lunedì 16 febbraio 2009

natura giuridica delle circolari: Cassazione sentenza 237/09

La Cassazione conferma: circolari, atti interni all'Amministrazione

I giudici tornano sulla valenza dei documenti di prassi, illustrando una serie di principi di carattere generale
Natura ed effetti delle circolari. Potrebbe così intitolarsi la sentenza n. 237, depositata il 9 gennaio 2009, con cui la Cassazione, riprendendo il noto precedente rappresentato dalla pronuncia n. 23031 del 9 ottobre 2007, è tornata nuovamente sul tema della valenza dei documenti di prassi dell'Amministrazione finanziaria, illustrando, quasi didatticamente, una serie di principi generali relativi al ruolo delle circolari rispetto alla gerarchia delle fonti e alla portata che esse possono assumere tanto nei confronti della stessa Amministrazione emanante, globalmente considerata, quanto nei confronti dei contribuenti solo "impropriamente" destinatari delle medesime.Nulla quaestio sulla correttezza dei principi espressi dalla Suprema corte nella sentenza in esame e di seguito illustrati, anche se, giova evidenziarlo fin da subito, rispetto alla ricostruzione delle circolari quali atti interni all'Amministrazione, qualche dubbio residua rispetto alla "eccezionale" portata estrinseca che lo Statuto dei diritti del contribuente assegna alle circolari medesime e che, almeno a prima lettura, non sembra conciliarsi perfettamente con i principi contenuti nella pronuncia; salvo, come si evidenzierà nelle conclusioni, individuare dietro tale eccezionale valenza esterna un principio essenziale dell'ordinamento.Le circolari: ruolo e fondamentoLa prima affermazione desumibile dalla sentenza 237/2009 è quella secondo cui le circolari non sono atti normativi (né tanto meno sono a essi assimilabili) e, pertanto, sono prive del potere di innovare l'ordinamento giuridico.L'affermazione è pienamente in linea con l'incontestabile insegnamento della dottrina rispetto alla gerarchia delle fonti, laddove, specie nelle opere più tradizionali degli amministrativisti, si legge che col termine "circolare" più che designare un particolare tipo di atto, dalle funzioni o dal contenuto tipizzato, si individua una modalità di comunicazione di qualcosa; il termine designa, per l'appunto, il percorso di un certo atto che si diffonde "circolarmente" all'interno di una certa struttura.Certo è che, a mano a mano che la disciplina di singoli e specifici atti si è rivolta a individuarne anche le modalità di esternazione e le forme di alcuni atti sono diventate "tipiche", come nel caso dei regolamenti, la portata del termine "circolare" si è andata sempre più restringendo, fino al punto di identificarsi con quelli che oggi comunemente così chiamiamo, ossia gli atti emanati dall'Amministrazione, rivolti agli uffici, il cui contenuto può essere estremamente diversificato.Le circolari, come noto, possono contenere semplici comunicazioni, ovvero precise direttive o istruzioni in ordine alle modalità di comportamento che i destinatari devono adottare o, ancora (ed è questo l'oggetto di riflessioni nella sentenza in commento), l'interpretazione che l'organo emanante dà di un certa norma di legge.Resta inteso che l'interpretazione contenuta in una circolare altro non è se non il presupposto per individuare le concrete regole di comportamento cui i destinatari, interni all'Amministrazione, devono attenersi; si tratta cioè di un'attività strumentale all'obiettivo di indirizzare, in modo univoco, i comportamenti degli uffici su tutto il territorio nazionale.Tale conclusione appare scontata, sia se si analizza la distribuzione, a livello costituzionale, dei diversi poteri dello Stato sia, ancora di più, se ci si domanda quale sia il potere posto a fondamento della emanazione della circolare.La dottrina più tradizionale, condivisibilmente, ritiene che alla base del potere di emanare circolari sia individuabile il cosiddetto potere gerarchico o di indirizzo che alcuni organi possono esercitare nei confronti di altre strutture (normalmente interne e comunque sott'ordinate); tale potere, pertanto, potrà esplicare i suoi effetti solo nei confronti dei soggetti, ovvero degli uffici, che a tale potere soggiacciono.Le circolari: i soggetti destinatari, gli effetti sul piano interno dell'Amministrazione e gli effetti sui contribuentiIndividuato il fondamento del potere e, di conseguenza, l'ambito di soggetti che possono considerarsi "in senso proprio" destinatari del contenuto, comunicativo, precettivo o precettivo-interpretativo della circolare, si tratta di verificare quali sono gli effetti che si producono nei casi in cui la circolare stessa venga disattesa.Pur producendo di norma effetti vincolanti sul piano interno (ove il vincolo discende proprio dal rapporto gerarchico tra organo emanante e destinatari), le circolari possono essere legittimamente disattese quando in "evidente" contrasto con le norme di legge, come si desume applicando estensivamente la regola di cui all'articolo 17 della legge 3/1957, dettata dallo "Statuto degli impiegati civili dello Stato" di plurimo rilievo, anche penale.Al di fuori di questa ipotesi, che richiede l'evidenza del contrasto e che deve essere provata dalla parte che avrebbe dovuto attenersi alle istruzioni impartite dall'organo sovraordinato, la mancata osservanza delle circolari produce effetto ma solo sul piano interno e mai, come si vedrà anche a breve (almeno per quel che concerne materie caratterizzate dall'esercizio di poteri vincolati), sulla legittimità dell'atto adottato.Pertanto, l'inosservanza della circolare darà luogo a conseguenze sotto il profilo disciplinare (con applicazione delle relative sanzioni) e assumerà un ruolo essenziale ai fini dell'eventuale giudizio instaurato contro il funzionario, nel corso del quale la circostanza che l'impiegato abbia applicato ovvero disatteso le istruzioni contenute nella circolare dovrà essere vagliata dal giudice ai fini di determinare la colpa del soggetto agente, quale elemento soggettivo imprescindibile della responsabilità.Se queste sono le regole generali, si può osservare che nella sentenza in esame la Cassazione ha riaffermato i medesimi principi seppur attraverso espressioni più vaghe, non sempre correttamente interpretate e, pertanto, in alcune occasioni, strumentalizzate.Nella pronuncia si legge espressamente che "le circolari non vincolano gli uffici gerarchicamente subordinati…ai quali è data facoltà di disattendere il contenuto delle direttive senza che tale comportamento possa essere invocato quale causa di nullità o vizio dell'atto impositivo per difformità rispetto alla circolare esplicativa".La portata di quest'ultima affermazione della Corte è duplice, perché è riferibile tanto agli effetti sul piano interno, quanto ai suoi riflessi sull'atto. Solo una lettura integrale dell'intero passaggio argomentativo evidenziato consente di tracciare un quadro più chiaro e corretto, se non col rischio di concludere, come pure qualcuno ha proposto, nel senso del carattere non vincolante delle circolari anche sul piano interno.Ciò che i giudici intendevano affermare è che nell'eventualità in cui l'ufficio disattenda il contenuto della circolare, il contribuente non può per ciò solo far valere l'illegittimità dell'atto impugnato; quest'ultima, infatti, può derivare solo dal contrasto del contenuto dell'atto con le norme di legge. L'atto sarà, cioè, illegittimo solo se, a prescindere dalla sua conformità o meno a una circolare interpretativa, esso sia contrario alla legge, in quanto unico e solo parametro di valutazione della legittimità di un atto.Tale conclusione appare ovvia alla luce di quanto detto a proposito del potere posto a fondamento dell'emanazione della circolare e del suo carattere "non innovativo" dell'ordinamento giuridico.Per comprendere ancora meglio il principio affermato dalla Cassazione, un ulteriore argomento utile può essere desunto dal raffronto tra il ruolo che la circolare assume nell'ambito del giudizio tributario e quello che eventualmente può rivestire nel corso del giudizio amministrativo; la differenza consentirà di spiegare meglio la portata del principio come formulato dal giudice di legittimità.Il sistema della giustizia amministrativa conosce un vizio denominato, per l'appunto, "violazione di circolare", riconducibile alla più ampia categoria dell'eccesso di potere, del quale costituisce, secondo elaborazioni della giurisprudenza amministrativa oramai consolidate, figura tipica.Nei giudizi davanti al Tar, in altre parole, il privato può impugnare l'atto difforme dalla circolare impartita dall'Amministrazione, senza altro addurre se non l'irragionevolezza della decisione adottata, desunta, per l'appunto, dal contrasto (di norma non motivato o non ragionevolmente giustificato) tra il singolo provvedimento e una circolare.Analoga possibilità non può essere riconosciuta nel nostro sistema; l'eccesso di potere (comprese, ovviamente, le sue figure sintomatiche) è, infatti, il vizio tipico degli atti discrezionali, proprio perchè funzionale al sindacato sul corretto bilanciamento degli interessi in gioco contenuto nel provvedimento impugnato, ben poco adattabile al carattere generalmente vincolato degli atti dell'Amministrazione finanziaria.Riflessi sulla tutela giurisdizionaleSulla scia di tali principi, è possibile trarre alcune considerazioni generali in tema di tutela giurisdizionale del privato/contribuente a fronte dell'emanazione della circolare.Anche in alcune pronunce precedenti che costituiscono un importante chiave di lettura della sentenza in commento, la Cassazione ha correttamente escluso tanto l'impugnazione diretta della circolare dinanzi al giudice amministrativo, quanto la possibilità per il giudice ordinario di una disapplicazione della stessa nel corso delle controversie rimesse alla sua cognizione.Le affermazioni contenute nella sentenza sono condivisibili; esse, in sostanza, consolidano l'orientamento della prevalente giurisprudenza sul punto, respingendo per l'ennesima volta quella posizione isolata del giudice amministrativo che in passato aveva ammesso l'impugnazione immediata delle circolari.Questi principi possono essere pacificamente estesi anche all'eventuale impugnativa della circolare dinanzi alle Commissioni tributarie.Tuttavia, sul punto è necessaria una precisazione di più ampio respiro, partendo dall'affermazione, contenuta nella sentenza 237/2009, secondo cui l'impugnazione della circolare dinanzi al giudice amministrativo sarebbe preclusa a causa del difetto di giurisdizione del giudice adito. Tale affermazione, come si vedrà a breve, è corretta in sé, ma non inquadra correttamente il problema della tutela giurisdizionale del privato dinanzi alla circolare.Il difetto di giurisdizione del giudice amministrativo a fronte dell'impugnazione di una circolare dell'Amministrazione finanziaria, infatti, è eccepibile dal giudice in quanto con l'ampliamento e la generalizzazione della giurisdizione delle Commissioni tributarie, queste ultime sono diventate, in linea generale, il giudice per "materia".La Corte costituzionale, con la sentenza 130/2008, ha corretto in senso restrittivo la giurisdizione del giudice tributario (con riferimento, in particolare, alle sanzioni per lavoro nero irrogate dagli uffici dell'agenzia delle Entrate), ma è intervenuta in questa direzione richiamando proprio il principio della giurisdizione per materia (quella, in particolare, "dei tributi"), ribadendo, anziché negando, il carattere tendenzialmente pieno ed esclusivo della giurisdizione tributaria, pur con i suoi ancora evidenti limiti.Né in senso contrario appare decisivo il richiamo all'articolo 7, comma 4, dello Statuto dei diritti del contribuente, che non esclude la possibilità di ricorso agli organi della giustizia amministrativa per gli atti di natura tributaria; tale norma non nega la pienezza della giurisdizione tributaria, ma sembra fondare quella dei Tar rispetto ad atti per i quali il ricorso in Commissione tributaria è precluso dal carattere tendenzialmente (anche se non completamente) tassativo delle previsioni dell'articolo 19 del Dlgs 546/1992.Ad escludere l'impugnabilità delle circolari, pertanto, non vale il richiamo al difetto di giurisdizione, in quanto, ove si trattasse solo di un simile problema, occorrerebbe prevedere un canale di accesso immediato per la tutela del privato dinanzi al giudice tributario, o in via interpretativa (attraverso una difficilissima assimilazione della circolare a uno degli atti dell'articolo 19) ovvero in via normativa.Per negare la possibilità di impugnazione della circolare, appare più opportuno introdurre un altro concetto: la carenza di interesse a ricorrere. Leggendo le più recenti pronunce dei giudici amministrativi, si ritrova più che altro l'argomento secondo cui la circolare, di per sé sola, è inidonea a incidere su posizioni del privato, in quanto non ne determina una lesione immediata e diretta.In questa prospettiva, non si tratta di individuare il giudice "competente" a conoscere delle controversie generate da una circolare, quanto di escludere la possibilità di una tutela immediata in quanto non v'è alcuna lesione concreta e diretta della platea dei contribuenti ai quali può, ma solo indirettamente, essere rivolto il chiarimento interpretativo.Considerazioni conclusive sugli effetti delle circolariI principi contenuti nella sentenza sono in linea con la ricostruzione tradizionale proposta dalla dottrina a proposito del ruolo delle circolari nell'ordinamento giuridico generale.Sia sotto il profilo del potere posto a fondamento sia sotto il profilo degli effetti sul contribuente (e, di conseguenza, sul piano della tutela giurisdizionale), la circolare costituisce, anche ove a prevalente contenuto interpretativo, atto di indirizzo della condotta degli uffici cui è rivolta e mai atto vincolante per il privato, destinatario solo mediato e indiretto.Ciò premesso, si tratta a questo punto di inquadrare in questo contesto il principio contenuto nell'articolo 10 dello Statuto dei diritti del contribuente che, in maniera del tutto eccezionale rispetto a quanto finora prospettato, assegna alla circolare, come a qualunque atto dell'Amministrazione finanziaria diverso dall'interpello ex articolo 11 dello Statuto (in quanto atto a efficacia rafforzata), un effetto "esterno", quale atto che fonda l'affidamento del contribuente e costituisce causa di esclusione per l'applicazione di sanzioni e il recupero degli interessi. In deroga, infatti, alla ricostruzione fatta a proposito della circolare quale atto che esaurisce la sua portata applicativa sul piano interno, laddove il contribuente si sia adeguato alle indicazioni contenute in un atto dell'Amministrazione, fatto salvo il recupero del tributo (il quale discende dalla doverosità del concorso al verificarsi dei presupposti previsti dalla legge), al contribuente non potranno essere irrogate sanzioni né richiesti interessi.Il ben noto principio della tutela dell'affidamento, cui la stessa giurisprudenza di legittimità ha più volte riconosciuto il rango di principio generale dell'ordinamento, "prevale" quindi sul carattere meramente interno delle circolari e, senza mai tradursi in un motivo di ricorso che giustifichi da solo l'annullamento dell'atto e della pretesa in esso contenuta, può incidere sul diverso piano degli accessori del tributo.
Annalisa Cazzato




pubblicato il 10/02/2009
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natura giuridica delle circolari: Cassazione sentenza 237/09

La Cassazione conferma: circolari, atti interni all'Amministrazione

I giudici tornano sulla valenza dei documenti di prassi, illustrando una serie di principi di carattere generale
Natura ed effetti delle circolari. Potrebbe così intitolarsi la sentenza n. 237, depositata il 9 gennaio 2009, con cui la Cassazione, riprendendo il noto precedente rappresentato dalla pronuncia n. 23031 del 9 ottobre 2007, è tornata nuovamente sul tema della valenza dei documenti di prassi dell'Amministrazione finanziaria, illustrando, quasi didatticamente, una serie di principi generali relativi al ruolo delle circolari rispetto alla gerarchia delle fonti e alla portata che esse possono assumere tanto nei confronti della stessa Amministrazione emanante, globalmente considerata, quanto nei confronti dei contribuenti solo "impropriamente" destinatari delle medesime.Nulla quaestio sulla correttezza dei principi espressi dalla Suprema corte nella sentenza in esame e di seguito illustrati, anche se, giova evidenziarlo fin da subito, rispetto alla ricostruzione delle circolari quali atti interni all'Amministrazione, qualche dubbio residua rispetto alla "eccezionale" portata estrinseca che lo Statuto dei diritti del contribuente assegna alle circolari medesime e che, almeno a prima lettura, non sembra conciliarsi perfettamente con i principi contenuti nella pronuncia; salvo, come si evidenzierà nelle conclusioni, individuare dietro tale eccezionale valenza esterna un principio essenziale dell'ordinamento.Le circolari: ruolo e fondamentoLa prima affermazione desumibile dalla sentenza 237/2009 è quella secondo cui le circolari non sono atti normativi (né tanto meno sono a essi assimilabili) e, pertanto, sono prive del potere di innovare l'ordinamento giuridico.L'affermazione è pienamente in linea con l'incontestabile insegnamento della dottrina rispetto alla gerarchia delle fonti, laddove, specie nelle opere più tradizionali degli amministrativisti, si legge che col termine "circolare" più che designare un particolare tipo di atto, dalle funzioni o dal contenuto tipizzato, si individua una modalità di comunicazione di qualcosa; il termine designa, per l'appunto, il percorso di un certo atto che si diffonde "circolarmente" all'interno di una certa struttura.Certo è che, a mano a mano che la disciplina di singoli e specifici atti si è rivolta a individuarne anche le modalità di esternazione e le forme di alcuni atti sono diventate "tipiche", come nel caso dei regolamenti, la portata del termine "circolare" si è andata sempre più restringendo, fino al punto di identificarsi con quelli che oggi comunemente così chiamiamo, ossia gli atti emanati dall'Amministrazione, rivolti agli uffici, il cui contenuto può essere estremamente diversificato.Le circolari, come noto, possono contenere semplici comunicazioni, ovvero precise direttive o istruzioni in ordine alle modalità di comportamento che i destinatari devono adottare o, ancora (ed è questo l'oggetto di riflessioni nella sentenza in commento), l'interpretazione che l'organo emanante dà di un certa norma di legge.Resta inteso che l'interpretazione contenuta in una circolare altro non è se non il presupposto per individuare le concrete regole di comportamento cui i destinatari, interni all'Amministrazione, devono attenersi; si tratta cioè di un'attività strumentale all'obiettivo di indirizzare, in modo univoco, i comportamenti degli uffici su tutto il territorio nazionale.Tale conclusione appare scontata, sia se si analizza la distribuzione, a livello costituzionale, dei diversi poteri dello Stato sia, ancora di più, se ci si domanda quale sia il potere posto a fondamento della emanazione della circolare.La dottrina più tradizionale, condivisibilmente, ritiene che alla base del potere di emanare circolari sia individuabile il cosiddetto potere gerarchico o di indirizzo che alcuni organi possono esercitare nei confronti di altre strutture (normalmente interne e comunque sott'ordinate); tale potere, pertanto, potrà esplicare i suoi effetti solo nei confronti dei soggetti, ovvero degli uffici, che a tale potere soggiacciono.Le circolari: i soggetti destinatari, gli effetti sul piano interno dell'Amministrazione e gli effetti sui contribuentiIndividuato il fondamento del potere e, di conseguenza, l'ambito di soggetti che possono considerarsi "in senso proprio" destinatari del contenuto, comunicativo, precettivo o precettivo-interpretativo della circolare, si tratta di verificare quali sono gli effetti che si producono nei casi in cui la circolare stessa venga disattesa.Pur producendo di norma effetti vincolanti sul piano interno (ove il vincolo discende proprio dal rapporto gerarchico tra organo emanante e destinatari), le circolari possono essere legittimamente disattese quando in "evidente" contrasto con le norme di legge, come si desume applicando estensivamente la regola di cui all'articolo 17 della legge 3/1957, dettata dallo "Statuto degli impiegati civili dello Stato" di plurimo rilievo, anche penale.Al di fuori di questa ipotesi, che richiede l'evidenza del contrasto e che deve essere provata dalla parte che avrebbe dovuto attenersi alle istruzioni impartite dall'organo sovraordinato, la mancata osservanza delle circolari produce effetto ma solo sul piano interno e mai, come si vedrà anche a breve (almeno per quel che concerne materie caratterizzate dall'esercizio di poteri vincolati), sulla legittimità dell'atto adottato.Pertanto, l'inosservanza della circolare darà luogo a conseguenze sotto il profilo disciplinare (con applicazione delle relative sanzioni) e assumerà un ruolo essenziale ai fini dell'eventuale giudizio instaurato contro il funzionario, nel corso del quale la circostanza che l'impiegato abbia applicato ovvero disatteso le istruzioni contenute nella circolare dovrà essere vagliata dal giudice ai fini di determinare la colpa del soggetto agente, quale elemento soggettivo imprescindibile della responsabilità.Se queste sono le regole generali, si può osservare che nella sentenza in esame la Cassazione ha riaffermato i medesimi principi seppur attraverso espressioni più vaghe, non sempre correttamente interpretate e, pertanto, in alcune occasioni, strumentalizzate.Nella pronuncia si legge espressamente che "le circolari non vincolano gli uffici gerarchicamente subordinati…ai quali è data facoltà di disattendere il contenuto delle direttive senza che tale comportamento possa essere invocato quale causa di nullità o vizio dell'atto impositivo per difformità rispetto alla circolare esplicativa".La portata di quest'ultima affermazione della Corte è duplice, perché è riferibile tanto agli effetti sul piano interno, quanto ai suoi riflessi sull'atto. Solo una lettura integrale dell'intero passaggio argomentativo evidenziato consente di tracciare un quadro più chiaro e corretto, se non col rischio di concludere, come pure qualcuno ha proposto, nel senso del carattere non vincolante delle circolari anche sul piano interno.Ciò che i giudici intendevano affermare è che nell'eventualità in cui l'ufficio disattenda il contenuto della circolare, il contribuente non può per ciò solo far valere l'illegittimità dell'atto impugnato; quest'ultima, infatti, può derivare solo dal contrasto del contenuto dell'atto con le norme di legge. L'atto sarà, cioè, illegittimo solo se, a prescindere dalla sua conformità o meno a una circolare interpretativa, esso sia contrario alla legge, in quanto unico e solo parametro di valutazione della legittimità di un atto.Tale conclusione appare ovvia alla luce di quanto detto a proposito del potere posto a fondamento dell'emanazione della circolare e del suo carattere "non innovativo" dell'ordinamento giuridico.Per comprendere ancora meglio il principio affermato dalla Cassazione, un ulteriore argomento utile può essere desunto dal raffronto tra il ruolo che la circolare assume nell'ambito del giudizio tributario e quello che eventualmente può rivestire nel corso del giudizio amministrativo; la differenza consentirà di spiegare meglio la portata del principio come formulato dal giudice di legittimità.Il sistema della giustizia amministrativa conosce un vizio denominato, per l'appunto, "violazione di circolare", riconducibile alla più ampia categoria dell'eccesso di potere, del quale costituisce, secondo elaborazioni della giurisprudenza amministrativa oramai consolidate, figura tipica.Nei giudizi davanti al Tar, in altre parole, il privato può impugnare l'atto difforme dalla circolare impartita dall'Amministrazione, senza altro addurre se non l'irragionevolezza della decisione adottata, desunta, per l'appunto, dal contrasto (di norma non motivato o non ragionevolmente giustificato) tra il singolo provvedimento e una circolare.Analoga possibilità non può essere riconosciuta nel nostro sistema; l'eccesso di potere (comprese, ovviamente, le sue figure sintomatiche) è, infatti, il vizio tipico degli atti discrezionali, proprio perchè funzionale al sindacato sul corretto bilanciamento degli interessi in gioco contenuto nel provvedimento impugnato, ben poco adattabile al carattere generalmente vincolato degli atti dell'Amministrazione finanziaria.Riflessi sulla tutela giurisdizionaleSulla scia di tali principi, è possibile trarre alcune considerazioni generali in tema di tutela giurisdizionale del privato/contribuente a fronte dell'emanazione della circolare.Anche in alcune pronunce precedenti che costituiscono un importante chiave di lettura della sentenza in commento, la Cassazione ha correttamente escluso tanto l'impugnazione diretta della circolare dinanzi al giudice amministrativo, quanto la possibilità per il giudice ordinario di una disapplicazione della stessa nel corso delle controversie rimesse alla sua cognizione.Le affermazioni contenute nella sentenza sono condivisibili; esse, in sostanza, consolidano l'orientamento della prevalente giurisprudenza sul punto, respingendo per l'ennesima volta quella posizione isolata del giudice amministrativo che in passato aveva ammesso l'impugnazione immediata delle circolari.Questi principi possono essere pacificamente estesi anche all'eventuale impugnativa della circolare dinanzi alle Commissioni tributarie.Tuttavia, sul punto è necessaria una precisazione di più ampio respiro, partendo dall'affermazione, contenuta nella sentenza 237/2009, secondo cui l'impugnazione della circolare dinanzi al giudice amministrativo sarebbe preclusa a causa del difetto di giurisdizione del giudice adito. Tale affermazione, come si vedrà a breve, è corretta in sé, ma non inquadra correttamente il problema della tutela giurisdizionale del privato dinanzi alla circolare.Il difetto di giurisdizione del giudice amministrativo a fronte dell'impugnazione di una circolare dell'Amministrazione finanziaria, infatti, è eccepibile dal giudice in quanto con l'ampliamento e la generalizzazione della giurisdizione delle Commissioni tributarie, queste ultime sono diventate, in linea generale, il giudice per "materia".La Corte costituzionale, con la sentenza 130/2008, ha corretto in senso restrittivo la giurisdizione del giudice tributario (con riferimento, in particolare, alle sanzioni per lavoro nero irrogate dagli uffici dell'agenzia delle Entrate), ma è intervenuta in questa direzione richiamando proprio il principio della giurisdizione per materia (quella, in particolare, "dei tributi"), ribadendo, anziché negando, il carattere tendenzialmente pieno ed esclusivo della giurisdizione tributaria, pur con i suoi ancora evidenti limiti.Né in senso contrario appare decisivo il richiamo all'articolo 7, comma 4, dello Statuto dei diritti del contribuente, che non esclude la possibilità di ricorso agli organi della giustizia amministrativa per gli atti di natura tributaria; tale norma non nega la pienezza della giurisdizione tributaria, ma sembra fondare quella dei Tar rispetto ad atti per i quali il ricorso in Commissione tributaria è precluso dal carattere tendenzialmente (anche se non completamente) tassativo delle previsioni dell'articolo 19 del Dlgs 546/1992.Ad escludere l'impugnabilità delle circolari, pertanto, non vale il richiamo al difetto di giurisdizione, in quanto, ove si trattasse solo di un simile problema, occorrerebbe prevedere un canale di accesso immediato per la tutela del privato dinanzi al giudice tributario, o in via interpretativa (attraverso una difficilissima assimilazione della circolare a uno degli atti dell'articolo 19) ovvero in via normativa.Per negare la possibilità di impugnazione della circolare, appare più opportuno introdurre un altro concetto: la carenza di interesse a ricorrere. Leggendo le più recenti pronunce dei giudici amministrativi, si ritrova più che altro l'argomento secondo cui la circolare, di per sé sola, è inidonea a incidere su posizioni del privato, in quanto non ne determina una lesione immediata e diretta.In questa prospettiva, non si tratta di individuare il giudice "competente" a conoscere delle controversie generate da una circolare, quanto di escludere la possibilità di una tutela immediata in quanto non v'è alcuna lesione concreta e diretta della platea dei contribuenti ai quali può, ma solo indirettamente, essere rivolto il chiarimento interpretativo.Considerazioni conclusive sugli effetti delle circolariI principi contenuti nella sentenza sono in linea con la ricostruzione tradizionale proposta dalla dottrina a proposito del ruolo delle circolari nell'ordinamento giuridico generale.Sia sotto il profilo del potere posto a fondamento sia sotto il profilo degli effetti sul contribuente (e, di conseguenza, sul piano della tutela giurisdizionale), la circolare costituisce, anche ove a prevalente contenuto interpretativo, atto di indirizzo della condotta degli uffici cui è rivolta e mai atto vincolante per il privato, destinatario solo mediato e indiretto.Ciò premesso, si tratta a questo punto di inquadrare in questo contesto il principio contenuto nell'articolo 10 dello Statuto dei diritti del contribuente che, in maniera del tutto eccezionale rispetto a quanto finora prospettato, assegna alla circolare, come a qualunque atto dell'Amministrazione finanziaria diverso dall'interpello ex articolo 11 dello Statuto (in quanto atto a efficacia rafforzata), un effetto "esterno", quale atto che fonda l'affidamento del contribuente e costituisce causa di esclusione per l'applicazione di sanzioni e il recupero degli interessi. In deroga, infatti, alla ricostruzione fatta a proposito della circolare quale atto che esaurisce la sua portata applicativa sul piano interno, laddove il contribuente si sia adeguato alle indicazioni contenute in un atto dell'Amministrazione, fatto salvo il recupero del tributo (il quale discende dalla doverosità del concorso al verificarsi dei presupposti previsti dalla legge), al contribuente non potranno essere irrogate sanzioni né richiesti interessi.Il ben noto principio della tutela dell'affidamento, cui la stessa giurisprudenza di legittimità ha più volte riconosciuto il rango di principio generale dell'ordinamento, "prevale" quindi sul carattere meramente interno delle circolari e, senza mai tradursi in un motivo di ricorso che giustifichi da solo l'annullamento dell'atto e della pretesa in esso contenuta, può incidere sul diverso piano degli accessori del tributo.
Annalisa Cazzato




pubblicato il 10/02/2009
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natura giuridica delle circolari: Cassazione sentenza 237/09

La Cassazione conferma: circolari, atti interni all'Amministrazione

I giudici tornano sulla valenza dei documenti di prassi, illustrando una serie di principi di carattere generale
Natura ed effetti delle circolari. Potrebbe così intitolarsi la sentenza n. 237, depositata il 9 gennaio 2009, con cui la Cassazione, riprendendo il noto precedente rappresentato dalla pronuncia n. 23031 del 9 ottobre 2007, è tornata nuovamente sul tema della valenza dei documenti di prassi dell'Amministrazione finanziaria, illustrando, quasi didatticamente, una serie di principi generali relativi al ruolo delle circolari rispetto alla gerarchia delle fonti e alla portata che esse possono assumere tanto nei confronti della stessa Amministrazione emanante, globalmente considerata, quanto nei confronti dei contribuenti solo "impropriamente" destinatari delle medesime.Nulla quaestio sulla correttezza dei principi espressi dalla Suprema corte nella sentenza in esame e di seguito illustrati, anche se, giova evidenziarlo fin da subito, rispetto alla ricostruzione delle circolari quali atti interni all'Amministrazione, qualche dubbio residua rispetto alla "eccezionale" portata estrinseca che lo Statuto dei diritti del contribuente assegna alle circolari medesime e che, almeno a prima lettura, non sembra conciliarsi perfettamente con i principi contenuti nella pronuncia; salvo, come si evidenzierà nelle conclusioni, individuare dietro tale eccezionale valenza esterna un principio essenziale dell'ordinamento.Le circolari: ruolo e fondamentoLa prima affermazione desumibile dalla sentenza 237/2009 è quella secondo cui le circolari non sono atti normativi (né tanto meno sono a essi assimilabili) e, pertanto, sono prive del potere di innovare l'ordinamento giuridico.L'affermazione è pienamente in linea con l'incontestabile insegnamento della dottrina rispetto alla gerarchia delle fonti, laddove, specie nelle opere più tradizionali degli amministrativisti, si legge che col termine "circolare" più che designare un particolare tipo di atto, dalle funzioni o dal contenuto tipizzato, si individua una modalità di comunicazione di qualcosa; il termine designa, per l'appunto, il percorso di un certo atto che si diffonde "circolarmente" all'interno di una certa struttura.Certo è che, a mano a mano che la disciplina di singoli e specifici atti si è rivolta a individuarne anche le modalità di esternazione e le forme di alcuni atti sono diventate "tipiche", come nel caso dei regolamenti, la portata del termine "circolare" si è andata sempre più restringendo, fino al punto di identificarsi con quelli che oggi comunemente così chiamiamo, ossia gli atti emanati dall'Amministrazione, rivolti agli uffici, il cui contenuto può essere estremamente diversificato.Le circolari, come noto, possono contenere semplici comunicazioni, ovvero precise direttive o istruzioni in ordine alle modalità di comportamento che i destinatari devono adottare o, ancora (ed è questo l'oggetto di riflessioni nella sentenza in commento), l'interpretazione che l'organo emanante dà di un certa norma di legge.Resta inteso che l'interpretazione contenuta in una circolare altro non è se non il presupposto per individuare le concrete regole di comportamento cui i destinatari, interni all'Amministrazione, devono attenersi; si tratta cioè di un'attività strumentale all'obiettivo di indirizzare, in modo univoco, i comportamenti degli uffici su tutto il territorio nazionale.Tale conclusione appare scontata, sia se si analizza la distribuzione, a livello costituzionale, dei diversi poteri dello Stato sia, ancora di più, se ci si domanda quale sia il potere posto a fondamento della emanazione della circolare.La dottrina più tradizionale, condivisibilmente, ritiene che alla base del potere di emanare circolari sia individuabile il cosiddetto potere gerarchico o di indirizzo che alcuni organi possono esercitare nei confronti di altre strutture (normalmente interne e comunque sott'ordinate); tale potere, pertanto, potrà esplicare i suoi effetti solo nei confronti dei soggetti, ovvero degli uffici, che a tale potere soggiacciono.Le circolari: i soggetti destinatari, gli effetti sul piano interno dell'Amministrazione e gli effetti sui contribuentiIndividuato il fondamento del potere e, di conseguenza, l'ambito di soggetti che possono considerarsi "in senso proprio" destinatari del contenuto, comunicativo, precettivo o precettivo-interpretativo della circolare, si tratta di verificare quali sono gli effetti che si producono nei casi in cui la circolare stessa venga disattesa.Pur producendo di norma effetti vincolanti sul piano interno (ove il vincolo discende proprio dal rapporto gerarchico tra organo emanante e destinatari), le circolari possono essere legittimamente disattese quando in "evidente" contrasto con le norme di legge, come si desume applicando estensivamente la regola di cui all'articolo 17 della legge 3/1957, dettata dallo "Statuto degli impiegati civili dello Stato" di plurimo rilievo, anche penale.Al di fuori di questa ipotesi, che richiede l'evidenza del contrasto e che deve essere provata dalla parte che avrebbe dovuto attenersi alle istruzioni impartite dall'organo sovraordinato, la mancata osservanza delle circolari produce effetto ma solo sul piano interno e mai, come si vedrà anche a breve (almeno per quel che concerne materie caratterizzate dall'esercizio di poteri vincolati), sulla legittimità dell'atto adottato.Pertanto, l'inosservanza della circolare darà luogo a conseguenze sotto il profilo disciplinare (con applicazione delle relative sanzioni) e assumerà un ruolo essenziale ai fini dell'eventuale giudizio instaurato contro il funzionario, nel corso del quale la circostanza che l'impiegato abbia applicato ovvero disatteso le istruzioni contenute nella circolare dovrà essere vagliata dal giudice ai fini di determinare la colpa del soggetto agente, quale elemento soggettivo imprescindibile della responsabilità.Se queste sono le regole generali, si può osservare che nella sentenza in esame la Cassazione ha riaffermato i medesimi principi seppur attraverso espressioni più vaghe, non sempre correttamente interpretate e, pertanto, in alcune occasioni, strumentalizzate.Nella pronuncia si legge espressamente che "le circolari non vincolano gli uffici gerarchicamente subordinati…ai quali è data facoltà di disattendere il contenuto delle direttive senza che tale comportamento possa essere invocato quale causa di nullità o vizio dell'atto impositivo per difformità rispetto alla circolare esplicativa".La portata di quest'ultima affermazione della Corte è duplice, perché è riferibile tanto agli effetti sul piano interno, quanto ai suoi riflessi sull'atto. Solo una lettura integrale dell'intero passaggio argomentativo evidenziato consente di tracciare un quadro più chiaro e corretto, se non col rischio di concludere, come pure qualcuno ha proposto, nel senso del carattere non vincolante delle circolari anche sul piano interno.Ciò che i giudici intendevano affermare è che nell'eventualità in cui l'ufficio disattenda il contenuto della circolare, il contribuente non può per ciò solo far valere l'illegittimità dell'atto impugnato; quest'ultima, infatti, può derivare solo dal contrasto del contenuto dell'atto con le norme di legge. L'atto sarà, cioè, illegittimo solo se, a prescindere dalla sua conformità o meno a una circolare interpretativa, esso sia contrario alla legge, in quanto unico e solo parametro di valutazione della legittimità di un atto.Tale conclusione appare ovvia alla luce di quanto detto a proposito del potere posto a fondamento dell'emanazione della circolare e del suo carattere "non innovativo" dell'ordinamento giuridico.Per comprendere ancora meglio il principio affermato dalla Cassazione, un ulteriore argomento utile può essere desunto dal raffronto tra il ruolo che la circolare assume nell'ambito del giudizio tributario e quello che eventualmente può rivestire nel corso del giudizio amministrativo; la differenza consentirà di spiegare meglio la portata del principio come formulato dal giudice di legittimità.Il sistema della giustizia amministrativa conosce un vizio denominato, per l'appunto, "violazione di circolare", riconducibile alla più ampia categoria dell'eccesso di potere, del quale costituisce, secondo elaborazioni della giurisprudenza amministrativa oramai consolidate, figura tipica.Nei giudizi davanti al Tar, in altre parole, il privato può impugnare l'atto difforme dalla circolare impartita dall'Amministrazione, senza altro addurre se non l'irragionevolezza della decisione adottata, desunta, per l'appunto, dal contrasto (di norma non motivato o non ragionevolmente giustificato) tra il singolo provvedimento e una circolare.Analoga possibilità non può essere riconosciuta nel nostro sistema; l'eccesso di potere (comprese, ovviamente, le sue figure sintomatiche) è, infatti, il vizio tipico degli atti discrezionali, proprio perchè funzionale al sindacato sul corretto bilanciamento degli interessi in gioco contenuto nel provvedimento impugnato, ben poco adattabile al carattere generalmente vincolato degli atti dell'Amministrazione finanziaria.Riflessi sulla tutela giurisdizionaleSulla scia di tali principi, è possibile trarre alcune considerazioni generali in tema di tutela giurisdizionale del privato/contribuente a fronte dell'emanazione della circolare.Anche in alcune pronunce precedenti che costituiscono un importante chiave di lettura della sentenza in commento, la Cassazione ha correttamente escluso tanto l'impugnazione diretta della circolare dinanzi al giudice amministrativo, quanto la possibilità per il giudice ordinario di una disapplicazione della stessa nel corso delle controversie rimesse alla sua cognizione.Le affermazioni contenute nella sentenza sono condivisibili; esse, in sostanza, consolidano l'orientamento della prevalente giurisprudenza sul punto, respingendo per l'ennesima volta quella posizione isolata del giudice amministrativo che in passato aveva ammesso l'impugnazione immediata delle circolari.Questi principi possono essere pacificamente estesi anche all'eventuale impugnativa della circolare dinanzi alle Commissioni tributarie.Tuttavia, sul punto è necessaria una precisazione di più ampio respiro, partendo dall'affermazione, contenuta nella sentenza 237/2009, secondo cui l'impugnazione della circolare dinanzi al giudice amministrativo sarebbe preclusa a causa del difetto di giurisdizione del giudice adito. Tale affermazione, come si vedrà a breve, è corretta in sé, ma non inquadra correttamente il problema della tutela giurisdizionale del privato dinanzi alla circolare.Il difetto di giurisdizione del giudice amministrativo a fronte dell'impugnazione di una circolare dell'Amministrazione finanziaria, infatti, è eccepibile dal giudice in quanto con l'ampliamento e la generalizzazione della giurisdizione delle Commissioni tributarie, queste ultime sono diventate, in linea generale, il giudice per "materia".La Corte costituzionale, con la sentenza 130/2008, ha corretto in senso restrittivo la giurisdizione del giudice tributario (con riferimento, in particolare, alle sanzioni per lavoro nero irrogate dagli uffici dell'agenzia delle Entrate), ma è intervenuta in questa direzione richiamando proprio il principio della giurisdizione per materia (quella, in particolare, "dei tributi"), ribadendo, anziché negando, il carattere tendenzialmente pieno ed esclusivo della giurisdizione tributaria, pur con i suoi ancora evidenti limiti.Né in senso contrario appare decisivo il richiamo all'articolo 7, comma 4, dello Statuto dei diritti del contribuente, che non esclude la possibilità di ricorso agli organi della giustizia amministrativa per gli atti di natura tributaria; tale norma non nega la pienezza della giurisdizione tributaria, ma sembra fondare quella dei Tar rispetto ad atti per i quali il ricorso in Commissione tributaria è precluso dal carattere tendenzialmente (anche se non completamente) tassativo delle previsioni dell'articolo 19 del Dlgs 546/1992.Ad escludere l'impugnabilità delle circolari, pertanto, non vale il richiamo al difetto di giurisdizione, in quanto, ove si trattasse solo di un simile problema, occorrerebbe prevedere un canale di accesso immediato per la tutela del privato dinanzi al giudice tributario, o in via interpretativa (attraverso una difficilissima assimilazione della circolare a uno degli atti dell'articolo 19) ovvero in via normativa.Per negare la possibilità di impugnazione della circolare, appare più opportuno introdurre un altro concetto: la carenza di interesse a ricorrere. Leggendo le più recenti pronunce dei giudici amministrativi, si ritrova più che altro l'argomento secondo cui la circolare, di per sé sola, è inidonea a incidere su posizioni del privato, in quanto non ne determina una lesione immediata e diretta.In questa prospettiva, non si tratta di individuare il giudice "competente" a conoscere delle controversie generate da una circolare, quanto di escludere la possibilità di una tutela immediata in quanto non v'è alcuna lesione concreta e diretta della platea dei contribuenti ai quali può, ma solo indirettamente, essere rivolto il chiarimento interpretativo.Considerazioni conclusive sugli effetti delle circolariI principi contenuti nella sentenza sono in linea con la ricostruzione tradizionale proposta dalla dottrina a proposito del ruolo delle circolari nell'ordinamento giuridico generale.Sia sotto il profilo del potere posto a fondamento sia sotto il profilo degli effetti sul contribuente (e, di conseguenza, sul piano della tutela giurisdizionale), la circolare costituisce, anche ove a prevalente contenuto interpretativo, atto di indirizzo della condotta degli uffici cui è rivolta e mai atto vincolante per il privato, destinatario solo mediato e indiretto.Ciò premesso, si tratta a questo punto di inquadrare in questo contesto il principio contenuto nell'articolo 10 dello Statuto dei diritti del contribuente che, in maniera del tutto eccezionale rispetto a quanto finora prospettato, assegna alla circolare, come a qualunque atto dell'Amministrazione finanziaria diverso dall'interpello ex articolo 11 dello Statuto (in quanto atto a efficacia rafforzata), un effetto "esterno", quale atto che fonda l'affidamento del contribuente e costituisce causa di esclusione per l'applicazione di sanzioni e il recupero degli interessi. In deroga, infatti, alla ricostruzione fatta a proposito della circolare quale atto che esaurisce la sua portata applicativa sul piano interno, laddove il contribuente si sia adeguato alle indicazioni contenute in un atto dell'Amministrazione, fatto salvo il recupero del tributo (il quale discende dalla doverosità del concorso al verificarsi dei presupposti previsti dalla legge), al contribuente non potranno essere irrogate sanzioni né richiesti interessi.Il ben noto principio della tutela dell'affidamento, cui la stessa giurisprudenza di legittimità ha più volte riconosciuto il rango di principio generale dell'ordinamento, "prevale" quindi sul carattere meramente interno delle circolari e, senza mai tradursi in un motivo di ricorso che giustifichi da solo l'annullamento dell'atto e della pretesa in esso contenuta, può incidere sul diverso piano degli accessori del tributo.
Annalisa Cazzato




pubblicato il 10/02/2009
in

natura giuridica delle circolari: Cassazione sentenza 237/09

La Cassazione conferma: circolari, atti interni all'Amministrazione

I giudici tornano sulla valenza dei documenti di prassi, illustrando una serie di principi di carattere generale
Natura ed effetti delle circolari. Potrebbe così intitolarsi la sentenza n. 237, depositata il 9 gennaio 2009, con cui la Cassazione, riprendendo il noto precedente rappresentato dalla pronuncia n. 23031 del 9 ottobre 2007, è tornata nuovamente sul tema della valenza dei documenti di prassi dell'Amministrazione finanziaria, illustrando, quasi didatticamente, una serie di principi generali relativi al ruolo delle circolari rispetto alla gerarchia delle fonti e alla portata che esse possono assumere tanto nei confronti della stessa Amministrazione emanante, globalmente considerata, quanto nei confronti dei contribuenti solo "impropriamente" destinatari delle medesime.Nulla quaestio sulla correttezza dei principi espressi dalla Suprema corte nella sentenza in esame e di seguito illustrati, anche se, giova evidenziarlo fin da subito, rispetto alla ricostruzione delle circolari quali atti interni all'Amministrazione, qualche dubbio residua rispetto alla "eccezionale" portata estrinseca che lo Statuto dei diritti del contribuente assegna alle circolari medesime e che, almeno a prima lettura, non sembra conciliarsi perfettamente con i principi contenuti nella pronuncia; salvo, come si evidenzierà nelle conclusioni, individuare dietro tale eccezionale valenza esterna un principio essenziale dell'ordinamento.Le circolari: ruolo e fondamentoLa prima affermazione desumibile dalla sentenza 237/2009 è quella secondo cui le circolari non sono atti normativi (né tanto meno sono a essi assimilabili) e, pertanto, sono prive del potere di innovare l'ordinamento giuridico.L'affermazione è pienamente in linea con l'incontestabile insegnamento della dottrina rispetto alla gerarchia delle fonti, laddove, specie nelle opere più tradizionali degli amministrativisti, si legge che col termine "circolare" più che designare un particolare tipo di atto, dalle funzioni o dal contenuto tipizzato, si individua una modalità di comunicazione di qualcosa; il termine designa, per l'appunto, il percorso di un certo atto che si diffonde "circolarmente" all'interno di una certa struttura.Certo è che, a mano a mano che la disciplina di singoli e specifici atti si è rivolta a individuarne anche le modalità di esternazione e le forme di alcuni atti sono diventate "tipiche", come nel caso dei regolamenti, la portata del termine "circolare" si è andata sempre più restringendo, fino al punto di identificarsi con quelli che oggi comunemente così chiamiamo, ossia gli atti emanati dall'Amministrazione, rivolti agli uffici, il cui contenuto può essere estremamente diversificato.Le circolari, come noto, possono contenere semplici comunicazioni, ovvero precise direttive o istruzioni in ordine alle modalità di comportamento che i destinatari devono adottare o, ancora (ed è questo l'oggetto di riflessioni nella sentenza in commento), l'interpretazione che l'organo emanante dà di un certa norma di legge.Resta inteso che l'interpretazione contenuta in una circolare altro non è se non il presupposto per individuare le concrete regole di comportamento cui i destinatari, interni all'Amministrazione, devono attenersi; si tratta cioè di un'attività strumentale all'obiettivo di indirizzare, in modo univoco, i comportamenti degli uffici su tutto il territorio nazionale.Tale conclusione appare scontata, sia se si analizza la distribuzione, a livello costituzionale, dei diversi poteri dello Stato sia, ancora di più, se ci si domanda quale sia il potere posto a fondamento della emanazione della circolare.La dottrina più tradizionale, condivisibilmente, ritiene che alla base del potere di emanare circolari sia individuabile il cosiddetto potere gerarchico o di indirizzo che alcuni organi possono esercitare nei confronti di altre strutture (normalmente interne e comunque sott'ordinate); tale potere, pertanto, potrà esplicare i suoi effetti solo nei confronti dei soggetti, ovvero degli uffici, che a tale potere soggiacciono.Le circolari: i soggetti destinatari, gli effetti sul piano interno dell'Amministrazione e gli effetti sui contribuentiIndividuato il fondamento del potere e, di conseguenza, l'ambito di soggetti che possono considerarsi "in senso proprio" destinatari del contenuto, comunicativo, precettivo o precettivo-interpretativo della circolare, si tratta di verificare quali sono gli effetti che si producono nei casi in cui la circolare stessa venga disattesa.Pur producendo di norma effetti vincolanti sul piano interno (ove il vincolo discende proprio dal rapporto gerarchico tra organo emanante e destinatari), le circolari possono essere legittimamente disattese quando in "evidente" contrasto con le norme di legge, come si desume applicando estensivamente la regola di cui all'articolo 17 della legge 3/1957, dettata dallo "Statuto degli impiegati civili dello Stato" di plurimo rilievo, anche penale.Al di fuori di questa ipotesi, che richiede l'evidenza del contrasto e che deve essere provata dalla parte che avrebbe dovuto attenersi alle istruzioni impartite dall'organo sovraordinato, la mancata osservanza delle circolari produce effetto ma solo sul piano interno e mai, come si vedrà anche a breve (almeno per quel che concerne materie caratterizzate dall'esercizio di poteri vincolati), sulla legittimità dell'atto adottato.Pertanto, l'inosservanza della circolare darà luogo a conseguenze sotto il profilo disciplinare (con applicazione delle relative sanzioni) e assumerà un ruolo essenziale ai fini dell'eventuale giudizio instaurato contro il funzionario, nel corso del quale la circostanza che l'impiegato abbia applicato ovvero disatteso le istruzioni contenute nella circolare dovrà essere vagliata dal giudice ai fini di determinare la colpa del soggetto agente, quale elemento soggettivo imprescindibile della responsabilità.Se queste sono le regole generali, si può osservare che nella sentenza in esame la Cassazione ha riaffermato i medesimi principi seppur attraverso espressioni più vaghe, non sempre correttamente interpretate e, pertanto, in alcune occasioni, strumentalizzate.Nella pronuncia si legge espressamente che "le circolari non vincolano gli uffici gerarchicamente subordinati…ai quali è data facoltà di disattendere il contenuto delle direttive senza che tale comportamento possa essere invocato quale causa di nullità o vizio dell'atto impositivo per difformità rispetto alla circolare esplicativa".La portata di quest'ultima affermazione della Corte è duplice, perché è riferibile tanto agli effetti sul piano interno, quanto ai suoi riflessi sull'atto. Solo una lettura integrale dell'intero passaggio argomentativo evidenziato consente di tracciare un quadro più chiaro e corretto, se non col rischio di concludere, come pure qualcuno ha proposto, nel senso del carattere non vincolante delle circolari anche sul piano interno.Ciò che i giudici intendevano affermare è che nell'eventualità in cui l'ufficio disattenda il contenuto della circolare, il contribuente non può per ciò solo far valere l'illegittimità dell'atto impugnato; quest'ultima, infatti, può derivare solo dal contrasto del contenuto dell'atto con le norme di legge. L'atto sarà, cioè, illegittimo solo se, a prescindere dalla sua conformità o meno a una circolare interpretativa, esso sia contrario alla legge, in quanto unico e solo parametro di valutazione della legittimità di un atto.Tale conclusione appare ovvia alla luce di quanto detto a proposito del potere posto a fondamento dell'emanazione della circolare e del suo carattere "non innovativo" dell'ordinamento giuridico.Per comprendere ancora meglio il principio affermato dalla Cassazione, un ulteriore argomento utile può essere desunto dal raffronto tra il ruolo che la circolare assume nell'ambito del giudizio tributario e quello che eventualmente può rivestire nel corso del giudizio amministrativo; la differenza consentirà di spiegare meglio la portata del principio come formulato dal giudice di legittimità.Il sistema della giustizia amministrativa conosce un vizio denominato, per l'appunto, "violazione di circolare", riconducibile alla più ampia categoria dell'eccesso di potere, del quale costituisce, secondo elaborazioni della giurisprudenza amministrativa oramai consolidate, figura tipica.Nei giudizi davanti al Tar, in altre parole, il privato può impugnare l'atto difforme dalla circolare impartita dall'Amministrazione, senza altro addurre se non l'irragionevolezza della decisione adottata, desunta, per l'appunto, dal contrasto (di norma non motivato o non ragionevolmente giustificato) tra il singolo provvedimento e una circolare.Analoga possibilità non può essere riconosciuta nel nostro sistema; l'eccesso di potere (comprese, ovviamente, le sue figure sintomatiche) è, infatti, il vizio tipico degli atti discrezionali, proprio perchè funzionale al sindacato sul corretto bilanciamento degli interessi in gioco contenuto nel provvedimento impugnato, ben poco adattabile al carattere generalmente vincolato degli atti dell'Amministrazione finanziaria.Riflessi sulla tutela giurisdizionaleSulla scia di tali principi, è possibile trarre alcune considerazioni generali in tema di tutela giurisdizionale del privato/contribuente a fronte dell'emanazione della circolare.Anche in alcune pronunce precedenti che costituiscono un importante chiave di lettura della sentenza in commento, la Cassazione ha correttamente escluso tanto l'impugnazione diretta della circolare dinanzi al giudice amministrativo, quanto la possibilità per il giudice ordinario di una disapplicazione della stessa nel corso delle controversie rimesse alla sua cognizione.Le affermazioni contenute nella sentenza sono condivisibili; esse, in sostanza, consolidano l'orientamento della prevalente giurisprudenza sul punto, respingendo per l'ennesima volta quella posizione isolata del giudice amministrativo che in passato aveva ammesso l'impugnazione immediata delle circolari.Questi principi possono essere pacificamente estesi anche all'eventuale impugnativa della circolare dinanzi alle Commissioni tributarie.Tuttavia, sul punto è necessaria una precisazione di più ampio respiro, partendo dall'affermazione, contenuta nella sentenza 237/2009, secondo cui l'impugnazione della circolare dinanzi al giudice amministrativo sarebbe preclusa a causa del difetto di giurisdizione del giudice adito. Tale affermazione, come si vedrà a breve, è corretta in sé, ma non inquadra correttamente il problema della tutela giurisdizionale del privato dinanzi alla circolare.Il difetto di giurisdizione del giudice amministrativo a fronte dell'impugnazione di una circolare dell'Amministrazione finanziaria, infatti, è eccepibile dal giudice in quanto con l'ampliamento e la generalizzazione della giurisdizione delle Commissioni tributarie, queste ultime sono diventate, in linea generale, il giudice per "materia".La Corte costituzionale, con la sentenza 130/2008, ha corretto in senso restrittivo la giurisdizione del giudice tributario (con riferimento, in particolare, alle sanzioni per lavoro nero irrogate dagli uffici dell'agenzia delle Entrate), ma è intervenuta in questa direzione richiamando proprio il principio della giurisdizione per materia (quella, in particolare, "dei tributi"), ribadendo, anziché negando, il carattere tendenzialmente pieno ed esclusivo della giurisdizione tributaria, pur con i suoi ancora evidenti limiti.Né in senso contrario appare decisivo il richiamo all'articolo 7, comma 4, dello Statuto dei diritti del contribuente, che non esclude la possibilità di ricorso agli organi della giustizia amministrativa per gli atti di natura tributaria; tale norma non nega la pienezza della giurisdizione tributaria, ma sembra fondare quella dei Tar rispetto ad atti per i quali il ricorso in Commissione tributaria è precluso dal carattere tendenzialmente (anche se non completamente) tassativo delle previsioni dell'articolo 19 del Dlgs 546/1992.Ad escludere l'impugnabilità delle circolari, pertanto, non vale il richiamo al difetto di giurisdizione, in quanto, ove si trattasse solo di un simile problema, occorrerebbe prevedere un canale di accesso immediato per la tutela del privato dinanzi al giudice tributario, o in via interpretativa (attraverso una difficilissima assimilazione della circolare a uno degli atti dell'articolo 19) ovvero in via normativa.Per negare la possibilità di impugnazione della circolare, appare più opportuno introdurre un altro concetto: la carenza di interesse a ricorrere. Leggendo le più recenti pronunce dei giudici amministrativi, si ritrova più che altro l'argomento secondo cui la circolare, di per sé sola, è inidonea a incidere su posizioni del privato, in quanto non ne determina una lesione immediata e diretta.In questa prospettiva, non si tratta di individuare il giudice "competente" a conoscere delle controversie generate da una circolare, quanto di escludere la possibilità di una tutela immediata in quanto non v'è alcuna lesione concreta e diretta della platea dei contribuenti ai quali può, ma solo indirettamente, essere rivolto il chiarimento interpretativo.Considerazioni conclusive sugli effetti delle circolariI principi contenuti nella sentenza sono in linea con la ricostruzione tradizionale proposta dalla dottrina a proposito del ruolo delle circolari nell'ordinamento giuridico generale.Sia sotto il profilo del potere posto a fondamento sia sotto il profilo degli effetti sul contribuente (e, di conseguenza, sul piano della tutela giurisdizionale), la circolare costituisce, anche ove a prevalente contenuto interpretativo, atto di indirizzo della condotta degli uffici cui è rivolta e mai atto vincolante per il privato, destinatario solo mediato e indiretto.Ciò premesso, si tratta a questo punto di inquadrare in questo contesto il principio contenuto nell'articolo 10 dello Statuto dei diritti del contribuente che, in maniera del tutto eccezionale rispetto a quanto finora prospettato, assegna alla circolare, come a qualunque atto dell'Amministrazione finanziaria diverso dall'interpello ex articolo 11 dello Statuto (in quanto atto a efficacia rafforzata), un effetto "esterno", quale atto che fonda l'affidamento del contribuente e costituisce causa di esclusione per l'applicazione di sanzioni e il recupero degli interessi. In deroga, infatti, alla ricostruzione fatta a proposito della circolare quale atto che esaurisce la sua portata applicativa sul piano interno, laddove il contribuente si sia adeguato alle indicazioni contenute in un atto dell'Amministrazione, fatto salvo il recupero del tributo (il quale discende dalla doverosità del concorso al verificarsi dei presupposti previsti dalla legge), al contribuente non potranno essere irrogate sanzioni né richiesti interessi.Il ben noto principio della tutela dell'affidamento, cui la stessa giurisprudenza di legittimità ha più volte riconosciuto il rango di principio generale dell'ordinamento, "prevale" quindi sul carattere meramente interno delle circolari e, senza mai tradursi in un motivo di ricorso che giustifichi da solo l'annullamento dell'atto e della pretesa in esso contenuta, può incidere sul diverso piano degli accessori del tributo.
Annalisa Cazzato




pubblicato il 10/02/2009
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news dalle Commissioni Tributarie e dalla S.C. sez. Tributaria

Premessa introduttiva
Continuiamo, anche in questa puntata della rubrica, ad illustrare i massimari delle sentenze che hanno affrontato il tema dell’onere della prova.
Il riferimento è sempre quello di casi pratici di rilevante interesse (fatturazioni false, conti bancari, redditometro), mentre si segnalano per una lettura più attenta due sentenze che disciplinano il potere del Giudice di sopperire le mancanze di parte onerata.
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Operazioni fittizie
L’Amministrazione finanziaria che intenda contestare la sussistenza di determinate operazioni economiche asserite come fittizie ovvero inesistenti non deve limitarsi a generiche affermazioni od al mero disconoscimento della documentazione offerta dal contribuente essendo onerata della dimostrazione, anche tramite indizi e presunzioni, di simile asserzione. D’altro canto, in dipendenza di circostanziata contestazione spetta al contribuente dimostrare l’effettività delle operazioni qualificate come inesistenti.(Cassazione, sentenza n. 29396/08)
Indici rivelatori della sussistenza di un vincolo societario
La sussistenza del vincolo sociale costituisce apprezzamento di fatto - la cui valutazione è demandata al giudice del merito - pregiudiziale al fine di legittimare l’accertamento ai fini delle imposte sui redditi fondato sulla convinzione dell’esistenza di una società di fatto della quale il contribuente sia parte integrante. Indice rivelatore di siffatta esistenza ben può essere identificato nella circostanza secondo la quale il corrispettivo delle commesse affidate ad un soggetto viene ad essere assolto da soggetto diverso ovvero nell’utilità tratta dall’intermediazione di un soggetto in favore di un altro.(Cassazione, sentenza n. 29437/08)
Onere della prova e obblighi del Giudice Tributario
E’ principio già enunciato dalla Corte quello secondo cui “A fronte del mancato assolvimento dell’onere probatorio da parte del soggetto onerato, il giudice tributario non è tenuto ad acquisire d’ufficio le prove in forza dei poteri istruttri attribuitigli dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 7, perché tali poteri sono meramente integrativi (e non esonerativi) dell’onere probatorio principale e vanno esercitati, al fine di dare attuazione al principio costituzionale delle parti nel processo, solo per sopperire all’impossibilità di una parte di esibire documenti in possesso dell’altra. (Nella specie, in applicazione del riferito principio la Suprema Corte ha confermato la pronuncia impugnata che aveva rigettato l’appello dell’Ufficio per essersi questo limitato ad asserzioni labiali dei fatti, mai allegando supporti do! cumentali e atteso, altresì, le doglianze generiche contenute nell’appello, sul negato rilievo probatorio della documentazione extra contabile mai messa peraltro a disposizione della commissione)” (Cassazione civile, sez. trib., 14 aprile 2007, n. 10970).(Cassazione, sentenza n. 683/09)
Conti bancari
Qualora dall’esame dei conti e rapporti intrattenuti dai soci con istituti di credito si abbia motivo di ritenere sussistente una materia imponibile superiore a quella dichiarata, l’Amministrazione finanziaria è ammessa alla rettifica competendo al contribuente la dimostrazione che quanto emerso dalle rilevazioni e movimentazioni dei conti e rapporti è estraneo alla determinazione del reddito d’impresa. A tale fine, non è sufficiente il semplice riferimento alla gestione di altre attività dovendosi all’uopo indicare quali risultanze si riferiscono a ciascuna realtà operativa.(Cassazione, sentenza n. 1444/09)
Fatture false
La documentazione aziendale (fatture e libri contabili) è strumento idoneo a dimostrare l’esistenza delle operazioni riportate, ed incombe sull’Amministrazione che intenda disconoscere tale documentazione (nel caso di specie asserendo che determinate operazioni documentate con fatture erano in realtà inesistenti) l’onere di provarne, anche attraverso presunzioni, l’inattendibilità.(Cassazione, sentenza n. 1023/08)
Redditometro senza prova
Gli accertamenti effettuati mediante redditometro si sottraggono all’obbligo di motivazione ex art. 3, comma 2, della L. 7 agosto 1990, n. 241, con la conseguenza che l’Amministrazione finanziaria è esonerata da qualunque prova ulteriore rispetto ai fatti indicativi di capacità contributiva individuati dal redditometro e posti a base della pretesa fiscale (nel caso di specie: possesso di automobili), gravando sul contribuente l’onere di dimostrare che il reddito presupposto sulla base del redditometro non esiste o esiste in misura inferiore(Cassazione, sentenza n. 25386/07)

news dalle Commissioni Tributarie e dalla S.C. sez. Tributaria

Premessa introduttiva
Continuiamo, anche in questa puntata della rubrica, ad illustrare i massimari delle sentenze che hanno affrontato il tema dell’onere della prova.
Il riferimento è sempre quello di casi pratici di rilevante interesse (fatturazioni false, conti bancari, redditometro), mentre si segnalano per una lettura più attenta due sentenze che disciplinano il potere del Giudice di sopperire le mancanze di parte onerata.
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Operazioni fittizie
L’Amministrazione finanziaria che intenda contestare la sussistenza di determinate operazioni economiche asserite come fittizie ovvero inesistenti non deve limitarsi a generiche affermazioni od al mero disconoscimento della documentazione offerta dal contribuente essendo onerata della dimostrazione, anche tramite indizi e presunzioni, di simile asserzione. D’altro canto, in dipendenza di circostanziata contestazione spetta al contribuente dimostrare l’effettività delle operazioni qualificate come inesistenti.(Cassazione, sentenza n. 29396/08)
Indici rivelatori della sussistenza di un vincolo societario
La sussistenza del vincolo sociale costituisce apprezzamento di fatto - la cui valutazione è demandata al giudice del merito - pregiudiziale al fine di legittimare l’accertamento ai fini delle imposte sui redditi fondato sulla convinzione dell’esistenza di una società di fatto della quale il contribuente sia parte integrante. Indice rivelatore di siffatta esistenza ben può essere identificato nella circostanza secondo la quale il corrispettivo delle commesse affidate ad un soggetto viene ad essere assolto da soggetto diverso ovvero nell’utilità tratta dall’intermediazione di un soggetto in favore di un altro.(Cassazione, sentenza n. 29437/08)
Onere della prova e obblighi del Giudice Tributario
E’ principio già enunciato dalla Corte quello secondo cui “A fronte del mancato assolvimento dell’onere probatorio da parte del soggetto onerato, il giudice tributario non è tenuto ad acquisire d’ufficio le prove in forza dei poteri istruttri attribuitigli dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 7, perché tali poteri sono meramente integrativi (e non esonerativi) dell’onere probatorio principale e vanno esercitati, al fine di dare attuazione al principio costituzionale delle parti nel processo, solo per sopperire all’impossibilità di una parte di esibire documenti in possesso dell’altra. (Nella specie, in applicazione del riferito principio la Suprema Corte ha confermato la pronuncia impugnata che aveva rigettato l’appello dell’Ufficio per essersi questo limitato ad asserzioni labiali dei fatti, mai allegando supporti do! cumentali e atteso, altresì, le doglianze generiche contenute nell’appello, sul negato rilievo probatorio della documentazione extra contabile mai messa peraltro a disposizione della commissione)” (Cassazione civile, sez. trib., 14 aprile 2007, n. 10970).(Cassazione, sentenza n. 683/09)
Conti bancari
Qualora dall’esame dei conti e rapporti intrattenuti dai soci con istituti di credito si abbia motivo di ritenere sussistente una materia imponibile superiore a quella dichiarata, l’Amministrazione finanziaria è ammessa alla rettifica competendo al contribuente la dimostrazione che quanto emerso dalle rilevazioni e movimentazioni dei conti e rapporti è estraneo alla determinazione del reddito d’impresa. A tale fine, non è sufficiente il semplice riferimento alla gestione di altre attività dovendosi all’uopo indicare quali risultanze si riferiscono a ciascuna realtà operativa.(Cassazione, sentenza n. 1444/09)
Fatture false
La documentazione aziendale (fatture e libri contabili) è strumento idoneo a dimostrare l’esistenza delle operazioni riportate, ed incombe sull’Amministrazione che intenda disconoscere tale documentazione (nel caso di specie asserendo che determinate operazioni documentate con fatture erano in realtà inesistenti) l’onere di provarne, anche attraverso presunzioni, l’inattendibilità.(Cassazione, sentenza n. 1023/08)
Redditometro senza prova
Gli accertamenti effettuati mediante redditometro si sottraggono all’obbligo di motivazione ex art. 3, comma 2, della L. 7 agosto 1990, n. 241, con la conseguenza che l’Amministrazione finanziaria è esonerata da qualunque prova ulteriore rispetto ai fatti indicativi di capacità contributiva individuati dal redditometro e posti a base della pretesa fiscale (nel caso di specie: possesso di automobili), gravando sul contribuente l’onere di dimostrare che il reddito presupposto sulla base del redditometro non esiste o esiste in misura inferiore(Cassazione, sentenza n. 25386/07)

Dedicato alla Thyssen


Dedicato alla Thyssen


Fondo di sostegno per le famiglie delle vittime sul lavoro: le regole per l'accesso

Fondo di sostegno per le famiglie delle vittime sul lavoro: le regole per l'accesso
Decreto Ministero Lavoro, salute e politiche sociali 19.11.2008, G.U. 02.02.2009

Il Fondo di sostegno per le famiglie delle vittime di gravi infortuni sul lavoro eroga una prestazione una tantum al nucleo dei familiari superstiti dei lavoratori deceduti, anche se questi ultimi erano privi di copertura assicurativa obbligatoria.
E' quanto stabilisce il D.M. 19 novembre 2008 (pubblicato in Gazzetta Ufficiale 2 febbraio 2009, n. 26) con il quale il Ministero del Lavoro fissa tipologie di benefici, requisiti e modalità di accesso al Fondo istituito dalla Legge 296/2006 (Finanziaria 2007).
In particolare per gli eventi verificatesi tra il 1° gennaio 2007 e il 31 dicembre 2008 l'importo della prestazione varia in base al numero dei componenti il nucleo familiare 'superstite':
1.500 euro (1 superstite);
1.900 euro (2);
2.200 euro (3);
2.500 euro (pù di 3).
(Altalex, 10 febbraio 2009)
MINISTERO DEL LAVORO, DELLA SALUTE E DELLE POLITICHE SOCIALI, DECRETO 19 novembre 2008
Tipologie di benefici, requisiti e modalita' di accesso al Fondo di sostegno per le famiglie delle vittime di gravi infortuni sul lavoro.
(GU n. 26 del 2-2-2009)
IL MINISTRO DEL LAVORO, DELLA SALUTE E DELLE POLITICHE SOCIALI
Visto l'art. 1, comma 1187, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, che, al fine di assicurare un adeguato e tempestivo sostegno ai familiari delle vittime di gravi incidenti sul lavoro, anche per i casi in cui le vittime medesime risultino prive della copertura assicurativa obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 giugno 1965, n. 1124, ha istituito il Fondo di sostegno per le famiglie delle vittime di gravi infortuni sul lavoro, di seguito denominato Fondo;Visto che il medesimo art. 1, comma 1187, ha previsto che con decreto del Ministro del lavoro, della salute e delle politiche sociali siano definite le tipologie dei benefici concessi nonche' i requisiti e le modalita' di accesso agli stessi;Visto che il medesimo art. 1, comma 1187, ha conferito al Fondo la somma di 2,5 milioni di euro per ciascuno degli anni 2007, 2008 e 2009;Visto il decreto del Ministro del lavoro e della previdenza sociale 2 luglio 2007 con il quale sono stati individuate le tipologie dei benefici concessi e i requisiti e le modalita' di accesso agli stessi ai sensi dell'art. 1, comma 1187, della legge 27 dicembre 2006, n. 296;Visto l'art. 2, comma 534, della legge 24 dicembre 2007, n. 244, il quale ha incrementato la dotazione del Fondo di cui sopra «di 2,5 milioni di euro per ciascuno degli anni 2008 e 2009 e di 10 milioni di euro a decorrere dall'anno 2010»;Visto l'art. 9, comma 4, lettera d), del decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81, il quale dispone che l'INAIL «eroga, previo trasferimento delle necessarie risorse da parte del Ministero del lavoro della salute e delle politiche sociali, le prestazioni del Fondo di cui all'art. 1, comma 1187, della legge 27 dicembre 2006, n. 296» e che «in sede di prima applicazione, le relative prestazioni sono fornite con riferimento agli infortuni verificatisi a far data dal 1° gennaio 2007»;Visto l'art. 9, comma 7, lettera e), del decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81, il quale dispone che l'IPSEMA «eroga, previo trasferimento delle necessarie risorse da parte del Ministero del lavoro della salute e delle politiche sociali, le prestazioni del Fondo di cui all'art. 1, comma 1187, della legge 27 dicembre 2006, n.296, con riferimento agli infortuni del settore marittimo» e che «in sede di prima applicazione, le relative prestazioni sono fornite con riferimento agli infortuni verificatisi a far data dal 1° gennaio 2007»;Vista la legge n. 493 del 3 dicembre 1999 recante «Norme per la tutela della salute nelle abitazioni e istituzione dell'assicurazione contro gli infortuni domestici» ed, in particolare, l'art. 7, comma 5, e successive disposizioni attuative di cui al decreto ministeriale del 31 gennaio 2006, in merito alla «Estensione dell'assicurazione contro gli infortuni in ambito domestico ai casi di infortunio mortale»;Vista la nota dell'8 settembre 2008 con la quale l'INAIL, in raccordo con l'IPSEMA, ha comunicato la stima della spesa per l'esercizio finanziario 2008 per l'erogazione della prestazione di cui all'articolo 1, comma 1187, della legge 27 dicembre 2006, n. 296;Ritenuto che, in fase di prima applicazione della normativa, le prestazioni erogate dal Fondo debbano essere destinate ai soli familiari dei lavoratori deceduti a causa di infortuni sul lavoro e consistere in una prestazione una tantum in favore dei predetti familiari;Ritenuto, altresi', che occorre provvedere alla modifica del decreto 2 luglio 2007 in relazione alle disposizioni di cui all'articolo 9, comma 4, lettera d) e comma 7, lettera e), del decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81;
Decreta:
Art. 1.
Benefici erogati dal Fondo
1. Il Fondo di sostegno per le famiglie delle vittime di gravi infortuni sul lavoro, di cui all'art. 1, comma 1187, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, come modificato dall'art. 2, comma 534, della legge 24 dicembre 2007, n. 244, eroga una prestazione una tantum al nucleo dei familiari superstiti dei lavoratori deceduti a causa di infortunio sul lavoro. La prestazione erogata dal Fondo non e' soggetta a rivalsa e non limita l'ammontare del risarcimento del danno in favore dei familiari del lavoratore.2. L'importo della prestazione di cui al comma 1 e' parametrato al numero dei familiari superstiti del lavoratore, ed e' annualmente determinato in relazione alle risorse disponibili.3. Per gli eventi verificatesi tra il 1° gennaio 2007 e il 31 dicembre 2008 l'importo della prestazione di cui al comma 1 e' determinato secondo le seguenti quattro tipologie:
Tipologia
N. superstiti
Importo per nucleo superstiti (euro)
A
1
1.500

B
2
1.900

C
3
2.200

D
più di 3
2.500

4. La prestazione una tantum a carico del Fondo viene erogata anche ai superstiti dei lavoratori privi di copertura assicurativa obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 giugno 1965, n. 1124, di seguito denominato Testo Unico.5. Con riferimento agli infortuni mortali in ambito domestico la prestazione una tantum a carico del Fondo e' erogata ai familiari superstiti degli assicurati di cui all'art. 7 della legge 3 dicembre 1999, n. 493.6. Il beneficio di cui al comma 1, non soggetto a tassazione in relazione alla natura e finalita' dell'erogazione in analogia a quanto previsto dall'art. 34, comma 3, del decreto del Presidente della Repubblica n. 601/1973 e successive modificazioni e integrazioni, e' cumulabile con altre misure di sostegno in favore dei familiari delle vittime di infortuni sul lavoro.7. Nei casi di erogazione della prestazione una tantum da parte del Fondo, l'INAIL o l'IPSEMA liquidano un'anticipazione della rendita ai superstiti, di cui all'art. 85 del Testo Unico, dei soggetti assicurati.8. Ferme restando le misure e le condizioni previste dall'art. 85 del Testo Unico, l'importo dell'anticipazione di cui al comma 7 e' pari a 3/12 della rendita annua calcolata sulla retribuzione valida ai fini della determinazione del minimale di legge per la liquidazione delle rendite di cui all'art. 116, comma 3, del Testo Unico.
Art. 2.
Familiari superstiti aventi diritto ai benefici a carico del Fondo
1. Ferme restando le condizioni previste dall'art. 85 del Testo Unico, il beneficio di cui all'art. 1, nell'importo complessivo ivi stabilito, spetta:a) ai familiari superstiti del lavoratore deceduto, indicati all'art. 85, comma 1, punti 1) e 2), del Testo Unico;b) in mancanza dei familiari superstiti di cui alla lettera a), a quelli indicati nei punti 3) e 4), del medesimo art. 85.2. In caso di concorso di piu' aventi diritto, le quote sono divise tra i medesimi in parti uguali.3. Nei confronti di coloro i quali abbiano presentato domanda di concessione del beneficio ai sensi del decreto 2 luglio 2007 indicato in premessa, i beneficiari sono individuati con riferimento alle previsioni di cui all'art. 2 del medesimo decreto.
Art. 3.
Modalita' di accesso ai benefici ed erogazioni
1. Fermo restando il disposto di cui all'art. 5, il beneficio di cui all'art. 1, e' erogato, previa istanza, entro trenta giorni dall'accertamento sommario dal quale risulti che il decesso sia riconducibile ad infortunio sul lavoro.2. L'istanza deve essere presentata, o inviata a mezzo raccomandata con avviso di ricevimento, entro 40 giorni dalla data del decesso, da uno solo degli aventi diritto alle sedi competenti per territorio dell'Istituto presso cui il lavoratore deceduto era assicurato.3. Nel caso di lavoratori non assicurati, le istanze devono essere inviate all'IPSEMA, per i superstiti dei lavoratori occupati nel settore marittimo e aereo, o all'INAIL.4. Unicamente per gli infortuni verificatisi antecedentemente alla data di pubblicazione del presente decreto e per i quali non sia stata gia' trasmessa la relativa istanza, la medesima dovra' essere presentata, con le stesse modalita' di cui al comma 1, entro 40 giorni dalla predetta data.5. L'istanza deve essere formulata utilizzando la modulistica allegata al presente decreto.
Art. 4.
Accertamento sommario
1. L'accertamento di cui all'art. 3, comma 1, e' effettuato con apposita ispezione congiunta dalla Direzione provinciale del lavoro - Servizio ispezione del lavoro, o dai corrispondenti uffici della regione Sicilia e delle province autonome di Trento e Bolzano, e dal Servizio ispettivo dell'INAIL, territorialmente competenti, i quali redigono una relazione e la inviano all'INAIL.2. Con riferimento agli infortuni nel settore marittimo e aereo, il relativo accertamento e' effettuato dai competenti uffici dell'IPSEMA in raccordo con gli altri organismi di vigilanza di settore.3. All'esito dell'accertamento sommario, dal quale risulti che il decesso sia riconducibile ad infortunio sul lavoro, l'INAIL e l'IPSEMA provvedono alla erogazione dei benefici di cui all'art. 1.
Art. 5.
Procedura ordinaria di accertamento
1. Ove, a seguito dell'accertamento sommario, non sia stata riconosciuta la prestazione una tantum e all'esito della procedura ordinaria di accertamento si riscontri che il decesso sia riconducibile a infortunio sul lavoro, l'INAIL e l'IPSEMA provvedono anche all'erogazione della prestazione una tantum.2. All'esito delle procedure ordinarie di accertamento, l'INAIL e l'IPSEMA provvedono al recupero dei benefici indebitamente corrisposti, ai sensi dell'art. 2033 del Codice civile.
Art. 6.
Ripartizione e rendicontazione
1. Le prestazioni di cui all'art.1, sono erogate dall'INAIL e dall'IPSEMA, previo trasferimento delle risorse necessarie da parte del Ministero del lavoro, della salute e delle politiche sociali, e ripartite proporzionalmente tra gli Istituti assicuratori sulla base del numero degli eventi mortali stimati.2. Al fine di monitorare l'andamento del fenomeno infortunistico nonche' l'utilizzo delle risorse a tal fine trasferite, entro 30 giorni dall'approvazione dei relativi bilanci l'INAIL e l'IPSEMA sono tenute a presentare al Ministero del lavoro, della salute e delle politiche sociali il rendiconto annuale della relativa gestione.3. In sede di prima applicazione, tenuto conto delle modalita' di accesso ai benefici di cui all'art. 3, la presentazione dei rendiconti di cui al comma 2 e' fissata all'approvazione dei bilanci per l'esercizio finanziario 2009.4. Eventuali economie di gestione sono versate all'entrata del bilancio dello Stato.
Art. 7.
Contenzioso giudiziario
1. Il contenzioso giudiziario avverso il diniego della prestazione derivante dall'esito negativo dell'accertamento sommario e' posto a carico dell'INAIL e dell'IPSEMA.Il presente decreto sara' trasmesso alla Corte dei conti per il visto e per la registrazione ed entra in vigore decorsi 15 giorni dalla sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana.Roma, 19 novembre 2008 Il Ministro : Sacconi Registrato alla Corte dei conti il 3 dicembre 2008 Ufficio controllo atti servizi alla persona e beni culturali, registro n. 6, foglio n. 147
Allegato
...omissis...

Fondo di sostegno per le famiglie delle vittime sul lavoro: le regole per l'accesso

Fondo di sostegno per le famiglie delle vittime sul lavoro: le regole per l'accesso
Decreto Ministero Lavoro, salute e politiche sociali 19.11.2008, G.U. 02.02.2009

Il Fondo di sostegno per le famiglie delle vittime di gravi infortuni sul lavoro eroga una prestazione una tantum al nucleo dei familiari superstiti dei lavoratori deceduti, anche se questi ultimi erano privi di copertura assicurativa obbligatoria.
E' quanto stabilisce il D.M. 19 novembre 2008 (pubblicato in Gazzetta Ufficiale 2 febbraio 2009, n. 26) con il quale il Ministero del Lavoro fissa tipologie di benefici, requisiti e modalità di accesso al Fondo istituito dalla Legge 296/2006 (Finanziaria 2007).
In particolare per gli eventi verificatesi tra il 1° gennaio 2007 e il 31 dicembre 2008 l'importo della prestazione varia in base al numero dei componenti il nucleo familiare 'superstite':
1.500 euro (1 superstite);
1.900 euro (2);
2.200 euro (3);
2.500 euro (pù di 3).
(Altalex, 10 febbraio 2009)
MINISTERO DEL LAVORO, DELLA SALUTE E DELLE POLITICHE SOCIALI, DECRETO 19 novembre 2008
Tipologie di benefici, requisiti e modalita' di accesso al Fondo di sostegno per le famiglie delle vittime di gravi infortuni sul lavoro.
(GU n. 26 del 2-2-2009)
IL MINISTRO DEL LAVORO, DELLA SALUTE E DELLE POLITICHE SOCIALI
Visto l'art. 1, comma 1187, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, che, al fine di assicurare un adeguato e tempestivo sostegno ai familiari delle vittime di gravi incidenti sul lavoro, anche per i casi in cui le vittime medesime risultino prive della copertura assicurativa obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 giugno 1965, n. 1124, ha istituito il Fondo di sostegno per le famiglie delle vittime di gravi infortuni sul lavoro, di seguito denominato Fondo;Visto che il medesimo art. 1, comma 1187, ha previsto che con decreto del Ministro del lavoro, della salute e delle politiche sociali siano definite le tipologie dei benefici concessi nonche' i requisiti e le modalita' di accesso agli stessi;Visto che il medesimo art. 1, comma 1187, ha conferito al Fondo la somma di 2,5 milioni di euro per ciascuno degli anni 2007, 2008 e 2009;Visto il decreto del Ministro del lavoro e della previdenza sociale 2 luglio 2007 con il quale sono stati individuate le tipologie dei benefici concessi e i requisiti e le modalita' di accesso agli stessi ai sensi dell'art. 1, comma 1187, della legge 27 dicembre 2006, n. 296;Visto l'art. 2, comma 534, della legge 24 dicembre 2007, n. 244, il quale ha incrementato la dotazione del Fondo di cui sopra «di 2,5 milioni di euro per ciascuno degli anni 2008 e 2009 e di 10 milioni di euro a decorrere dall'anno 2010»;Visto l'art. 9, comma 4, lettera d), del decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81, il quale dispone che l'INAIL «eroga, previo trasferimento delle necessarie risorse da parte del Ministero del lavoro della salute e delle politiche sociali, le prestazioni del Fondo di cui all'art. 1, comma 1187, della legge 27 dicembre 2006, n. 296» e che «in sede di prima applicazione, le relative prestazioni sono fornite con riferimento agli infortuni verificatisi a far data dal 1° gennaio 2007»;Visto l'art. 9, comma 7, lettera e), del decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81, il quale dispone che l'IPSEMA «eroga, previo trasferimento delle necessarie risorse da parte del Ministero del lavoro della salute e delle politiche sociali, le prestazioni del Fondo di cui all'art. 1, comma 1187, della legge 27 dicembre 2006, n.296, con riferimento agli infortuni del settore marittimo» e che «in sede di prima applicazione, le relative prestazioni sono fornite con riferimento agli infortuni verificatisi a far data dal 1° gennaio 2007»;Vista la legge n. 493 del 3 dicembre 1999 recante «Norme per la tutela della salute nelle abitazioni e istituzione dell'assicurazione contro gli infortuni domestici» ed, in particolare, l'art. 7, comma 5, e successive disposizioni attuative di cui al decreto ministeriale del 31 gennaio 2006, in merito alla «Estensione dell'assicurazione contro gli infortuni in ambito domestico ai casi di infortunio mortale»;Vista la nota dell'8 settembre 2008 con la quale l'INAIL, in raccordo con l'IPSEMA, ha comunicato la stima della spesa per l'esercizio finanziario 2008 per l'erogazione della prestazione di cui all'articolo 1, comma 1187, della legge 27 dicembre 2006, n. 296;Ritenuto che, in fase di prima applicazione della normativa, le prestazioni erogate dal Fondo debbano essere destinate ai soli familiari dei lavoratori deceduti a causa di infortuni sul lavoro e consistere in una prestazione una tantum in favore dei predetti familiari;Ritenuto, altresi', che occorre provvedere alla modifica del decreto 2 luglio 2007 in relazione alle disposizioni di cui all'articolo 9, comma 4, lettera d) e comma 7, lettera e), del decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81;
Decreta:
Art. 1.
Benefici erogati dal Fondo
1. Il Fondo di sostegno per le famiglie delle vittime di gravi infortuni sul lavoro, di cui all'art. 1, comma 1187, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, come modificato dall'art. 2, comma 534, della legge 24 dicembre 2007, n. 244, eroga una prestazione una tantum al nucleo dei familiari superstiti dei lavoratori deceduti a causa di infortunio sul lavoro. La prestazione erogata dal Fondo non e' soggetta a rivalsa e non limita l'ammontare del risarcimento del danno in favore dei familiari del lavoratore.2. L'importo della prestazione di cui al comma 1 e' parametrato al numero dei familiari superstiti del lavoratore, ed e' annualmente determinato in relazione alle risorse disponibili.3. Per gli eventi verificatesi tra il 1° gennaio 2007 e il 31 dicembre 2008 l'importo della prestazione di cui al comma 1 e' determinato secondo le seguenti quattro tipologie:
Tipologia
N. superstiti
Importo per nucleo superstiti (euro)
A
1
1.500

B
2
1.900

C
3
2.200

D
più di 3
2.500

4. La prestazione una tantum a carico del Fondo viene erogata anche ai superstiti dei lavoratori privi di copertura assicurativa obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 giugno 1965, n. 1124, di seguito denominato Testo Unico.5. Con riferimento agli infortuni mortali in ambito domestico la prestazione una tantum a carico del Fondo e' erogata ai familiari superstiti degli assicurati di cui all'art. 7 della legge 3 dicembre 1999, n. 493.6. Il beneficio di cui al comma 1, non soggetto a tassazione in relazione alla natura e finalita' dell'erogazione in analogia a quanto previsto dall'art. 34, comma 3, del decreto del Presidente della Repubblica n. 601/1973 e successive modificazioni e integrazioni, e' cumulabile con altre misure di sostegno in favore dei familiari delle vittime di infortuni sul lavoro.7. Nei casi di erogazione della prestazione una tantum da parte del Fondo, l'INAIL o l'IPSEMA liquidano un'anticipazione della rendita ai superstiti, di cui all'art. 85 del Testo Unico, dei soggetti assicurati.8. Ferme restando le misure e le condizioni previste dall'art. 85 del Testo Unico, l'importo dell'anticipazione di cui al comma 7 e' pari a 3/12 della rendita annua calcolata sulla retribuzione valida ai fini della determinazione del minimale di legge per la liquidazione delle rendite di cui all'art. 116, comma 3, del Testo Unico.
Art. 2.
Familiari superstiti aventi diritto ai benefici a carico del Fondo
1. Ferme restando le condizioni previste dall'art. 85 del Testo Unico, il beneficio di cui all'art. 1, nell'importo complessivo ivi stabilito, spetta:a) ai familiari superstiti del lavoratore deceduto, indicati all'art. 85, comma 1, punti 1) e 2), del Testo Unico;b) in mancanza dei familiari superstiti di cui alla lettera a), a quelli indicati nei punti 3) e 4), del medesimo art. 85.2. In caso di concorso di piu' aventi diritto, le quote sono divise tra i medesimi in parti uguali.3. Nei confronti di coloro i quali abbiano presentato domanda di concessione del beneficio ai sensi del decreto 2 luglio 2007 indicato in premessa, i beneficiari sono individuati con riferimento alle previsioni di cui all'art. 2 del medesimo decreto.
Art. 3.
Modalita' di accesso ai benefici ed erogazioni
1. Fermo restando il disposto di cui all'art. 5, il beneficio di cui all'art. 1, e' erogato, previa istanza, entro trenta giorni dall'accertamento sommario dal quale risulti che il decesso sia riconducibile ad infortunio sul lavoro.2. L'istanza deve essere presentata, o inviata a mezzo raccomandata con avviso di ricevimento, entro 40 giorni dalla data del decesso, da uno solo degli aventi diritto alle sedi competenti per territorio dell'Istituto presso cui il lavoratore deceduto era assicurato.3. Nel caso di lavoratori non assicurati, le istanze devono essere inviate all'IPSEMA, per i superstiti dei lavoratori occupati nel settore marittimo e aereo, o all'INAIL.4. Unicamente per gli infortuni verificatisi antecedentemente alla data di pubblicazione del presente decreto e per i quali non sia stata gia' trasmessa la relativa istanza, la medesima dovra' essere presentata, con le stesse modalita' di cui al comma 1, entro 40 giorni dalla predetta data.5. L'istanza deve essere formulata utilizzando la modulistica allegata al presente decreto.
Art. 4.
Accertamento sommario
1. L'accertamento di cui all'art. 3, comma 1, e' effettuato con apposita ispezione congiunta dalla Direzione provinciale del lavoro - Servizio ispezione del lavoro, o dai corrispondenti uffici della regione Sicilia e delle province autonome di Trento e Bolzano, e dal Servizio ispettivo dell'INAIL, territorialmente competenti, i quali redigono una relazione e la inviano all'INAIL.2. Con riferimento agli infortuni nel settore marittimo e aereo, il relativo accertamento e' effettuato dai competenti uffici dell'IPSEMA in raccordo con gli altri organismi di vigilanza di settore.3. All'esito dell'accertamento sommario, dal quale risulti che il decesso sia riconducibile ad infortunio sul lavoro, l'INAIL e l'IPSEMA provvedono alla erogazione dei benefici di cui all'art. 1.
Art. 5.
Procedura ordinaria di accertamento
1. Ove, a seguito dell'accertamento sommario, non sia stata riconosciuta la prestazione una tantum e all'esito della procedura ordinaria di accertamento si riscontri che il decesso sia riconducibile a infortunio sul lavoro, l'INAIL e l'IPSEMA provvedono anche all'erogazione della prestazione una tantum.2. All'esito delle procedure ordinarie di accertamento, l'INAIL e l'IPSEMA provvedono al recupero dei benefici indebitamente corrisposti, ai sensi dell'art. 2033 del Codice civile.
Art. 6.
Ripartizione e rendicontazione
1. Le prestazioni di cui all'art.1, sono erogate dall'INAIL e dall'IPSEMA, previo trasferimento delle risorse necessarie da parte del Ministero del lavoro, della salute e delle politiche sociali, e ripartite proporzionalmente tra gli Istituti assicuratori sulla base del numero degli eventi mortali stimati.2. Al fine di monitorare l'andamento del fenomeno infortunistico nonche' l'utilizzo delle risorse a tal fine trasferite, entro 30 giorni dall'approvazione dei relativi bilanci l'INAIL e l'IPSEMA sono tenute a presentare al Ministero del lavoro, della salute e delle politiche sociali il rendiconto annuale della relativa gestione.3. In sede di prima applicazione, tenuto conto delle modalita' di accesso ai benefici di cui all'art. 3, la presentazione dei rendiconti di cui al comma 2 e' fissata all'approvazione dei bilanci per l'esercizio finanziario 2009.4. Eventuali economie di gestione sono versate all'entrata del bilancio dello Stato.
Art. 7.
Contenzioso giudiziario
1. Il contenzioso giudiziario avverso il diniego della prestazione derivante dall'esito negativo dell'accertamento sommario e' posto a carico dell'INAIL e dell'IPSEMA.Il presente decreto sara' trasmesso alla Corte dei conti per il visto e per la registrazione ed entra in vigore decorsi 15 giorni dalla sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana.Roma, 19 novembre 2008 Il Ministro : Sacconi Registrato alla Corte dei conti il 3 dicembre 2008 Ufficio controllo atti servizi alla persona e beni culturali, registro n. 6, foglio n. 147
Allegato
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Decreto flussi: le istruzioni per le domande di nulla osta per il lavoro in somministrazione

Le agenzie per il lavoro possono fare domanda di nulla osta per l’ingresso di lavoratori non comunitari per motivi di lavoro in somministraz...