrio provvisorio, dall’ordine al disordine, ma anche all’auto-organizzazione (Rubi).
______________
Bibliografia
A. R. Damasio, Emozione e coscienza, Adelphi 2005;
J. E. Le Doux, Il cervello emotivo alle origini delle emozioni, Baldini & Castoldi 2003;
J. R. Searle, La mente, Cortina 2005;
E. R. Kandel, Alla ricerca della memoria, Codice ed. 2007;
J. Galtung, Pace con mezzi pacifici, Esperia 1996;
J. M. Rubi, La lunga mano della seconda legge, Le Scienze, 68/73, 485, gennaio 2009;
H. L. Tosi – M. Pilati, Comportamento organizzativo, Egea 2008;
A. Abbagnano, Storia della filosofia, vol. III, Utet 1974;
P. Bairati, Storia della filosofia ed esperienza in Dewey, Rivista di filosofia, LXI, 1970, 48-70.

La rivalutazione dei beni d'impresa: è stata "riproposta" con la manovra 2008/2009

Manovra economica 2008/2009: rivalutazione dei beni immobili d’impresa
Articolo di Giuseppe Zambon 25.02.2009
in http://www.altalex.com/

Con i commi da 16 a 23 dell’art. 15 del D.L. 185/2008 (c.d. decreto “anticrisi”) è riproposta la rivalutazione dei beni d’impresa, ma solo per i beni immobili (fabbricati e terreni sia strumentali sia non strumentali) con l’esclusione di quelli classificati quali beni merce (alla cui produzione o al cui scambio è diretta l’attività dell’impresa) e delle aree edificabili. Il legislatore nell’ultimo comma dedicato alla rivalutazione richiama, in quanto applicabili, gli articoli 11, 13 e 15 dell’ultima disposizione di rivalutazione, il collegato alla Finanziaria 2000 - Legge n. 342 del 21 novembre 2000 (i cui termini erano già stati riaperti dalle leggi Finanziarie 2002 e 2006, con modifiche, e 2004 senza modifiche), e le disposizioni attuative dei decreti ministeriali 162/2001 e 86/2002. A queste disposizioni, quindi, mi rifarò nel commento.
In linea generale la rivalutazione dei beni non è ammessa dal Codice civile.
L’art. 2426 stabilisce, infatti, che le immobilizzazioni devono essere iscritte in bilancio al costo d’acquisto o di produzione; deroghe a tale criterio sono consentite solo in casi eccezionali e in particolar modo quando previste da specifiche disposizioni di legge, come nel nostro caso.
La finalità che si intende perseguire con le disposizioni sulla rivalutazione è quella di permettere, ai soggetti ammessi dalla norma, in deroga appunto all’art. 2426 del Codice civile, l’adeguamento ai valori effettivi della rappresentazione contabile dei beni immobili, permettendo altresì il riconoscimento fiscale di detti maggiori valori mediante il sostenimento di un costo fiscale ridotto rispetto alla tassazione che sarebbe normalmente applicabile. E' quindi ammessa anche una rivalutazione effettuata ai soli fini civilistici senza esborso di imposte sostitutive per il riconoscimento fiscale.
Vediamo più nel dettaglio come funziona questa nuova rivalutazione:
SOGGETTIAMMESSI: come previsto dal comma 16, dell’art. 15 del cosiddetto decreto “anticrisi”, alle disposizioni sulla rivalutazione sono ammesse, se residenti nel territorio dello Stato, le S.p.a., le S.a.p.a., le S.r.l., le società cooperative, le società di mutua assicurazione e gli enti pubblici e privati diversi dalle società che hanno per oggetto esclusivo o principale l’esercizio di attività commerciali [soggetti di cui all’art. 73, c. 1, lett. a) e b) del T.U.I.R.]; sono inoltre ammesse per espressa previsione legislativa, sempre se residenti, le S.n.c., le S.a.s. e le società ad esse equiparate (sono escluse soltanto le società semplici, così come precisato dalla C.M. 5/E del 26.01.2001).
La rivalutazione può essere eseguita solo se NON sono stati adottati i principi contabili internazionali (IAS), in quanto, in questo caso, i valori contabili sono già stati adeguati al valore normale (fair value), generando un disallineamento civilistico/fiscale per il quale è già prevista una norma di affrancamento.
Fin qui l’elenco dei soggetti che parrebbe esaustivo, operato dal legislatore nel primo degli otto commi che, nell’art. 15 del Decreto Legge 185/2008, si occupano di disciplinare la rivalutazione facoltativa dei beni immobili.
Utilizzando la tecnica legislativa del rinvio, però, nel comma 23 è richiamato, tra gli altri, in quanto applicabile, l’art. 15 della Legge n. 342/2000; all’epoca l’art. 10 di detta legge individuava i soggetti destinatari della rivalutazione nelle sole società di capitali ed enti commerciali residenti e con l’art. 15, intitolato “Ulteriori soggetti ammessi alle rivalutazioni”, venivano attratti al beneficio le ditte individuali, le società personali, gli enti non commerciali e i soggetti non residenti che esercitano attività commerciali in Italia senza stabile organizzazione, indipendentemente dal regime contabile applicato (ordinario o semplificato). La stessa Circolare 207/2000 commentando il c.d. collegato alla Finanziaria 2000, spiegava che destinatari erano i soggetti titolari di reddito d’impresa senza alcuna distinzione della forma giuridica con la quale l’attività veniva esercitata. Giacché nulla è detto al proposito nella relazione illustrativa al D.L. 185/2008, chiedevamo una netta presa di posizione da parte dell’Agenzia per ammettere o escludere dalla disposizione di rivalutazione i soggetti elencati nell’art. 15 della Legge 342/2000 e non inclusi nel comma 16 dell’art. 15 del c.d. decreto “anticrisi”, giacché la norma, in virtù del richiamo legislativo, sembra diretta anche a costoro.
Un ulteriore elemento a conferma della possibilità di rivalutare gli immobili per le ditte individuali è contenuto nel comma 21 dell’art. 15 del D.L. 185/2008, laddove è contemplata la possibilità di destinazione al consumo personale o familiare dell’imprenditore degli immobili rivalutati.
L'Agenzia delle Entrate è intervenuta nel corso della videoconferenza di Italia Oggi del 17/01/2009 confermando quanto già affermato nella circolare 207/2000 stante il rinvio effettuato dall'art. 23 del decreto in esame all'art. 15 della L. 342/2000 ammettendo, quindi, alla rivalutazione anche le imprese individuali, gli enti non commerciali e i soggetti non residenti che esercitano attività commerciali in Italia senza stabile organizzazione; ininfluente è poi i regime contabile applicato (ordinario o semplificato).In caso di diritto di superficie la facoltà di rivalutazione spetta, qualora il bene sia comunque relativo all’impresa, al titolare di tale diritto reale (Circolare Agenzia Entrate n. 6/E del 13.02.2006 - risposta 6.7). Il D.M. 162/2001 ammette alla rivalutazione anche le imprese in liquidazione volontaria1 (salvo il recupero a tassazione ordinaria nel caso di distribuzione del saldo di rivalutazione) e, in luogo dei concedenti, gli affittuari e usufruttuari che, in base alle scelte negoziali adottate, deducono gli ammortamenti nell’ambito dei contratti di affitto o usufrutto d’azienda.2
Sono senz’altro esclusi, invece, dall’ambito soggettivo di applicazione della rivalutazione le persone fisiche esercenti lavoro autonomo, arti e professioni, anche in forma associata, le persone fisiche esercenti attività agricola che produce reddito fondiario e non d’impresa e gli enti non commerciali per i beni relativi all’attività istituzionale; sono escluse, inoltre, le imprese sottoposte a procedure concorsuali (Circolare Assonime n. 13/2001).
BENI RIVALUTABILI: la possibilità di rivalutazione è prevista per tutti gli immobili patrimonializzati tra le immobilizzazioni (sono quindi esclusi quelli considerati beni merce e patrimonializzati nelle rimanenze d‘esercizio), strumentali e non strumentali con la sola esclusione delle aree fabbricabili, risultanti dal bilancio in corso al 31.12.2007 ovvero acquisiti entro tale data in caso di contabilità semplificata. Sono, pertanto, rivalutabili:
Fabbricati strumentali per destinazione: qualunque categoria catastale, purché utilizzati direttamente dall‘impresa;
Fabbricati strumentali per natura: solo categorie catastali A/10 - C - D - E, se non direttamente dall’impresa;
Fabbricati non strumentali: solo categorie catastali da A1 ad A11 escluso A10, se non utilizzati direttamente dall’impresa;
Terreni agricoli o comunque NON a destinazione edificatoria: allo scopo si ricorda la recente interpretazione restrittiva che il legislatore ha fornito per il concetto di area edificabile. Infatti il decreto legge 223/2006 (art. 36, c. 2) ha stabilito che, ai fini dell’Iva, dell’imposta di registro, delle imposte sui redditi e dell’Ici, «un’area è da considerare fabbricabile se utilizzabile a scopo edificatorio in base allo strumento urbanistico generale adottato dal Comune, indipendentemente dall’approvazione della Regione e dall’adozione di strumenti attuativi del medesimo». In altri termini, per qualificare un’area come edificabile è sufficiente che:
l’utilizzabilità edificatoria dell’area risulti dal Piano regolatore generale del Comune o da un altro strumento urbanistico equipollente;
lo strumento urbanistico sia solamente «adottato» dal Comune.
Pertanto, per considerare, sotto il profilo fiscale, un’area come edificabile, non occorre che:
l’area sia immediatamente edificabile: non occorre cioè che la potenzialità edificatoria sia attuale ma è sufficiente che si tratti di un’edificabilità potenziale;
l’area sia inserita anche in un piano attuativo;
il piano regolatore sia approvato oltre che adottato: l’approvazione è il momento finale dell’iter che conduce all’entrata in vigore di uno strumento urbanistico, mentre l’adozione è uno stadio intermedio che evidenzia la volontà comunale, ma che non ha il crisma della definitività.
TEMPISTICA, MODALITA‘ E REGOLE: la rivalutazione deve essere eseguita nel bilancio (rendiconto per gli enti) dell’esercizio successivo a quello in corso al 31.12.2007, il cui termine di approvazione (ovviamente sempre che la stessa sia dovuta) scade dopo il 29 novembre 2008 (quindi nel bilancio relativo al 2008 per i soggetti con esercizio coincidente con l’anno solare).
E’ previsto l’obbligo di rivalutare tutti i beni immobili appartenenti alla medesima categoria omogenea; le categorie individuate dal legislatore sono due:
BENI IMMOBILI AMMORTIZZABILI: tipicamente i fabbricati strumentali per natura e per destinazione;
BENI IMMOBILI NON AMMORTIZZABILI: tipicamente i fabbricati non strumentali e i terreni, con l’esclusione per questi ultimi di quelli che, purché non edificabili, appartengono ad imprese che operano in particolari settori di attività quali le industrie dei trasporti e delle telecomunicazioni (Gruppo 19 del D.M. 31,12,1998 specie I, II, III, IV, V, XII) e quelli che, in quanto strumentali per l’esercizio dell’impresa e purché non edificabili, sono sottratti alla loro naturale destinazione e partecipano al processo produttivo (in questa casistica rientrano i terreni permanentemente adibiti da imprese edili a deposito di materiale).
Nel caso in cui alcune unità immobiliari, pur incluse in una delle due precedenti categorie omogenee, sia illegittimamente esclusa dalla rivalutazione, la conseguenza sarà il disconoscimento degli effetti fiscali della rivalutazione per tutti gli altri immobili appartenenti alla medesima categoria omogenea e il recupero a tassazione dei maggiori ammortamenti effettuati o delle minori plusvalenze o maggiori minusvalenze dichiarate applicando le sanzioni previste per l’infedele dichiarazione (Circolare n. 57/E del 18/06/2001).
Come già scritto anche nel paragrafo precedente, i beni immobili rivalutabili devono risultare dal bilancio in corso al 31.12.2007.
La formulazione legislativa è decisamente infelice (e non risulta modificata in sede di conversione) perché, anche se dal prosieguo del testo si comprende comunque l’intenzione del legislatore, non esiste un bilancio “in corso”, ma eventualmente un esercizio in corso: l’art. 10 della Legge 342/2000, infatti, più correttamente recitava: “risultanti dal bilancio relativo all’esercizio chiuso entro il 31 dicembre 1999”; nella norma attuale, quindi, il testo corretto sarebbe: “risultanti dal bilancio dell’esercizio in corso al 31.12.2007”.
L’art. 2, c. 1, del D.M. 162/2001 prevedeva che la destinazione dei beni risultanti nel bilancio relativo all’esercizio di riferimento (2007) dovevano risultare anche dal bilancio o rendiconto, in relazione al quale la rivalutazione era effettuata (2008); stabiliva, inoltre, che si possono rivalutare i beni posseduti alla fine dell’esercizio con riferimento al quale viene eseguita la rivalutazione (2008), acquisiti fino al termine dell’esercizio in corso alla data del periodo di riferimento (2007).
Il comma 3 del medesimo articolo 2 considerava avvenuta l’acquisizione dei beni alla data del trasferimento del diritto di proprietà o altro diritto reale o della consegna con clausola di riserva di proprietà, escludendo di fatto i cespiti condotti in locazione finanziaria, ancorché contabilizzati con il sistema finanziario (facoltativo per i soggetti non IAS) anziché con quello patrimoniale previsto dai principi contabili (OIC).3
Conferma in questo senso è venuta dall'Agenzia Entrate, nel corso della videoconferenza di Italia Oggi del 17.01.2009, che ha ribadito il concetto per cui i beni oggetto di contratto di leasing possono essere rivalutati esclusivamente dall'utilizzatore e purché purché il diritto di riscatto sia stato esercitato entro l'esercizio in corso alla data del 31.12.2007.
Dovendo procedere alla rivalutazione nell’esercizio successivo a quello nel quale è prevista l’iscrizione a bilancio, si pone il problema se possa essere rivalutato un bene immobile che nel bilancio di riferimento (2007) sia iscritto in modo tale da possedere i requisiti richiesti dalla norma e nell’esercizio successivo (2008) ne sia stata modificata la classificazione, perdendo i requisiti o transitando dal gruppo omogeneo dei beni ammortizzabili a quello dei non ammortizzabili. L’Amministrazione finanziaria ha già avuto modo di esprimere il proprio parere nella Circolare n. 57/E del 18.06.2001, dove ha chiarito che i requisiti di appartenenza alle diverse categorie omogenee di immobili sono quelli esistenti alla data della chiusura del bilancio in cui la rivalutazione è eseguita (2008), ferma restando la loro ininterrotta collocazione tra le immobilizzazioni materiali dell’esercizio di riferimento (2007) e dell’esercizio nel cui bilancio la rivalutazione è effettuata (2008). Non è pertanto possibile rivalutare un immobile classificato tra i beni merce nel 2008 anche se era immobilizzato nel 2007 e viceversa, ovvero un terreno che era agricolo nel 2007 divenuto edificabile nel 2008, mentre dovrebbe essere il bilancio 2008 a decidere la categoria omogenea di appartenenza (ammortizzabili o non ammortizzabili).
Anche per l'attuale rivalutazione l'Agenzia Entrate ha confermato quanto già affermato con la circolare n. 57/E del 2001 sopra citata, nel corso della videoconferenza di Italia Oggi del 17.01.2009
Per individuare il valore economico costituente il limite massimo alla rivalutazione, l’art. 11, c. 2, della Legge n. 342/2000 pone due criteri alternativi:
da un lato, il criterio del cosiddetto valore interno, basato sulla consistenza dei beni, sulla loro capacità produttiva e sulla loro effettiva possibilità di economica utilizzazione nell’impresa;
dall’altro, il criterio del valore di mercato, basato sui valori correnti e sulle quotazioni rilevate in mercati regolamentati italiani o esteri.
La rivalutazione degli immobili facenti parte di ciascuna categoria omogenea deve essere eseguita sulla base di un unico criterio per tutti gli immobili ad essa appartenenti (art. 4, c. 8, D.M. 162/2001).
I valori rivalutati iscritti in bilancio e nell’inventario non possono in nessun caso superare quelli effettivamente attribuibili, individuati con i criteri di cui sopra. In altre parole il limite massimo della rivalutazione è pari al valore di mercato, meno il valore netto contabile, diminuito anche della quota di ammortamento figurativo dell’anno 2008 calcolato sul valore non rivalutato.
L’art. 6 del D.M. 162/2001, richiamato dalla norma attuale, specifica ancora meglio tale concetto denominandolo “Limite economico della rivalutazione” e stabilendo che il valore netto del bene risultante dal bilancio nel quale la rivalutazione è eseguita, incrementato della maggiore quota di ammortamento derivante dal valore rivalutato, non può superare il valore d’uso o di mercato. Ciò significa che il valore netto del bene immobile, ottenuto stanziando la quota di ammortamento calcolata sul costo storico ante rivalutazione, rappresenta il massimo consentito.
ESEMPIO:
Supponiamo l’esistenza di un immobile iscritto in bilancio per il costo storico di euro 100.000 da 10 anni e mai rivalutato, con coefficiente di ammortamento del 3% e fondo ammortamento al 31.12.2007 pari ad euro 30.000 e conseguente valore netto contabile di euro 70.000.
Supponiamo altresì che oggi il suo valore sul mercato immobiliare sia pari ad euro 200.000. Il limite massimo di rivalutazione dovrà essere così calcolato:
LIMITE MASSIMO DI RIVALUTAZIONE: € 200.000,00 (valore di mercato) - € 70.000,00 (valore netto contabile) + € 3.000,00 (quota figurativa di ammortamento del 3% sul costo ante rivalutazione) = € 133.000
Conseguentemente avremo:
VALORE RIVALUTATO DELL’IMMOBILE: € 233.000 (100.000 + 133.000)
F.DO AMM.TO POST RIVALUTAZIONE: € 36.990 (30.000 + 6.990 quota sul valore rivalutato)
VALORE NETTO CONTABILE POST RIVALUTAZIONE: € 196.010 (233.000 - 36.990)
Risulta quindi soddisfatta l’equazione secondo la quale il nuovo valore netto contabile (196.010) già aumentato della quota di ammortamento calcolata sul nuovo valore di bilancio, non supera il valore di mercato (200.000)
Sempre il D.M. 162/2001 all’art. 5 si occupa anche delle tecniche contabili da utilizzare per rilevare l’avvenuta rivalutazione e, nel rispetto dei criteri civilistici, indica tre possibili criteri di contabilizzazione (vedi esempi in appendice):
Rivalutare sia i valori dell’attivo lordo sia i relativi fondi di ammortamento, utilizzando un unico coefficiente di rivalutazione, in modo da mantenere invariata la durata del processo di ammortamento e la misura dei coefficienti applicati. Tale modalità è consigliata dallo IAS 16 e dal principio contabile nazionale OIC 16; (rivalutazione di tipo monetario).
Rivalutare solo i valori dell’attivo lordo senza operare specularmente anche sui relativi fondi, allungando di conseguenza il relativo periodo di ammortamento; (rivalutazione di tipo economico).
Ridurre in tutto o in parte i fondi di ammortamento, modalità da utilizzarsi quando gli ammortamenti contabilizzati negli anni precedenti siano stati eccedenti rispetto a quelli fisiologici, ad esempio perché si è fruito in larga misura degli ammortamenti anticipati.
L’Agenzia delle Entrate nella Circolare 57/E del 18.06.2001, ha avuto modo di affermare che all’interno della medesima categoria omogenea possono essere utilizzate modalità contabili differenti a seconda dei beni rivalutati, tuttavia, sempre all’interno della stessa categoria deve essere utilizzato lo stesso criterio di rivalutazione (es. valore di mercato, valore interno di utilizzo, ecc.), come già evidenziato precedentemente.
Anche i beni immobili completamente ammortizzati possono essere rivalutati, purché risultino ancora iscritti in bilancio, nel rendiconto o nel libro cespiti per i soggetti in contabilità semplificata, sempre nel limite del valore di mercato, dell’effettiva possibilità di utilizzazione e della capacità produttiva (art. 2, c. 2, D.M. 162/2001). La rivalutazione di questi immobili comporta implicitamente la “riapertura” del piano di ammortamento, cioè l’allungamento della vita utile stimata del bene.
Il Ministero dell’Economia e delle Finanze lascia, quindi, aperte tutte le possibilità contabili e rinvia ai criteri civilistici per l’adozione della scelta più corretta, non ritenendo opportuno e nemmeno possibile regolare con norme di carattere fiscale, delle valutazioni di carattere squisitamente aziendale.
Gli amministratori e il collegio sindacale (qualora esistente) devono indicare e motivare nelle loro relazioni i criteri seguiti nella rivalutazione delle due categorie di beni ammesse e attestare che la rivalutazione non eccede il limite di valore previsto quale importo massimo rivalutabile (art. 11, c. 3, Legge 342/2000).
Al riguardo l’Assonime con la Circolare n. 13/2001, ha precisato che per poter attestare che i maggiori valori emersi in sede di rivalutazione non superino il valore economico dei beni interessati, i membri del collegio sindacale dovranno acquisire dagli amministratori informazioni in merito alle modalità seguite per la stima dei beni stessi.
Inoltre, pur non essendo obbligatoriamente richiesta, trattandosi di immobili si ritiene opportuno far redigere una perizia, salvo che i beni stessi non siano oggetto di contratti preliminari, potendosi in quel caso rifarsi al prezzo contrattualmente pattuito.
Per i soggetti in contabilità ordinaria la rivalutazione deve essere annotata nella nota integrativa (per le società di capitali e gli enti che la devono redigere) e nell’inventario relativo all’esercizio in cui la rivalutazione viene eseguita dove deve essere indicato anche il prezzo di costo, con le eventuali rivalutazioni operate in conformità a precedenti leggi di rivalutazione, dei beni rivalutati (articolo 11, commi 1 e 4, Legge 342/2000)
Per i soggetti in contabilità semplificata, la rivalutazione potrà essere effettuata per i beni che risultino acquisiti entro il 31 dicembre 2007 dai registri di cui agli articoli 16 (beni ammortizzabili) e 18 (registri IVA integrati ai fini delle imposte dirette) del DPR 600/73 e successive modificazioni. La rivalutazione è consentita a condizione che venga redatto un apposito prospetto bollato e vidimato che dovrà essere presentato, a richiesta, all’amministrazione finanziaria, dal quale risultino i prezzi di costo e la rivalutazione compiuta (art. 15, c. 2, Legge 342/2000)
Dell’avvenuta rivalutazione bisognerà darne conto all'Agenzia delle Entrate nel prossimo Modello UNICO/2009 compilando il quadro RQ.
SALDO ATTIVO DI RIVALUTAZIONE:
Il saldo attivo lordo risultante dalle rivalutazioni eseguite, per i soggetti in contabilità ordinaria, deve essere imputato a capitale o accantonato in una speciale riserva in sospensione d’imposta intitolata al D.L. 185/2008; detta riserva dovrà essere ridotta dell’imposta sostitutiva eventualmente assolta per il riconoscimento fiscale dei maggiori valori (vedi paragrafo successivo), determinando il saldo attivo netto; l’imposta sostitutiva costituisce un debito tributario ed è indeducibile (questa imposta, quindi, non transita nel conto economico, ma viene rilevata direttamente come debito in diminuzione della riserva di rivalutazione).
L’art. 13 della Legge n. 342/2000, richiamato in quanto applicabile dal D.L. 185/2008, stabiliva che, in assenza di affrancamento (vedi paragrafo successivo):
La riserva, ove non venga imputata a capitale, può essere ridotta soltanto con l’osservanza delle disposizioni dei commi secondo e terzo dell’articolo 2445 del codice civile e cioè:
Comma 2: L’avviso di convocazione dell’assemblea deve indicare le ragioni e le modalità della riduzione. La riduzione deve comunque effettuarsi con modalità tali che le azioni proprie eventualmente possedute dopo la riduzione non eccedano la decima parte del capitale sociale.
Comma 3: La deliberazione può essere eseguita soltanto dopo novanta giorni dal giorno dell’iscrizione nel registro delle imprese, purché entro questo termine nessun creditore sociale anteriore all’iscrizione abbia fatto opposizione.
In caso di utilizzazione della riserva a copertura di perdite, non si può fare luogo a distribuzione di utili fino a quando la riserva non è integrata o ridotta in misura corrispondente con deliberazione dell’assemblea straordinaria, non applicandosi le disposizioni dei commi secondo e terzo dell’art. 2445 del codice civile.
Se il saldo attivo viene attribuito ai soci o ai partecipanti mediante riduzione della riserva ovvero mediante riduzione del capitale sociale o del fondo di dotazione o del fondo patrimoniale, le somme attribuite ai soci o ai partecipanti, aumentate dell’imposta sostitutiva corrispondente all’ammontare distribuito, concorrono a formare il reddito imponibile della società o dell’ente e il reddito imponibile dei soci o dei partecipanti. In caso di attribuzione, inoltre, si considera che le riduzioni del capitale deliberate dopo l’imputazione a capitale delle riserve di rivalutazione, comprese quelle già iscritte in bilancio a norma di precedenti leggi di rivalutazione, abbiano anzitutto per oggetto, fino al corrispondente ammontare, la parte del capitale formata con l’imputazione di tali riserve.
Considerato che la rivalutazione deve essere operata sul valore contabile residuo del bene, inteso come costo storico al netto degli ammortamenti effettuati (per i soggetti che eseguono la riclassificazione del bilancio in forma U.E., sostanzialmente è l’importo ivi esposto), per saldo attivo lordo si intende la differenza tra valore rivalutato e valore contabile residuo.
Nell’esempio riportato nel precedente riquadro, il saldo attivo lordo è così determinato:
VALORE DI BILANCIO 100.000FONDO AMMORTAMENTO 30.000VALORE CONTABILE NETTO 70.000
VALORE DI MERCATO 200.000VALORE CONTABILE NETTO 70.000SALDO ATTIVO DI RIVALUTAZIONE (lordo) 130.000
L’evidenziazione ed utilizzazione del saldo attivo richiede la redazione di un bilancio e, dunque, non può essere applicata dai soggetti in contabilità semplificata; per costoro, in assenza di un bilancio che dia evidenza contabile al patrimonio dell’impresa, le informazioni relative alle rivalutazioni dovranno risultare (come visto nel precedente paragrafo) da un prospetto che dovrà evidenziare solo i prezzi di costo e le rivalutazioni operate. Ne consegue, pertanto, che l’ipotesi della tassabilità della distribuzione del saldo attivo non affrancato (vedi paragrafo successivo) non è applicabile ai soggetti in contabilità semplificata (Circolare Agenzia Entrate n. 5/E del 26.01.2001)
Se l’impresa, dopo la rivalutazione, modifica il proprio regime contabile gli effetti fiscali del saldo attivo di rivalutazione (che non sia stato affrancato) vengono definiti dalla Circolare n. 57/2001 e sono i seguenti:
Passaggio dalla contabilità ordinaria alla semplificata: la riserva di rivalutazione aumentata dell’imposta sostitutiva concorre a formare il reddito imponibile nel primo esercizio di applicazione del nuovo regime di contabilità;
Passaggio dalla contabilità semplificata all’ordinaria: l’iscrizione in contabilità dei bei rivalutati non comporta la ricostruzione di alcuna riserva di rivalutazione.
IMPOSTE SOSTITUTIVE PER IL RICONOSCIMENTO FISCALE DEI MAGGIORI VALORI E PER L’AFFRANCAMENTO DELLA RISERVA:
La rivalutazione dei beni immobili in deroga alle norme del Codice civile, ha inizialmente riflessi solo civilistici di adeguamento dei valori contabili a quelli di mercato, al fine di rappresentare meglio la reale patrimonializzazione dell’azienda e aumentare il patrimonio netto contabile A COSTO ZERO (senza benefici fiscali).
Riconoscimento fiscale: Dopo le modifiche introdotte in sede di conversione del D.L. 185/2008, il maggior valore attribuito ai beni in sede di rivalutazione, può essere riconosciuto anche ai fini fiscali (imposte sui redditi e Irap) a decorrere dal quinto (precedentemente terzo) esercizio successivo a quello in cui è avvenuta la rivalutazione (2013), mediante il versamento di un’imposta sostitutiva dell’Irpef, dell’Ires, dell’Irap e di eventuali addizionali, nella misura del 7% (precedentemente 10%) per gli immobili ammortizzabili e del 4% (precedentemente 7%) per quelli non ammortizzabili. Nel caso di cessione a titolo oneroso, di assegnazione ai soci, di destinazione a finalità estranee all’esercizio dell’impresa ovvero al consumo personale o familiare dell’imprenditore, degli immobili rivalutati, prima dell’inizio del sesto (precedentemente quarto) anno successivo a quello in cui è avvenuta la rivalutazione (2014), ai fini del calcolo di plusvalenze o minusvalenze si ha riguardo al valore dell’immobile prima della rivalutazione. In altri termini si prescinde dal valore rivalutato e si torna al precedente valore di bilancio. L'Agenzia Entrate, nel corso della videoconferenza di Italia Oggi del 17.01.2009, ha affermato che la condizione del trasferimento giuridico del diritto alla proprietà del bene si ritiene verificata anche nel caso in cui l'immobile fosse oggetto di un'operazione di sale and lease back. In tutti i casi di trasferimento della proprietà prima del decorso del periodo di osservazione, al soggetto che ha effettuato la rivalutazione è attribuito un credito d’imposta pari all’ammontare dell’imposta sostitutiva riferita ai bene trasferito anzitempo (Art. 3, c. 3, D.M. 86/2002). L’ammontare del credito d’imposta non transita dal conto economico, ma come l’imposta sostitutiva pagata deve essere contabilizzato (ovviamente in aumento anziché in diminuzione) nel saldo attivo di rivalutazione, nella misura relativa al maggior valore attribuito ai beni immobili oggetto del trasferimento.
Con il decreto legge soprannominato “decreto incentivi” approvato dal Consiglio dei Ministri del 06.02.2009 e in attesa di pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale, le percentuali dell'imposta sostitutiva vengono ridotte dal 7% al 3% per gli immobili ammortizzabili e dal 4% al 1,5% per gli immobili NON ammortizzabili. Nessuna modifica viene apportata alla durata dei due periodi di sospensione dell'efficacia fiscale necessari per sfruttare i benefici previsti dalla norma. Non viene modificata nemmeno la percentuale di imposta sostitutiva dovuta per affrancare la riserva di rivalutazione in sospensione d'imposta (vedi paragrafo successivo).
Affrancamento della riserva: il saldo attivo di rivalutazione che, come abbiamo visto diventa, per i soggetti in contabilità ordinaria, una riserva in sospensione d’imposta, può essere affrancato con l’applicazione in capo alla società di una imposta sostitutiva dell’Irpef, dell’Ires, dell’Irap e di eventuali addizionali nella misura del 10%. Nessun interesse avranno a fruire dell’affrancamento, i soggetti in contabilità semplificata in quanto, come visto al paragrafo precedente non vi è ipotesi di tassabilità in caso di distribuzione. Poiché le riserve affrancate confluiscono tra quelle di utili, in caso di distribuzione troverà applicazione anche per tali riserve la presunzione di cui all’art. 47, c. 1 T.U.I.R. di prioritaria distribuzione delle riserve di utili rispetto alle riserve di capitali (Circolare Agenzia Entrate n. 6/E del 13.02.2006).
Gli effetti dell’affrancamento devono essere distinti tra società e soci:
Effetti per la società:
la riserva non è più considerata in sospensione d’imposta;
la riserva è liberamente distribuibile tra i soci;
l’eventuale distribuzione non concorre a formare il reddito imponibile della società.
Effetti per i soci partecipanti in soggetti IRES:
soci persone fisiche non imprenditori:
partecipazione qualificata: tassazione sul 49,72% del dividendo distribuito, nel modello UNICO PF;
partecipazione non qualificata: assoggettamento a ritenuta a titolo d’imposta del 12,50%;
soci che detengono la partecipazione nell’ambito dell’attività d’impresa: indipendentemente dal fatto che la partecipazione sia qualificata o non qualificata,concorre alla formazione del reddito il 49,72% del dividendo distribuito;
soci soggetti IRES: concorre alla formazione del reddito il 5% del dividendo distribuito.
Effetti per i soci partecipanti in società di persone:
Considerato che l’eventuale distribuzione non concorre a formare il reddito imponibile della società, nessuna ulteriore tassazione avverrà in capo al socio per trasparenza.
La norma prevede che entrambe le imposte sostitutive possano essere versate, a scelta del contribuente, in unica soluzione o in tre rate annuali di pari importo. La scadenza del versamento in unica soluzione o della prima rata coincide con il termine di versamento del saldo delle imposte sui redditi relative all‘anno con riferimento al quale la rivalutazione è eseguita (20.06.2009), mentre le due rate successive alla prima, maggiorate degli interessi legali del 3% annuo, scadranno con il termine di pagamento del saldo delle imposte sui redditi dei due esercizi successivi (20.06.2010 e 20.06.2011).
Le imposte, in quanto sostitutive di imposte sui redditi e Irap, sono indeducibili e sono compensabili con i crediti utilizzabili in F24.
APPENDICE
ESEMPIO DI REGISTRAZIONI CONTABILI
IMMOBILE ISCRITTO IN BILANCIO DA DIECI ANNI AL SUO VALORE STORICO E MAI RIVALUTATO PRIMA
Valore in bilancio dell’immobile: 100.000
Aliquota ammortamento: 3%
Fondo ammortamento al 10° anno: 30.000 (100.000 * 3%)
Valore netto contabile: 70.000 (100.000 – 30.000)
Valore di mercato: 200.000
Valore netto contabile: 70.000
Saldo attivo di rivalutazione: 130.000
coefficiente di rivalutazione = Valore di mercato / Valore netto contabile = 200.000/ 70.000 = 2,85714
valore bilancio rivalutato = Valore bilancio*coefficiente di rivalutazione = 100.000*2,85714 = 285.714
fondo ammortamento rivalutato = fondo ammortamento*coefficiente di rivalutazione = 30.000 * 2,85714 = 85.714
Valore prima della
Rivalutazione
Valore dopo la
Rivalutazione
Differenza
Valore contabile netto
70.000
200.000
130.000
Valore di bilancio
100.000
285.714
185.714
Fondo ammortamento
30.000
85.714
55.714
1° ipotesi: RIVALUTAZIONE DI TIPO MONETARIO: (iscrizione del maggior valore sia nei costi sia nel fondo ammortamento = invarianza durata processo di ammortamento)
Immobili a # 185.714
Fondo ammortamento 55.714
Riserva di valutazione
D.L. 185/2008 126.100
Debiti v/erario per
Imposta sostitutiva (3%)(*) 3.900
(*) importo così determinato: 130.000 * 3%
Questo metodo permette di mantenere inalterato il periodo di ammortamento fissato per il singolo bene.
Ipotizzando che il coefficiente di ammortamento sia pari al 3% si avrà che:
senza la rivalutazione: sarebbero stati necessari ancora 23,3 anni per giungere al completo ammortamento de valore netto residuo pari a € 70.000
con la rivalutazione: il risultato è analogo: applicando la medesima aliquota (3%) al valore di bilancio rivalutato del cespite ( 285.714) si determina una quota annua di ammortamento pari a 8.571,42 che, moltiplicata per 23,33 (33,33–10), ottiene 200.000 (ovvero il nuovo valore netto del cespite rivalutato).
2° ipotesi: RIVALUTAZIONE DI TIPO ECONOMICO: (iscrizione della rivalutazione solo all’attivo lordo dell’immobile)
Immobili a # 130.000
Riserva di valutazione
D.L. 185/2008 126.100
Debiti v/erario per
Imposta sostitutiva (3%) 3.900
In questo caso la rivalutazione è interamente imputata al costo del cespite, senza influenzare il valore del fondo ammortamento. Di conseguenza si verificherà un allungamento del periodo di ammortamento del bene.
3° ipotesi: (iscrizione della rivalutazione a diretta diminuzione del fondo di ammortamento)
Fondo ammortamento a # 30.000
Riserva di valutazione
D.L. 185/2008 26.100
Debiti v/erario per
Imposta sostitutiva (3%) 3.900
In questo caso il risultato ottenuto è analogo e omologo a quello descritto nella 2° ipotesi (infatti l’immobile continua ad essere iscritto al costo iniziale pari a 100.000 e il fondo ammortamento viene azzerato).
Pertanto:
le quote di ammortamento continuano ad essere conteggiate sul valore in bilancio del bene 100.000;
il processo di ammortamento è allungato.
______________
1 In merito alla possibilità di includere nell’ambito di applicazione soggettivo della norma anche i soggetti sottoposti a procedure concorsuali, si può ipotizzare un differente trattamento per le imprese interessate dalle procedure di liquidazione volontaria, concordato preventivo e amministrazione straordinaria, relativamente alle quali l’inclusione nel novero dei soggetti ammessi alla rivalutazione potrebbe derivare dalla finalità delle procedure che tendono alla continuazione dell’esercizio dell’attività economica, rispetto a quello previsto per le società interessate dalle procedure di fallimento, concordato fallimentare e liquidazione coatta amministrativa la cui esclusione dall’ambito di applicazione soggettivo della norma dovrebbe derivare proprio dalla particolare situazione in cui si trovano. (Circ. Ufficio Studi Consiglio Naz. Rag. Commercialisti, Draft n. 37 del 23/11/2000)
2 Nel caso di affitto e usufrutto d’azienda l’Agenzia delle Entrate ha precisato quanto segue: “Nell’ipotesi in cui non sia stata contrattualmente prevista la deroga alle disposizioni dell’art. 2561 del codice civile, concernenti l’obbligo di conservazione dell’efficienza dei beni ammortizzabili, gli ammortamenti vengono calcolati e dedotti dall’affittuario o usufruttuario e, pertanto, sarà quest’ultimo che potrà effettuare la rivalutazione. Al termine dell’affitto o dell’usufrutto, l’azienda sarà trasferita al concedente, comprensiva dei beni rivalutati e della relativa riserva di rivalutazione, nell’ipotesi in cui quest’ultima non sia stata già utilizzata per copertura di perdite o distribuita. L’imposta sostitutiva riferibile alla riserva trasferita al concedente costituirà per quest’ultimo credito d’imposta usufruibile in caso di distribuzione della stessa. Nell’ipotesi in cui, invece, le parti, in deroga all’art. 2561 del c.c., si siano accordate prevedendo che il concedente continuerà a calcolare gli ammortamenti,la rivalutazione potrà essere effettuata solo da quest’ultimo.” (Circolare n. 57/E del 18/06/2001)
3 Si ricorda che nel punto 22 della Nota integrativa deve essere predisposto un prospetto informativo dei contratti di locazione finanziaria nel quale venga rappresentata l’operazione secondo il metodo finanziario previsto dallo IAS 17; più precisamente devono essere indicati il valore attuale delle rate di canone non scadute, l’onere finanziario effettivo attribuibile all’esercizio e l’ammontare complessivo del valore dei beni che sarebbe stato iscritto nell’attivo patrimoniale, se fossero stati considerati immobilizzi.

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