giovedì 29 gennaio 2009

Le multe e gli ausiliari del traffico

Circolazione stradale,contravvenzioni,ausiliari del traffico,competenza,limiti,motorini,aree
fonte:
http://www.eius.it/giurisprudenza/2009/001.asp

"Ne consegue che gli ausiliari del traffico, dell'una e dell'altra categoria, in tanto sono legittimati ad accertare e contestare violazioni a norme del codice della strada, in quanto dette violazioni concernano disposizioni in materia strettamente connessa all'attività svolta dall'impresa - di gestione dei posteggi pubblici o di trasporto pubblico delle persone - dalla quale dipendono ove l'ordinato e corretto esercizio di tale attività impediscano od in qualsiasi modo ostacolino o limitino.
Laddove, invece, le violazioni consistano in condotte diverse - quale, nella specie, il posteggio su di un marciapiedi non funzionale al posteggio od alla manovra in un'area in concessione e neppure alla circolazione in corsie riservate ai mezzi pubblici - l'accertamento può essere compiuto esclusivamente dagli agenti di cui all'art. 12 c.d.s. e non anche dagli ausiliari del traffico, di cui alla l. n. 127 del 1997, art. 17, comma 132 e, per quanto più interessa, 133."
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Fatto e Diritto
G.L. impugna per cassazione la sentenza 3 novembre 2005, n. 5899 con la quale il Giudice di pace di Bologna ne ha rigettato l'opposizione proposta avverso il verbale n. 583517 redatto nei suoi confronti il 6 aprile 2005 dalla polizia municipale della città per avere posteggiato un ciclomotore sul marciapiedi di Viale XII Giugno.
Parte intimata resiste con controricorso.
Attivatasi procedura ex art. 375 c.p.c., il Procuratore Generale fa pervenire requisitoria scritta nella quale conclude chiedendo la reiezione del ricorso per sua manifesta infondatezza.
Il Collegio, condividendo precedenti pronunzie di legittimità in controversie analoghe (Cass. 26 gennaio 2005, n. 1565, 7 aprile 2005, n. 7336, 17 febbraio 2006, n. 18186, 27 luglio 2007, n. 16777 e recentemente su ricorso 16954/06 deciso il 10 novembre 2008) ritiene di non poter recepire le opinioni e le conclusioni espresse dal P.G.
Né ciò osta alla procedura - ed alla pronunzia - in camera di consiglio, la cui inesperibilità è ravvisabile solo ove la Suprema Corte ritenga che non ricorrano le ipotesi di cui al primo comma dell'art. 375 c.p.c., ovvero che emergano condizioni incompatibili con una trattazione abbreviata, nel qual caso la causa deve essere rinviata alla pubblica udienza; ove, per contro, la Corte ritenga che la decisione del ricorso presenti aspetti d'evidenza compatibili con l'immediata decisione, ben può pronunziarsi per la manifesta fondatezza dell'impugnazione, anche nel caso in cui le conclusioni del P.G. fossero, all'opposto, per la manifesta infondatezza, e viceversa (ex pluribus, Cass. 11 giugno 2005, n. 12384, 3 novembre 2005, n. 21291 SS.UU.).
La l. 15 maggio 1997, n. 127, art. 17, comma 132, ha stabilito che "i comuni possono, con provvedimento del sindaco, conferire funzioni di prevenzione e accertamento delle violazioni in materia di sosta a dipendenti comunali o delle società di gestione dei parcheggi, limitatamente alle aree oggetto di concessione".
Al comma 133, poi, il medesimo art. 17 dispone che "le funzioni di cui al comma 132 sono conferite anche al personale ispettivo delle aziende esercenti il trasporto pubblico di persone nelle forme previste dalla l. 8 giugno 1990, n. 142, artt. 22 e 25, e successive modificazioni. A tale personale sono inoltre conferite, con le stesse modalità di cui al primo periodo del comma 132, le funzioni di prevenzione e accertamento in materia di circolazione e sosta sulle corsie riservate al trasporto pubblico, ai sensi del d.lgs. 30 aprile 1992, n. 285, art. 6, comma 4, lettera c)".
La l. 23 dicembre 1999, n. 488, art. 68, comma 1, ha successivamente chiarito che "la l. 15 maggio 1997, n. 127, art. 17, comma 132 e 133, si interpretano nel senso che il conferimento delle funzioni di prevenzione e accertamento delle violazioni, ivi previste, comprende, ai sensi del d.lgs. 30 aprile 1992, n. 285, art. 12, comma 1, lettera e), e successive modificazioni, i poteri di contestazione immediata nonché di redazione e sottoscrizione del verbale di accertamento con l'efficacia di cui agli articoli 2699 e 2700 del codice civile" (comma 1). La norma ha, inoltre, stabilito che queste funzioni, "con gli effetti di cui all'articolo 2700 del codice civile, sono svolte solo da personale nominativamente designato dal sindaco previo accertamento dell'assenza di precedenti o pendenze penali, nell'ambito delle categorie indicate dalla citata l. n. 127 del 1997, art. 17, comma 132 e 133" (comma 2), disponendo, altresì, che a detto personale "può essere conferita anche la competenza a disporre la rimozione dei veicoli, nei casi previsti, rispettivamente, dal d.lgs. 30 aprile 1992, n. 285, art. 158, lettere b) e c) e comma 2, lettera d)" (comma 3).
Il legislatore, in presenza ed in funzione di particolari esigenze del traffico cittadino, quali sono la gestione delle aree da riservare a parcheggio e l'esercizio del trasporto pubblico di persone, ha stabilito con le norme sopra richiamate che determinate funzioni, obiettivamente pubbliche, possano essere eccezionalmente svolte anche da soggetti privati i quali abbiano una particolare investitura da parte della pubblica amministrazione, in relazione al servizio svolto, in considerazione "della progressiva rilevanza dei problemi delle soste e parcheggi" (Corte cost., ord. n. 157 del 2001).
Inoltre, con la norma interpretativa sopra richiamata (art. 68, cit.) ha impresso ai verbali redatti dal succitato personale l'efficacia probatoria di cui agli artt. 2699 e 2700 c.c.
L'art. 17, commi 132 e 133, tenuto conto della rilevanza e del carattere eccezionalmente derogatorio della funzioni conferite a soggetti che, sebbene siano estranei all'apparato della pubblica amministrazione e non compresi nel novero di quelli ai quali esse sono ordinariamente attribuite (art. 12 c.d.s.), vengono con provvedimento del sindaco legittimati all'esercizio di compiti di prevenzione ed accertamento di violazioni del codice della strada sanzionate in via amministrativa, deve ritenersi norma di stretta interpretazione (Cass. 7 aprile 2005, n. 7336 cit.).
Il legislatore, evidentemente conscio di tale natura delle dettate disposizioni, ha quindi avuto cura di puntualizzare che le funzioni, per i dipendenti delle imprese gestrici di pubblici posteggi, riguardano soltanto le "violazioni in materia di sosta" e "limitatamente alle aree oggetto di concessione", poiché la loro attribuzione è apparsa strumentale rispetto allo scopo di garantire la funzionalità dei posteggi, che concorre a ridurre, se non ad evitare, il grave problema del congestionamento della circolazione nei centri abitati.
In tal senso, è significativo che al personale in esame "può essere conferita anche la competenza a disporre la rimozione dei veicoli", ma esclusivamente nei casi previsti dall'art. 158, comma 2, lett. b), c), e d) (art. 68, comma 3, cit.), ovvero "dovunque venga impedito di accedere ad un altro veicolo regolarmente in sosta, oppure lo spostamento dei veicoli in sosta", "in seconda fila", "negli spazi riservati allo stazionamento e alla fermata" dei veicoli puntualmente indicati.
Analogamente, la l. n. 127 del 1997, art. 17, comma 133, come interpretato dalla l. n. 488 del 1999, art. 68, costituisce norma di stretta interpretazione per quanto riguarda le funzioni di prevenzione e accertamento in materia di "sosta nelle aree oggetto di concessione", ove ne siano state concesse alle aziende esercenti il trasporto pubblico di persone, ed "inoltre" di "circolazione e sosta sulle corsie riservate al trasporto pubblico" attribuite al personale ispettivo delle dette aziende.
Ne consegue che gli ausiliari del traffico, dell'una e dell'altra categoria, in tanto sono legittimati ad accertare e contestare violazioni a norme del codice della strada, in quanto dette violazioni concernano disposizioni in materia strettamente connessa all'attività svolta dall'impresa - di gestione dei posteggi pubblici o di trasporto pubblico delle persone - dalla quale dipendono ove l'ordinato e corretto esercizio di tale attività impediscano od in qualsiasi modo ostacolino o limitino.
Laddove, invece, le violazioni consistano in condotte diverse - quale, nella specie, il posteggio su di un marciapiedi non funzionale al posteggio od alla manovra in un'area in concessione e neppure alla circolazione in corsie riservate ai mezzi pubblici - l'accertamento può essere compiuto esclusivamente dagli agenti di cui all'art. 12 c.d.s. e non anche dagli ausiliari del traffico, di cui alla l. n. 127 del 1997, art. 17, comma 132 e, per quanto più interessa, 133.
Il ricorso va dunque accolto e la sentenza impugnata va conseguentemente cassata.
Peraltro, non risultando necessari ulteriori accertamenti di merito, emergendo dagli atti che la violazione di divieti posti da codice della strada è stata accertata da un soggetto non legittimato a detto accertamento ai sensi della l. n. 127 del 1997, art. 17, comma 133, la causa può essere decisa nel merito, con l'accoglimento dell'opposizione e la condanna del Comune di Bologna al pagamento delle spese del giudizio di merito e di quello di legittimità.

P.Q.M.

accoglie il ricorso e, decidendo nel merito, annulla il verbale di contestazione opposto; condanna il Comune di Bologna al pagamento delle spese di lite, che liquida, per il primo grado, in euro 700, di cui euro 600 per onorari e, per il grado di legittimità, in euro 500, di cui euro 400 per onorari, oltre accessori.

Le multe e gli ausiliari del traffico

Circolazione stradale,contravvenzioni,ausiliari del traffico,competenza,limiti,motorini,aree
fonte:
http://www.eius.it/giurisprudenza/2009/001.asp

"Ne consegue che gli ausiliari del traffico, dell'una e dell'altra categoria, in tanto sono legittimati ad accertare e contestare violazioni a norme del codice della strada, in quanto dette violazioni concernano disposizioni in materia strettamente connessa all'attività svolta dall'impresa - di gestione dei posteggi pubblici o di trasporto pubblico delle persone - dalla quale dipendono ove l'ordinato e corretto esercizio di tale attività impediscano od in qualsiasi modo ostacolino o limitino.
Laddove, invece, le violazioni consistano in condotte diverse - quale, nella specie, il posteggio su di un marciapiedi non funzionale al posteggio od alla manovra in un'area in concessione e neppure alla circolazione in corsie riservate ai mezzi pubblici - l'accertamento può essere compiuto esclusivamente dagli agenti di cui all'art. 12 c.d.s. e non anche dagli ausiliari del traffico, di cui alla l. n. 127 del 1997, art. 17, comma 132 e, per quanto più interessa, 133."
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Fatto e Diritto
G.L. impugna per cassazione la sentenza 3 novembre 2005, n. 5899 con la quale il Giudice di pace di Bologna ne ha rigettato l'opposizione proposta avverso il verbale n. 583517 redatto nei suoi confronti il 6 aprile 2005 dalla polizia municipale della città per avere posteggiato un ciclomotore sul marciapiedi di Viale XII Giugno.
Parte intimata resiste con controricorso.
Attivatasi procedura ex art. 375 c.p.c., il Procuratore Generale fa pervenire requisitoria scritta nella quale conclude chiedendo la reiezione del ricorso per sua manifesta infondatezza.
Il Collegio, condividendo precedenti pronunzie di legittimità in controversie analoghe (Cass. 26 gennaio 2005, n. 1565, 7 aprile 2005, n. 7336, 17 febbraio 2006, n. 18186, 27 luglio 2007, n. 16777 e recentemente su ricorso 16954/06 deciso il 10 novembre 2008) ritiene di non poter recepire le opinioni e le conclusioni espresse dal P.G.
Né ciò osta alla procedura - ed alla pronunzia - in camera di consiglio, la cui inesperibilità è ravvisabile solo ove la Suprema Corte ritenga che non ricorrano le ipotesi di cui al primo comma dell'art. 375 c.p.c., ovvero che emergano condizioni incompatibili con una trattazione abbreviata, nel qual caso la causa deve essere rinviata alla pubblica udienza; ove, per contro, la Corte ritenga che la decisione del ricorso presenti aspetti d'evidenza compatibili con l'immediata decisione, ben può pronunziarsi per la manifesta fondatezza dell'impugnazione, anche nel caso in cui le conclusioni del P.G. fossero, all'opposto, per la manifesta infondatezza, e viceversa (ex pluribus, Cass. 11 giugno 2005, n. 12384, 3 novembre 2005, n. 21291 SS.UU.).
La l. 15 maggio 1997, n. 127, art. 17, comma 132, ha stabilito che "i comuni possono, con provvedimento del sindaco, conferire funzioni di prevenzione e accertamento delle violazioni in materia di sosta a dipendenti comunali o delle società di gestione dei parcheggi, limitatamente alle aree oggetto di concessione".
Al comma 133, poi, il medesimo art. 17 dispone che "le funzioni di cui al comma 132 sono conferite anche al personale ispettivo delle aziende esercenti il trasporto pubblico di persone nelle forme previste dalla l. 8 giugno 1990, n. 142, artt. 22 e 25, e successive modificazioni. A tale personale sono inoltre conferite, con le stesse modalità di cui al primo periodo del comma 132, le funzioni di prevenzione e accertamento in materia di circolazione e sosta sulle corsie riservate al trasporto pubblico, ai sensi del d.lgs. 30 aprile 1992, n. 285, art. 6, comma 4, lettera c)".
La l. 23 dicembre 1999, n. 488, art. 68, comma 1, ha successivamente chiarito che "la l. 15 maggio 1997, n. 127, art. 17, comma 132 e 133, si interpretano nel senso che il conferimento delle funzioni di prevenzione e accertamento delle violazioni, ivi previste, comprende, ai sensi del d.lgs. 30 aprile 1992, n. 285, art. 12, comma 1, lettera e), e successive modificazioni, i poteri di contestazione immediata nonché di redazione e sottoscrizione del verbale di accertamento con l'efficacia di cui agli articoli 2699 e 2700 del codice civile" (comma 1). La norma ha, inoltre, stabilito che queste funzioni, "con gli effetti di cui all'articolo 2700 del codice civile, sono svolte solo da personale nominativamente designato dal sindaco previo accertamento dell'assenza di precedenti o pendenze penali, nell'ambito delle categorie indicate dalla citata l. n. 127 del 1997, art. 17, comma 132 e 133" (comma 2), disponendo, altresì, che a detto personale "può essere conferita anche la competenza a disporre la rimozione dei veicoli, nei casi previsti, rispettivamente, dal d.lgs. 30 aprile 1992, n. 285, art. 158, lettere b) e c) e comma 2, lettera d)" (comma 3).
Il legislatore, in presenza ed in funzione di particolari esigenze del traffico cittadino, quali sono la gestione delle aree da riservare a parcheggio e l'esercizio del trasporto pubblico di persone, ha stabilito con le norme sopra richiamate che determinate funzioni, obiettivamente pubbliche, possano essere eccezionalmente svolte anche da soggetti privati i quali abbiano una particolare investitura da parte della pubblica amministrazione, in relazione al servizio svolto, in considerazione "della progressiva rilevanza dei problemi delle soste e parcheggi" (Corte cost., ord. n. 157 del 2001).
Inoltre, con la norma interpretativa sopra richiamata (art. 68, cit.) ha impresso ai verbali redatti dal succitato personale l'efficacia probatoria di cui agli artt. 2699 e 2700 c.c.
L'art. 17, commi 132 e 133, tenuto conto della rilevanza e del carattere eccezionalmente derogatorio della funzioni conferite a soggetti che, sebbene siano estranei all'apparato della pubblica amministrazione e non compresi nel novero di quelli ai quali esse sono ordinariamente attribuite (art. 12 c.d.s.), vengono con provvedimento del sindaco legittimati all'esercizio di compiti di prevenzione ed accertamento di violazioni del codice della strada sanzionate in via amministrativa, deve ritenersi norma di stretta interpretazione (Cass. 7 aprile 2005, n. 7336 cit.).
Il legislatore, evidentemente conscio di tale natura delle dettate disposizioni, ha quindi avuto cura di puntualizzare che le funzioni, per i dipendenti delle imprese gestrici di pubblici posteggi, riguardano soltanto le "violazioni in materia di sosta" e "limitatamente alle aree oggetto di concessione", poiché la loro attribuzione è apparsa strumentale rispetto allo scopo di garantire la funzionalità dei posteggi, che concorre a ridurre, se non ad evitare, il grave problema del congestionamento della circolazione nei centri abitati.
In tal senso, è significativo che al personale in esame "può essere conferita anche la competenza a disporre la rimozione dei veicoli", ma esclusivamente nei casi previsti dall'art. 158, comma 2, lett. b), c), e d) (art. 68, comma 3, cit.), ovvero "dovunque venga impedito di accedere ad un altro veicolo regolarmente in sosta, oppure lo spostamento dei veicoli in sosta", "in seconda fila", "negli spazi riservati allo stazionamento e alla fermata" dei veicoli puntualmente indicati.
Analogamente, la l. n. 127 del 1997, art. 17, comma 133, come interpretato dalla l. n. 488 del 1999, art. 68, costituisce norma di stretta interpretazione per quanto riguarda le funzioni di prevenzione e accertamento in materia di "sosta nelle aree oggetto di concessione", ove ne siano state concesse alle aziende esercenti il trasporto pubblico di persone, ed "inoltre" di "circolazione e sosta sulle corsie riservate al trasporto pubblico" attribuite al personale ispettivo delle dette aziende.
Ne consegue che gli ausiliari del traffico, dell'una e dell'altra categoria, in tanto sono legittimati ad accertare e contestare violazioni a norme del codice della strada, in quanto dette violazioni concernano disposizioni in materia strettamente connessa all'attività svolta dall'impresa - di gestione dei posteggi pubblici o di trasporto pubblico delle persone - dalla quale dipendono ove l'ordinato e corretto esercizio di tale attività impediscano od in qualsiasi modo ostacolino o limitino.
Laddove, invece, le violazioni consistano in condotte diverse - quale, nella specie, il posteggio su di un marciapiedi non funzionale al posteggio od alla manovra in un'area in concessione e neppure alla circolazione in corsie riservate ai mezzi pubblici - l'accertamento può essere compiuto esclusivamente dagli agenti di cui all'art. 12 c.d.s. e non anche dagli ausiliari del traffico, di cui alla l. n. 127 del 1997, art. 17, comma 132 e, per quanto più interessa, 133.
Il ricorso va dunque accolto e la sentenza impugnata va conseguentemente cassata.
Peraltro, non risultando necessari ulteriori accertamenti di merito, emergendo dagli atti che la violazione di divieti posti da codice della strada è stata accertata da un soggetto non legittimato a detto accertamento ai sensi della l. n. 127 del 1997, art. 17, comma 133, la causa può essere decisa nel merito, con l'accoglimento dell'opposizione e la condanna del Comune di Bologna al pagamento delle spese del giudizio di merito e di quello di legittimità.

P.Q.M.

accoglie il ricorso e, decidendo nel merito, annulla il verbale di contestazione opposto; condanna il Comune di Bologna al pagamento delle spese di lite, che liquida, per il primo grado, in euro 700, di cui euro 600 per onorari e, per il grado di legittimità, in euro 500, di cui euro 400 per onorari, oltre accessori.

mercoledì 28 gennaio 2009

C.T.D.: quale futuro?


Contratto di lavoro a termine: quale futuro all'insegna di una deregulation "selvaggia"?
G. Rossi
(Approfondimento 16/1/2009)

Sommario: 1. Introduzione. - 2. Contratti a termine e situazione italiana. - 3. La Direttiva Comunitaria n. 1999/70. - 4. Decreto Legislativo n. 368/2001: una scelta "criticabile"?

1. Introduzione
Come è noto, il decreto legislativo n. 368 del 2001 ha introdotto una disciplina di lavoro a termine che ha innovato in maniera rilevante quella previgente, contenuta principalmente nella L. 230/1962, di cui si è prevista contestualmente l'abrogazione. Successivamente, incisivi interventi di modifica sulla disciplina del contratto di lavoro a tempo determinato, sono stati attuati dalla L. 247/2007, che nel recepire l'Accordo sul Welfare del 23 luglio 2007, ha novellato in vari punti la disciplina in materia recata dal D.Lgs. n. 368/2001. Tra gli interventi peggiorativi per i lavoratori introdotti dal governo di centro destra con la L. 6 agosto 2008 n. 133, di conversione del DL 112/2008 in materia lavoristica, le modifiche delle norme sul contratto di lavoro a tempo determinato, rappresentano un importante tassello, poiché l'obiettivo di questo governo è "deregolamentare" il lavoro, muovendosi su quattro direttrici:1.: stravolgere le misure della L. 247/2007 sulle tipologie di impiego;2.: intervenire sull' orario di lavoro, sugli appalti e sul sistema solidaristico della tutela della malattia;3.: stravolgere gli strumenti di registrazione e di controllo dei rapporti di lavoro in maniera tale da impedire i controlli ispettivi;4.: "segmentare" gli interessi salariali dei lavoratori con le misure relative alla detassazione degli straordinari e dei premi di produzione.Le modifiche di questa strategia governativa mirano così a frantumare ed a dividere il mondo del lavoro sia pubblico che privato, attraverso la cancellazione dei risultati finora raggiunti dal movimento sindacale con l' Accordo sul Welfare, in versione riveduta e corretta, di norme che fanno "arretrare" i diritti e le tutele dei lavoratori (1).
2. Contratti a termine e situazione italiana
Allo stato dell'arte, il ruolo del contratto di lavoro a tempo determinato non è ancora del tutto chiaro: in letteratura vi è un certo accordo che fa leva sul fatto che questa tipologia contrattuale equivalga ad una tipologia dei costi di assunzione/licenziamento e che proprio per questo motivo il loro impatto sulla disoccupazione rimanga incerto, aumentando cioè la disoccupazione a breve periodo, a fronte di una possibile riduzione di una disoccupazione a lungo periodo (2). La quota di assunzioni di lavoro a termine nel nostro Paese, sul totale degli occupatisi aggira intorno ad una percentuale del 7,5%, con condizioni restrittive e con un solo possibile rinnovo, con una lunghezza cumulativa al massimo di 15 mesi (3).Nonostante il livello di regolazione del mercato del lavoro italiano sia cresciuto e mutato nel corso degli ultimi anni - ed in particolare, nel corso degli anni Novanta -, la sua natura non sarebbe stata compromessa dalla deregolamentazione parziale e mirata del mercato del lavoro. La flessibilizzazione delle condizioni di impiego dei nuovi entrati, si sostiene, non avrebbe affatto abolito il divario insider/outsiders, ma casomai, lo avrebbe appesantito, segmentando la forza lavoro tra "garantiti" e "non garantiti", aggiungendo così un ulteriore fattore di segmenatazione ai già non pochi fattori di segmentazione all'interno del mercato italiano del lavoro. Ciononostante, l'aspettativa nei confronti dei contratti di lavoro a termine, così come di tutte le nuove forme contrattuali "atipiche" ed "a garanzie limitate", è che essi possano non solo flessibilizzare gli accessi al mercato del lavoro dei giovani in cerca di primo impiego, ma soprattutto, velocizzarli, riducendo sensibilmente i tempi di attesa e, dunque, la disoccupazione da inserimento.

3. La Direttiva Comunitaria n. 1999/70
Se è fondata l'impressione che, almeno nel nostro Paese, la Direttiva 1999/70 CE sia stata poco più che uno spunto per procedere a livello nazionale ad una ridefinizione complessiva della materia, deve ora essere valutato con particolare attenzione il profilo del presunto contrasto del d. lgs. n. 368 del 2001 con i contenuti della direttiva e, segnatamente, la questione relativa alla prospettata violazione da parte del legislatore italiano della clausola di non regresso di cui all'art. 8, paragrafo 3 dell' accordo quadro del 18 marzo 1999. E' doveroso spendere poche parole, soffermandoci sul primo profilo (quello, cioè, della violazione diretta della direttiva comunitaria). Alle osservazioni di quanti hanno sostenuto la violazione del principio che vuole il lavoro a termine alla stregua di una eccezione rispetto al lavoro a tempo indeterminato (4), è stato infatti già replicato che tale principio non solo non è esplicitamente menzionato nella parte più direttamente precettiva dell' accordo, ma che non è neppure dato rinvenire alcuna disposizione volta a darne specifica attuazione. Tanto è vero che sia dalla lettera sia dalla ratio dell' accordo non è dato desumere, neppure indirettamente, alcun limite di tipo oggettivo - né tantomeno soggettivo - alla stipulazione del primo contratto a termine (5). Indubbiamente più delicato è senz' altro il secondo profilo (quello cioè relativo alla presunta violazione della clausola di non regresso contenuta nell' accordo-quadro). Secondo un accreditato orientamento, infatti, attraverso l'inserzione di detta clausola le parti sociali a livello comunitario avrebbero voluto "impedire che ordinamenti nazionale informati, come il nostro, a norma di tutela più rigide di quelle comunitarie, possano trarre spunto da queste ultime per deregolamentare l'istituto" (6). Sulla scorta di questa premessa, l'attenzione degli osservatori, si è subito incentrata sulla reale portata innovativa del d.lgs. n. 368, nel suo complesso, rispetto alla disciplina previgente al fine di valutare l'eventuale abbassamento dei livelli di tutela garantiti dall' ordinamento a favore del lavoratore temporaneo. Si è in particolare sostenuto, in questa prospettiva, che eliminando il requisito, sinora imprescindibile, rappresentato dalla sussistenza di una causale legata ad un' occasione temporanea di lavoro, individuata dalla legge e/o dai contratti collettivi, si sarebbe dato luogo ad un grave arretramento rispetto ai livelli di tutela preesistenti, e questo anche laddove venissero accolte quelle letture restrittive della lettera del d.lgs. n. 368, volte nella sostanza a riconfermare la subalternatività della fattispecie del lavoro a tempo determinato. Sa bene, chi scrive, che a sostegno della tesi della legittimità del decreto legislativo summenzionato, un peso decisivo deve essere allora assegnato alla particolare tecnica di recezione della direttiva comunitaria.

4. Decreto Legislativo n. 368/2001: una scelta "criticabile"?Il decreto legislativo n. 368, nelle sue molteplici previsioni, pone svariati problemi applicativi ed in questa sede è opportuno fermarsi, seppur bervemente, sui più importanti di essi, che hanno generato- e generano tuttora- le questioni più spinose, al solo scopo di poter cogliere il significato essenziale della novella e di poter stabilire se la stessa ha rispettato o meno l'equilibrio preesistente tra le esigenze di flessibilità delle imprese e le esigenze di stabilità dei lavoratori e la clausola di salvaguardia presente nell' accordo europeo. Il primo problema applicativo riguarda il significato della clausola generale, che ha dato adito a numerosissime pronunce giurisprudenziali sia di merito che di legittimità. Bisogna, a questo proposito, vedere cosa significa esattamente la clausola generale delle "ragioni di carattere tecnico, organizzativo, produttivo o sostitutivo" (7). In proposito si è rilevato che i giudici saranno sicuramente propensi a far rientrare nella clausola generale le ipotesi un tempo previste dalla legislazione e dalla contrattazione collettiva. Bene. Ciò è esatto. Ma non porta ancora, tuttavia, alla risoluzione del problema. Si è anche sostenuto che vi è stato un "ritorno alle origini", e cioè alla clausola generale della "specialità del rapporto" di cui all'art. 2097 c. c., implicante una generica prescrizione di ragionevolezza. E' chiaro che quando si richiede, per la legittimità dell' assunzione a tempo determinato, che sin dalla stipula del contratto si debba sapere e prevedere che la scadenza del termine coinciderà appieno con il venir meno dell'oggettiva possibilità di utilizzare ulteriormente le prestazioni di lavoro, si finisce per esigere il carattere delimitato nel tempo delle ragioni per le quali si procede all'assunzione a termine. Un secondo problema applicativo riguarda le (eventuali) conseguenze da trarsi in caso di stipula di un contratto a termine al di fuori delle condizioni stabilite dall'art. 1, co. 1, o oltre i limiti quantitativi. Sul punto si registra una diversità di opinioni, tuttavia una pars auctorevolis doctrinae (8) mediante la propria corrente di pensiero, approfonodisce il punto e chiarisce che l'argomento decisivo per la soluzione a tale problema è un argomento con ragionamento a fortiori: se, infatti, in base al decreto n. 368 deve considerarsi a tempo indeterminato il contratto a termine la cui durata si protragga al di là di quella concordata dalle parti e brevemente allungata dal legislatore, per forza di cose la stessa conseguenza deve essere applicata al caso in cui il termine non poteva alla radice essere apposto. In concluisione, il decreto oggetto della presente analisi, consente assunzioni a termine non ancorate ad occasioni sole e temporanee di lavoro e senza limiti quantitativi in ipotesi che sembrano ragionevolmente non eccessive numericamente e comunque giustificate da un punto di vista delle esigenze sociali e di impresa.Una ulteriore precisazione. L' assunzione a termine non sarà, come prima, possibile solo in casi eccezionali, poichè si sente l'esigenza di richiamare l' attenzione su una ulteriore novità. Fate attenzione al fatto che, tutti i rapporti di lavoro che a far data del 1 aprile 2009, durano da più di tre anni (anche se i 3 anni sono la somma di distinti rapporti a termine aventi una durata inferiore), gli stessi saranno automaticamente da intendersi a tempo indeterminato.
A questo punto è naturale interrogarsi sulla vera natura del contratto di lavoro a termine, sulla reale portata del Decreto n. 368 e doveroso chiedersi quali saranno le sorti del suo futuro... (*)

Dott.ssa Gianna Rossi

_______(1) Le norme rivisitate in peius in materia lavoristica si combinano con gli altri provvedimenti sulla scuola di cui al DL 137, sull' università, sulla ricerca, sulla sanità, sul pubblico impiego, e sulla sicurezza che nel loro complesso prefigurano una ben precisa idea di società fondata sull'esclusione e sulla privatizzazione dei servizi pubblici.(2) Tale tesi è stata coniata dal chiarissimo giuslavorista Prof. Marco Biagi.(3) Facendo una comparazione con altri Paesi, al primo posto si colloca la Spagna, con una percentuale dei contratti a termine pari al 33% degli occupati, con 5 possibili rinnovi e con una lunghezza cumulativa pari a 36 mesi; seguono poi la Finlandia e la Danimarca e il Portogallo.(4) Sostenitori di tale tesi sono gli Autori: V. ANGIOLINI;U. CARABELLI;L. MENGHINI;M. ROCCELLA.(5) L' accordo si limita, infatti, a definire il lavoratore a tempo determinato come "una persona con un contratto o con un rapporto di lavoro (....) il cui termine è determinato da condizioni oggettive".Ma questo non significa affatto che debbano esistere ragioni oggettive per l'apposizione del termine; ciò che invece deve risultare da elementi oggettivi, è, più semplicemente, il termine finale del contratto, che deve essere chiaramente desumibile dal raggiungimento di una certa data, dal completamento di un compito specifico ovvero dal verificarsi di uno specifico evento.Per l'approfondimento di tale tematica, si consigliano le seguenti chiarissime trattazioni:- M. BIAGI (a cura di), Il nuovo lavoro a termine. Commentario al d.lgs. 6 settembre 2001, n. 368, Milano, 2002;- A. PRETEROTI, Il nuovo contratto a termine, pt.: I^, II^, in www.accademiagiovaniprofessionisti.it; Contratto di lavoro a termine, in Diritto e processo del lavoro, di ( a cura) G. SANTORO PASSARELLI, Ipsoa, 2006;- A. VALLEBONA - C. PISANI, Il nuovo lavoro a termine, Padova, 2004.(6) Cfr., tra tanti: L. GALANTINO, Diritto comunitario del lavoro, Bari, 2003, 224;M. BIAGI, L' accordo-quadro a livello comunitario sul lavoro a termine, in GL, 1999, n. 20, 17ss.;S. MARETTI, L'accordo europeo sul lavoro a tempo determinato, in LG, 1999, 1015 ss.. (7) Utili a questo scopo saranno all'arguto lettore le trattazioni in materia di A. PRETEROTI, op. cit..(8) Tesi autorevolmente sostenuta dai seguenti Autori: M. BIAGI; U. SCARPELLI; G. SANTORO PASSARELLI; F. POCAR; P. ICHINO; A. VALLEBONA; L. MENGHINI; C. PISANI; M. D' ANTONA; T. TREU; F. CARINCI.L' Autore A. PRETEROTI si associa a tale tesi, condividendola pienamente.Contra: S. CENTOFANTI; M. FERRARO; I. PIZZOFERRATO.(*)
Il presente lavoro è interamente dedicato al Mio grande Maestro: l' Avv. Antonio Preteroti, che continua con classe e maestrìa a trasmettermi l' amore e la passione per lo studio del Diritto del Lavoro.

C.T.D.: quale futuro?


Contratto di lavoro a termine: quale futuro all'insegna di una deregulation "selvaggia"?
G. Rossi
(Approfondimento 16/1/2009)

Sommario: 1. Introduzione. - 2. Contratti a termine e situazione italiana. - 3. La Direttiva Comunitaria n. 1999/70. - 4. Decreto Legislativo n. 368/2001: una scelta "criticabile"?

1. Introduzione
Come è noto, il decreto legislativo n. 368 del 2001 ha introdotto una disciplina di lavoro a termine che ha innovato in maniera rilevante quella previgente, contenuta principalmente nella L. 230/1962, di cui si è prevista contestualmente l'abrogazione. Successivamente, incisivi interventi di modifica sulla disciplina del contratto di lavoro a tempo determinato, sono stati attuati dalla L. 247/2007, che nel recepire l'Accordo sul Welfare del 23 luglio 2007, ha novellato in vari punti la disciplina in materia recata dal D.Lgs. n. 368/2001. Tra gli interventi peggiorativi per i lavoratori introdotti dal governo di centro destra con la L. 6 agosto 2008 n. 133, di conversione del DL 112/2008 in materia lavoristica, le modifiche delle norme sul contratto di lavoro a tempo determinato, rappresentano un importante tassello, poiché l'obiettivo di questo governo è "deregolamentare" il lavoro, muovendosi su quattro direttrici:1.: stravolgere le misure della L. 247/2007 sulle tipologie di impiego;2.: intervenire sull' orario di lavoro, sugli appalti e sul sistema solidaristico della tutela della malattia;3.: stravolgere gli strumenti di registrazione e di controllo dei rapporti di lavoro in maniera tale da impedire i controlli ispettivi;4.: "segmentare" gli interessi salariali dei lavoratori con le misure relative alla detassazione degli straordinari e dei premi di produzione.Le modifiche di questa strategia governativa mirano così a frantumare ed a dividere il mondo del lavoro sia pubblico che privato, attraverso la cancellazione dei risultati finora raggiunti dal movimento sindacale con l' Accordo sul Welfare, in versione riveduta e corretta, di norme che fanno "arretrare" i diritti e le tutele dei lavoratori (1).
2. Contratti a termine e situazione italiana
Allo stato dell'arte, il ruolo del contratto di lavoro a tempo determinato non è ancora del tutto chiaro: in letteratura vi è un certo accordo che fa leva sul fatto che questa tipologia contrattuale equivalga ad una tipologia dei costi di assunzione/licenziamento e che proprio per questo motivo il loro impatto sulla disoccupazione rimanga incerto, aumentando cioè la disoccupazione a breve periodo, a fronte di una possibile riduzione di una disoccupazione a lungo periodo (2). La quota di assunzioni di lavoro a termine nel nostro Paese, sul totale degli occupatisi aggira intorno ad una percentuale del 7,5%, con condizioni restrittive e con un solo possibile rinnovo, con una lunghezza cumulativa al massimo di 15 mesi (3).Nonostante il livello di regolazione del mercato del lavoro italiano sia cresciuto e mutato nel corso degli ultimi anni - ed in particolare, nel corso degli anni Novanta -, la sua natura non sarebbe stata compromessa dalla deregolamentazione parziale e mirata del mercato del lavoro. La flessibilizzazione delle condizioni di impiego dei nuovi entrati, si sostiene, non avrebbe affatto abolito il divario insider/outsiders, ma casomai, lo avrebbe appesantito, segmentando la forza lavoro tra "garantiti" e "non garantiti", aggiungendo così un ulteriore fattore di segmenatazione ai già non pochi fattori di segmentazione all'interno del mercato italiano del lavoro. Ciononostante, l'aspettativa nei confronti dei contratti di lavoro a termine, così come di tutte le nuove forme contrattuali "atipiche" ed "a garanzie limitate", è che essi possano non solo flessibilizzare gli accessi al mercato del lavoro dei giovani in cerca di primo impiego, ma soprattutto, velocizzarli, riducendo sensibilmente i tempi di attesa e, dunque, la disoccupazione da inserimento.

3. La Direttiva Comunitaria n. 1999/70
Se è fondata l'impressione che, almeno nel nostro Paese, la Direttiva 1999/70 CE sia stata poco più che uno spunto per procedere a livello nazionale ad una ridefinizione complessiva della materia, deve ora essere valutato con particolare attenzione il profilo del presunto contrasto del d. lgs. n. 368 del 2001 con i contenuti della direttiva e, segnatamente, la questione relativa alla prospettata violazione da parte del legislatore italiano della clausola di non regresso di cui all'art. 8, paragrafo 3 dell' accordo quadro del 18 marzo 1999. E' doveroso spendere poche parole, soffermandoci sul primo profilo (quello, cioè, della violazione diretta della direttiva comunitaria). Alle osservazioni di quanti hanno sostenuto la violazione del principio che vuole il lavoro a termine alla stregua di una eccezione rispetto al lavoro a tempo indeterminato (4), è stato infatti già replicato che tale principio non solo non è esplicitamente menzionato nella parte più direttamente precettiva dell' accordo, ma che non è neppure dato rinvenire alcuna disposizione volta a darne specifica attuazione. Tanto è vero che sia dalla lettera sia dalla ratio dell' accordo non è dato desumere, neppure indirettamente, alcun limite di tipo oggettivo - né tantomeno soggettivo - alla stipulazione del primo contratto a termine (5). Indubbiamente più delicato è senz' altro il secondo profilo (quello cioè relativo alla presunta violazione della clausola di non regresso contenuta nell' accordo-quadro). Secondo un accreditato orientamento, infatti, attraverso l'inserzione di detta clausola le parti sociali a livello comunitario avrebbero voluto "impedire che ordinamenti nazionale informati, come il nostro, a norma di tutela più rigide di quelle comunitarie, possano trarre spunto da queste ultime per deregolamentare l'istituto" (6). Sulla scorta di questa premessa, l'attenzione degli osservatori, si è subito incentrata sulla reale portata innovativa del d.lgs. n. 368, nel suo complesso, rispetto alla disciplina previgente al fine di valutare l'eventuale abbassamento dei livelli di tutela garantiti dall' ordinamento a favore del lavoratore temporaneo. Si è in particolare sostenuto, in questa prospettiva, che eliminando il requisito, sinora imprescindibile, rappresentato dalla sussistenza di una causale legata ad un' occasione temporanea di lavoro, individuata dalla legge e/o dai contratti collettivi, si sarebbe dato luogo ad un grave arretramento rispetto ai livelli di tutela preesistenti, e questo anche laddove venissero accolte quelle letture restrittive della lettera del d.lgs. n. 368, volte nella sostanza a riconfermare la subalternatività della fattispecie del lavoro a tempo determinato. Sa bene, chi scrive, che a sostegno della tesi della legittimità del decreto legislativo summenzionato, un peso decisivo deve essere allora assegnato alla particolare tecnica di recezione della direttiva comunitaria.

4. Decreto Legislativo n. 368/2001: una scelta "criticabile"?Il decreto legislativo n. 368, nelle sue molteplici previsioni, pone svariati problemi applicativi ed in questa sede è opportuno fermarsi, seppur bervemente, sui più importanti di essi, che hanno generato- e generano tuttora- le questioni più spinose, al solo scopo di poter cogliere il significato essenziale della novella e di poter stabilire se la stessa ha rispettato o meno l'equilibrio preesistente tra le esigenze di flessibilità delle imprese e le esigenze di stabilità dei lavoratori e la clausola di salvaguardia presente nell' accordo europeo. Il primo problema applicativo riguarda il significato della clausola generale, che ha dato adito a numerosissime pronunce giurisprudenziali sia di merito che di legittimità. Bisogna, a questo proposito, vedere cosa significa esattamente la clausola generale delle "ragioni di carattere tecnico, organizzativo, produttivo o sostitutivo" (7). In proposito si è rilevato che i giudici saranno sicuramente propensi a far rientrare nella clausola generale le ipotesi un tempo previste dalla legislazione e dalla contrattazione collettiva. Bene. Ciò è esatto. Ma non porta ancora, tuttavia, alla risoluzione del problema. Si è anche sostenuto che vi è stato un "ritorno alle origini", e cioè alla clausola generale della "specialità del rapporto" di cui all'art. 2097 c. c., implicante una generica prescrizione di ragionevolezza. E' chiaro che quando si richiede, per la legittimità dell' assunzione a tempo determinato, che sin dalla stipula del contratto si debba sapere e prevedere che la scadenza del termine coinciderà appieno con il venir meno dell'oggettiva possibilità di utilizzare ulteriormente le prestazioni di lavoro, si finisce per esigere il carattere delimitato nel tempo delle ragioni per le quali si procede all'assunzione a termine. Un secondo problema applicativo riguarda le (eventuali) conseguenze da trarsi in caso di stipula di un contratto a termine al di fuori delle condizioni stabilite dall'art. 1, co. 1, o oltre i limiti quantitativi. Sul punto si registra una diversità di opinioni, tuttavia una pars auctorevolis doctrinae (8) mediante la propria corrente di pensiero, approfonodisce il punto e chiarisce che l'argomento decisivo per la soluzione a tale problema è un argomento con ragionamento a fortiori: se, infatti, in base al decreto n. 368 deve considerarsi a tempo indeterminato il contratto a termine la cui durata si protragga al di là di quella concordata dalle parti e brevemente allungata dal legislatore, per forza di cose la stessa conseguenza deve essere applicata al caso in cui il termine non poteva alla radice essere apposto. In concluisione, il decreto oggetto della presente analisi, consente assunzioni a termine non ancorate ad occasioni sole e temporanee di lavoro e senza limiti quantitativi in ipotesi che sembrano ragionevolmente non eccessive numericamente e comunque giustificate da un punto di vista delle esigenze sociali e di impresa.Una ulteriore precisazione. L' assunzione a termine non sarà, come prima, possibile solo in casi eccezionali, poichè si sente l'esigenza di richiamare l' attenzione su una ulteriore novità. Fate attenzione al fatto che, tutti i rapporti di lavoro che a far data del 1 aprile 2009, durano da più di tre anni (anche se i 3 anni sono la somma di distinti rapporti a termine aventi una durata inferiore), gli stessi saranno automaticamente da intendersi a tempo indeterminato.
A questo punto è naturale interrogarsi sulla vera natura del contratto di lavoro a termine, sulla reale portata del Decreto n. 368 e doveroso chiedersi quali saranno le sorti del suo futuro... (*)

Dott.ssa Gianna Rossi

_______(1) Le norme rivisitate in peius in materia lavoristica si combinano con gli altri provvedimenti sulla scuola di cui al DL 137, sull' università, sulla ricerca, sulla sanità, sul pubblico impiego, e sulla sicurezza che nel loro complesso prefigurano una ben precisa idea di società fondata sull'esclusione e sulla privatizzazione dei servizi pubblici.(2) Tale tesi è stata coniata dal chiarissimo giuslavorista Prof. Marco Biagi.(3) Facendo una comparazione con altri Paesi, al primo posto si colloca la Spagna, con una percentuale dei contratti a termine pari al 33% degli occupati, con 5 possibili rinnovi e con una lunghezza cumulativa pari a 36 mesi; seguono poi la Finlandia e la Danimarca e il Portogallo.(4) Sostenitori di tale tesi sono gli Autori: V. ANGIOLINI;U. CARABELLI;L. MENGHINI;M. ROCCELLA.(5) L' accordo si limita, infatti, a definire il lavoratore a tempo determinato come "una persona con un contratto o con un rapporto di lavoro (....) il cui termine è determinato da condizioni oggettive".Ma questo non significa affatto che debbano esistere ragioni oggettive per l'apposizione del termine; ciò che invece deve risultare da elementi oggettivi, è, più semplicemente, il termine finale del contratto, che deve essere chiaramente desumibile dal raggiungimento di una certa data, dal completamento di un compito specifico ovvero dal verificarsi di uno specifico evento.Per l'approfondimento di tale tematica, si consigliano le seguenti chiarissime trattazioni:- M. BIAGI (a cura di), Il nuovo lavoro a termine. Commentario al d.lgs. 6 settembre 2001, n. 368, Milano, 2002;- A. PRETEROTI, Il nuovo contratto a termine, pt.: I^, II^, in www.accademiagiovaniprofessionisti.it; Contratto di lavoro a termine, in Diritto e processo del lavoro, di ( a cura) G. SANTORO PASSARELLI, Ipsoa, 2006;- A. VALLEBONA - C. PISANI, Il nuovo lavoro a termine, Padova, 2004.(6) Cfr., tra tanti: L. GALANTINO, Diritto comunitario del lavoro, Bari, 2003, 224;M. BIAGI, L' accordo-quadro a livello comunitario sul lavoro a termine, in GL, 1999, n. 20, 17ss.;S. MARETTI, L'accordo europeo sul lavoro a tempo determinato, in LG, 1999, 1015 ss.. (7) Utili a questo scopo saranno all'arguto lettore le trattazioni in materia di A. PRETEROTI, op. cit..(8) Tesi autorevolmente sostenuta dai seguenti Autori: M. BIAGI; U. SCARPELLI; G. SANTORO PASSARELLI; F. POCAR; P. ICHINO; A. VALLEBONA; L. MENGHINI; C. PISANI; M. D' ANTONA; T. TREU; F. CARINCI.L' Autore A. PRETEROTI si associa a tale tesi, condividendola pienamente.Contra: S. CENTOFANTI; M. FERRARO; I. PIZZOFERRATO.(*)
Il presente lavoro è interamente dedicato al Mio grande Maestro: l' Avv. Antonio Preteroti, che continua con classe e maestrìa a trasmettermi l' amore e la passione per lo studio del Diritto del Lavoro.

Il C.T.D.


Contratti a termine: proroghe eccezionali (Cass. civ., Sez. lavoro, n. 29258/2008)
G. Di Rago

La proroga del contratto a termine deve intendersi come circostanza di carattere eccezionale e, di conseguenza, i motivi che, a mente art. 2 della legge n. 230/62, giustificano la continuazione del rapporto di lavoro a termine anche oltre la scadenza contrattuale, devono consistere in fatti diversi da quelli che hanno giustificato l'originaria apposizione del termine e devono rivestire i caratteri della contingenza e dell'imprevedibilità, da valutarsi sulla base della diligenza media osservabile dall'imprenditore. Con la sentenza n. 29258, pubblicata lo scorso 12 dicembre 2008 e leggibile integralmente di seguito, la Sezione lavoro della Corte di Cassazione ha quindi nuovamente chiarito i presupposti che rendono legittima la proroga del contratto a termine.
La fattispecieNel caso in questione il dipendente di una piccola impresa aveva presentato ricorso al Tribunale del lavoro sostenendo di avere lavorato alle dipendenze della stessa in qualità di operaio con mansioni di manutentore e addetto alla produzione per poco più di due anni e, successivamente a tale rapporto, di essere stato per un breve periodo alle dipendenze di un'altra azienda, salvo aver ripreso a lavorare per la medesima società alcuni mesi dopo con mansioni identiche a quelle svolte in precedenza. Il ricorrente aveva quindi dedotto che il termine apposto sin dall'inizio al proprio contratto di lavoro era da considerarsi illegittimo, con conseguente trasformazione del rapporto di lavoro da tempo determinato a indeterminato. Pur essendosi costituita in giudizio la società resistente, che aveva impugnato integralmente il ricorso avversario chiedendone il rigetto, il Tribunale adito aveva dichiarato la nullità della pattuizione del termine apposto al contratto di lavoro e l'avvenuta costituzione fra le parti di un rapporto a tempo indeterminato, con condanna dell'azienda al pagamento dell'ordinaria retribuzione fino all'effettiva riammissione in servizio del dipendente, oltre alle spese di lite. Confermata quasi integralmente la sentenza in appello, alla società resistente non era restato altro che impugnare la decisione di secondo grado presso la Suprema Corte.
La decisione dei giudici di legittimità
Anche la Sezione lavoro della Cassazione ha però respinto le argomentazioni addotte dalla società resistente a sostegno della legittimità del termine apposto al contratto di lavoro. In particolare, il datore di lavoro aveva sottolineato come la proroga della scadenza negoziale fosse stata giustificata da fatti sopravvenuti e imprevedibili, per di più risultanti dall'istruttoria condotta in primo grado. Il dipendente, infatti, secondo quanto riferito dalla società resistente, aveva dovuto essere nuovamente impiegato presso l'azienda per garantire il funzionamento di alcune macchine alle quali lo stesso era stato addetto fin dall'inizio e che avrebbero dovuto essere vendute prima della scadenza del suo contratto di lavoro, salvo poi rimanere di proprietà del datore di lavoro a causa della mancata conclusione dell'accordo con la società terza.A questo proposito la Suprema Corte ha opportunamente chiarito che le speciali circostanze che, in base a quanto previsto dall'art. 2 della legge n. 230/62, sono idonee a legittimare la proroga del contratto di lavoro a tempo determinato, devono essere necessariamente diverse da quelle che hanno giustificato l'originaria apposizione del termine e devono rivestire i caratteri della contingenza e dell'imprevedibilità. Con riferimento a quest'ultimo requisito i giudici di legittimità hanno anche ricordato come debba ritenersi prevedibile qualsiasi situazione di cui l'imprenditore possa, anche in via di mera probabilità, rappresentarsi l'ulteriore decorso causale secondo l'id quod plerumque accidit.Quanto al profilo risarcitorio, la Cassazione ha chiarito che in casi del genere, contrariamente a quanto eccepito dalla società resistente, non può essere fatta applicazione di quanto previsto dall'art. 18 dello Statuto dei lavoratori circa la reintegrazione nel posto di lavoro del dipendente licenziato. Infatti, in caso di illegittima apposizione del termine al contratto di lavoro, a prescindere dalle dimensioni dell'azienda, occorre fare applicazione del principio indicato più volte dalla Suprema Corte e secondo il quale il diritto del lavoratore a essere riammesso in servizio non configura una richiesta di reintegrazione per illegittimo licenziamento ma di adempimento del rapporto di lavoro a tempo indeterminato, in considerazione della nullità della clausola contrattuale.La Suprema Corte ha quindi operato una serie di interessanti considerazioni in merito all'impugnazione delle sentenze per vizio di motivazione, sottolineando come detto vizio non possa diventare un mezzo per aggirare il divieto per il giudice di legittimità di sindacare la valutazione delle risultanze probatorie operata dai giudici di merito. A questo proposito la Sezione lavoro della Cassazione ha evidenziato come qualora venga dedotta l'incongruità o l'illogicità della motivazione della sentenza impugnata il ricorrente abbia il preciso obbligo di indicare le parti dell'istruttoria che non sarebbero state valutate o sarebbero state insufficientemente valutate dall'organo giudicante, mediante integrale trascrizione delle medesime nel ricorso, poiché solo tale specificazione consente al giudice di legittimità, al quale è precluso l'esame diretto degli atti di causa, di delibare la decisività delle risultanze stesse.
Avv. Gianfranco Di Rago
www.studiolegaledirago.it

Il C.T.D.


Contratti a termine: proroghe eccezionali (Cass. civ., Sez. lavoro, n. 29258/2008)
G. Di Rago

La proroga del contratto a termine deve intendersi come circostanza di carattere eccezionale e, di conseguenza, i motivi che, a mente art. 2 della legge n. 230/62, giustificano la continuazione del rapporto di lavoro a termine anche oltre la scadenza contrattuale, devono consistere in fatti diversi da quelli che hanno giustificato l'originaria apposizione del termine e devono rivestire i caratteri della contingenza e dell'imprevedibilità, da valutarsi sulla base della diligenza media osservabile dall'imprenditore. Con la sentenza n. 29258, pubblicata lo scorso 12 dicembre 2008 e leggibile integralmente di seguito, la Sezione lavoro della Corte di Cassazione ha quindi nuovamente chiarito i presupposti che rendono legittima la proroga del contratto a termine.
La fattispecieNel caso in questione il dipendente di una piccola impresa aveva presentato ricorso al Tribunale del lavoro sostenendo di avere lavorato alle dipendenze della stessa in qualità di operaio con mansioni di manutentore e addetto alla produzione per poco più di due anni e, successivamente a tale rapporto, di essere stato per un breve periodo alle dipendenze di un'altra azienda, salvo aver ripreso a lavorare per la medesima società alcuni mesi dopo con mansioni identiche a quelle svolte in precedenza. Il ricorrente aveva quindi dedotto che il termine apposto sin dall'inizio al proprio contratto di lavoro era da considerarsi illegittimo, con conseguente trasformazione del rapporto di lavoro da tempo determinato a indeterminato. Pur essendosi costituita in giudizio la società resistente, che aveva impugnato integralmente il ricorso avversario chiedendone il rigetto, il Tribunale adito aveva dichiarato la nullità della pattuizione del termine apposto al contratto di lavoro e l'avvenuta costituzione fra le parti di un rapporto a tempo indeterminato, con condanna dell'azienda al pagamento dell'ordinaria retribuzione fino all'effettiva riammissione in servizio del dipendente, oltre alle spese di lite. Confermata quasi integralmente la sentenza in appello, alla società resistente non era restato altro che impugnare la decisione di secondo grado presso la Suprema Corte.
La decisione dei giudici di legittimità
Anche la Sezione lavoro della Cassazione ha però respinto le argomentazioni addotte dalla società resistente a sostegno della legittimità del termine apposto al contratto di lavoro. In particolare, il datore di lavoro aveva sottolineato come la proroga della scadenza negoziale fosse stata giustificata da fatti sopravvenuti e imprevedibili, per di più risultanti dall'istruttoria condotta in primo grado. Il dipendente, infatti, secondo quanto riferito dalla società resistente, aveva dovuto essere nuovamente impiegato presso l'azienda per garantire il funzionamento di alcune macchine alle quali lo stesso era stato addetto fin dall'inizio e che avrebbero dovuto essere vendute prima della scadenza del suo contratto di lavoro, salvo poi rimanere di proprietà del datore di lavoro a causa della mancata conclusione dell'accordo con la società terza.A questo proposito la Suprema Corte ha opportunamente chiarito che le speciali circostanze che, in base a quanto previsto dall'art. 2 della legge n. 230/62, sono idonee a legittimare la proroga del contratto di lavoro a tempo determinato, devono essere necessariamente diverse da quelle che hanno giustificato l'originaria apposizione del termine e devono rivestire i caratteri della contingenza e dell'imprevedibilità. Con riferimento a quest'ultimo requisito i giudici di legittimità hanno anche ricordato come debba ritenersi prevedibile qualsiasi situazione di cui l'imprenditore possa, anche in via di mera probabilità, rappresentarsi l'ulteriore decorso causale secondo l'id quod plerumque accidit.Quanto al profilo risarcitorio, la Cassazione ha chiarito che in casi del genere, contrariamente a quanto eccepito dalla società resistente, non può essere fatta applicazione di quanto previsto dall'art. 18 dello Statuto dei lavoratori circa la reintegrazione nel posto di lavoro del dipendente licenziato. Infatti, in caso di illegittima apposizione del termine al contratto di lavoro, a prescindere dalle dimensioni dell'azienda, occorre fare applicazione del principio indicato più volte dalla Suprema Corte e secondo il quale il diritto del lavoratore a essere riammesso in servizio non configura una richiesta di reintegrazione per illegittimo licenziamento ma di adempimento del rapporto di lavoro a tempo indeterminato, in considerazione della nullità della clausola contrattuale.La Suprema Corte ha quindi operato una serie di interessanti considerazioni in merito all'impugnazione delle sentenze per vizio di motivazione, sottolineando come detto vizio non possa diventare un mezzo per aggirare il divieto per il giudice di legittimità di sindacare la valutazione delle risultanze probatorie operata dai giudici di merito. A questo proposito la Sezione lavoro della Cassazione ha evidenziato come qualora venga dedotta l'incongruità o l'illogicità della motivazione della sentenza impugnata il ricorrente abbia il preciso obbligo di indicare le parti dell'istruttoria che non sarebbero state valutate o sarebbero state insufficientemente valutate dall'organo giudicante, mediante integrale trascrizione delle medesime nel ricorso, poiché solo tale specificazione consente al giudice di legittimità, al quale è precluso l'esame diretto degli atti di causa, di delibare la decisività delle risultanze stesse.
Avv. Gianfranco Di Rago
www.studiolegaledirago.it

Il disegno di Legge sul federalismo fiscale

Federalismo fiscale: il disegno di legge approvato dal Senato della Repubblica
Disegno di legge approvato dal Senato il 22.01.2009 n° 1117-A

Il Governo sarà delegato ad adottare uno o più decreti legislativi aventi ad oggetto l'attuazione dell'articolo 119 della Costituzione, al fine di "assicurare, attraverso la definizione dei princìpi fondamentali del coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario e la definizione della perequazione, l'autonomia finanziaria di comuni, province, Città metropolitane e regioni".
E' quanto prevede il Disegno di Legge in materia di federalismo fiscale (nato dalla c.d. bozza Calderoli) approvato dal Senato della Repubblica il 22 gennaio 2009.
In particolare, il provvedimento prevede:
istituzione di una specifica Commissione parlamentare per l'attuazione del federalismo fiscale;
attribuzione di specifici tributi per le province e le città metropolitane;
quote aggiuntive di tributi erariali per Roma capitale;
ineleggibilità per gli amministratori degli enti locali responsabili di dissesto finanziario;
possibilità di istituire città metropolitane possono essere istituite nell'ambito di una regione nelle aree metropolitane in cui sono compresi i comuni di Torino, Milano, Venezia, Genova, Bologna, Firenze, Bari e Napoli.
Il provvedimento passa ora all'esame della Camera dei Deputati.
(Altalex, 25 gennaio 2009)
DISEGNO DI LEGGE 22 GENNAIO 2008, N. 1117-A
Delega al Governo in materia di federalismo fiscale, in attuazione dell'articolo 119 della Costituzione.
Capo I
CONTENUTI E REGOLE DI COORDINAMENTO FINANZIARIO
Art. 1.
(Ambito di intervento)
1. La presente legge costituisce attuazione dell'articolo 119 della Costituzione, assicurando autonomia di entrata e di spesa di comuni, province, Città metropolitane e regioni e rispettando i princìpi di solidarietà e di coesione sociale, in maniera da sostituire gradualmente, per tutti i livelli di governo, il criterio della spesa storica e da garantire la loro massima responsabilizzazione e l'effettività e la trasparenza del controllo democratico nei confronti degli eletti. A tali fini, la presente legge reca disposizioni volte a stabilire in via esclusiva i princìpi fondamentali del coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario, a disciplinare l'istituzione ed il funzionamento del fondo perequativo per i territori con minore capacità fiscale per abitante nonché l'utilizzazione delle risorse aggiuntive e l'effettuazione degli interventi speciali di cui all'articolo 119, quinto comma, della Costituzione. Disciplina altresì i princìpi generali per l'attribuzione di un proprio patrimonio a comuni, province, Città metropolitane e regioni ed il finanziamento di Roma capitale.
2. Alle regioni a statuto speciale ed alle province autonome di Trento e di Bolzano si applicano, in conformità con gli statuti, esclusivamente le disposizioni di cui agli articoli 14, 21 e 24.
Art. 2.
(Oggetto e finalità)
1. Il Governo è delegato ad adottare, entro ventiquattro mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, uno o più decreti legislativi aventi ad oggetto l'attuazione dell'articolo 119 della Costituzione, al fine di assicurare, attraverso la definizione dei princìpi fondamentali del coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario e la definizione della perequazione, l'autonomia finanziaria di comuni, province, Città metropolitane e regioni.
2. Fermi restando gli specifici princìpi e criteri direttivi stabiliti dalle disposizioni di cui agli articoli 5, 7, 8, 9, 10, 11, 12, 13, 14, 15, 16, 18, 19, 20, 21, 22, 23, 25 e 26, i decreti legislativi di cui al comma 1 del presente articolo sono informati ai seguenti princìpi e criteri direttivi generali:
a) autonomia di entrata e di spesa e maggiore responsabilizzazione amministrativa, finanziaria e contabile di tutti i livelli di governo;
b) lealtà istituzionale fra tutti i livelli di governo e concorso di tutte le amministrazioni pubbliche al conseguimento degli obiettivi di finanza pubblica nazionale in coerenza con i vincoli posti dall'Unione europea e dai trattati internazionali;
c) razionalità e coerenza dei singoli tributi e del sistema tributario nel suo complesso; semplificazione del sistema tributario, riduzione degli adempimenti a carico dei contribuenti, trasparenza del prelievo, efficienza nell'amministrazione dei tributi; rispetto dei princìpi sanciti dallo statuto dei diritti del contribuente di cui alla legge 27 luglio 2000, n. 212;
d) coinvolgimento dei diversi livelli istituzionali nell'attività di contrasto all'evasione e all'elusione fiscale;
e) attribuzione di risorse autonome ai comuni, alle province, alle Città metropolitane e alle regioni, in relazione alle rispettive competenze, secondo il principio di territorialità e nel rispetto del principio di solidarietà e dei princìpi di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza di cui all'articolo 118 della Costituzione; le risorse derivanti dai tributi e dalle entrate proprie di regioni ed enti locali, dalle compartecipazioni al gettito di tributi erariali e dal fondo perequativo consentono di finanziare integralmente il normale esercizio delle funzioni pubbliche attribuite;
f) determinazione del costo e del fabbisogno standard quale costo o fabbisogno obiettivo che, valorizzando l'efficienza e l'efficacia, e tenendo conto anche del rapporto tra il numero dei dipendenti dell'ente territoriale e il numero dei residenti, costituisce l'indicatore rispetto al quale comparare e valutare l'azione pubblica nonché gli obiettivi di servizio cui devono tendere le amministrazioni regionali e locali nell'esercizio delle rispettive funzioni;
g) adozione per le proprie politiche di bilancio da parte di regioni, Città metropolitane, province e comuni di regole coerenti con quelle derivanti dall'applicazione del patto di stabilità e crescita;
h) individuazione dei princìpi fondamentali dell'armonizzazione dei bilanci pubblici, in modo da assicurare la redazione dei bilanci di comuni, province, Città metropolitane e regioni in base a criteri predefiniti e uniformi, concordati in sede di Conferenza unificata di cui all'articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, di seguito denominata «Conferenza unificata», coerenti con quelli che disciplinano la redazione del bilancio dello Stato. La registrazione delle poste di entrata e di spesa nei bilanci dello Stato, delle regioni, delle Città metropolitane, delle province e dei comuni deve essere eseguita in forme che consentano di ricondurre tali poste ai criteri rilevanti per l'osservanza del patto di stabilità e crescita;
i) coerenza con i princìpi di cui all'articolo 53 della Costituzione;
l) superamento graduale, per tutti i livelli istituzionali, del criterio della spesa storica a favore:
1) del fabbisogno standard per il finanziamento dei livelli essenziali di cui all'articolo 117, secondo comma, lettera m), della Costituzione, e delle funzioni fondamentali di cui all'articolo 117, secondo comma, lettera p), della Costituzione;
2) della perequazione della capacità fiscale per le altre funzioni;
m) rispetto della ripartizione delle competenze legislative fra Stato e regioni in tema di coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario;
n) esclusione di ogni doppia imposizione sul medesimo presupposto, salvo le addizionali previste dalla legge statale o regionale;
o) tendenziale correlazione tra prelievo fiscale e beneficio connesso alle funzioni esercitate sul territorio in modo da favorire la corrispondenza tra responsabilità finanziaria e amministrativa; continenza e responsabilità nell'imposizione di tributi propri;
p) previsione che la legge regionale possa, con riguardo ai presupposti non assoggettati ad imposizione da parte dello Stato:
1) istituire tributi regionali e locali;
2) determinare le variazioni delle aliquote o le agevolazioni che comuni, province e Città metropolitane possono applicare nell'esercizio della propria autonomia;
q) facoltà delle regioni di istituire a favore degli enti locali compartecipazioni al gettito dei tributi e delle compartecipazioni regionali;
r) esclusione di interventi sulle basi imponibili e sulle aliquote dei tributi che non siano del proprio livello di governo; ove i predetti interventi siano effettuati dallo Stato sulle basi imponibili e sulle aliquote riguardanti i tributi degli enti locali e quelli di cui all'articolo 7, comma 1, lettera b), numeri 1) e 2), essi sono possibili solo se prevedono la contestuale adozione di misure per la completa compensazione tramite modifica di aliquota o attribuzione di altri tributi e previa quantificazione finanziaria delle predette misure nella Conferenza di cui all'articolo 5;
s) previsione di strumenti e meccanismi di accertamento e di riscossione che assicurino modalità efficienti di accreditamento diretto del riscosso agli enti titolari del tributo; previsione che i tributi erariali compartecipati siano integralmente contabilizzati nel bilancio dello Stato;
t) definizione di modalità che assicurino a ciascun soggetto titolare del tributo l'accesso diretto alle anagrafi e a ogni altra banca dati utile alle attività di gestione tributaria, assicurando il rispetto della normativa a tutela della riservatezza dei dati personali;
u) premialità dei comportamenti virtuosi ed efficienti nell'esercizio della potestà tributaria, nella gestione finanziaria ed economica e previsione di meccanismi sanzionatori per gli enti che non rispettano gli equilibri economico - finanziari o non assicurano i livelli essenziali delle prestazioni di cui all'articolo 117, secondo comma, lettera m), della Costituzione o l'esercizio delle funzioni fondamentali di cui all'articolo 117, secondo comma, lettera p), della Costituzione; previsione delle specifiche modalità attraverso le quali il Governo, nel caso in cui la regione o l'ente locale non assicuri i livelli essenziali delle prestazioni di cui all'articolo 117, secondo comma, lettera m), della Costituzione, o l'esercizio delle funzioni fondamentali di cui all'articolo 117, secondo comma, lettera p), della Costituzione, o qualora gli scostamenti dal patto di convergenza di cui all'articolo 17 della presente legge abbiano caratteristiche permanenti e sistematiche, adotta misure sanzionatorie, fino all'esercizio del potere sostitutivo di cui all'articolo 120, secondo comma, della Costituzione, secondo quanto disposto dall'articolo 8 della legge 5 giugno 2003, n. 131, e secondo il principio di responsabilità amministrativa e finanziaria;
v) previsione che le sanzioni di cui alla lettera u) a carico degli enti inadempienti si applichino anche nel caso di mancato rispetto dei criteri uniformi di redazione dei bilanci, predefiniti ai sensi della lettera h);
z) garanzia del mantenimento di un adeguato livello di flessibilità fiscale nella costituzione di insiemi di tributi e compartecipazioni, da attribuire alle regioni e agli enti locali, la cui composizione sia rappresentata in misura rilevante da tributi manovrabili, con determinazione, per ciascun livello di governo, di un adeguato grado di autonomia di entrata, derivante da tali tributi;
aa) previsione di una adeguata flessibilità fiscale articolata su più tributi con una base imponibile stabile e distribuita in modo tendenzialmente uniforme sul territorio nazionale, tale da consentire a tutte le regioni ed enti locali, comprese quelle a più basso potenziale fiscale, di finanziare, attivando le proprie potenzialità, il livello di spesa non riconducibile ai livelli essenziali delle prestazioni e alle funzioni fondamentali degli enti locali;
bb) trasparenza ed efficienza delle decisioni di entrata e di spesa, rivolte a garantire l'effettiva attuazione dei princìpi di efficacia, efficienza ed economicità di cui all'articolo 5, comma 1, lettera b);
cc) riduzione della imposizione fiscale statale in misura corrispondente alla più ampia autonomia di entrata di regioni ed enti locali calcolata ad aliquota standard e corrispondente riduzione delle risorse statali umane e strumentali; eliminazione dal bilancio dello Stato delle previsioni di spesa relative al finanziamento delle funzioni attribuite a regioni, province, comuni e Città metropolitane, con esclusione dei fondi perequativi e delle risorse per gli interventi di cui all'articolo 119, quinto comma, della Costituzione;
dd) definizione di una disciplina dei tributi locali in modo da consentire anche una più piena valorizzazione della sussidiarietà orizzontale;
ee) territorialità dei tributi regionali e locali e dei gettiti delle compartecipazioni, in conformità a quanto previsto dall'articolo 119 della Costituzione;
ff) tendenziale corrispondenza tra autonomia impositiva e autonomia di gestione delle proprie risorse umane e strumentali da parte del settore pubblico; previsione di strumenti che consentano autonomia ai diversi livelli di governo nella gestione della contrattazione collettiva;
gg) certezza delle risorse e stabilità tendenziale del quadro di finanziamento, in misura corrispondente alle funzioni attribuite.
hh) individuazione, in conformità con il diritto comunitario, di forme di fiscalità di sviluppo, con particolare riguardo alla creazione di nuove attività di impresa.
3. I decreti legislativi di cui al comma 1 sono adottati su proposta del Ministro dell'economia e delle finanze, del Ministro per le riforme per il federalismo, del Ministro per la semplificazione normativa, del Ministro per i rapporti con le regioni e del Ministro per le politiche europee, di concerto con il Ministro dell'interno, con il Ministro per la pubblica amministrazione e l'innovazione e con gli altri Ministri volta a volta competenti nelle materie oggetto di tali decreti. Gli schemi di decreto legislativo, previa intesa da sancire in sede di Conferenza unificata ai sensi dell'articolo 3 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, sono trasmessi alle Camere perché su di essi sia espresso il parere della Commissione di cui all'articolo 3 e delle Commissioni parlamentari competenti per le conseguenze di carattere finanziario, entro sessanta giorni dalla trasmissione. In mancanza di intesa nel termine di cui all'articolo 3 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, il Consiglio dei ministri delibera, approvando una relazione che è trasmessa alle Camere. Nella relazione sono indicate le specifiche motivazioni per cui l'intesa non è stata raggiunta.
4. Decorso il termine per l'espressione dei pareri di cui al comma 3 da parte della Commissione di cui all'articolo 3, i decreti possono essere comunque adottati. Il Governo, se non intende conformarsi ai pareri parlamentari, ritrasmette i testi alle Camere con le sue osservazioni e con eventuali modificazioni, per l'espressione di un nuovo parere da parte delle commissioni di cui al comma 3. Decorsi trenta giorni dalla data della nuova trasmissione, i decreti possono comunque essere adottati in via definitiva dal Governo. Il Governo, qualora, anche a seguito dell'espressione dei pareri parlamentari, non intenda conformarsi all'intesa raggiunta in Conferenza unificata, trasmette alle Camere e alla stessa Conferenza unificata una relazione nella quale sono indicate le specifiche motivazioni di difformità dall'intesa.
5. Il Governo assicura, nella predisposizione dei decreti legislativi di cui al comma 1, piena collaborazione con le regioni e gli enti locali, anche al fine di condividere la definizione dei livelli essenziali di assistenza e dei livelli essenziali delle prestazioni e la determinazione dei costi e dei fabbisogni standard.
6. Almeno uno dei decreti legislativi di cui al comma 1 è adottato entro dodici mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge. Contestualmente all'adozione del primo schema di decreto legislativo, il Governo trasmette alle Camere, in allegato a tale schema, una relazione concernente il quadro generale di finanziamento degli enti territoriali ed ipotesi di definizione su base quantitativa della struttura fondamentale dei rapporti finanziari tra lo Stato, le regioni e gli enti locali, con l'indicazione delle possibili distribuzioni delle risorse.
7. Entro due anni dalla data di entrata in vigore dei decreti legislativi di cui al comma 1, possono essere adottati decreti legislativi recanti disposizioni integrative e correttive nel rispetto dei princìpi e criteri direttivi previsti dalla presente legge e con la procedura di cui ai commi 3 e 4.
Art. 3.
(Commissione parlamentare per l'attuazione del federalismo fiscale)
1. È istituita la Commissione parlamentare per l'attuazione del federalismo fiscale, composta da quindici senatori e da quindici deputati, nominati rispettivamente dal Presidente del Senato della Repubblica e dal Presidente della Camera dei deputati. La composizione della Commissione deve rispecchiare la proporzione dei gruppi parlamentari anche dopo la sua costituzione.
2. La Commissione assicura il raccordo con le regioni, le Città metropolitane, le province e i comuni, avvalendosi a tal fine della consultazione di un Comitato esterno di rappresentanti delle autonomie territoriali, nominato dalla componente rappresentativa delle regioni e degli enti locali nell'ambito della Conferenza unificata. Esso è composto da dodici membri di cui sei in rappresentanza delle regioni, due in rappresentanza delle province e quattro in rappresentanza dei comuni.
3. La Commissione:
a) esprime i pareri sugli schemi dei decreti legislativi di cui all'articolo 2;
b) verifica lo stato di attuazione di quanto previsto dalla presente legge e ne riferisce ogni sei mesi alle Camere fino alla conclusione della fase transitoria di cui agli articoli 19 e 20. A tal fine può ottenere tutte le informazioni necessarie dalla Commissione tecnica paritetica per l'attuazione del federalismo fiscale di cui all'articolo 4 o dalla Conferenza permanente per il coordinamento della finanza pubblica di cui all'articolo 5.
4. La Commissione può chiedere ai Presidenti delle Camere una proroga di venti giorni per l'espressione del parere, qualora ciò si renda necessario per la complessità della materia o per il numero di schemi trasmessi nello stesso periodo all'esame della Commissione. Con la proroga del termine per l'espressione del parere si intende prorogato di venti giorni anche il termine finale per l'esercizio della delega.
5. La Commissione è sciolta al termine della fase transitoria di cui agli articoli 19 e 20.
Art. 4.
(Commissione tecnica paritetica per l'attuazione del federalismo fiscale)
1. Al fine di acquisire ed elaborare elementi conoscitivi per la predisposizione dei contenuti dei decreti legislativi di cui all'articolo 2, con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, da adottare entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, è istituita, presso il Ministero dell'economia e delle finanze, una Commissione tecnica paritetica per l'attuazione del federalismo fiscale, di seguito denominata «Commissione», formata da trenta componenti e
composta per metà da rappresentanti tecnici dello Stato e per metà da rappresentanti tecnici degli enti di cui all'articolo 114, secondo comma, della Costituzione. Partecipano alle riunioni della Commissione un rappresentante tecnico della Camera dei deputati e uno del Senato della Repubblica, designati dai rispettivi Presidenti, nonché un rappresentante tecnico delle Assemblee legislative regionali e delle province autonome, designato d'intesa tra di loro nell'ambito della Conferenza dei presidenti dell'Assemblea, dei Consigli regionali e delle province autonome di cui agli articoli 5, 8 e 15 della legge 4 febbraio 2005, n. 11. Gli oneri relativi sono a carico dei rispettivi soggetti istituzionali rappresentati.
2. La Commissione è sede di condivisione delle basi informative finanziarie e tributarie, promuove la realizzazione delle rilevazioni e delle attività necessarie per soddisfare gli eventuali ulteriori fabbisogni informativi e svolge attività consultiva per il riordino dell'ordinamento finanziario di comuni, province, Città metropolitane e regioni e delle relazioni finanziarie intergovernative. A tale fine, le amministrazioni statali, regionali e locali forniscono i necessari elementi informativi sui dati finanziari e tributari.
3. La Commissione adotta, nella sua prima seduta, da convocare entro quindici giorni dalla data di entrata in vigore del decreto di cui al comma 1, la tempistica e la disciplina procedurale dei propri lavori.
4. La Commissione opera nell'ambito della Conferenza unificata e svolge le funzioni di segreteria tecnica della Conferenza di cui all'articolo 5 a decorrere dall'istituzione di quest'ultima. Trasmette informazioni e dati alle Camere, su richiesta di ciascuna di esse.
Art. 5.
(Conferenza permanente per il coordinamento della finanza pubblica)
1. I decreti legislativi di cui all'articolo 2 prevedono l'istituzione, nell'ambito della Conferenza unificata, della Conferenza permanente per il coordinamento della finanza pubblica come organismo stabile di coordinamento della finanza pubblica, di seguito denominata «Conferenza», di cui fanno parte i rappresentanti dei diversi livelli istituzionali di governo, e ne disciplinano il funzionamento e la composizione, secondo i seguenti princìpi e criteri direttivi:
a) la Conferenza concorre alla definizione degli obiettivi di finanza pubblica per comparto, anche in relazione ai livelli di pressione fiscale e di indebitamento; concorre alla definizione delle procedure per accertare eventuali scostamenti dagli obiettivi di finanza pubblica e promuove l'attivazione degli eventuali interventi necessari per il rispetto di tali obiettivi; verifica la loro attuazione ed efficacia; avanza proposte per la determinazione degli indici di virtuosità e dei relativi incentivi; vigila sull'applicazione dei meccanismi di premialità, sul rispetto dei meccanismi sanzionatori e sul loro funzionamento;
b) la Conferenza propone criteri per il corretto utilizzo dei fondi perequativi secondo princìpi di efficacia, efficienza e trasparenza e ne verifica l'applicazione;
c) la Conferenza verifica l'utilizzo dei fondi per gli interventi di cui all'articolo 15;
d) la Conferenza assicura la verifica periodica del funzionamento del nuovo ordinamento finanziario di comuni, province, Città metropolitane e regioni, ivi compresa la congruità di cui all'articolo 10, comma 1, lettera d); assicura altresì la verifica delle relazioni finanziarie tra i livelli diversi di governo e l'adeguatezza delle risorse finanziarie di ciascun livello di governo rispetto alle funzioni svolte, proponendo eventuali modifiche o adeguamenti del sistema;
e) la Conferenza verifica la congruità dei dati e delle basi informative finanziarie e tributarie, fornite dalle amministrazioni territoriali.
f) la Conferenza si avvale della Commissione di cui all'articolo 4 quale segreteria tecnica per lo svolgimento delle attività istruttorie e di supporto necessarie; a tali fini, è istituita una banca dati comprendente indicatori di costo, di copertura e di qualità dei servizi, utilizzati per definire i costi e i fabbisogni standard e gli obiettivi di servizio nonché per valutare il grado di raggiungimento degli obiettivi di servizio;
g) la Conferenza verifica periodicamente la realizzazione del percorso di convergenza ai costi e ai fabbisogni standard e promuove la conciliazione degli interessi tra i diversi livelli di governo interessati all'attuazione delle norme sul federalismo fiscale, oggetto di confronto e di valutazione congiunta in sede di Conferenza unificata.
2. Le determinazioni della Conferenza sono trasmesse alle Camere.
Art. 6.
(Compiti della Commissione parlamentare di vigilanza sull'anagrafe tributaria)
1. All'articolo 2, primo comma, della legge 27 marzo 1976, n. 60, sono aggiunte, in fine, le seguenti parole: «, nonché il compito di effettuare indagini conoscitive e ricerche sulla gestione dei servizi di accertamento e riscossione dei tributi locali».
Capo II
RAPPORTI FINANZIARI STATO-REGIONI
Art. 7.
(Princìpi e criteri direttivi relativi ai tributi delle regioni e alle compartecipazioni al gettito dei tributi erariali)
1. I decreti legislativi di cui all'articolo 2 disciplinano i tributi delle regioni, in base ai seguenti princìpi e criteri direttivi:
a) le regioni dispongono di tributi e di compartecipazioni al gettito dei tributi erariali in grado di finanziare le spese derivanti dall'esercizio delle funzioni nelle materie che la Costituzione attribuisce alla loro competenza residuale e concorrente;
b) per tributi delle regioni si intendono:
1) i tributi propri derivati, istituiti e regolati da leggi statali, il cui gettito è attribuito alle regioni;
2) le aliquote riservate alle regioni a valere sulle basi imponibili dei tributi erariali;
3) i tributi propri istituiti dalle regioni con proprie leggi in relazione ai presupposti non già assoggettati ad imposizione erariale;
c) per una parte dei tributi di cui alla lettera b), numeri 1) e 2), le regioni, con propria legge, possono modificare le aliquote nei limiti massimi di incremento stabiliti dalla legislazione statale; possono altresì disporre esenzioni, detrazioni e deduzioni, nel rispetto della normativa comunitaria. Sono fatti salvi gli elementi strutturali dei tributi stessi, la coerenza con la struttura di progressività del singolo tributo erariale su cui insiste l'aliquota riservata e la coerenza con il principio di semplificazione e con l'esigenza di standardizzazione necessaria per il corretto funzionamento della perequazione;
d) le modalità di attribuzione alle regioni del gettito dei tributi regionali istituiti con legge dello Stato e delle compartecipazioni ai tributi erariali sono definite in conformità al principio di territorialità. A tal fine, le suddette modalità devono tenere conto:
1) del luogo di consumo, per i tributi aventi quale presupposto i consumi; per i servizi, il luogo di consumo può essere identificato nel domicilio del soggetto fruitore finale;
2) della localizzazione dei cespiti, per i tributi basati sul patrimonio;
3) del luogo di prestazione del lavoro, per i tributi basati sulla produzione;
4) della residenza del percettore, per i tributi riferiti ai redditi delle persone fisiche;
5) delle modalità di coinvolgimento dei diversi livelli istituzionali nell'attività di lotta all'evasione ed all'elusione fiscale;
e) il gettito dei tributi regionali derivati e le compartecipazioni al gettito dei tributi erariali sono senza vincolo di destinazione.
Art. 8.
(Princìpi e criteri direttivi sulle modalità di esercizio delle competenze legislative e sui mezzi di finanziamento)
1. Al fine di adeguare le regole di finanziamento alla diversa natura delle funzioni spettanti alle regioni, nonché al principio di autonomia di entrata e di spesa fissato dall'articolo 119 della Costituzione, i decreti legislativi di cui all'articolo 2 sono adottati secondo i seguenti princìpi e criteri direttivi:
a) classificazione delle spese connesse a materie di competenza legislativa di cui all'articolo 117, terzo e quarto comma, della Costituzione; tali spese sono:
1) spese riconducibili al vincolo dell'articolo 117, secondo comma, lettera m), della Costituzione;
2) spese non riconducibili al vincolo di cui al numero 1);
3) spese finanziate con i contributi speciali, con i finanziamenti dell'Unione europea e con i cofinanziamenti nazionali di cui all'articolo 15;
b) definizione delle modalità per cui le spese riconducibili alla lettera a), numero 1), sono determinate nel rispetto dei costi standard associati ai livelli essenziali delle prestazioni fissati dalla legge statale, da erogarsi in condizioni di efficienza e di appropriatezza su tutto il territorio nazionale;
c) definizione delle modalità per cui per la spesa per il trasporto pubblico locale, nella determinazione dell'ammontare del finanziamento, si tiene conto della fornitura di un livello adeguato del servizio su tutto il territorio nazionale nonché dei costi standard; per il trasporto pubblico locale l'attribuzione delle quote del fondo perequativo è subordinata al rispetto di un livello di servizio minimo, fissato a livello nazionale;
d) definizione delle modalità per cui le spese di cui alla lettera a), numero 1), sono finanziate con il gettito, valutato ad aliquota e base imponibile uniformi, di tributi regionali da individuare in base al principio di correlazione, della riserva di aliquota sull'imposta sui redditi delle persone fisiche o dell'addizionale regionale all'imposta sui redditi delle persone fisiche e della compartecipazione regionale all'IVA nonché con quote specifiche del fondo perequativo, in modo tale da garantire nelle predette condizioni il finanziamento integrale in ciascuna regione; in via transitoria, le spese di cui al primo periodo sono finanziate anche con il gettito dell'IRAP fino alla data della sua sostituzione con altri tributi;
e) definizione delle modalità per cui le spese di cui alla lettera a), numero 2), sono finanziate con il gettito dei tributi propri e con quote del fondo perequativo di cui all'articolo 9;
f) tendenziale limitazione dell'utilizzo delle compartecipazioni ai soli casi in cui occorre garantire il finanziamento integrale della spesa;
g) soppressione dei trasferimenti statali diretti al finanziamento delle spese di cui alla lettera a), numeri 1) e 2);
h) definizione delle modalità per cui le aliquote dei tributi e delle compartecipazioni destinati al finanziamento delle spese di cui alla lettera a), numero 1), sono determinate al livello minimo assoluto sufficiente ad assicurare il pieno finanziamento del fabbisogno corrispondente ai livelli essenziali delle prestazioni, valutati secondo quanto previsto dalla lettera b), in una sola regione; definizione, altresì, delle modalità per cui al finanziamento dei livelli essenziali delle prestazioni nelle regioni ove il gettito tributario è insufficiente concorrono le quote del fondo perequativo di cui all'articolo 9;
i) definizione delle modalità per cui l'importo complessivo dei trasferimenti statali diretti al finanziamento delle spese di cui alla lettera a), numero 2), è sostituito dal gettito derivante dall'aliquota media di equilibrio dell'addizionale regionale all'IRPEF. Il nuovo valore dell'aliquota deve essere stabilito sul livello sufficiente ad assicurare al complesso delle regioni un ammontare di risorse tale da pareggiare esattamente l'importo complessivo dei trasferimenti soppressi;
l) definizione delle modalità per cui agli oneri delle funzioni amministrative eventualmente trasferite dallo Stato alle regioni, in attuazione dell'articolo 118 della Costituzione, si provvede con adeguate forme di copertura finanziaria coerenti con i princìpi della presente legge e secondo le modalità di cui all'articolo 7 della legge 5 giugno 2003, n. 131, e successive modificazioni.
1-bis. Nelle forme in cui le singole Regioni daranno seguito all'Intesa Stato-Regioni sull'istruzione, al relativo finanziamento si provvede secondo quanto previsto dal presente articolo per le spese riconducibili alla lettera a), punto 1.
2. Nelle spese di cui al comma 1, lettera a), numero 1), sono comprese quelle per la sanità, l'assistenza e, per quanto riguarda l'istruzione, le spese per i servizi e le prestazioni inerenti all'esercizio del diritto allo studio, nonché per lo svolgimento delle altre funzioni amministrative attribuite alle regioni dalle norme vigenti alla data di entrata in vigore della presente legge.
Art. 9.
(Princìpi e criteri direttivi in ordine alla determinazione dell'entità e del riparto del fondo perequativo a favore delle regioni)
1. I decreti legislativi di cui all'articolo 2, in relazione alla determinazione dell'entità e del riparto del fondo perequativo statale di carattere verticale a favore delle regioni, in attuazione degli articoli 117, secondo comma, lettera e), e 119, terzo comma, della Costituzione, sono adottati secondo i seguenti princìpi e criteri direttivi:
a) istituzione del fondo perequativo a favore delle regioni con minore capacità fiscale per abitante, alimentato dal gettito prodotto da una compartecipazione al gettito IVA assegnata per le spese di cui all'articolo 8, comma 1, lettera a), numero 1), nonché da una quota del gettito del tributo regionale di cui all'articolo 8, comma 1, lettera i), per le spese di cui all'articolo 8, comma 1, lettera a), numero 2); le quote del fondo sono assegnate senza vincolo di destinazione;
b) applicazione del principio di perequazione delle differenze delle capacità fiscali in modo tale da ridurre adeguatamente le differenze tra i territori con diverse capacità fiscali per abitante senza alterarne l'ordine e senza impedirne la modifica nel tempo conseguente all'evoluzione del quadro economico-territoriale;
c) definizione delle modalità per cui le risorse del fondo devono finanziare:
1) la differenza tra il fabbisogno finanziario necessario alla copertura delle spese di cui all'articolo 8, comma 1, lettera a), numero 1), calcolate con le modalità di cui alla lettera b) del medesimo comma 1 dell'articolo 8 e il gettito regionale dei tributi ad esse dedicati, determinato con l'esclusione delle variazioni di gettito prodotte dall'esercizio dell'autonomia tributaria nonché dall'emersione della base imponibile riferibile al concorso regionale nell'attività di recupero fiscale, in modo da assicurare l'integrale copertura delle spese corrispondenti al fabbisogno standard per i livelli essenziali delle prestazioni;
2) le esigenze finanziarie derivanti dalla lettera e) del presente articolo;
d) definizione delle modalità per cui la determinazione delle spettanze di ciascuna regione sul fondo perequativo tiene conto delle capacità fiscali da perequare e dei vincoli risultanti dalla legislazione intervenuta in attuazione dell'articolo 117, secondo comma, lettera m), della Costituzione, in modo da assicurare l'integrale copertura delle spese al fabbisogno standard;
e) è garantita la copertura del differenziale certificato tra i dati previsionali e l'effettivo gettito dei tributi alla regione con riferimento alla quale è stato determinato il livello minimo sufficiente delle aliquote dei tributi ai sensi dell'articolo 8, comma 1, lettere d) e h), tali da assicurare l'integrale finanziamento delle spese per i livelli essenziali delle prestazioni;
f) definizione delle modalità per cui le quote del fondo perequativo per le spese di parte corrente per il trasporto pubblico locale sono assegnate in modo da ridurre adeguatamente le differenze tra i territori con diverse capacità fiscali per abitante e, per le spese in conto capitale, tenendo conto del fabbisogno standard di cui è assicurata l'integrale copertura;
g) definizione delle modalità in base alle quali per le spese di cui all'articolo 8, comma 1, lettera a), numero 2), le quote del fondo perequativo sono assegnate in base ai seguenti criteri:
1) le regioni con maggiore capacità fiscale, ossia quelle nelle quali il gettito per abitante del tributo regionale di cui all'articolo 8, comma 1, lettera i), supera il gettito medio nazionale per abitante, non ricevono risorse dal fondo;
2) le regioni con minore capacità fiscale, ossia quelle nelle quali il gettito per abitante del tributo regionale di cui all'articolo 8, comma 1, lettera i), è inferiore al gettito medio nazionale per abitante, partecipano alla ripartizione del fondo perequativo, alimentato da una quota del gettito prodotto nelle altre regioni, in relazione all'obiettivo di ridurre le differenze interregionali di gettito per abitante per il medesimo tributo rispetto al gettito medio nazionale per abitante;
3) la ripartizione del fondo perequativo tiene conto, per le regioni con popolazione al di sotto di una soglia da individuare con i decreti legislativi di cui all'articolo 2, del fattore della dimensione demografica in relazione inversa alla dimensione demografica stessa e delle isole minori;
h) definizione delle modalità per cui le quote del fondo perequativo risultanti dalla applicazione della lettera d) sono distintamente indicate nelle assegnazioni annuali. L'indicazione non comporta vincoli di destinazione.
Art. 10.
(Princìpi e criteri direttivi concernenti il finanziamento delle funzioni trasferite alle regioni)
1. I decreti legislativi di cui all'articolo 2, con riferimento al finanziamento delle funzioni trasferite alle regioni, nelle materie di loro competenza legislativa ai sensi dell'articolo 117, terzo e quarto comma, della Costituzione, sono adottati secondo i seguenti princìpi e criteri direttivi:
a) cancellazione dei relativi stanziamenti di spesa, comprensivi dei costi del personale e di funzionamento, nel bilancio dello Stato;
b) riduzione delle aliquote dei tributi erariali e corrispondente aumento:
1) per le spese di cui all'articolo 8, comma 1, lettera a), numero 1), dei tributi di cui all'articolo 7, comma 1, lettera b), numeri 1) e 2);
2) per le spese di cui all'articolo 8, comma 1, lettera a), numero 2), del tributo regionale di cui all'articolo 8, comma 1, lettera i), fatto salvo quanto previsto dall'articolo 24, comma 4;
c) aumento dell'aliquota della compartecipazione regionale al gettito dell'IVA destinata ad alimentare il fondo perequativo a favore delle regioni con minore capacità fiscale per abitante ovvero della compartecipazione all'IRPEF;
d) definizione delle modalità secondo le quali si effettua la verifica periodica della congruità dei tributi presi a riferimento per la copertura del fabbisogno standard di cui all'articolo 8, comma 1, lettera h), sia in termini di gettito sia in termini di correlazione con le funzioni svolte.
Capo III
FINANZA DEGLI ENTI LOCALI
Art. 11.
(Princìpi e criteri direttivi concernenti il finanziamento delle funzioni di comuni, province e Città metropolitane)
1. I decreti legislativi di cui all'articolo 2, con riguardo al finanziamento delle funzioni di comuni, province e Città metropolitane, sono adottati secondo i seguenti princìpi e criteri direttivi:
a) classificazione delle spese relative alle funzioni di comuni, province e Città metropolitane, in:
1) spese riconducibili alle funzioni fondamentali ai sensi dell'articolo 117, secondo comma, lettera p), della Costituzione, come individuate dalla legislazione statale;
2) spese relative alle altre funzioni;
3) spese finanziate con i contributi speciali, con i finanziamenti dell'Unione europea e con i cofinanziamenti nazionali di cui all'articolo 15;
b) definizione delle modalità per cui il finanziamento delle spese di cui alla lettera a), numero 1), e dei livelli essenziali delle prestazioni eventualmente da esse implicate avviene in modo da garantirne il finanziamento integrale in base al fabbisogno standard ed è assicurato dai tributi propri, da compartecipazioni al gettito di tributi erariali e regionali, da addizionali a tali tributi, la cui manovrabilità è stabilita tenendo conto della dimensione demografica dei comuni per fasce, e dal fondo perequativo;
c) definizione delle modalità per cui le spese di cui alla lettera a), numero 2), sono finanziate con il gettito dei tributi propri, con compartecipazioni al gettito di tributi e con il fondo perequativo basato sulla capacità fiscale per abitante;
d) definizione delle modalità per tenere conto del trasferimento di ulteriori funzioni ai comuni, alle province e alle Città metropolitane ai sensi dell'articolo 118 della Costituzione e secondo le modalità di cui all'articolo 7 della legge 5 giugno 2003, n. 131, al fine di assicurare, per il complesso degli enti, l'integrale finanziamento di tali funzioni, ove non si sia provveduto contestualmente al finanziamento ed al trasferimento;
e) soppressione dei trasferimenti statali e regionali diretti al finanziamento delle spese di cui alla lettera a), numeri 1) e 2), ad eccezione degli stanziamenti destinati ai fondi perequativi ai sensi dell'articolo 13;
f) il gettito delle compartecipazioni a tributi erariali e regionali è senza vincolo di destinazione;
g) valutazione dell'adeguatezza delle dimensioni demografiche e territoriali degli enti locali per l'ottimale svolgimento delle rispettive funzioni e salvaguardia delle peculiarità territoriali, con particolare riferimento alla specificità dei piccoli comuni, anche con riguardo alle loro forme associative, e dei territori montani.
Art. 12.
(Princìpi e criteri direttivi concernenti il coordinamento e l'autonomia di entrata e di spesa degli enti locali)
1. I decreti legislativi di cui all'articolo 2, con riferimento al coordinamento ed all'autonomia di entrata e di spesa degli enti locali, sono adottati secondo i seguenti princìpi e criteri direttivi:
a) la legge statale individua i tributi propri dei comuni e delle province, anche in sostituzione o trasformazione di tributi già esistenti e anche attraverso l'attribuzione agli stessi comuni e province di tributi o parti di tributi già erariali; ne definisce presupposti, soggetti passivi e basi imponibili; stabilisce, garantendo una adeguata flessibilità, le aliquote di riferimento valide per tutto il territorio nazionale;
b) definizione delle modalità secondo cui le spese dei comuni relative alle funzioni fondamentali di cui all'articolo 11, comma 1, lettera a), numero 1), sono prioritariamente finanziate da una o più delle seguenti fonti: dal gettito derivante da una compartecipazione all'IVA, dal gettito derivante da una compartecipazione all'imposta sul reddito delle persone fisiche, dalla imposizione immobiliare, con esclusione della tassazione patrimoniale sull'unità immobiliare adibita ad abitazione principale del soggetto passivo secondo quanto previsto dalla legislazione vigente alla data di entrata in vigore della presente legge in materia di imposta comunale sugli immobili, ai sensi dell'articolo 1 del decreto-legge 27 maggio 2008, n. 93, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 luglio 2008, n. 126;
c) definizione delle modalità secondo cui le spese delle province relative alle funzioni fondamentali di cui all'articolo 11, comma 1, lettera a), numero 1), sono prioritariamente finanziate dal gettito derivante da tributi il cui presupposto è connesso al trasporto su gomma e dalla compartecipazione ad un tributo erariale;
d) disciplina di uno o più tributi propri comunali che, valorizzando l'autonomia tributaria, attribuisca all'ente la facoltà di applicazione in riferimento a particolari scopi quali la realizzazione di opere pubbliche ovvero il finanziamento degli oneri derivanti da eventi particolari quali flussi turistici e mobilità urbana;
e) disciplina di uno o più tributi propri provinciali che, valorizzando l'autonomia tributaria, attribuisca all'ente la facoltà di applicazione in riferimento a particolari scopi istituzionali;
f) previsione di forme premiali per favorire unioni e fusioni tra comuni, anche attraverso l'incremento dell'autonomia impositiva o maggiori aliquote di compartecipazione ai tributi erariali;
g) previsione che le regioni, nell'ambito dei propri poteri legislativi in materia tributaria, possano istituire nuovi tributi dei comuni, delle province e delle Città metropolitane nel proprio territorio, specificando gli ambiti di autonomia riconosciuti agli enti locali;
h) previsione che gli enti locali, entro i limiti fissati dalle leggi, possano disporre del potere di modificare le aliquote dei tributi loro attribuiti da tali leggi e di introdurre agevolazioni;
i) previsione che gli enti locali, nel rispetto delle normative di settore e delle delibere delle autorità di vigilanza, dispongano di piena autonomia nella fissazione delle tariffe per prestazioni o servizi offerti anche su richiesta di singoli cittadini;
i-bis) previsione che la legge statale, nell'ambito della premialità ai comuni virtuosi, in sede di individuazione dei principi di coordinamento della finanza pubblica riconducibili al rispetto del patto di stabilità e crescita, non possa imporre vincoli alle politiche di bilancio degli enti locali per ciò che concerne la spesa in conto capitale.
Art. 13.
(Princìpi e criteri direttivi concernenti l'entità e il riparto dei fondi perequativi per gli enti locali)
1. I decreti legislativi di cui all'articolo 2, con riferimento all'entità e al riparto dei fondi perequativi per gli enti locali, sono adottati secondo i seguenti princìpi e criteri direttivi:
a) istituzione nel bilancio delle regioni di due fondi, uno a favore dei comuni, l'altro a favore delle province, alimentati da un fondo perequativo dello Stato con indicazione separata degli stanziamenti per le diverse tipologie di enti, a titolo di concorso per il finanziamento delle funzioni da loro svolte; la dimensione del fondo è determinata, per ciascun livello di governo, con riguardo all'esercizio delle funzioni fondamentali, in misura uguale alla differenza tra il totale dei fabbisogni standard per le medesime funzioni e il totale delle entrate standardizzate di applicazione generale spettanti ai comuni e alle province ai sensi dell'articolo 12, con esclusione dei tributi di cui al comma 1, lettere d) ed e) del medesimo articolo, e dei contributi di cui all'articolo 15, tenendo conto dei princìpi previsti dall'articolo 2, comma 2, lettera l), numeri 1) e 2), relativamente al superamento del criterio della spesa storica;
b) definizione delle modalità con cui viene periodicamente aggiornata l'entità dei fondi di cui alla lettera a) e sono ridefinite le relative fonti di finanziamento;
c) la ripartizione del fondo perequativo tra i singoli enti, per la parte afferente alle funzioni fondamentali di cui all'articolo 11, comma 1, lettera a), numero 1), avviene in base a:
1) un indicatore di fabbisogno finanziario calcolato come differenza tra il valore standardizzato della spesa corrente al netto degli interessi e il valore standardizzato del gettito dei tributi ed entrate proprie di applicazione generale;
2) indicatori di fabbisogno di infrastrutture, in coerenza con la programmazione regionale di settore, per il finanziamento della spesa in conto capitale; tali indicatori tengono conto dell'entità dei finanziamenti dell'Unione europea di carattere infrastrutturale ricevuti dagli enti locali e del vincolo di addizionalità cui questi sono soggetti;
d) definizione delle modalità per cui la spesa corrente standardizzata è computata ai fini di cui alla lettera c) sulla base di una quota uniforme per abitante, corretta per tenere conto della diversità della spesa in relazione all'ampiezza demografica, alle caratteristiche territoriali, con particolare riferimento alla presenza di zone montane, alle caratteristiche demografiche, sociali e produttive dei diversi enti. Il peso delle caratteristiche individuali dei singoli enti nella determinazione del fabbisogno è determinato con tecniche statistiche, utilizzando i dati di spesa storica dei singoli enti, tenendo conto anche della spesa relativa a servizi esternalizzati o svolti in forma associata;
e) definizione delle modalità per cui le entrate considerate ai fini della standardizzazione per la ripartizione del fondo perequativo tra i singoli enti sono rappresentate dai tributi propri valutati ad aliquota standard;
f) definizione delle modalità in base alle quali, per le spese relative all'esercizio delle funzioni diverse da quelle fondamentali, il fondo perequativo per i comuni e quello per le province sono diretti a ridurre le differenze tra le capacità fiscali, tenendo conto, per gli enti con popolazione al di sotto di una soglia da individuare con i decreti legislativi di cui all'articolo 2, del fattore della dimensione demografica in relazione inversa alla dimensione demografica stessa e della loro partecipazione a forme associative;
g) definizione delle modalità per cui le regioni, sulla base di criteri stabiliti con accordi sanciti in sede di Conferenza unificata, e previa intesa con gli enti locali, possono, avendo come riferimento il complesso delle risorse assegnate dallo Stato a titolo di fondo perequativo ai comuni e alle province inclusi nel territorio regionale, procedere a proprie valutazioni della spesa corrente standardizzata, sulla base dei criteri di cui alla lettera d), e delle entrate standardizzate, nonché a stime autonome dei fabbisogni di infrastrutture; in tal caso il riparto delle predette risorse è effettuato sulla base dei parametri definiti con le modalità di cui alla presente lettera;
h) i fondi ricevuti dalle regioni a titolo di fondo perequativo per i comuni e per le province del territorio sono trasferiti dalla regione agli enti di competenza entro venti giorni dal loro ricevimento. Le regioni, qualora non provvedano entro tale termine alla ridefinizione della spesa standardizzata e delle entrate standardizzate, e di conseguenza delle quote del fondo perequativo di competenza dei singoli enti locali secondo le modalità previste dalla lettera g), applicano comunque i criteri di riparto del fondo stabiliti dai decreti legislativi di cui all'articolo 2 della presente legge. La eventuale ridefinizione della spesa standardizzata e delle entrate standardizzate non può comportare ritardi nell'assegnazione delle risorse perequative agli enti locali. Nel caso in cui la regione non ottemperi alle disposizioni di cui alla presente lettera, lo Stato esercita il potere sostitutivo di cui all'articolo 120, secondo comma, della Costituzione, in base alle disposizioni di cui all'articolo 8 della legge 5 giugno 2003, n. 131.
Capo IV
FINANZIAMENTO DELLE CITTÀ METROPOLITANE
Art. 14.
(Finanziamento delle Città metropolitane)
1. Con specifico decreto legislativo, adottato in base all'articolo 2, è assicurato il finanziamento delle funzioni delle Città metropolitane, anche attraverso l'attribuzione di specifici tributi, in modo da garantire loro una più ampia autonomia di entrata e di spesa in misura corrispondente alla complessità delle medesime funzioni. Il medesimo decreto legislativo assegna alle Città metropolitane tributi ed entrate proprie, anche diverse da quelle assegnate ai comuni, nonché disciplina la facoltà delle Città metropolitane di applicare tributi in relazione al finanziamento delle spese riconducibili all'esercizio delle loro funzioni fondamentali, fermo restando quanto previsto dall'articolo 12, comma 1, lettera d).
Capo V
INTERVENTI SPECIALI
Art. 15.
(Interventi di cui al quinto comma dell'articolo 119 della Costituzione)
1. I decreti legislativi di cui all'articolo 2, con riferimento all'attuazione dell'articolo 119, quinto comma, della Costituzione, sono adottati secondo i seguenti princìpi e criteri direttivi:
a) definizione delle modalità in base alle quali gli interventi finalizzati agli obiettivi di cui al quinto comma dell'articolo 119 della Costituzione sono finanziati con contributi speciali dal bilancio dello Stato, con i finanziamenti dell'Unione europea e con i cofinanziamenti nazionali, secondo il metodo della programmazione pluriennale. I finanziamenti dell'Unione europea non possono essere sostitutivi dei contributi speciali dello Stato;
b) confluenza dei contributi speciali dal bilancio dello Stato, mantenendo le proprie finalizzazioni, in appositi fondi destinati ai comuni, alle province, alle Città metropolitane e alle regioni;
c) considerazione delle specifiche realtà territoriali, con particolare riguardo alla realtà socio-economica, al deficit infrastrutturale, ai diritti della persona, alla collocazione geografica degli enti, alla loro prossimità al confine con altri Stati o con regioni a statuto speciale, ai territori montani e alle isole minori;
d) individuazione di interventi diretti a promuovere lo sviluppo economico, la coesione delle aree sottoutilizzate del Paese e la solidarietà sociale, a rimuovere gli squilibri economici e sociali e a favorire l'effettivo esercizio dei diritti della persona;
e) definizione delle modalità per cui gli obiettivi e i criteri di utilizzazione delle risorse stanziate dallo Stato ai sensi del presente articolo sono oggetto di intesa in sede di Conferenza unificata e disciplinati con i provvedimenti annuali che determinano la manovra finanziaria. L'entità delle risorse è determinata dai medesimi provvedimenti.
Capo VI
COORDINAMENTO DEI DIVERSI LIVELLI DI GOVERNO
Art. 16.
(Coordinamento e disciplina fiscale dei diversi livelli di governo)
1. I decreti legislativi di cui all'articolo 2, con riguardo al coordinamento e alla disciplina fiscale dei diversi livelli di governo, sono adottati secondo i seguenti princìpi e criteri direttivi:
a) garanzia della trasparenza delle diverse capacità fiscali e delle risorse complessive per abitante prima e dopo la perequazione, in modo da salvaguardare il principio dell'ordine della graduatoria delle capacità fiscali e la sua eventuale modifica a seguito dell'evoluzione del quadro economico territoriale;
b) rispetto degli obiettivi del conto consuntivo, sia in termini di competenza sia di cassa, per il concorso all'osservanza del patto di stabilità per ciascuna regione e ciascun ente locale; determinazione dei parametri fondamentali sulla base dei quali è valutata la virtuosità dei comuni, delle province, delle Città metropolitane e delle regioni, anche in relazione ai meccanismi premiali o sanzionatori dell'autonomia finanziaria;
c) assicurazione degli obiettivi sui saldi di finanza pubblica da parte delle regioni che possono adattare, previa concertazione con gli enti locali ricadenti nel proprio territorio regionale, le regole e i vincoli posti dal legislatore nazionale, differenziando le regole di evoluzione dei flussi finanziari dei singoli enti in relazione alla diversità delle situazioni finanziarie esistenti nelle diverse regioni;
d) individuazione di indicatori di efficienza e di adeguatezza atti a garantire adeguati livelli qualitativi dei servizi resi da parte di regioni ed enti locali;
e) introduzione di un sistema premiante nei confronti degli enti che assicurano elevata qualità dei servizi e livello della pressione fiscale inferiore alla media degli altri enti del proprio livello di governo a parità di servizi offerti, ovvero degli enti che garantiscono il rispetto di quanto previsto dalla presente legge e partecipano a progetti strategici mediante l'assunzione di oneri e di impegni nell'interesse della collettività nazionale ivi compresi quelli di carattere ambientale ovvero degli enti che incentivano l'occupazione e l'imprenditorialità femminile; introduzione nei confronti degli enti meno virtuosi rispetto agli obiettivi di finanza pubblica di un sistema sanzionatorio che, fino alla dimostrazione della messa in atto di provvedimenti, fra i quali anche l'alienazione di beni mobiliari e immobiliari rientranti nel patrimonio disponibile dell'ente nonché l'attivazione nella misura massima dell'autonomia impositiva, atti a raggiungere gli obiettivi, determini il divieto di procedere alla copertura di posti di ruolo vacanti nelle piante organiche e di iscrivere in bilancio spese per attività discrezionali, fatte salve quelle afferenti al cofinanziamento regionale o dell'ente locale per l'attuazione delle politiche comunitarie; previsione di meccanismi automatici sanzionatori degli organi di governo e amministrativi nel caso di mancato rispetto degli equilibri e degli obiettivi economico-finanziari assegnati alla regione e agli enti locali, con individuazione dei casi di ineleggibilità nei confronti degli amministratori responsabili degli enti locali per i quali sia stato dichiarato lo stato di dissesto finanziario di cui all'articolo 244 del citato testo unico di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, oltre che dei casi di interdizione dalle cariche in enti vigilati o partecipati da enti pubblici. Tra i casi di grave violazione di legge di cui all'articolo 126, primo comma, della Costituzione, rientrano le attività che abbiano causato un grave dissesto nelle finanze regionali.
Art. 17.
(Patto di convergenza)
1. Nell'ambito del disegno di legge finanziaria, in coerenza con gli obiettivi e gli interventi appositamente individuati da parte del Documento di programmazione economico-finanziaria, il Governo, previo confronto e valutazione congiunta in sede di Conferenza unificata, propone norme di coordinamento dinamico della finanza pubblica volte a realizzare l'obiettivo della convergenza dei costi e dei fabbisogni standard dei vari livelli di governo e a stabilire, per ciascun livello di governo territoriale, il livello programmato dei saldi da rispettare, gli obiettivi di servizio, il livello di ricorso al debito nonché l'obiettivo programmato della pressione fiscale complessiva, nel rispetto dell'autonomia tributaria delle regioni e degli enti locali. Nel caso in cui il monitoraggio rilevi che uno o più enti non hanno raggiunto gli obiettivi loro assegnati, lo Stato attiva, previa intesa in sede di Conferenza unificata, e limitatamente agli enti che presentano i maggiori scostamenti nei costi per abitante, un procedimento, denominato «Piano per il conseguimento degli obiettivi di convergenza», volto ad accertare le cause degli scostamenti e a stabilire le azioni correttive da intraprendere, anche fornendo agli enti la necessaria assistenza tecnica e utilizzando, ove possibile, il metodo della diffusione delle migliori pratiche fra gli enti dello stesso livello.
Capo VII
PATRIMONIO DI REGIONI ED ENTI LOCALI
Art. 18.
(Patrimonio di comuni, province, Città metropolitane e regioni)
1. I decreti legislativi di cui all'articolo 2, con riguardo all'attuazione dell'articolo 119, sesto comma, della Costituzione, stabiliscono i princìpi generali per l'attribuzione a comuni, province, Città metropolitane e regioni di un proprio patrimonio, nel rispetto dei seguenti princìpi e criteri direttivi:
a) attribuzione a titolo non oneroso ad ogni livello di governo di distinte tipologie di beni, commisurate alle dimensioni territoriali, alle capacità finanziarie ed alle competenze e funzioni effettivamente svolte o esercitate dalle diverse regioni ed enti locali;
b) attribuzione dei beni immobili sulla base del criterio di territorialità;
c) ricorso alla concertazione in sede di Conferenza unificata, ai fini dell'attribuzione dei beni a comuni, province, Città metropolitane e regioni;
d) individuazione delle tipologie di beni di rilevanza nazionale che non possono essere trasferiti, ivi compresi i beni appartenenti al patrimonio culturale nazionale.
Capo VIII
NORME TRANSITORIE E FINALI
Art. 19.
(Princìpi e criteri direttivi concernenti norme transitorie per le regioni)
1. I decreti legislativi di cui all'articolo 2 recano una disciplina transitoria per le regioni, nel rispetto dei seguenti princìpi e criteri direttivi:
a) i criteri di computo delle quote del fondo perequativo di cui all'articolo 9 si applicano a regime dopo l'esaurimento di una fase di transizione diretta a garantire il passaggio graduale dai valori dei trasferimenti rilevati nelle singole regioni come media nel triennio 2006-2008, al netto delle risorse erogate in via straordinaria, ai valori determinati con i criteri dello stesso articolo 9;
b) l'utilizzo dei criteri definiti dall'articolo 9 avviene a partire dall'effettiva determinazione del contenuto finanziario dei livelli essenziali delle prestazioni, mediante un processo di convergenza dalla spesa storica al fabbisogno standard in un periodo di cinque anni;
c) per le materie diverse da quelle di cui all'articolo 117, secondo comma, lettera m), della Costituzione, il sistema di finanziamento deve divergere progressivamente dal criterio della spesa storica a favore delle capacità fiscali per abitante in cinque anni. Nel caso in cui, in sede di attuazione dei decreti legislativi, emergano situazioni oggettive di significativa e giustificata insostenibilità per alcune regioni, lo Stato può attivare a proprio carico meccanismi correttivi di natura compensativa di durata pari al periodo transitorio di cui alla presente lettera;
d) specificazione del termine da cui decorre il periodo di cinque anni di cui alle lettere b) e c);
e) garanzia per le regioni, in sede di prima applicazione, della copertura del differenziale certificato tra i dati previsionali e l'effettivo gettito dei tributi di cui all'articolo 8, comma 1, lettera h);
f) garanzia che la somma del gettito delle nuove entrate regionali di cui all'articolo 10, comma 1, lettere b) e c), sia, per il complesso delle regioni, non inferiore al valore degli stanziamenti di cui al comma 1, lettera a), del medesimo articolo 10 e che si effettui una verifica, concordata in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, dell'adeguatezza e della congruità delle risorse finanziarie delle funzioni già trasferite.
Art. 20.
(Norme transitorie per gli enti locali)
1. In sede di prima applicazione, i decreti legislativi di cui all'articolo 2 recano norme transitorie per gli enti locali, secondo i seguenti princìpi e criteri direttivi:
a) nel processo di attuazione dell'articolo 118 della Costituzione, al finanziamento delle ulteriori funzioni amministrative nelle materie di competenza legislativa dello Stato o delle regioni, nonché agli oneri derivanti dall'eventuale ridefinizione dei contenuti delle funzioni svolte dagli stessi alla data di entrata in vigore dei medesimi decreti legislativi, provvedono lo Stato o le regioni, determinando contestualmente adeguate forme di copertura finanziaria coerenti con i princìpi della presente legge;
b) garanzia che la somma del gettito delle nuove entrate di comuni e province in base alla presente legge sia, per il complesso dei comuni ed il complesso delle province, non inferiore al valore dei trasferimenti di cui all'articolo 11, comma 1, lettera e);
c) determinazione dei fondi perequativi di comuni e province in misura uguale, per ciascun livello di governo, alla differenza fra i trasferimenti statali soppressi ai sensi dell'articolo 11, comma 1, lettera e), destinati al finanziamento delle spese di comuni e province, esclusi i contributi di cui all'articolo 15, e le maggiori entrate spettanti in luogo di tali trasferimenti ai comuni ed alle province, ai sensi dell'articolo 12, tenendo conto dei princìpi previsti dall'articolo 2, comma 2, lettera l), numeri 1) e 2), relativamente al superamento del criterio della spesa storica;
d) sono definite regole, tempi e modalità della fase transitoria in modo da garantire il superamento del criterio della spesa storica in un periodo di cinque anni, per le spese riconducibili all'esercizio delle funzioni fondamentali e per le altre spese. Fino alla data di entrata in vigore delle disposizioni concernenti l'individuazione delle funzioni fondamentali degli enti locali:
1) il fabbisogno delle funzioni di comuni e province è finanziato considerando l'80 per cento delle spese come fondamentali ed il 20 per cento di esse come non fondamentali, ai sensi del comma 2;
2) per comuni e province l'80 per cento delle spese è finanziato dalle entrate derivanti dall'autonomia finanziaria, comprese le compartecipazioni a tributi erariali, e dal fondo perequativo; il 20 per cento delle spese è finanziato dalle entrate derivanti dall'autonomia finanziaria, ivi comprese le compartecipazioni a tributi regionali, e dal fondo perequativo;
3) ai fini del numero 2) si prendono a riferimento gli ultimi bilanci certificati a rendiconto, alla data di predisposizione degli schemi di decreto legislativo di cui all'articolo 2;
e) specificazione del termine da cui decorre il periodo di cinque anni di cui alla lettera d).
2. Ai soli fini dell'attuazione della presente legge, e in particolare della determinazione dell'entità e del riparto dei fondi perequativi degli enti locali in base al fabbisogno standard o alla capacità fiscale di cui agli articoli 11 e 13, in sede di prima applicazione, nei decreti legislativi di cui all'articolo 2 sono provvisoriamente considerate ai sensi del presente articolo, ai fini del finanziamento integrale sulla base del fabbisogno standard, le funzioni individuate e quantificate dalle corrispondenti voci di spesa, sulla base dell'articolazione in funzioni e relativi servizi prevista dal regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 31 gennaio 1996, n. 194.
3. Per i comuni, le funzioni e i relativi servizi da considerare ai fini del comma 2 sono provvisoriamente individuate nelle seguenti:
a) funzioni generali di amministrazione, di gestione e di controllo, nella misura complessiva del 70 per cento delle spese come certificate dall'ultimo conto del bilancio disponibile alla data di entrata in vigore della presente legge;
b) funzioni di polizia locale;
c) funzioni di istruzione pubblica, ivi compresi i servizi per gli asili nido e quelli di assistenza scolastica e refezione, nonché l'edilizia scolastica;
d) funzioni nel campo della viabilità e dei trasporti;
e) funzioni riguardanti la gestione del territorio e dell'ambiente, fatta eccezione per il servizio di edilizia residenziale pubblica e locale e piani di edilizia;
f) funzioni del settore sociale, fatta eccezione per i servizi per l'infanzia e per i minori.
4. Per le province, le funzioni da considerare ai fini del comma 2 sono provvisoriamente individuate nelle seguenti:
a) funzioni generali di amministrazione, di gestione e di controllo, nella misura complessiva del 70 per cento delle spese come certificate dall'ultimo conto del bilancio disponibile alla data di entrata in vigore della presente legge;
b) funzioni di istruzione pubblica, ivi compresa l'edilizia scolastica;
c) funzioni nel campo dei trasporti;
d) funzioni riguardanti la gestione del territorio;
e) funzioni nel campo della tutela ambientale;
f) funzioni nel campo dello sviluppo economico relative ai servizi del mercato del lavoro.
5. I decreti legislativi di cui all'articolo 2 disciplinano la possibilità che l'elenco delle funzioni di cui ai commi 3 e 4 sia adeguato attraverso accordi tra Stato, regioni, province e comuni, da concludere in sede di Conferenza unificata.
Art. 21.
(Perequazione infrastrutturale)
1. In sede di prima applicazione, il Ministro dell'economia e delle finanze, d'intesa con il Ministro per le riforme per il federalismo, il Ministro per la semplificazione normativa, il Ministro per i rapporti con le regioni e gli altri Ministri competenti per materia, predispone una ricognizione degli interventi infrastrutturali, sulla base delle norme vigenti, da ricondurre nell'ambito degli interventi di cui all'articolo 119, quinto comma, della Costituzione, riguardanti la rete stradale, autostradale e ferroviaria, la rete fognaria, la rete idrica, elettrica e di trasporto e distribuzione del gas, le strutture portuali ed aeroportuali. La ricognizione è effettuata secondo i seguenti princìpi e criteri direttivi:
a) valutazione dell'estensione delle superfici territoriali;
b) valutazione del parametro della densità della popolazione e della densità delle unità produttive;
c) considerazione dei particolari requisiti delle zone di montagna;
d) valutazione della dotazione infrastrutturale esistente in ciascun territorio;
e) valutazione della specificità insulare con definizione di parametri oggettivi relativi alla misurazione degli effetti conseguenti al divario di sviluppo economico derivante dall'insularità, anche con riguardo all'entità delle risorse per gli interventi speciali di cui all'articolo 119, quinto comma, della Costituzione.
2. Nella fase transitoria di cui agli articoli 19 e 20, al fine del recupero del deficit infrastrutturale, ivi compreso quello riguardante il trasporto pubblico locale e i collegamenti con le isole, sono individuati, sulla base della ricognizione di cui al comma 1 del presente articolo, interventi finalizzati agli obiettivi di cui all'articolo 119, quinto comma, della Costituzione, che tengano conto anche della virtuosità degli enti nell'adeguamento al processo di convergenza ai costi o al fabbisogno standard. Gli interventi di cui al presente comma sono individuati nel programma da inserire nel Documento di programmazione economico-finanziaria ai sensi dell'articolo 1, commi 1 e 1-bis, della legge 21 dicembre 2001, n. 443.
Art. 21-bis.
(Norme transitorie per le città metropolitane)
1. Il presente articolo reca in via transitoria, fino alla data di entrata in vigore della disciplina organica delle città metropolitane che sarà determinata con apposita legge, la disciplina per la prima istituzione delle stesse.
2. Le città metropolitane possono essere istituite, nell'ambito di una regione, nelle aree metropolitane in cui sono compresi i comuni di Torino, Milano, Venezia, Genova, Bologna, Firenze, Bari e Napoli. La proposta di istituzione spetta:
a) al comune capoluogo congiuntamente alla Provincia;
b) al comune capoluogo congiuntamente ad almeno il cinquanta per cento dei comuni della provincia interessata che rappresentino nel complesso almeno il cinquanta per cento della popolazione;
c) alla provincia, congiuntamente ad almeno il cinquanta per cento dei comuni della provincia medesima che rappresentino almeno il cinquanta per cento della popolazione.
2-bis. La proposta di istituzione di cui al comma 2 contiene la perimetrazione della città metropolitana, secondo il principio della continuità territoriale, comprende almeno tutti i comuni proponenti e reca una proposta di statuto provvisorio della città metropolitana. Sulla proposta è acquisito il parere della regione espresso entro novanta giorni. Si osservano le seguenti modalità:
a) Il territorio metropolitano coincide con il territorio di una provincia o di una sua parte e comprende il comune capoluogo;
b) la città metropolitana si articola al suo interno in comuni;
c) lo statuto provvisorio della città metropolitana definisce le forme dì coordinamento dell'azione complessiva di governo all'interno del territorio metropolitano; disciplina altresì le modalità per l'elezione o l'individuazione del presidente del consiglio provvisorio di cui al comma 5. Lo statuto definitivo della città metropolitana è adottato dai competenti organi entro sei mesi dalla data del loro insediamento in base alla legge di cui al comma 1;
d) sulla proposta di istituzione della città metropolitana è indetto un referendum tra tutti i cittadini dei comuni inclusi nella perimetrazione contenuta nella proposta di istituzione; il referendum è senza quorum di validità se il parere della Regione è favorevole o in mancanza di parere; in caso di parere regionale negativo, il quorum di validità è del trenta per cento.
3. Con regolamento da adottare entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, ai sensi dell'articolo 17, comma 1, della legge 23 agosto 1988, n. 400, su proposta del Ministro dell'interno, di concerto con i Ministri della giustizia, per le riforme per il federalismo, per la semplificazione normativa e per i rapporti con le regioni, è disciplinato il procedimento di indizione e di svolgimento del referendum di cui alla lettera d) del comma 2-bis, osservando le disposizioni della legge 25 giugno 1970, n. 352, in quanto compatibili.
4. Con le modalità stabilite dalla legge di cui al comma 1, successivamente al referendum di cui alla lettera d) del comma 2-bis, verranno definitivamente istituite le città metropolitane.
5. Con le città metropolitane istituite ai sensi del presente articolo è istituita una assemblea rappresentativa, denominata "consiglio provvisorio della città metropolitana", composta dai sindaci dei comuni che fanno parte della città metropolitana e dal presidente della provincia. Nessun emolumento, gettone di presenza o altra forma di retribuzione è attribuita ai componenti del consiglio provvisorio in ragione di tale incarico.
6. La provincia di riferimento cessa di esistere e sono soppressi tutti i relativi organi a decorrere dalla data di insediamento degli organi della città metropolitana, individuati dalla legge di cui al comma 1, che provvede altresì a disciplinare il trasferimento delle funzioni e delle risorse umane, strumentali e finanziarie inerenti alle funzioni trasferite e a dare attuazione alle nuove perimetrazioni stabilite ai sensi del presente articolo. La legge di cui al comma 1 stabilisce la disciplina per l'esercizio dell'iniziativa da parte dei comuni della provincia non inclusi nella perimetrazione dell'area metropolitana, in modo da assicurare la scelta da parte di ciascuno di tali comuni circa l'inclusione nell'area metropolitana ovvero in altra provincia.
7. Dalla data di proclamazione dell'esito positivo del referendum di cui al comma 2-bis, lettera d), e fino alla data di entrata in vigore della disciplina organica di cui al comma 1, il finanziamento degli enti che compongono la città metropolitana assicura loro una più ampia autonomia di entrata e di spesa in misura corrispondente alla complessità delle funzioni da esercitare in forma associata o congiunta, nel limite degli stanziamenti previsti a legislazione vigente.
8. Ai soli fini delle previsioni concernenti le spese e l'attribuzione delle risorse finanziarie alle città metropolitane, con riguardo alla popolazione e al territorio metropolitano, le funzioni fondamentali della provincia sono considerate, in via provvisoria, funzioni fondamentali della città metropolitana, con efficacia dalla data di insediamento dei suoi organi definitivi.
9. Ai medesimi fini di cui al comma 8 sono, altresì, considerate funzioni fondamentali della città metropolitana, con riguardo alla popolazione e al territorio metropolitano:
a) la pianificazione territoriale generale e delle reti infrastrutturali;
b) la strutturazione di sistemi coordinati di gestione dei servizi pubblici;
c) la promozione ed il coordinamento dello sviluppo economico e sociale.
Art. 22.
(Ordinamento transitorio di Roma capitale ai sensi dell'articolo 114, terzo comma, della Costituzione)
1. In sede di prima applicazione, fino all'attuazione della disciplina delle Città metropolitane, il presente articolo detta norme transitorie sull'ordinamento, anche finanziario, di Roma capitale.
2. Roma capitale è un ente territoriale, i cui attuali confini sono quelli del comune di Roma, e dispone di speciale autonomia, statutaria, amministrativa e finanziaria, nei limiti stabiliti dalla Costituzione. L'ordinamento di Roma capitale è diretto a garantire il miglior assetto delle funzioni che Roma è chiamata a svolgere quale sede degli organi costituzionali nonché delle rappresentanze diplomatiche degli Stati esteri, ivi presenti presso la Repubblica italiana, presso lo Stato della Città del Vaticano e presso le istituzioni internazionali.
3. Oltre a quelle attualmente spettanti al comune di Roma, sono attribuite a Roma capitale le seguenti funzioni amministrative:
a) concorso alla valorizzazione dei beni storici, artistici, ambientali e fluviali, previo accordo con il Ministero per i beni e le attività culturali;
b) soppressa;
c) sviluppo economico e sociale di Roma capitale con particolare riferimento al settore produttivo e turistico;
d) sviluppo urbano e pianificazione territoriale;
e) edilizia pubblica e privata;
f) organizzazione e funzionamento dei servizi urbani, con particolare riferimento al trasporto pubblico ed alla mobilità;
g) protezione civile, in collaborazione con la Presidenza del Consiglio dei ministri e la regione Lazio;
h) ulteriori funzioni conferite dallo Stato e dalla regione Lazio, ai sensi dell'articolo 118, secondo comma, della Costituzione.
4. L'esercizio delle funzioni di cui al comma 3 è disciplinato con regolamenti adottati dal Consiglio comunale, che assume la denominazione di Assemblea capitolina, nel rispetto della Costituzione, dei vincoli comunitari ed internazionali, della legislazione statale e di quella regionale nel rispetto dell'articolo 117, sesto comma, della Costituzione nonché in conformità al principio di funzionalità rispetto alle speciali attribuzioni di Roma capitale. L'Assemblea capitolina, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore del decreto legislativo di cui al comma 5, approva, ai sensi dell'articolo 6, commi 2, 3 e 4, del testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, con particolare riguardo al decentramento municipale, lo statuto di Roma capitale che entra in vigore alla data della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale.
5. Con specifico decreto legislativo, adottato ai sensi dell'articolo 2, sentiti la regione Lazio, la provincia di Roma e il comune di Roma, è disciplinato l'ordinamento transitorio, anche finanziario, di Roma capitale, secondo i seguenti princìpi e criteri direttivi:
a) specificazione delle funzioni di cui al comma 3 e definizione delle modalità per il trasferimento a Roma capitale delle relative risorse umane e dei mezzi;
b) fermo quanto stabilito dalle disposizioni di legge per il finanziamento dei comuni, assegnazione di ulteriori risorse a Roma capitale, tenendo conto delle specifiche esigenze di finanziamento derivanti dal ruolo di capitale della Repubblica, previa la loro determinazione specifica, e delle funzioni di cui al comma 3.
6. Il decreto legislativo di cui al comma 5 assicura i raccordi istituzionali, il coordinamento e la collaborazione di Roma capitale con lo Stato, la regione Lazio e la provincia di Roma, nell'esercizio delle funzioni di cui al comma 3. Lo status dei membri dell'Assemblea capitolina è disciplinato dalla legge dello Stato.
7. Il decreto legislativo di cui al comma 5, con riguardo all'attuazione dell'articolo 119, sesto comma, della Costituzione, stabilisce i princìpi generali per l'attribuzione alla città di Roma, capitale della Repubblica, di un proprio patrimonio, nel rispetto dei seguenti princìpi e criteri direttivi specifici:
a) attribuzione a Roma capitale di un patrimonio commisurato alle funzioni e competenze ad essa attribuite;
b) trasferimento, a titolo gratuito, a Roma capitale dei beni appartenenti al patrimonio dello Stato non più funzionali alle esigenze dell'Amministrazione centrale, in conformità a quanto previsto dall'articolo 18, comma 1, lettera d).
8. Le disposizioni di cui al presente articolo e quelle contenute nel decreto legislativo adottato ai sensi del comma 5 possono essere modificate, derogate o abrogate solo espressamente. Per quanto non disposto dal presente articolo, continua ad applicarsi a Roma capitale quanto previsto con riferimento ai comuni dal testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali, di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267.
9. A seguito dell'attuazione della disciplina delle Città metropolitane e a decorrere dall'istituzione della città metropolitana di Roma capitale, le disposizioni di cui al presente articolo si intendono riferite alla città metropolitana di Roma capitale.
Art. 23.
(Princìpi e criteri direttivi relativi alla gestione dei tributi e delle compartecipazioni)
1. I decreti legislativi di cui all'articolo 2, con riguardo al sistema gestionale dei tributi e delle compartecipazioni, nel rispetto della autonomia organizzativa di regioni ed enti locali nella scelta delle forme di organizzazione delle attività di gestione e di riscossione, sono adottati secondo i seguenti princìpi e criteri direttivi:
a) previsione di adeguate forme di collaborazione delle regioni e degli enti locali con il Ministero dell'economia e delle finanze e con le Agenzie regionali delle entrate in modo da configurare dei centri di servizio regionali per la gestione organica dei tributi erariali, regionali e degli enti locali;
b) definizione con apposita e specifica convenzione fra il Ministero dell'economia e delle finanze, le singole regioni e gli enti locali, delle modalità gestionali, operative, di ripartizione degli oneri, degli introiti di attività di recupero dell'evasione.
Capo IX
OBIETTIVI DI PEREQUAZIONE E DI SOLIDARIETÀ PER LE REGIONI A STATUTO SPECIALE E PER LE PROVINCE AUTONOME DI TRENTO E DI BOLZANO
Art. 24.
(Coordinamento della finanza delle regioni a statuto speciale e delle province autonome)
1. Le regioni a statuto speciale e le province autonome di Trento e di Bolzano, nel rispetto degli statuti speciali, concorrono al conseguimento degli obiettivi di perequazione e di solidarietà ed all'esercizio dei diritti e doveri da essi derivanti, nonché al patto di convergenza di cui all'articolo 17 e all'assolvimento degli obblighi posti dall'ordinamento comunitario, secondo criteri e modalità stabiliti da norme di attuazione dei rispettivi statuti, da definire, con le procedure previste dagli statuti medesimi, entro il termine stabilito per l'emanazione dei decreti legislativi di cui all'articolo 2 e secondo il principio del superamento del criterio della spesa storica di cui all'articolo 2, comma 2, lettera l).
2. Le norme di attuazione di cui al comma 1 tengono conto della dimensione della finanza delle predette regioni e province autonome rispetto alla finanza pubblica complessiva, delle funzioni da esse effettivamente esercitate e dei relativi oneri, anche in considerazione degli svantaggi strutturali permanenti, ove ricorrano, e dei livelli di reddito pro capite che caratterizzano i rispettivi territori o parte di essi, rispetto a quelli corrispondentemente sostenuti per le medesime funzioni dallo Stato, dal complesso delle regioni e, per le regioni e province autonome che esercitano le funzioni in materia di finanza locale, dagli enti locali. Le medesime norme di attuazione disciplinano altresì le specifiche modalità attraverso le quali lo Stato assicura il conseguimento degli obiettivi costituzionali di perequazione e di solidarietà per le regioni a statuto speciale i cui livelli di reddito pro capite siano inferiori alla media nazionale, ferma restando la copertura del fabbisogno standard per il finanziamento dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali di cui all'articolo 117, secondo comma, lettera m), della Costituzione, conformemente a quanto previsto dall'articolo 8, comma 1, lettera b), della presente legge.
3. Le disposizioni di cui al comma 1 sono attuate, nella misura stabilita dalle norme di attuazione degli statuti speciali e alle condizioni stabilite dalle stesse norme in applicazione dei criteri di cui al comma 2, anche mediante l'assunzione di oneri derivanti dal trasferimento o dalla delega di funzioni statali alle medesime regioni a statuto speciale e province autonome ovvero da altre misure finalizzate al conseguimento di risparmi per il bilancio dello Stato, nonché con altre modalità stabilite dalle norme di attuazione degli statuti speciali. Inoltre, le predette norme, per la parte di propria competenza:
a) disciplinano il coordinamento tra le leggi statali in materia di finanza pubblica e le corrispondenti leggi regionali e provinciali in materia, rispettivamente, di finanza regionale e provinciale, nonché di finanza locale nei casi in cui questa rientri nella competenza della regione a statuto speciale o provincia autonoma;
b) definiscono i princìpi fondamentali di coordinamento del sistema tributario con riferimento alla potestà legislativa attribuita dai rispettivi statuti alle regioni a statuto speciale e alle province autonome in materia di tributi regionali, provinciali e locali.
c) individuano forme di fiscalità di sviluppo, ai sensi dell'articolo 2, comma 2, lettera hh), e alle condizioni di cui all'articolo 15, comma 1, lettera d).
4. A fronte dell'assegnazione di ulteriori nuove funzioni alle regioni a statuto speciale ed alle province autonome di Trento e di Bolzano, così come alle regioni a statuto ordinario, nei casi diversi dal concorso al conseguimento degli obiettivi di perequazione e di solidarietà ai sensi del comma 2, rispettivamente le norme di attuazione e i decreti legislativi di cui all'articolo 2 definiranno le corrispondenti modalità di finanziamento aggiuntivo attraverso forme di compartecipazione a tributi erariali e alle accise.
5. Alle riunioni del Consiglio dei ministri per l'esame degli schemi concernenti le norme di attuazione di cui al presente articolo sono invitati a partecipare, in conformità ai rispettivi statuti, i Presidenti delle regioni e delle province autonome interessate.
6. La Commissione di cui all'articolo 4 svolge anche attività meramente ricognitiva delle disposizioni vigenti concernenti l'ordinamento finanziario delle regioni a statuto speciale e delle province autonome di Trento e di Bolzano e della relativa applicazione. Nell'esercizio di tale funzione la Commissione è integrata da un rappresentante tecnico della singola regione o provincia interessata.
Capo X
SALVAGUARDIA FINANZIARIA ED ABROGAZIONI
Art. 25.
(Salvaguardia finanziaria)
1. L'attuazione della presente legge deve essere compatibile con gli impegni finanziari assunti con il patto europeo di stabilità e crescita.
2. I decreti legislativi di cui all'articolo 2 individuano meccanismi idonei ad assicurare che:
a) vi sia la coerenza tra il riordino e la riallocazione delle funzioni e la dotazione delle risorse umane e finanziarie, con il vincolo che al trasferimento delle funzioni corrisponda un trasferimento del personale tale da evitare ogni duplicazione di funzioni;
b) sia garantita la determinazione periodica del limite massimo della pressione fiscale nonché del suo riparto tra i diversi livelli di governo e sia salvaguardato l'obiettivo di non produrre aumenti della pressione fiscale complessiva anche nel corso della fase transitoria;
c) siano previsti adeguati meccanismi diretti a coinvolgere e cointeressare Regioni ed Enti locali nell'attività di recupero dell'evasione fiscale e nel contrasto all'elusione fiscale.
3. Per le spese derivanti dall'attuazione degli articoli 4 e 5, si provvede con gli ordinari stanziamenti di bilancio.
Art. 26.
(Abrogazioni)
1. I decreti legislativi di cui all'articolo 2 individuano le disposizioni incompatibili con la presente legge, prevedendone l'abrogazione.

Decreto flussi: le istruzioni per le domande di nulla osta per il lavoro in somministrazione

Le agenzie per il lavoro possono fare domanda di nulla osta per l’ingresso di lavoratori non comunitari per motivi di lavoro in somministraz...