venerdì 16 gennaio 2009

Ritenuta di Acconto sulle spese legali

22.09.06 - Agenzia delle Entrate: ritenuta d'acconto spese legali della parte che si è difesa personalmente

L'Agenzia delle Entrate ha chiarito il regime di applicabilità della ritenuta d'acconto con riferimento al risarcimento delle spese legali.Secondo l'Agenzia, "Le spese rimborsate alla parte vittoriosa che ha agito come privato cittadino (ai sensi dell'art. 82, comma 1 del c.p.c.) non rivestono alcuna rilevanza reddituale data la loro natura risarcitoria; invece, le somme liquidate a titolo di rifusione delle spese di giudizio (comprensive degli onorari professionali) all'avvocato che ha agito in base all'art. 86 del c.p.c., mantengono la stessa qualificazione e lo stesso trattamento fiscale propri delle somme corrisposte normalmente dalla parte soccombente direttamente all'avvocato della parte vittoriosa che ha ottenuto dal giudice la distrazione delle spese processuali a suo diretto favore. La parte soccombente che paga i suddetti compensi professionali, nella sua qualità di sostituto d'imposta, deve applicare la ritenuta a titolo d'acconto del 20%, ai sensi dell'art. 25 del D.P.R. 600 del 1973. Infine si precisa che, nel caso in cui l'avvocato esercita la professione come membro di uno studio professionale, le somme liquidate in sentenza per l'attività professionale resa e le relative ritenute, dovranno essere imputate all'associazione professionale".

(Agenzia delle Entrate, Risoluzione 19 settembre 2006, n.106/E: Istanza di Interpello – Società Alfa. - Articolo 25 del D.P.R. n.600 del 1975, somme corrisposte alla parte vittoriosa di un giudizio che avendo la qualità di avvocato si è difesa personalmente).

Ritenuta di Acconto sulle spese legali

22.09.06 - Agenzia delle Entrate: ritenuta d'acconto spese legali della parte che si è difesa personalmente

L'Agenzia delle Entrate ha chiarito il regime di applicabilità della ritenuta d'acconto con riferimento al risarcimento delle spese legali.Secondo l'Agenzia, "Le spese rimborsate alla parte vittoriosa che ha agito come privato cittadino (ai sensi dell'art. 82, comma 1 del c.p.c.) non rivestono alcuna rilevanza reddituale data la loro natura risarcitoria; invece, le somme liquidate a titolo di rifusione delle spese di giudizio (comprensive degli onorari professionali) all'avvocato che ha agito in base all'art. 86 del c.p.c., mantengono la stessa qualificazione e lo stesso trattamento fiscale propri delle somme corrisposte normalmente dalla parte soccombente direttamente all'avvocato della parte vittoriosa che ha ottenuto dal giudice la distrazione delle spese processuali a suo diretto favore. La parte soccombente che paga i suddetti compensi professionali, nella sua qualità di sostituto d'imposta, deve applicare la ritenuta a titolo d'acconto del 20%, ai sensi dell'art. 25 del D.P.R. 600 del 1973. Infine si precisa che, nel caso in cui l'avvocato esercita la professione come membro di uno studio professionale, le somme liquidate in sentenza per l'attività professionale resa e le relative ritenute, dovranno essere imputate all'associazione professionale".

(Agenzia delle Entrate, Risoluzione 19 settembre 2006, n.106/E: Istanza di Interpello – Società Alfa. - Articolo 25 del D.P.R. n.600 del 1975, somme corrisposte alla parte vittoriosa di un giudizio che avendo la qualità di avvocato si è difesa personalmente).

giovedì 15 gennaio 2009

I delitti preveduti dal Codice Privacy

08.01.2009
Lettura di e-mail altrui e diffusione di dati telefonici via web: il reato c’è
In casi del genere si configura il delitto contemplato dal Testo Unico Privacy, di cui la sentenza ha riconosciuto anche la continuità normativa con la precedente fattispecie, solo formalmente abrogata.
Sentenza Cassazione penale 16/12/2008, n. 46203

lA MASSIMA
La Sezione terza della S.C., nel confermare la sentenza di merito, ha compiuto due importanti affermazioni.
La prima, del tutto nuova: la condotta di chi apre un indirizzo di posta elettronica all’insaputa di una donna di cui diffonda il numero telefonico su internet, accompagnandolo con l’invito al contatto con finalità sessuali, configura sia l’illecito di cui all’art. 35 della legge n. 675 del 1996 (vigente all’epoca della condotta, anteriore alla modifica legislativa del 2003, abrogatrice della legge in questione), sia l’istigazione alla molestia (artt. 48 e 660 c.p.).
La seconda: conformemente all’indirizzo consolidatosi attraverso soli due precedenti (v. sez. 3, sentenza n. 16145 del 5 marzo 2008, in C.E.D. Cass., n. 239898 e Sez. III, 26 marzo 2004, ivi, n. 229465) il trattamento dei dati personali sensibili senza il consenso dell'interessato, dal quale derivi nocumento per la persona offesa, già punito ai sensi dell'art. 35, comma terzo della legge 31 dicembre 1996, n. 675, è tutt'ora punibile con la stessa pena ai sensi dell'art. 167, comma secondo del D.Lgs. 30 giugno 2003 n. 196, in quanto tra le due fattispecie sussiste un rapporto di continuità normativa, essendo identici sia l'elemento soggettivo caratterizzato dal dolo specifico, sia gli elementi oggettivi, in quanto le condotte di "comunicazione" e "diffusione" dei dati sensibili sono ora ricomprese nella più ampia dizione di "trattamento" dei dati sensibili, ed il nocumento per la persona offesa, che si configurava nella previgente fattispecie come circostanza aggravante, rappresenta nella disposizione in vigore una condizione obiettiva di punibilità.
Va, precisato che la nuova norma, comunque, se meno favorevole delle precedente sotto l’aspetto delle condotte oggettive in essa sussumibili, sembra più favorevole sotto il profilo della sua maggiore aderenza al principio di offensività, veicolato attraverso la previsione di una condizione obiettiva di punibilità.

Fulvio Baldi. Magistrato del Massimario della Suprema Corte di CassazioneTratto da Quotidiano Ipsoa 2008


I delitti preveduti dal Codice Privacy

08.01.2009
Lettura di e-mail altrui e diffusione di dati telefonici via web: il reato c’è
In casi del genere si configura il delitto contemplato dal Testo Unico Privacy, di cui la sentenza ha riconosciuto anche la continuità normativa con la precedente fattispecie, solo formalmente abrogata.
Sentenza Cassazione penale 16/12/2008, n. 46203

lA MASSIMA
La Sezione terza della S.C., nel confermare la sentenza di merito, ha compiuto due importanti affermazioni.
La prima, del tutto nuova: la condotta di chi apre un indirizzo di posta elettronica all’insaputa di una donna di cui diffonda il numero telefonico su internet, accompagnandolo con l’invito al contatto con finalità sessuali, configura sia l’illecito di cui all’art. 35 della legge n. 675 del 1996 (vigente all’epoca della condotta, anteriore alla modifica legislativa del 2003, abrogatrice della legge in questione), sia l’istigazione alla molestia (artt. 48 e 660 c.p.).
La seconda: conformemente all’indirizzo consolidatosi attraverso soli due precedenti (v. sez. 3, sentenza n. 16145 del 5 marzo 2008, in C.E.D. Cass., n. 239898 e Sez. III, 26 marzo 2004, ivi, n. 229465) il trattamento dei dati personali sensibili senza il consenso dell'interessato, dal quale derivi nocumento per la persona offesa, già punito ai sensi dell'art. 35, comma terzo della legge 31 dicembre 1996, n. 675, è tutt'ora punibile con la stessa pena ai sensi dell'art. 167, comma secondo del D.Lgs. 30 giugno 2003 n. 196, in quanto tra le due fattispecie sussiste un rapporto di continuità normativa, essendo identici sia l'elemento soggettivo caratterizzato dal dolo specifico, sia gli elementi oggettivi, in quanto le condotte di "comunicazione" e "diffusione" dei dati sensibili sono ora ricomprese nella più ampia dizione di "trattamento" dei dati sensibili, ed il nocumento per la persona offesa, che si configurava nella previgente fattispecie come circostanza aggravante, rappresenta nella disposizione in vigore una condizione obiettiva di punibilità.
Va, precisato che la nuova norma, comunque, se meno favorevole delle precedente sotto l’aspetto delle condotte oggettive in essa sussumibili, sembra più favorevole sotto il profilo della sua maggiore aderenza al principio di offensività, veicolato attraverso la previsione di una condizione obiettiva di punibilità.

Fulvio Baldi. Magistrato del Massimario della Suprema Corte di CassazioneTratto da Quotidiano Ipsoa 2008


mercoledì 14 gennaio 2009

Telelaser: Avvistabilità degli operatori

Eccesso di velocità, multa, Telelaser, avvistabilità degli operatori, necessità
Tribunale Modena, sentenza 25.11.2008

Eccesso di velocità – multa – Telelaser – avvistabilità degli operatori - necessità - conseguenze [D.P.R. 16/12/1992, n. 495]
Nel caso di accertamento dell’eccesso di velocità tramite apparecchiatura Telelaser (LTI 20.20), gli agenti devono essere visibili dall’autista, soprattutto se l’infrazione avviene di notte; diversamente la multa così irrogata va annullata. (1) (2)
(1) In materia di multe e decurtazione di punti, si veda Cassazione civile, SS.UU.,
sentenza 29.07.2008, n. 20544.(2) Si veda anche il focus PLENTEDA, Multe: omessa contestazione immediata e annullamento del verbale.
(Fonte:
Altalex Massimario 2/2009)

Tribunale di Modena
Sentenza 25 novembre 2008
(Giudice Pagliani)
Svolgimento del processo
Come da atti di causa e sopraesteso verbale d'udienza.
Motivi della decisione
A M. A. è stata contestata dalla Polizia Municipale di Cavezzano (MO) la violazione dell'art. 142, 9° c., Codice della strada, per eccesso di velocità rilevato con apparecchio elettronico.A. M. con il ricorso in opposizione ha sollevato diversi motivi di censura avverso il verbale contestatogli il 14 marzo 2007:
1) l'inaffidabilità dello strumento rilevatore utilizzato (Telelaser LTI 20.20);
2) l'errata compilazione del verbale opposto (in quanto non veniva indicato il risultato della riduzione del 5% della velocità rilevata pur essendo indicata tale tolleranza);
3) la violazione dell'art. 183 DPR 14/12/1992 n. 495 (in base al quale gli agenti operanti sulle strade devono essere visibili);
4) la mancanza di valore probatorio del verbale impugnato. L'opposizione è stata decisa, con contestuale pubblica lettura del dispositivo, in base alla seguente motivazione: "ritenuto fondato ed assorbente il motivo del ricorso attinente il posizionamento disposto non in forma visibile del nucleo di rilevamento, accoglie il ricorso stesso e per l'effetto annulla il verbale di contestazione...".L'amministrazione comunale appellante svolge diversi motivi di appello:
con il primo motivo censura deduce violazione delle regole sull'onere della prova da parte del giudice di prime cure, in relazione alla circostanza della visibilità degli agenti operanti, ai sensi dell'art. 183 DPR 14/12/1992 n. 495;
con gli altri motivi esamina gli altri punti dell'impugnazione del verbale di contestazione svolgendo le medesime obiezioni già proposte nella comparsa di risposta del giudizio di primo grado.Quanto, dunque, al primo motivo di opposizione, esso riguarda la motivazione del primo giudicante sulla prova della non visibilità degli agenti, indefettibile presupposto della legittimità dell'ordinanza. Sul punto la motivazione della sentenza impugnata, benché necessariamente sintetica in quanto resa con pronuncia contestuale in udienza, è corretta. Dalle risultanze istruttorie acquisite emerge con certezza che la pattuglia non era visibile. L'orario dell'accertamento è indicato 20,58 del 14 Marzo 2007. Dunque, era buio. Nel verbale non vi è alcun riferimento alla presenza di illuminazione pubblica. Dalla deposizione resa in primo grado dall'agente Caleffi risulta che la pattuglia era posizionata a circa cento metri dal punto del rilevamento della velocità, e sul lato opposto della carreggiata rispetto alla direzione di marcia di M.; tanto che per intimargli l'alt l'agente si è portato al centro della strada, per poi attraversarla e contestare la violazione.
In tale condizione, né gli agenti di polizia municipale, né la vettura potevano essere avvistabili e riconoscibili da un conducente nelle condizioni di M.. Infatti, in zona con limite di velocità urbano, si presume che M. procedesse con le luci anabbaglianti, e non certo con i proiettori abbaglianti azionati, circostanza quest'ultima che, in ogni caso, non è mai stata riferita né verbalizzata. Nelle descritte condizioni di marcia, non è possibile avvistare chi si trova a cento metri di distanza dall'altra parte della strada; sia per la distanza che per il fatto che i fari anabbaglianti sono orientati verso destra, e non verso il lato sinistro della direzione di marcia. In ragione delle esposte considerazioni, il ricorrente in primo grado aveva fornito la prova del fatto fondante l'illegittimità dell'accertamento, e spettava all'amministrazione fornire la contraria prova positiva dell'avvistabilità concreta degli operanti; prova che, tuttavia, non solo non è stata fornita, ma che non poteva essere fornita perché non contenuta nel verbale di accertamento, nel quale infatti non erano state indicate: le condizioni di illuminazione della strada; la posizione della pattuglia e degli operanti; la distanza tra il punto di accertamento e la posizione della pattuglia; la concreta avvistabilità, in definitiva, degli operanti e della vettura di servizio; elementi tutti che devono essere indicati nel verbale per esplicare in concreto le condizioni di fatto dell'accertamento, e dare conto dell'elemento specifico dell'avvistabilità degli agenti, presupposto di legittimità dell'accertamento; specie in caso di verbale relativo ad un accertamento in orario notturno.Sulla base delle soprastanti considerazioni, quindi, deve riscontrarsi la corretta applicazione dei principi dell'onere probatorio e la correttezza e sufficienza della motivazione da parte del primo giudicante e, viceversa, l'infondatezza dell'appello.Ogni altro motivo di appello è, infatti, superato ed assorbito dall'accoglimento del motivo di ricorso che, per le ragioni sopra esposte, conduce all'annullamento dell'accertamento.Ne consegue il rigetto dell'appello e la condanna alle spese processuali, che si liquidano come in dispositivo.

P.Q.M.

Il Tribunale, definitivamente pronunciando, respinge l'appello proposto dal Comune di Cavezzo verso la sentenza n. 21/08 del giudice di pace di Mirandola;dichiara tenuto e condanna il Comune di Cavezzo a rifondere a M. A. le spese processuali che liquida nella misura di complessivi euro 1.721,90, di cui euro 15,48 per spese, euro 515,00 per competenze, euro 720,00 per onorari, euro 156,31 per rimborso spese generali.

Telelaser: Avvistabilità degli operatori

Eccesso di velocità, multa, Telelaser, avvistabilità degli operatori, necessità
Tribunale Modena, sentenza 25.11.2008

Eccesso di velocità – multa – Telelaser – avvistabilità degli operatori - necessità - conseguenze [D.P.R. 16/12/1992, n. 495]
Nel caso di accertamento dell’eccesso di velocità tramite apparecchiatura Telelaser (LTI 20.20), gli agenti devono essere visibili dall’autista, soprattutto se l’infrazione avviene di notte; diversamente la multa così irrogata va annullata. (1) (2)
(1) In materia di multe e decurtazione di punti, si veda Cassazione civile, SS.UU.,
sentenza 29.07.2008, n. 20544.(2) Si veda anche il focus PLENTEDA, Multe: omessa contestazione immediata e annullamento del verbale.
(Fonte:
Altalex Massimario 2/2009)

Tribunale di Modena
Sentenza 25 novembre 2008
(Giudice Pagliani)
Svolgimento del processo
Come da atti di causa e sopraesteso verbale d'udienza.
Motivi della decisione
A M. A. è stata contestata dalla Polizia Municipale di Cavezzano (MO) la violazione dell'art. 142, 9° c., Codice della strada, per eccesso di velocità rilevato con apparecchio elettronico.A. M. con il ricorso in opposizione ha sollevato diversi motivi di censura avverso il verbale contestatogli il 14 marzo 2007:
1) l'inaffidabilità dello strumento rilevatore utilizzato (Telelaser LTI 20.20);
2) l'errata compilazione del verbale opposto (in quanto non veniva indicato il risultato della riduzione del 5% della velocità rilevata pur essendo indicata tale tolleranza);
3) la violazione dell'art. 183 DPR 14/12/1992 n. 495 (in base al quale gli agenti operanti sulle strade devono essere visibili);
4) la mancanza di valore probatorio del verbale impugnato. L'opposizione è stata decisa, con contestuale pubblica lettura del dispositivo, in base alla seguente motivazione: "ritenuto fondato ed assorbente il motivo del ricorso attinente il posizionamento disposto non in forma visibile del nucleo di rilevamento, accoglie il ricorso stesso e per l'effetto annulla il verbale di contestazione...".L'amministrazione comunale appellante svolge diversi motivi di appello:
con il primo motivo censura deduce violazione delle regole sull'onere della prova da parte del giudice di prime cure, in relazione alla circostanza della visibilità degli agenti operanti, ai sensi dell'art. 183 DPR 14/12/1992 n. 495;
con gli altri motivi esamina gli altri punti dell'impugnazione del verbale di contestazione svolgendo le medesime obiezioni già proposte nella comparsa di risposta del giudizio di primo grado.Quanto, dunque, al primo motivo di opposizione, esso riguarda la motivazione del primo giudicante sulla prova della non visibilità degli agenti, indefettibile presupposto della legittimità dell'ordinanza. Sul punto la motivazione della sentenza impugnata, benché necessariamente sintetica in quanto resa con pronuncia contestuale in udienza, è corretta. Dalle risultanze istruttorie acquisite emerge con certezza che la pattuglia non era visibile. L'orario dell'accertamento è indicato 20,58 del 14 Marzo 2007. Dunque, era buio. Nel verbale non vi è alcun riferimento alla presenza di illuminazione pubblica. Dalla deposizione resa in primo grado dall'agente Caleffi risulta che la pattuglia era posizionata a circa cento metri dal punto del rilevamento della velocità, e sul lato opposto della carreggiata rispetto alla direzione di marcia di M.; tanto che per intimargli l'alt l'agente si è portato al centro della strada, per poi attraversarla e contestare la violazione.
In tale condizione, né gli agenti di polizia municipale, né la vettura potevano essere avvistabili e riconoscibili da un conducente nelle condizioni di M.. Infatti, in zona con limite di velocità urbano, si presume che M. procedesse con le luci anabbaglianti, e non certo con i proiettori abbaglianti azionati, circostanza quest'ultima che, in ogni caso, non è mai stata riferita né verbalizzata. Nelle descritte condizioni di marcia, non è possibile avvistare chi si trova a cento metri di distanza dall'altra parte della strada; sia per la distanza che per il fatto che i fari anabbaglianti sono orientati verso destra, e non verso il lato sinistro della direzione di marcia. In ragione delle esposte considerazioni, il ricorrente in primo grado aveva fornito la prova del fatto fondante l'illegittimità dell'accertamento, e spettava all'amministrazione fornire la contraria prova positiva dell'avvistabilità concreta degli operanti; prova che, tuttavia, non solo non è stata fornita, ma che non poteva essere fornita perché non contenuta nel verbale di accertamento, nel quale infatti non erano state indicate: le condizioni di illuminazione della strada; la posizione della pattuglia e degli operanti; la distanza tra il punto di accertamento e la posizione della pattuglia; la concreta avvistabilità, in definitiva, degli operanti e della vettura di servizio; elementi tutti che devono essere indicati nel verbale per esplicare in concreto le condizioni di fatto dell'accertamento, e dare conto dell'elemento specifico dell'avvistabilità degli agenti, presupposto di legittimità dell'accertamento; specie in caso di verbale relativo ad un accertamento in orario notturno.Sulla base delle soprastanti considerazioni, quindi, deve riscontrarsi la corretta applicazione dei principi dell'onere probatorio e la correttezza e sufficienza della motivazione da parte del primo giudicante e, viceversa, l'infondatezza dell'appello.Ogni altro motivo di appello è, infatti, superato ed assorbito dall'accoglimento del motivo di ricorso che, per le ragioni sopra esposte, conduce all'annullamento dell'accertamento.Ne consegue il rigetto dell'appello e la condanna alle spese processuali, che si liquidano come in dispositivo.

P.Q.M.

Il Tribunale, definitivamente pronunciando, respinge l'appello proposto dal Comune di Cavezzo verso la sentenza n. 21/08 del giudice di pace di Mirandola;dichiara tenuto e condanna il Comune di Cavezzo a rifondere a M. A. le spese processuali che liquida nella misura di complessivi euro 1.721,90, di cui euro 15,48 per spese, euro 515,00 per competenze, euro 720,00 per onorari, euro 156,31 per rimborso spese generali.

La resurrezione del danno morale

Danno morale, sussistenza, quantificazione, percentuale del danno biologico
Cassazione civile , sez. III, sentenza 12.12.2008 n° 29191
La Definizione:
Danno morale – sussistenza – legittimità – quantificazione – percentuale del danno biologico - illegittimità [art. 2059 c.c.]
Nella valutazione del danno morale contestuale alla lesione del diritto della salute, la valutazione di tale voce, dotata di logica autonomia in relazione alla diversità del bene protetto, che pure attiene ad un diritto inviolabile della persona deve tener conto delle condizioni soggettive della persona umana e della gravità del fatto, senza che possa considerarsi il valore della integrità morale una quota minore del danno alla salute.
Il Giudicante non può applicare d'ufficio la riduzione del quantum debeatur, in relazione ad un evento accaduto nel corso del giudizio di merito e non dedotto come causa estintiva di parte del debito per il danno biologico. (1-8)

Ndr: la presente sentenza si segnala per importanza, perché affronta il tema del danno morale che si credeva estinto a seguito del colpo inferto dalle Sezioni Unite 11.11.2008, n. 26972.
LE SENTENZE RILEVANTI
(1) Tra le sentenze di merito più recenti sul tema del danno non patrimoniale, si veda Tribunale Lecce, sez. Maglie, sentenza 29.11.2008 n° 368, con nota di MAGGIULLI.(2) In tema di danno non patrimoniale, si veda Cassazione Civile, SS.UU., 11.11.2008, n. 26972.(3) Per la lettura dell’ordinanza di rimessione, si veda Cassazione civile, sez. III, sentenza 25.02.2008, n. 4712 (vedi video-riflessioni di VIOLA e video-riflessioni di CESARI). (4) Si veda anche Cassazione civile SS.UU. 21934/2008 in materia di spot illegittimo.(5) In favore del danno esistenziale, si veda Cassazione civile 2379/2008.(6) In materia di danno parentale e prova, si veda Cassazione civile 20987/2007.(7) In dottrina, si veda anche PLENTEDA, il Danno esistenziale bagattellare e transeunte e VIOLA,. Il danno esistenziale come mancato guadagno non patrimoniale.(8) Sul tema del danno tanatologico, si veda il focus di D’APOLLO, Danno tanatologico: la giurisprudenza recente, nonché VIOLA-TESTINI-MARSEGLIA, Il danno tanatologico.
Altresì, per approfondimenti in dottrina, si vedano:- VIOLA, Il mancato guadagno esistenziale, in Studium Iuris, 2/2006, pag. 131;- DE GIORGI, Lesione del diritto all'ordine e risarcimento del danno esistenziale, Studium Iuris, 2008, n. 2, CEDAM, p. 224;- ZAULI, L'impotenza è danno esistenziale: va risarcito chi, a causa di un incidente, ha perduto il suo vigore sessuale, in Responsabilità civile (La), 2008, n. 1, UTET, p. 25;- CARBONE P., Ulteriori riflessioni sul danno esistenziale, in Danno e responsabilità, 2008, n. 1, IPSOA, p. 210;- CASSANO, Rapporti tra genitori e figli, illecito civile e responsabile. La rivoluzione giurisprudenziale degli ultimi anni alla luce del danno esistenziale, in Vita notarile, 2007, n. 1, EDIZIONI GIURIDICHE BUTTITTA, parte II, p. 315;- LIBERATI, Il danno esistenziale nella giurisprudenza amministrativa, 2007, GIUFFRÈ;- CASSANO, La giurisprudenza del danno esistenziale, 2007, CEDAM.
(Fonte: Altalex Massimario 1/2009)
SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE
SEZIONE III CIVILE
Sentenza 12 dicembre 2008, n. 29191
(Pres. Varrone – est. Petti)

MOTIVI DELLA DECISIONE
Il ricorso merita accoglimento per il secondo e quinto motivo, assorbito il sesto, rigettandosi i restanti motivi in quanto infondati. Secondo l'ordine logico precede l'esame dei motivi non meritevoli di accoglimento.
A. ESAME DEI MOTIVI INFONDATI (primo, terzo e quarto).
Nel primo motivo si deduce error in iudicando (per la violazione degli artt.123 bis disp.att.c.p.c.,168 secondo comma c.p.c. e 347 terzo comma c.p.c.) per la incompleta valutazione del materiale probatorio, per non avere il difensore della parte ora ricorrente allegato il fascicolo di parte. Si deduce inoltre il vizio della motivazione su tale punto.
Il motivo è infondato in ordine all'error in iudicando (rectius: error in procedendo), posto che la Corte (ff 12 rigo 18 e seguenti) ha dichiarato di dover decidere allo stato degli atti, tenuto conto della produzione del fascicolo di parte contenente anche una riproduzione del fascicolo di primo grado. Non sussiste pertanto alcuna violazione delle norme processuali richiamate (cfr: Cass 1995 n.6628; 1998 n.4576; 2000 n.11201 per casi simili).
E' invece inammissibile in ordine al vizio della motivazione, non risultando specificato il punto argomentativo in cui il vizio si colloca.
Nel terzo motivo si deduce error in iudicando e vizio della motivazione per il ridotto riconoscimento del danno da invalidità temporanea ed il relativo vizio della motivazione, sul rilievo che tale liquidazione andava fatta al tempo della sentenza e non all'epoca del sinistro con la aggiunta di interessi compensativi e legali.
Il motivo è inammissibile vuoi come error in iudicando vuoi come difettosa motivazione, sul rilievo che non risultano censurati i passi della sentenza (ff 36 e 37) che invece considerano tale voce di danno al tempo della seconda decisione, allorché è stato determinato globalmente il ristoro (sia pure in maniera errata, ma per altre ragioni, di cui diremo più innanzi).
Nel quarto motivo si deduce ancora error in iudicando e vizio della motivazione con riferimento alla mancata rideterminazione e rivalutazione del danno patrimoniale, in relazione alla attività lavorativa di commerciante e armatore di un peschereccio, che avrebbe risentito come lucro cessante.
Il motivo è infondato sotto entrambi i profili dedotti: la Corte (ff 34 e 35 della sentenza) invero ha motivato adeguatamente in ordine a tale valutazione, considerando anche la morte sopravvenuta il 7 gennaio 2002 in corso di causa, e non sussiste alcuna sottovalutazione di tale danno.
ESAME DEI MOTIVI FONDATI (SECONDO E QUINTO, ASSORBITO IL SESTO).
Nel secondo motivo si deduce "violazione e falsa applicazione degli artt. 2043, 2056, 1223, 1226 c.c. in relazione all'art. 360 n. 3 c.p.c, violazione degli artt. 2, 3, 32 della Costituzione e conseguente violazione del principio, di rilievo costituzionale, del risarcimento integrale del danno alla persona".
Il motivo ampiamente illustrato (ff 10 a 35 del ricorso) evidenzia, in modo autosufficiente, la attività difensiva svolta in appello per dimostrare l'aggravamento delle condizioni di salute del pedone, e l'error in iudicando commesso dalla Corte di appello, la quale, pur persistendo l'inadempimento del responsabile civile del danno e dell'assicuratore solidale, non ha considerato come insita nella domanda risarcitoria la rivalutazione del danno comunque rideterminato ai valori attuali come debito dì valore.
Poiché la censura è in punto di diritto e riproduce diffusamente il ragionamento della Corte di appello (ff 16 e 24 della motivazione) occorre considerare i punti della decisione alla luce di alcuni principi di diritto ormai universalmente condivisi dal diritto vivente (Cassazione e Corte Costituzionale inclusa) in ordine al fondamento costituzionale del diritto alla salute come diritto inviolabile della persona e in ordine alla tutela integrale della lesione in sede di risarcimento del danno ingiusto che deve essere liquidato tenendo conto delle sue conseguenze patrimoniali e non patrimoniali, ma pur sempre come debito di valore, da considerare all'attualità della liquidazione in via transattiva o in via giudiziaria.
La Corte di appello (ff 20 della sentenza) conferma la valutazione della entità del danno biologico, nella misura del 62% sulla scorta dell'esito peritale consacrato dalla stabilizzazione di postumi accertata in primo grado, ma si pronuncia sulla richiesta di valutazione di aggravamento (ff 20 in fine pagina, su tale punto la esclusione del nesso eziologico tra la neoplasia sopravvenuta e le lesioni originarie costituisce apprezzamento in fatto congruamente motivato) e poi procede (ff 26) ad ulteriore ridimensionamento del danno biologico (da 340 a 200 milioni ai valori attuali, in ordine a lesioni gravissime determinanti la perdita totale della capacità lavorativa generica oltre che specifica) sul rilievo che il Villani è sopravvissuto per nove anni e tre mesi a tali gravissime menomazioni subendo un danno psichico rilevante.
Il criterio di valutazione del danno biologico appare pertanto in violazione dei principi consolidati che esigono, nel caso di lesioni gravissime con perdita totale della capacità lavorativa generica e con concorrenti danni psichici, una analitica indicazione e valutazione delle componenti di tale danno non patrimoniale, anche con la applicazione di tabelle medico legali ed attuariali, ma sempre con una necessaria personalizzazione del danno tenendo conto del possibile aggravamento, secondo le indicazioni scientifiche e la documentazione medica prodotta, anche nella fase dell'appello. Ma un secondo error in iudicando si evidenzia dalla lettura della motivazione (ff. 24 a 26), là dove la Corte di appello dichiara di applicare i criteri di liquidazione (citando Cass.1995 n. 6196 e 2000 n. 9182, ma il principio appare consolidato) che governano la fattispecie nel caso in cui la parte danneggiata deceda per cause sopravvenute indipendenti dal fatto lesivo, e calcola i danni futuri rapportandoli alla sopravvivenza (di anni 9 e tre mesi dal fatto) e detraendo dal danno biologico statico, valutato al tempo dello evento lesivo (ff 24) in lire 340 milioni, la somma di 140 milioni, senza tener conto che l'importo del danno statico (come perdita della salute staticamente accertata per il consolidarsi dei postumi invalidanti) è stato liquidato ai valori del 1992 (tempo del sinistro) mentre andava rivalutato sino al tempo della morte (7 gennaio 2002) e su tale debito di valore doveva poi considerarsi l'effetto estintivo della morte in relazione al cd. danno futuro.
L'effetto della illogica applicazione dei precedenti, senza considerare la fattispecie concreta e la mancata deduzione, da parte dell'appellante incidentale (assicuratore), di una richiesta di riduzione del danno biologico liquidato, mentre l'altro responsabile civile ( proprietario assicurato) restava contumace, ha determinato una grave riduzione del danno risarcibile, in violazione al ricordato principio del risarcimento integrale del danno reale subito dalla vittima e trasmissibile iure hereditatis ai suoi eredi.
Il principio di diritto che vincola il giudice del rinvio è dunque il seguente: nel caso di lesioni gravissime da illecito stradale (2054 c.c.) con perdita della salute, quantificata nella misura del 62% cui si aggiunge la perdita della capacità lavorativa totale sia per la capacità generica (concorrenziale) che per quella specifica, il danno biologico deve essere necessariamente personalizzato calcolando anche la componente della capacità lavorativa e del danno psichico (peraltro accertato a ff 22 della motivazione unitamente al danno estetico e per la perdita della vita di relazione), (cfr.Cass 8 giugno 2007 n.13391 e 25 giugno 2007 n,12247), sicché ai valori tabellari della stima statica della gravità del danno (valutata al 62%) devono aggiungersi in aumento le altre componenti, secondo un prudente apprezzamento, che tenga conto del tempo della liquidazione (nella specie nuovamente effettuata dalla Corte di appello) e dell'eventuale probabile aggravamento verificatosi nel decennio successivo, ove documentato e scientificamente provato. La morte della vittima per cause indipendenti dalla lesione originaria, incide sulla valutazione del danno biologico futuro, che resta tale nella sua integrità sino al tempo del decesso, come debito di valore. Pertanto la riduzione non opera sulla determinazione del danno biologico statico (consolidamento dei postumi al tempo della vita e riconoscimento della invalidità) ma solo sulla determinazione del danno biologico globale, considerato ai valori attuali al tempo della decisione (di primo grado o di appello ove sia in discussione la determinazione del danno in tale grado) in relazione alla estinzione del danno futuro a seguito della vita.
Inoltre la Corte non può applicare d'ufficio la riduzione del quantum debeatur, in relazione ad un evento accaduto nel corso del giudizio di merito e non dedotto come causa estintiva di parte del debito per il danno biologico (v.le conclusioni formulate nella udienza del 14 aprile 2002). (cfr. art. 112 c.p.c. e Cass. 12 marzo 2004 n. 5134 e 14 gennaio 2004 n. 387).
Nel quinto motivo si lamenta error in iudicando e vizio della motivazione, in punto di ridotta liquidazione del danno morale, peraltro rivalutato dalla Corte di appello (ff 37 a 38) in lire 110 milioni all'epoca del fatto.
Il motivo deve essere accolto in relazione all'error in iudicando consistito nel valutare tale danno pro quota del danno biologico, sottostimato per le considerazioni che precedono. Si aggiunge che, nella fattispecie in esame, trattandosi di lesioni gravissime con esiti dolorosi anche dal punto di vista psichico, la autonomia ontologia del danno morale deve essere considerata in relazione alla diversità del bene protetto, che attiene alla sfera della dignità morale delle persona, escludendo meccanismi semplificativi di tipo automatico.
Il principio vincolante per il giudice del rinvio è dunque il seguente: nella valutazione del danno morale contestuale alla lesione del diritto della salute, la valutazione di tale voce, dotata di logica autonomia in relazione alla diversità del bene protetto, che pure attiene ad un diritto inviolabile della persona (la sua integrità morale: art.2 della Costituzione in relazione allo art.l della Carta di Nizza, che il Trattato di Lisbona, ratificato dall'Italia con legge 2 agosto 2008 n.190, collocando la Dignità umana come la massima espressione della sua integrità morale e biologica) deve tener conto delle condizioni soggettive della persona umana e della gravità del fatto, senza che possa considerarsi il valore della integrità morale una quota minore del danno alla salute. (Cass. 19 agosto 2003 n.12124; Cass.27 giugno 2007 n.14846 tra le più significative vedi ora SU 11 novembre 2008 n.9672 - punto 2.10).
Resta assorbito il sesto motivo sulla condanna dell'assicuratrice oltre i limiti del massimale, atteso che la rideterminazione del danno, tenendo conto degli acconti versati, potrà considerare il superamento di tali limiti ove si accerti l'inadempimento dell'assicuratore in ordine al completo risarcimento del danno (ed. malagestio nei confronti del danneggiato: cfr. Cass. 2006 n.315, Cass. 1999 n.10773, Cass. 2006 n. 17460 tra le tante).
All'accoglimento del ricorso segue la cassazione con rinvio alla Corte di appello di Salerno, che si atterrà ai principi di diritto come sopra indicati e provvedere anche alla liquidazione delle spese di questo giudizio di cassazione, secondo i principi di soccombenza.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso in relazione al primo, terzo e quarto motivo, accoglie per quanto di ragione il secondo ed il quinto, assorbito il sesto, cassa in relazione e rinvia anche per le spese di questo giudizio di cassazione alla Corte di appello di Napoli.

La resurrezione del danno morale

Danno morale, sussistenza, quantificazione, percentuale del danno biologico
Cassazione civile , sez. III, sentenza 12.12.2008 n° 29191
La Definizione:
Danno morale – sussistenza – legittimità – quantificazione – percentuale del danno biologico - illegittimità [art. 2059 c.c.]
Nella valutazione del danno morale contestuale alla lesione del diritto della salute, la valutazione di tale voce, dotata di logica autonomia in relazione alla diversità del bene protetto, che pure attiene ad un diritto inviolabile della persona deve tener conto delle condizioni soggettive della persona umana e della gravità del fatto, senza che possa considerarsi il valore della integrità morale una quota minore del danno alla salute.
Il Giudicante non può applicare d'ufficio la riduzione del quantum debeatur, in relazione ad un evento accaduto nel corso del giudizio di merito e non dedotto come causa estintiva di parte del debito per il danno biologico. (1-8)

Ndr: la presente sentenza si segnala per importanza, perché affronta il tema del danno morale che si credeva estinto a seguito del colpo inferto dalle Sezioni Unite 11.11.2008, n. 26972.
LE SENTENZE RILEVANTI
(1) Tra le sentenze di merito più recenti sul tema del danno non patrimoniale, si veda Tribunale Lecce, sez. Maglie, sentenza 29.11.2008 n° 368, con nota di MAGGIULLI.(2) In tema di danno non patrimoniale, si veda Cassazione Civile, SS.UU., 11.11.2008, n. 26972.(3) Per la lettura dell’ordinanza di rimessione, si veda Cassazione civile, sez. III, sentenza 25.02.2008, n. 4712 (vedi video-riflessioni di VIOLA e video-riflessioni di CESARI). (4) Si veda anche Cassazione civile SS.UU. 21934/2008 in materia di spot illegittimo.(5) In favore del danno esistenziale, si veda Cassazione civile 2379/2008.(6) In materia di danno parentale e prova, si veda Cassazione civile 20987/2007.(7) In dottrina, si veda anche PLENTEDA, il Danno esistenziale bagattellare e transeunte e VIOLA,. Il danno esistenziale come mancato guadagno non patrimoniale.(8) Sul tema del danno tanatologico, si veda il focus di D’APOLLO, Danno tanatologico: la giurisprudenza recente, nonché VIOLA-TESTINI-MARSEGLIA, Il danno tanatologico.
Altresì, per approfondimenti in dottrina, si vedano:- VIOLA, Il mancato guadagno esistenziale, in Studium Iuris, 2/2006, pag. 131;- DE GIORGI, Lesione del diritto all'ordine e risarcimento del danno esistenziale, Studium Iuris, 2008, n. 2, CEDAM, p. 224;- ZAULI, L'impotenza è danno esistenziale: va risarcito chi, a causa di un incidente, ha perduto il suo vigore sessuale, in Responsabilità civile (La), 2008, n. 1, UTET, p. 25;- CARBONE P., Ulteriori riflessioni sul danno esistenziale, in Danno e responsabilità, 2008, n. 1, IPSOA, p. 210;- CASSANO, Rapporti tra genitori e figli, illecito civile e responsabile. La rivoluzione giurisprudenziale degli ultimi anni alla luce del danno esistenziale, in Vita notarile, 2007, n. 1, EDIZIONI GIURIDICHE BUTTITTA, parte II, p. 315;- LIBERATI, Il danno esistenziale nella giurisprudenza amministrativa, 2007, GIUFFRÈ;- CASSANO, La giurisprudenza del danno esistenziale, 2007, CEDAM.
(Fonte: Altalex Massimario 1/2009)
SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE
SEZIONE III CIVILE
Sentenza 12 dicembre 2008, n. 29191
(Pres. Varrone – est. Petti)

MOTIVI DELLA DECISIONE
Il ricorso merita accoglimento per il secondo e quinto motivo, assorbito il sesto, rigettandosi i restanti motivi in quanto infondati. Secondo l'ordine logico precede l'esame dei motivi non meritevoli di accoglimento.
A. ESAME DEI MOTIVI INFONDATI (primo, terzo e quarto).
Nel primo motivo si deduce error in iudicando (per la violazione degli artt.123 bis disp.att.c.p.c.,168 secondo comma c.p.c. e 347 terzo comma c.p.c.) per la incompleta valutazione del materiale probatorio, per non avere il difensore della parte ora ricorrente allegato il fascicolo di parte. Si deduce inoltre il vizio della motivazione su tale punto.
Il motivo è infondato in ordine all'error in iudicando (rectius: error in procedendo), posto che la Corte (ff 12 rigo 18 e seguenti) ha dichiarato di dover decidere allo stato degli atti, tenuto conto della produzione del fascicolo di parte contenente anche una riproduzione del fascicolo di primo grado. Non sussiste pertanto alcuna violazione delle norme processuali richiamate (cfr: Cass 1995 n.6628; 1998 n.4576; 2000 n.11201 per casi simili).
E' invece inammissibile in ordine al vizio della motivazione, non risultando specificato il punto argomentativo in cui il vizio si colloca.
Nel terzo motivo si deduce error in iudicando e vizio della motivazione per il ridotto riconoscimento del danno da invalidità temporanea ed il relativo vizio della motivazione, sul rilievo che tale liquidazione andava fatta al tempo della sentenza e non all'epoca del sinistro con la aggiunta di interessi compensativi e legali.
Il motivo è inammissibile vuoi come error in iudicando vuoi come difettosa motivazione, sul rilievo che non risultano censurati i passi della sentenza (ff 36 e 37) che invece considerano tale voce di danno al tempo della seconda decisione, allorché è stato determinato globalmente il ristoro (sia pure in maniera errata, ma per altre ragioni, di cui diremo più innanzi).
Nel quarto motivo si deduce ancora error in iudicando e vizio della motivazione con riferimento alla mancata rideterminazione e rivalutazione del danno patrimoniale, in relazione alla attività lavorativa di commerciante e armatore di un peschereccio, che avrebbe risentito come lucro cessante.
Il motivo è infondato sotto entrambi i profili dedotti: la Corte (ff 34 e 35 della sentenza) invero ha motivato adeguatamente in ordine a tale valutazione, considerando anche la morte sopravvenuta il 7 gennaio 2002 in corso di causa, e non sussiste alcuna sottovalutazione di tale danno.
ESAME DEI MOTIVI FONDATI (SECONDO E QUINTO, ASSORBITO IL SESTO).
Nel secondo motivo si deduce "violazione e falsa applicazione degli artt. 2043, 2056, 1223, 1226 c.c. in relazione all'art. 360 n. 3 c.p.c, violazione degli artt. 2, 3, 32 della Costituzione e conseguente violazione del principio, di rilievo costituzionale, del risarcimento integrale del danno alla persona".
Il motivo ampiamente illustrato (ff 10 a 35 del ricorso) evidenzia, in modo autosufficiente, la attività difensiva svolta in appello per dimostrare l'aggravamento delle condizioni di salute del pedone, e l'error in iudicando commesso dalla Corte di appello, la quale, pur persistendo l'inadempimento del responsabile civile del danno e dell'assicuratore solidale, non ha considerato come insita nella domanda risarcitoria la rivalutazione del danno comunque rideterminato ai valori attuali come debito dì valore.
Poiché la censura è in punto di diritto e riproduce diffusamente il ragionamento della Corte di appello (ff 16 e 24 della motivazione) occorre considerare i punti della decisione alla luce di alcuni principi di diritto ormai universalmente condivisi dal diritto vivente (Cassazione e Corte Costituzionale inclusa) in ordine al fondamento costituzionale del diritto alla salute come diritto inviolabile della persona e in ordine alla tutela integrale della lesione in sede di risarcimento del danno ingiusto che deve essere liquidato tenendo conto delle sue conseguenze patrimoniali e non patrimoniali, ma pur sempre come debito di valore, da considerare all'attualità della liquidazione in via transattiva o in via giudiziaria.
La Corte di appello (ff 20 della sentenza) conferma la valutazione della entità del danno biologico, nella misura del 62% sulla scorta dell'esito peritale consacrato dalla stabilizzazione di postumi accertata in primo grado, ma si pronuncia sulla richiesta di valutazione di aggravamento (ff 20 in fine pagina, su tale punto la esclusione del nesso eziologico tra la neoplasia sopravvenuta e le lesioni originarie costituisce apprezzamento in fatto congruamente motivato) e poi procede (ff 26) ad ulteriore ridimensionamento del danno biologico (da 340 a 200 milioni ai valori attuali, in ordine a lesioni gravissime determinanti la perdita totale della capacità lavorativa generica oltre che specifica) sul rilievo che il Villani è sopravvissuto per nove anni e tre mesi a tali gravissime menomazioni subendo un danno psichico rilevante.
Il criterio di valutazione del danno biologico appare pertanto in violazione dei principi consolidati che esigono, nel caso di lesioni gravissime con perdita totale della capacità lavorativa generica e con concorrenti danni psichici, una analitica indicazione e valutazione delle componenti di tale danno non patrimoniale, anche con la applicazione di tabelle medico legali ed attuariali, ma sempre con una necessaria personalizzazione del danno tenendo conto del possibile aggravamento, secondo le indicazioni scientifiche e la documentazione medica prodotta, anche nella fase dell'appello. Ma un secondo error in iudicando si evidenzia dalla lettura della motivazione (ff. 24 a 26), là dove la Corte di appello dichiara di applicare i criteri di liquidazione (citando Cass.1995 n. 6196 e 2000 n. 9182, ma il principio appare consolidato) che governano la fattispecie nel caso in cui la parte danneggiata deceda per cause sopravvenute indipendenti dal fatto lesivo, e calcola i danni futuri rapportandoli alla sopravvivenza (di anni 9 e tre mesi dal fatto) e detraendo dal danno biologico statico, valutato al tempo dello evento lesivo (ff 24) in lire 340 milioni, la somma di 140 milioni, senza tener conto che l'importo del danno statico (come perdita della salute staticamente accertata per il consolidarsi dei postumi invalidanti) è stato liquidato ai valori del 1992 (tempo del sinistro) mentre andava rivalutato sino al tempo della morte (7 gennaio 2002) e su tale debito di valore doveva poi considerarsi l'effetto estintivo della morte in relazione al cd. danno futuro.
L'effetto della illogica applicazione dei precedenti, senza considerare la fattispecie concreta e la mancata deduzione, da parte dell'appellante incidentale (assicuratore), di una richiesta di riduzione del danno biologico liquidato, mentre l'altro responsabile civile ( proprietario assicurato) restava contumace, ha determinato una grave riduzione del danno risarcibile, in violazione al ricordato principio del risarcimento integrale del danno reale subito dalla vittima e trasmissibile iure hereditatis ai suoi eredi.
Il principio di diritto che vincola il giudice del rinvio è dunque il seguente: nel caso di lesioni gravissime da illecito stradale (2054 c.c.) con perdita della salute, quantificata nella misura del 62% cui si aggiunge la perdita della capacità lavorativa totale sia per la capacità generica (concorrenziale) che per quella specifica, il danno biologico deve essere necessariamente personalizzato calcolando anche la componente della capacità lavorativa e del danno psichico (peraltro accertato a ff 22 della motivazione unitamente al danno estetico e per la perdita della vita di relazione), (cfr.Cass 8 giugno 2007 n.13391 e 25 giugno 2007 n,12247), sicché ai valori tabellari della stima statica della gravità del danno (valutata al 62%) devono aggiungersi in aumento le altre componenti, secondo un prudente apprezzamento, che tenga conto del tempo della liquidazione (nella specie nuovamente effettuata dalla Corte di appello) e dell'eventuale probabile aggravamento verificatosi nel decennio successivo, ove documentato e scientificamente provato. La morte della vittima per cause indipendenti dalla lesione originaria, incide sulla valutazione del danno biologico futuro, che resta tale nella sua integrità sino al tempo del decesso, come debito di valore. Pertanto la riduzione non opera sulla determinazione del danno biologico statico (consolidamento dei postumi al tempo della vita e riconoscimento della invalidità) ma solo sulla determinazione del danno biologico globale, considerato ai valori attuali al tempo della decisione (di primo grado o di appello ove sia in discussione la determinazione del danno in tale grado) in relazione alla estinzione del danno futuro a seguito della vita.
Inoltre la Corte non può applicare d'ufficio la riduzione del quantum debeatur, in relazione ad un evento accaduto nel corso del giudizio di merito e non dedotto come causa estintiva di parte del debito per il danno biologico (v.le conclusioni formulate nella udienza del 14 aprile 2002). (cfr. art. 112 c.p.c. e Cass. 12 marzo 2004 n. 5134 e 14 gennaio 2004 n. 387).
Nel quinto motivo si lamenta error in iudicando e vizio della motivazione, in punto di ridotta liquidazione del danno morale, peraltro rivalutato dalla Corte di appello (ff 37 a 38) in lire 110 milioni all'epoca del fatto.
Il motivo deve essere accolto in relazione all'error in iudicando consistito nel valutare tale danno pro quota del danno biologico, sottostimato per le considerazioni che precedono. Si aggiunge che, nella fattispecie in esame, trattandosi di lesioni gravissime con esiti dolorosi anche dal punto di vista psichico, la autonomia ontologia del danno morale deve essere considerata in relazione alla diversità del bene protetto, che attiene alla sfera della dignità morale delle persona, escludendo meccanismi semplificativi di tipo automatico.
Il principio vincolante per il giudice del rinvio è dunque il seguente: nella valutazione del danno morale contestuale alla lesione del diritto della salute, la valutazione di tale voce, dotata di logica autonomia in relazione alla diversità del bene protetto, che pure attiene ad un diritto inviolabile della persona (la sua integrità morale: art.2 della Costituzione in relazione allo art.l della Carta di Nizza, che il Trattato di Lisbona, ratificato dall'Italia con legge 2 agosto 2008 n.190, collocando la Dignità umana come la massima espressione della sua integrità morale e biologica) deve tener conto delle condizioni soggettive della persona umana e della gravità del fatto, senza che possa considerarsi il valore della integrità morale una quota minore del danno alla salute. (Cass. 19 agosto 2003 n.12124; Cass.27 giugno 2007 n.14846 tra le più significative vedi ora SU 11 novembre 2008 n.9672 - punto 2.10).
Resta assorbito il sesto motivo sulla condanna dell'assicuratrice oltre i limiti del massimale, atteso che la rideterminazione del danno, tenendo conto degli acconti versati, potrà considerare il superamento di tali limiti ove si accerti l'inadempimento dell'assicuratore in ordine al completo risarcimento del danno (ed. malagestio nei confronti del danneggiato: cfr. Cass. 2006 n.315, Cass. 1999 n.10773, Cass. 2006 n. 17460 tra le tante).
All'accoglimento del ricorso segue la cassazione con rinvio alla Corte di appello di Salerno, che si atterrà ai principi di diritto come sopra indicati e provvedere anche alla liquidazione delle spese di questo giudizio di cassazione, secondo i principi di soccombenza.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso in relazione al primo, terzo e quarto motivo, accoglie per quanto di ragione il secondo ed il quinto, assorbito il sesto, cassa in relazione e rinvia anche per le spese di questo giudizio di cassazione alla Corte di appello di Napoli.

Uranio impoverito: Il nuovo danno non patrimoniale alla luce delle SS. UU. 29672/08

Danno non patrimoniale, uranio impoverito, salute, pregiudizi, criteri, categorie

Tribunale Firenze, sez. II civile, sentenza 17.12.2008
La definizione:
Danno non patrimoniale – uranio impoverito – salute – pregiudizi – criteri – categorie [art. 2059 c.c.; art. 138, Cod. assicurazioni private]

Sofferenza morale soggettiva, turbamento dell'animo, dolore intimo sofferti, perdita del rapporto parentale, ecc, costituiscono "voci" del danno biologico nel suo aspetto dinamico e ben possono riconoscersi ed identificarsi con la rilevanza e specificità dell’incidenza della menomazione sugli aspetti dinamico-relazionali personali, prevista dal Codice delle Assicurazioni private, necessitando di adeguata personalizzazione della liquidazione del danno biologico, onde pervenire all’integrale ristoro del danno, mediante distinto ed ulteriore aumento e con equo e motivato apprezzamento delle condizioni soggettive del danneggiato.
(1-8)
LE SENTENZE PIU' RECENTI
(1) Tra le sentenze più recenti, immediatamente successive alle SS.UU. 2008, si veda Tribunale di Lecce, sezione di Maglie, 368/2008, con nota di MAGGIULLI.(2) In tema di danno non patrimoniale, si veda Cassazione Civile, SS.UU., 11.11.2008, n. 26972.(3) Per la lettura dell’ordinanza di rimessione, si veda Cassazione civile, sez. III, sentenza 25.02.2008, n. 4712 (vedi video-riflessioni di VIOLA e video-riflessioni di CESARI). (4) Si veda anche Cassazione civile SS.UU. 21934/2008 in materia di spot illegittimo.(5) In favore del danno esistenziale, si veda Cassazione civile 2379/2008.(6) In materia di danno parentale e prova, si veda Cassazione civile 20987/2007.(7) In dottrina, si veda anche PLENTEDA, il Danno esistenziale bagattellare e transeunte e VIOLA, Il danno esistenziale come mancato guadagno non patrimoniale.(8) Sul tema del danno tanatologico, si veda il focus di D’APOLLO, Danno tanatologico: la giurisprudenza recente, nonché VIOLA-TESTINI-MARSEGLIA, Il danno tanatologico.
Altresì, per approfondimenti in dottrina, si vedano:- VIOLA, Il mancato guadagno esistenziale, in Studium Iuris, 2/2006, pag. 131;- DE GIORGI, Lesione del diritto all'ordine e risarcimento del danno esistenziale, Studium Iuris, 2008, n. 2, CEDAM, p. 224;- ZAULI, L'impotenza è danno esistenziale: va risarcito chi, a causa di un incidente, ha perduto il suo vigore sessuale, in Responsabilità civile (La), 2008, n. 1, UTET, p. 25;- CARBONE P., Ulteriori riflessioni sul danno esistenziale, in Danno e responsabilità, 2008, n. 1, IPSOA, p. 210;- CASSANO, Rapporti tra genitori e figli, illecito civile e responsabile. La rivoluzione giurisprudenziale degli ultimi anni alla luce del danno esistenziale, in Vita notarile, 2007, n. 1, EDIZIONI GIURIDICHE BUTTITTA, parte II, p. 315;- LIBERATI, Il danno esistenziale nella giurisprudenza amministrativa, 2007, GIUFFRÈ;- CASSANO, La giurisprudenza del danno esistenziale, 2007, CEDAM.
(Fonte: Altalex Massimario 1/2009. Si ringrazia per la segnalazione Roberto Monteverde)
Tribunale di Firenze
Sezione II Civile
Sentenza 17 dicembre 2008
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
IL TRIBUNALE DI FIRENZE
Seconda sezione civile

nella persona del Giudice Istruttore Dr. Roberto Monteverde, in funzione di Giudice unico,
ha pronunziato la seguente

SENTENZA

nella causa civile iscritta al N° XXXXXXXXXX del Ruolo Affari Civili Contenziosi in questo Tribunale di Firenze

promossa da:
XXXXXXXXXXXXX, rappresentato e difeso dall'Avv. XXXXXXXX, giusta mandato a margine dell'atto di citazione
ATTORE
contro:
MINISTERO DELLA DIFESA, in persona del Ministro p.t., rappresentato e difeso dall’Avvocatura Distrettuale dello Stato in Firenze, come per legge
CONVENUTO
avente ad oggetto:
Altre ipotesi di responsabilità extracontrattuale non ricomprese nelle altre materie (art. 2043 c.c. e norme speciali).
All'udienza del* XXXXXXXX la causa veniva posta in decisione sulle seguenti conclusioni:
per l'attore XXXXXXXXXXXXX:
"Come da verbale in data* XXXXXXXX".
per il convenuto MINISTERO DELLA DIFESA, in persona del Ministro p.t.:
"Come da verbale in data* XXXXXXXX".
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con atto di citazione notificato il XXXXXX, XXXXXXXXXXXXX conveniva in giudizio MINISTERO DELLA DIFESA, affinché fosse accertata e dichiarata la responsabilità del Ministero per le patologie contratte da esso attore durante la sua permanenza in Somalia, dove era stato inviato nell’ambito della operazione Ibis, mentre svolgeva il servizio militare di leva, in qualità di paracadutista, per l’Esercito Italiano.
Si rivolgeva pertanto all’autorità giudiziaria instando nelle conclusioni in epigrafe indicate.
Si costituiva il MINISTERO DELLA DIFESA, in persona del Ministro p.t., esponendo le proprie difese come in comparsa di risposta.
La causa veniva istruita mediante le verbalizzate attività e l'assunzione delle prove hic et inde dedotte. Infine, sulle conclusioni delle parti come in epigrafe indicate, la causa veniva ritenuta in decisione all'udienza del XXXXXXXXX.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Sulla responsabilità del sinistro si osserva che il XXXXXXXXXXXXX ha agito in giudizio per vedere affermata la responsabilità del Ministero della difesa per la malattia contratta a seguito dell’impiego da parte dell’Esercito di armi all’uranio impoverito nel corso della missione Ibis ci partecipò come militare di leva.
Dirimente sul punto, pertanto, risulta stabilire un nesso di causalità fra l’uso di tali armi e la patologia riscontrata nell’attore, la consapevolezza in capo al Ministero della Difesa non solo dell’impiego dell’uranio impoverito, ma anche dei rischi che esso comportava per la salute dei militari impegnati nella missione in Somalia, nonché, infine, della omessa diffusione di tali informazioni da parte del Ministero convenuto e della mancata adozione di misure protettive per i militari partecipanti alla missione in Somalia.
Per indagare adeguatamente sul nesso di causalità fra l’uso di armi ad uranio impoverito e la patologia riscontrata nell’attore, è stata disposta ed eseguita una consulenza tecnica d’ufficio di natura medico-legale, connotata da uno scrupolo scientifico particolarmente accentuato ed assolutamente in linea con le esigenze connesse ad una accertamento invero particolarmente complesso e difficoltoso e, in ogni caso, totalmente adeguata alle conseguenze derivate dalla vicenda vissuta dall’attore, nonché scevra da vizi logici e metodologici, che viene pertanto interamente condivisa dal Tribunale.
Nella relazione il consulente, dopo avere esaminato analiticamente la storia clinica di XXXXXXXXXXXXX, affrontava la trattazione del caso di specie, evidenziando quanto di seguito riportato.
“Il riscontro - come nella fattispecie - di un disordine linfoproliferativo conseguente all'esposizione all'Uranio impoverito, ricompreso nella notoria sindrome del Golfo e nella ancor più nota sindrome dei Balcani, ha suscitato e suscita particolare interesse sotto il profilo medico-legale in ordine alla verifica del nesso causale, sulla cui sussistenza molto è stato dibattuto dalle comunità scientifiche sia nazionali sia internazionali.
Ai fini del giudizio sul rapporto causale la dottrina medico-legale ha elaborato proprie originali soluzioni criteriologiche. L'applicazione puntuale al caso oggetto di tali criteri - il criterio topografico, cronologico, di adeguatezza o idoneità lesiva, di continuità fenomeno logica, di sindrome a ponte, di esclusione di altre cause - richiede una loro collocazione gerarchica e sequenziale coordinata ad altri due criteri cardine: il criterio di possibilità scientifica (primo momento del ragionamento causale) e il criterio di probabilità scientifica o logica (alternativo al criterio di certezza non applicabile nella fattispecie).
I maggiori dubbi sussistono proprio in ordine alla positività del criterio di possibilità scientifica, sul quale non pare siano disponibili risultanze definitive.
Nella sua forma naturale l'Uranio è costituito da tre isotopi (U-234; U-235 e U 238) con una netta prevalenza dell'isotopo U-238. A causa della sua notevole vita media (4,468 miliardi di anni) l'U-238 ha una radioattività non in grado di innescare una reazione a catena. Per poter avviare tale reazione nei reattori nucleari occorre "arricchire" l'uranio naturale aumentando la percentuale dell' isotopo fissile u­235. Negli anni '70-'80 furono condotti dagli Stati Uniti esperimenti militari sull'uranio impoverito, dimostrativi che con l'aggiunta di DU i proiettili di calibro sia grande sia piccolo diventavano efficaci nel perforare le corazze dei carri armati, inoltre incorporando DU nelle stesse corazze dei carri armati diventano meno vulnerabili alla penetrazioni di proiettili normali.
L'uranio impoverito (DU: Depleted Uranium) rappresenta un sottoprodotto dell'industria nucleare, le cui caratteristiche sono sovrapponibili a quelle dell'Uranio metallico, composto altamente reattivo. Esso rappresenta di fatti il materiale di scarto del processo di arricchimento dell'Uranio naturale', che da "ingombrante" scoria può esser riciclata sia come arma ("dardo" di proiettili") sia come materiale metallico per usi civili e militari, privilegiandone il basso costo rispetto alla durevole nocività2.
Il DU conserva circa il 60-80% della radioattività dell'Uranio naturale; inoltre, considerate le sue caratteristiche chimiche di metallo pesante, possiede, e potenzialmente determina, una duplice tossicità, di tipo radio logico e di tipo chimico.
Tali effetti dannosi dipendono per lo più dalla sua penetrazione all'interno dell' organismo che può avvenire generalmente in due modi: per ingestione o per inalazione.
L'irradiazione esterna è di fatti pressoché priva di conseguenza dannose5; il DU, classificato nella fascia più bassa di rischio fra gli isotopi radioattivi, emette particelle alfa, le quali sono sostanzialmente innocue, con effetto biologico lieve o nullo: la radioattività alfa non riesce a penetrare dall'esterno nella materia, è sufficiente lo strato corneo della cute (o un foglio di carta) ad attenuarla notevolmente. Il pericolo maggiore dell'irradiazione esterna è quello della contaminazione ambientale.
Le particelle al fa, nondimeno, esercitano un potente effetto mutageno se emesse all'interno dell'organismo, la quantità di radioattività emessa è funzione della superficie; pertanto il DU in forma di polveri ha una maggiore efficienza nel raggiungere la dose radiologica nel soggetto esposto che lo abbia assorbito, La presenza di solventi, come l'acqua (presente sia nell'organismo sia nell' ambiente), permette di facilitare il passaggio dell'Uranio da insolubile a solubile, facilitando i suddetti processi (di ingestione e inalazione).
L'ingestione e/o l'inalazione sono rese possibili dalla ossidazione dell'uranio metallico, con formazione di composti volatili: diossido (U02) triossido (U03) e principalmente ottaossido (U08) di uranio.
Le caratteristiche piroforiche del DD evidenti anche a temperatura ambiente ne facilitano la sua conversione in aerosol dopo l'impatto sul bersaglio, quando vengono raggiunte temperature superiori al punto di fusione e al punto di ebollizione 10. A causa di tali temperature elevate i proiettili di DU prendono facilmente fuoco contro un bersaglio resistente, generando una polvere micronizzata di ossidi di DU, tendenzialmente insolubili, che si disperde e si deposita nell'ambiente circostante. Nonostante l'elevato peso specifico l'uranio depleto può tornare in sospensione aeriforme attraverso i movimenti di origine meteorica (venti), mediante l'attività dei mezzi di locomozione e con l'esercizio delle attività agricole e della pastorizia. Inoltre, l'elevata re attività chimica dell' elemento, sia in forma solubile sia insolubile ne determina la permanenza negli superficiali del suolo allo stato micronizzato oltre alla capacità di entrare in soluzione con l'acqua (contaminando potenzialmente e pericolosamente le falde idriche). Nel periodo di sospensione delle particelle, uomini e animali possono inspirarle mentre, deposte a terra, possono contaminare erba, frutti e vegetali in genere, da qui entrando come ospiti indesiderati nella catena alimentare. Proprio a causa della loro estrema leggerezza e delle loro dimensioni, queste particelle restano in sospensione per tempi anche lunghi, di difficile determinazione aprioristica, dipendentemente da diversi fattori (pressione atmosferica, precipitazioni etc).
L'aerosol di ossido di uranio impoverito formatosi dall'impatto del DU contro i bersagli corazzati ha un' alta percentuale di particelle respirabili (dal 50% al 96%) mentre un'altra percentuale (dal 17 al 48%) è facilmente solubile nei fluidi polmonari. La solubilità delle particelle di DU determina la velocità alla quale l'uranio si sposta dal punto di penetrazione fino ai vasi sanguigni dai quali può passare ad altri organi.
Una volta inalate le particelle al DU possono depositarsi nei bronchioli e negli alveoli polmonari, la frazione insolubile (circa l' 80%) tende ad essere espulsa per movimento muco-ciliare (con passaggio nel tratto gastrointestinale, da dove viene rapidamente escreto) o per rimozione macrofagica, mentre la frazione più solubile si scioglie nel plasma e si accumula in forma complessa in diversi organi, in particolare nei linfonodi, nel midollo osseo rosso (sede attiva della funzione emopoietica), nei sistemi urogenitale, nervoso, scheletrico, muscolare, etc. Per quanto riguarda l'uranio ingerito (per deglutizione dell'aerosol) una frazione pari al 2,5 % viene assorbita dall'intestino.
La cancerogenesi rappresenta il principale rischio dell'inalazione di radionuclidi.
L'uranio insolubile depositato nei bronchi emette particelle alfa che colpiscono le cellule basali producendo un'instabilità cromosomica che può generare alterazioni cromosomi che, le aberrazioni cromosomiche sono associate alla cancerogenesi, i riarrangiamenti del materiale genetico sono associati con la trasformazione tumorale. Come per tutti i casi di contaminazione interna la dose equivalente, legata alla inalazione di uranio, è proporzionale alla sua attività, nonché all'energia ed al fattore di qualità delle particelle emesse. Per costituire un rischio radiologico, le quantità inalate dovrebbero essere talmente elevate da provocare danni acuti ai reni e tale effetto non è mai stato osservato neppure nel caso di specie ( occorre tuttavia considerare che la sua re attività e di conseguenza anche la quantità emessa di radiazioni si può modificare con il passare del tempo per effetto di modificazioni di tipo chimico14). Per tale motivo sembra che il maggior effetto dannoso sia dovuto alla tossicità chimico-fisica, mediante la microscopia elettronica utilizzata in studi sperimentali sono state rilevate nanoparticelle di varia composizione chimica inorganiche, non biocompatibili e non biodegradabili, in diversi tessuti di pazienti affetti da neoplasie linfoproliferative. Nei riguardi di tali corpi estranei a seconda delle loro dimensioni, l'organismo reagisce innescando una reazione flogistica di tipo granulomatoso (che col tempo può trasformarsi in tumorale), ovvero se il particolato è molto piccolo passa "inosservato", riuscendo a penetrare all'interno delle cellule e perfino nel nucleo senza che queste siano in grado di mettere in atto azioni di difesa efficaci.
E se è vero che la via inalatori a è la più comune non può trascurarsi l'ingestione di alimenti contaminati. Si ricordano a tal proposito le disposizioni governative italiane pubblicate sulla Gazzetta Ufficiale n. 254 del 28 ottobre 2004, con la prescrizione di una obbligatoria quantificazione sulle derrate alimentari provenienti dalla Bosnia Herzegovina e dal Kossovo di arsenico e uranio eventualmente contenuti.
Pertanto, le patologie razionalmente prevedibili ed epidemiologicamente osservabili con maggior prevalenza sono a carico del DNA, per l'affinità dei composti solubili dell'uranio con i gruppi fosforici della macromolecola15, interferendo questi con i processi di sintesi e di riparazione del DNA nelle cellule somatiche e germinali, con possibili conseguenze generalizzate di tipo mutageno, cancerogeno, teratogeno 16.
Sono altresì noti processi infiammatori e degenerativi a carico dell' apparato respiratorio; a carico del midollo rosso con anemie di vario tipo (globulari, extraglobulari, di origine immunitaria, fino a chiare forma leucemiche); a carico dei linfonodi con linfomi di Hodgkin e non Hodgkin; a carico del fegato e in generale degli organi linfoidi per particolari tropismi d'organo; potenzialmente nelle ossa, cervello, testicoli ove l'uranio si può riconcentrare17,18; a carico dei reni per la funzione emuntoria.
Circa il pericolo dello sviluppo di patologie tumorali e di altro tipo in relazione alla esposizione all'uranio depleto, non si può tralasciare di ricordare quanto disposto dalla legge n. 27 del 2001 (e segnatamente dall'articolo 4 bis del testo), con la quale il legislatore, in conformità con tale potenziale rischio, imponeva una campagna di monitoraggio sanitario delle condizioni di salute dei cittadini italiani che "a qualunque titolo hanno operato od operano nei territori della Bosnia Herzegovina e del Kossovo", prescrizioni attuate con il decreto del 2 ottobre del 2002 del Ministero della Salute.
Inoltre merita menzione che la stessa II Commissione Mandelli, nonostante la dimostrata erronea conduzione del protocollo sperimentale e della valutazione statistica, ha dimostrato un aumento significativo di tali patologie neoplastiche nei militari italiani impiegati nelle operazioni in territorio balcano ("esiste un eccesso statisticamente significativo di casi di linfoma di Hodgkin ").
Potendosi ritenere dunque soddisfatto il criterio di possibilità scientifica, il passaggio alla probabilità logica avviene constatando la verificazione della criteriologia sopra enunciata. Venendo ad una analisi dettagliata di tali elementi di giudizio nella fattispecie concreta è possibile affermare che il criterio topo grafico e quello di idoneità lesiva sono già stati implicitamente esauditi sopra. Per quel che concerne la corrispondenza topografica, i linfonodi, come su esposto al pari del midollo osseo e del fegato, costituiscono i principali organi bersaglio degli effetti dannosi dell'uranio impoverito.
Circa il principio della causa equat effectum, che sostanzia il criterio dell' idoneità lesiva, i linfomi maligni Hodgkin e non Hodgkin rappresentano la forma tumorale più frequentemente associato alla esposizione ambientale con DD e con altri solventi, tra cui il benzene. Nota è la relazione tra linfoma di Hodgkin e presenza nell'ambiente di lavoro di uranio, aumentata incidenza del tumore nei lavoratori in impianti nucleari statunitensi 21, così come la leucemia è il IV tumore per incidenza nella popolazione dell'Iraq meridionale, malformazioni genetiche ed anemia nella popolazione di Bassora 22. Inoltre l'elevato numero di linfomi riscontrata sia nei militari italiani impiegati nei Balcani sia nei militari statunitensi, britannici e iracheni, sembra non lasciar dubbi sulla cancerogenicità per via interna - e a bassi dosi - del DD.
Il soggetto esposto in zone bombardate con armi al DD può sviluppare una patologia tumorale in maniera differenziata in relazione ai livelli d'esposizione a DD e/o ad altri contaminanti, tra cui il benzene, anche in virtù di una minore o maggiore suscettibilità individuale. Il linfoma di Hodgkin è di fatto una neoplasia aspecifica che può aumentare di incidenza tra i militari italiani per l'esposizione ad agenti mutageni, associata alla presenza di altri cofattori; da cui peraltro le raccomandazioni dell'OMS circa una adeguata protezione (che in Italia è iniziata solo il 22/11/1999 allorquando la notifica della potenziale pericolosità dell'esposizione al DD avveniva con lettera firmata dal Col. Bizzarri per le truppe italiane in Kossovo, nell'ignoranza di una poco pubblicizzata circolare del Dip. della DS Army in data 16/8/93 che determinò rigide precauzioni per le truppe DSA dopo la guerra del Golfo iniziando appunto dalla Somalia).
Il criterio della continuità fenomenica e quello cronologico, pur tenuto conto delle peculiarità della fattispecie concreta esposta in narrativa sono disinvoltamente soddisfatti. Seppure la manifestazione della patologia neoplastica richieda tempi di latenza molto lunghi, nell'ordine del decennio (con picchi intorno ai 5 anni23), occorre ricordare che la non perfetta conoscenza della composizione del DD di uso militare (possibile miscela eterogenea di DD "pulito e DD "sporco", da cui dipende la stessa pericolosità), il variare delle biodinamiche delle sue diverse forme chimiche e dei suoi vari isotopi componenti all'interno del corpo umano, potrebbe contribuire a creare disomogeneità nell' ambito dei differenti tempi di latenza nella comparsa del tumore. Da considerare che l'effetto immunosoppressivo indotto da carenze alimentari, da patologie in comorbilità ed in generale dallo stress psicofisico legato al servizio, "stress da guerra", può determinare una rapidità di insorgenza dei processi degenerativi.
Per quanto riguarda il criterio epidemiologico, la verificazione di tale elemento valutativo risulta purtroppo inficiata dalla carenza di sperimentazione istituzionale mirata. Le risultanze della ricerca attuata dalla già menzionata Commissione Mandelli, commissione d'inchiesta scientifica designata nel dicembre 2000 con funzione epidemiologica/statistica, sono destituite di fondamento per l'erronea procedura di ricerca utilizzata (sia nei campionamenti sia nell' applicazione delle leggi statistiche) come ampiamente affermato negli ambienti scientifici. È da rilevare poi che la stessa Commissione concludeva con l'indeterminatezza del ruolo patogenetico dell'uranio impoverito nello sviluppo di neoplasie maligne.
A parere di chi scrive le evidenze sulla capacità di induzione della trasformazione neoplastica in vitro e la relazione tra esposizione ad uranio ed insorgenza di tumori negli esposti sono da ritenere solide.
Gli interrogativi sulla pericolosità del DD posti dalla sua radioattività e dalla sua natura di metallo pesante appaiono pienamente confermati dalla letteratura scientifica. È innegabile, poi, l'esistenza di un rischio aggiuntivo legato all'utilizzo militare del DD. Gli scenari di battaglia in cui vengono utilizzate armi al DD risultano contaminati a livello radioattivo da questo materiale. Le caratteristiche di radioattività del DD fanno sÌ che questa contaminazione possa essere smaltita solo attraverso meccanismi di degradazione tipici dell' eco sistema colpito e non attraverso il decadimento fisico del radionuclide (circa 4,5 milioni di anni).
Ed infine il criterio di esclusione. Tale criterio pone le maggiori difficoltà, arduo è attuare una sottrazione sistematica di altre cause ambientali, che per la loro stessa natura e per le peculiarità di aree belli che, sono di difficile determinazione. Tuttavia, operando un procedimento logico, pur accettando un'altra causa preponderante (tra queste una citazione a sé stante deve essere destinata al benzene), non si può escludere - anzi si può ammettere per le ragioni analiticamente suesposte - un ruolo concausale dell'esposizione al DD nell' ottica dunque di una plausibile genesi multifattoriale della patologia neoplastica.
Proposta dunque una dipendenza causale tra il servizio prestato dal XXXXXXXXXXXXX in territorio somalo e lo sviluppo di linfoma di Hodgkin e delle altre alterazioni ematologiche ad esso verosimilmente correlate (quale appunto la grave ipogammaglobulinemia), non rimane che quantificare gli esiti invalidanti che ne sono derivati, tra cui si deve anche ricomprendere lo sviluppo di azoospermia, secondario al trattamento antiblastico della neoplasia.
L'azoospermia è l'assenza di spermatozoi mobili e maturi nel liquido seminale, ed è una causa di sterilità. La maggioranza dei pazienti sottoposti a chemioterapia diventa azoospermica dopo circa 7-8 settimane dall'inizio del trattamento. Questo è in relazione con la cinetica della spermatogenesi umana, in quanto gli antineoplastici agiscono soprattutto sulle cellule germinali durante la divisione cellulare e di conseguenza distruggono soprattutto gli spermatogoni di tipo B rapidamente proliferanti. Se sopravvivono tutti gli spermatogoni di tipo A (cellule staminali), ci si può attendere un recupero della spermatogenesi 12 settimane dopo il trattamento. Sono stati fatti molti studi per valutare il danno a lungo termine dei chemioterapici sulla funzione gonadica. Tra gli agenti alchilanti, il clorambucil, la ciclofosfamide ed il cisplatino causano infertilità irreversibile rispettivamente alle dosi di 400 mg, 7,5 mg/m2 e 600 mg/m2.
Gli antimetaboliti, gli inibitori delle topoisomerasi, gli alcaloidi della vinca, la dacarbazina e la bleomicina non si associano ad un danno spermatogenetico persistente ai dosaggi convenzionali.
Quando somministrati alle dosi convenzionali, la vinblastina, l'etoposide, la bleomicina e la ifosfamide non sembrano interessare la fertilità a lungo termine. Per quanto riguarda vinblastina, etoposide e bleomicina, non c'è evidenza di tossicità sugli spermatozoi di tipo A.
Sebbene non si disponga di dati circa il trattamento antiblastico effettuato dal XXXXXXXXXXXXX (tipo di farmaco e dosaggio) è sufficiente ricordare che qualora l'azoospermia persista per oltre 3 anni, è improbabile che la spermatogenesi ritorni ai livelli iniziali.
Considerato il rischio di recidiva del linfoma, attualmente in remissione (oltre al disagio dei periodici controlli strumentali), unitamente alla azoospermia, il danno biologico permanente può essere quantificato nell'ordine del 50 (cinquanta) %.
Tale valore è ottenuto facendo riferimento ai comuni baremes di valutazione, tra cui la Guida Orientativa sul Danno Biologico edita da Bargagna e Canale et al.
In particolare, alla voce sulla sterilità (impotenza generandi funzionale) è assegnata la percentuale del 15% (±30%). Posto che trattasi di soggetto di giovane età e, soprattutto, senza figli, si ritiene doveroso applicare la massima percentuale di correzione maggiorativa, approssimandosi dunque al 20 (venti)(%. In riferimento alla patologia neoplastica (Morbo di Hodgkin variante nodulare prevalentemente linfocitico stadio Ill, 2A), occorre ricordare come tale valutazione risulti difficoltosa per la complessità della natura della lesione medesima, di cui occorre considerare differenti aspetti (tipo di tumore, sede, classificazione, possibilità terapeutiche, prognosi etc). Nel caso di neoplasie trattate con esito apparentemente favorevole ma con prognosi incerta, come nel caso in oggetto, la valutazione appare ancor più complicata; nondimeno considerato che la prognosi diventa tanto più favorevole quanto maggiore è il tempo trascorso dal trattamento efficace che ha condotto alla eliminazione della malattia, pare possibile affermare che nel caso in oggetto (essendo trascorso circa un decennio) la neoplasia sia pressoché in remissione definitiva. La percentuale di menomazione ad essa conseguente può trovare riferimento nelle tabelle di valutazione allegate al Decreto del Ministero del Lavoro e della Previdenza Sociale, tenuto conto della corrispondenza dell'oggetto di tutela (danno biologico). In tali tabelle delle menomazioni, alla voce 94, che prevede: "morbo di Hodkin, stadio lA, HA con interessamento di almeno quattro siti o con presenza di massa tumorale, stadio HA, IB, HB secondo Ann Arbor in base alla persistenza di sintomi ed alla capacità di risposta alla terapia" è assegnata una percentuale di danno fino a 40 %. Per quanto suddetto, alla patologia neoplastica in oggetto, tenuto conto delle importanti alterazioni ematologiche, sembra congruo attribuire una percentuale valutativa prossima al 30%.
Infine, pur ritenendo plausibile quanto sottoscritto dal CTP di parte attrice Dott. Angeloni ("la cirrosi biliare primitiva, patologia ad eziologia e patogenesi tuttora non definita, tipica delle donne adulte, per la reazione granulomatosa che rientra nel suo quadro anatomo-patologico, per il quadro infiammatorio (reazione allo stimolo radioattivo) con inversione, al rientro dalla Somalia, del rapporto delle transaminasi (segno di lisi di cellule epatiche) e per il rapporto cronologico con le altre patologie, deve essere attribuita alla stessa etiologia") la sussistenza di una correlazione causale tra esposizione ai suddetti fattori di rischio e sviluppo di cirrosi biliare primitiva, proprio in considerazione della mancata conoscenza della patogenesi della epatopatia, è da ritenere indimostrabile, ancorché in via teorica possibile”.
Il consulente dunque, condivisamente concludeva sul punto affermando: “Esiste nesso di causalità tra linfoma di Hodgkin/anemia emolitica extraglobulare ed esposizione ad uranio impoverito”.
Sotto i diversi profili della consapevolezza in capo al Ministero della Difesa dell’impiego dell’uranio impoverito, dei rischi che esso comportava per la salute dei militari, della omessa diffusione di tali informazioni e della mancata adozione di misure protettive, occorre innanzitutto ricordare che, nel presente giudizio, il Ministero non ha mai contestato la presenza di uranio impoverito nell’area interessata dalla missione in parola (così come non ha contestato, anzi ha ammesso, la partecipazione dell’attore alla missione in Somalia) e, pertanto, tali circostanze e l’esposizione dell’attore a tali agenti patogeni devono ritenersi del tutto pacifiche.
In atti è versato un documento risalente al 1993, diffuso dal Pentagono fra i militari americani in partenza per il Corno d’Africa, in cui si indicano precauzioni da adottare in caso di esplosioni ravvicinate.
Il Pentagono spiegava il comportamento da tenere in caso di esposizione o inalazione di polvere all’uranio impoverito: “questo messaggio – si legge – viene inviato per fornire consigli e assistenza al personale medico che può trovarsi di fronte a soldati che abbiano ricevuto una esposizione, fuori dal normale, all’uranio impoverito” come ad esempio chi avesse respirato polveri o si fosse soffermato in mezzo al fumo dei veicoli incendiati o colpiti da proiettili contenenti uranio.
Nel documento prodotto (doc. n.6 attore) risalente al 1993, della Direzione della sanità militare Usa e precisamente del Department of de Army, Office of the Surgeon General, documento non classificato e quindi accessibile a tutti, può leggersi: “quando i soldati inalano o ingeriscono uranio impoverito essi incorrono in un potenziale incremento del rischio di cancro”. In un altro documento non classificato Usa, risalente al 1991, richiamato in quello sopramenzionato, si legge del rischio legato all’uranio impoverito (Peace time limits on the intake of depleted uranium) pubblicato nella appendix B top art 20, 1001 thru 2401, page 23409, Federal Register del 21 maggio1991.
È anche documentata in atti un documento di raccomandazioni risalenti al 1984 che la N.A.T.O. inviò ai paesi membri Il 20 dicembre 1984. Robin Beard, responsabile del Defence Support della N.A.T.O. (il settore che si occupa della ricerca sugli armamenti, la produzione, lo sviluppo della difesa aerea) inviava via fax, ai Paesi membri, e quindi anche all’Italia, due pagine aventi come oggetto “Come comportarsi con le strumentazioni aeree composte da uranio impoverito in caso di incidente”. In queste pagine si legge: “L’uranio impoverito presenta bassi livelli di radiazioni ma se penetra nell’organismo allora diventa molto pericoloso” (doc.28 memoria istruttoria attore).
Dalla documentazione prodotta risulta inoltre che già nel corso della prima guerra del Golfo (1991) i militari americani erano stati istruiti circa le misure di prevenzione da adottare e le modalità per trattare i soldati malati. È noto che già in tale occasione bellica si riscontrarono gli effetti dell’uranio impoverito sui militari e tra la popolazione civile irachena, che presentarono un incidenza epidemiologica decisamente più elevata della norma di patologie quali quelle che hanno colpito il Marica, per le quali si parlò di “Sindrome del Golfo”.
Nel caso specifico della Somalia, anche da innumerevoli articoli di stampa pubblicati sui maggiori quotidiani risulta che il Governo U.S.A. aveva istruito il comando militare americano (che coordinava la missione in Somalia) circa i rischi connessi all’uranio impoverito, precisando esattamente tutte le misure di prevenzione da adottare nel corso delle varie operazioni affidate ai soldati della forza di pace (docc. 19 e 24 attore).
Così come risultano essere state diramate istruzioni, inviate dal Comando americano, relative ai pericoli derivanti dall’esposizione all’uranio impoverito ed alle modalità operative per evitare la contaminazione dei soldati.
Numerose sono, infine, le testimonianze, riferite nel corso di interviste, conferenze, convegni e manifestazioni, da noi raccolte e depositate in causa, di militari italiani impegnati nella missione Ibis, i quali hanno riferito di strane nuvole di polvere che si alzavano durante le operazioni loro affidate e, soprattutto, della circostanza per cui i militari americani che collaboravano con i nostri soldati, anche a temperature elevate di circa 40 gradi, indossavano tute che riparavano completamente tutte le parti dei loro corpi, maschere e protezioni varie, mentre i militari italiani eseguivano gli incarichi con l’ordinaria divisa militare consistente in pantaloni e maglietta. I militari italiani hanno riferito di aver più volte informato i loro superiori di tali fatti, a di essere stati sempre rassicurati sulla inutilità di tali misure.
Era dunque sotto gli occhi dell’opinione pubblica internazionale la pericolosità specifica di quel teatro di guerra, sotto il profilo eziopatogenetico che qui interessa, e l’adozione da parte di altri contingenti, di misure di prevenzione particolari.
Al di là delle raccomandazioni che erano o dovevano essere note al Ministero, il fatto che ai militari americani fosse imposta l’adozione di particolari protezioni, anche in mancanza di ulteriori conoscenze, doveva allertare le autorità italiane.
Deve concludersi che, nel caso in discorso, vi sia stato un atteggiamento non commendevole e non ispirato ai principi di cautela e responsabilità da parte del Ministero della Difesa, consistito nell’aver ignorato le informazioni in suo possesso, già da lungo tempo, circa la presenza di uranio impoverito nelle aree interessate dalla missione ed i pericoli per la salute dei soldati collegati all’utilizzo di tale metallo, nel non aver impiegato tutte le misure necessarie per tutelare la salute dei propri militari e nell’aver ignorato le cautele adottate da altri Paesi impegnati nella stessa missione, nonostante l’adozione di tali misure di prevenzione fosse stata più volte segnalata dai militari italiani.
Il Ministero della Difesa sapeva dunque, doveva ed era tenuto a sapere avendone l’obbligo giuridico, dell’uso di ordigni all’uranio impoverito, della sua pericolosità e dei rischi ad esso collegati, e doveva conseguentemente ispirare la propria azione ai principi di cautela e protezione, nella salvaguardia del personale inviato col contingente italiano, da pericoli incombenti e diffusi, ulteriori e diversi dall’ineliminabile rischio insito nel “mestiere di soldato”, in quel precipuo teatro di guerra, come si è detto connotato da forte presenza di sostanze nocive ed idonee ad innescare, su un numero indeterminato di persone, per le notizie al tempo già disponibili, processi eziopatogenetici.
L’Amministrazione convenuta deve ritenersi responsabile del danno alla salute subito da XXXXXXXXXXXXX, danno che, consistendo in lesioni personali gravissime cagionate da comportamento colpevole dell’amministrazione, integra necessariamente gli estremi del correlativo reato.
La parte attrice ha domandato il risarcimento deI danno biologico, del danno patrimoniale e dei danni non patrimoniali.
La Corte Costituzionale con sentenza n.233/2003 ha ritenuto che “…può dirsi ormai superata la tradizionale affermazione secondo la quale il danno non patrimoniale riguardato dall’art. 2059 c.c. si identificherebbe con il c.d. danno morale soggettivo. In due recentissime pronunce (Cass. 31.5.2003 nn. 8827 e 8828) che hanno l’indubbio pregio di ricondurre a razionalità e coerenza il tormentato capitolo della tutela risarcitoria del danno alla persona, viene, infatti, prospettata con ricchezza di argomentazioni – nel quadro di un sistema bipolare del danno patrimoniale e di quello non patrimoniale – un’interpretazione costituzionalmente orientata dell’art. 2059 c.c., tesa a ricomprendere nell’astratta previsione della norma ogni danno di natura non patrimoniale derivante da lesione di valori inerenti alla persona: e dunque sia il danno morale soggettivo, inteso come transeunte turbamento dello stato d’animo della vittima; sia il danno biologico in senso stretto inteso come lesione dell’interesse costituzionalmente garantito all’integrità psichica e fisica della persona, conseguente ad un accertamento medico ( art. 32 Cost.); sia infine il danno (spesso definito in dottrina e in giurisprudenza come esistenziale) derivante dalla lesioni di (altri) interessi di rango costituzionale inerenti alla persona”. Quindi “si deve ritenere ormai acquisito all’ordinamento positivo il riconoscimento della lata estensione di ‘danno non patrimoniale’ inteso come danno da lesione di valori inerenti alla persona e non più solo come ‘danno morale soggettivo’ (così Cass. 31.5.2003 nn. 8827 e 8828)
Se dunque l’ordinamento positivo riconosce ormai una lata estensione di ‘danno non patrimoniale’, inteso come danno da lesione di valori inerenti alla persona tutelati costituzionalmente e non più solo come ‘danno morale soggettivo’, nondimeno tale lata nozione viene a ricomprendere necessariamente sia il danno biologico come lesione dell’interesse costituzionalmente garantito all’integrità psichica e fisica della persona, conseguente ad un accertamento medico ( art. 32 Cost.); sia il danno morale soggettivo, quale transeunte turbamento dello stato d’animo della vittima; sia il danno (c.d. esistenziale) derivante dalla lesioni di (altri) interessi di rango costituzionale inerenti alla persona”.
Nel caso del danno biologico, la sua ricostruzione come conseguenza imprescindibile di un accertamento medico, quale lesione dell’interesse costituzionalmente garantito (art. 32 Cost.) alla integrità psichica e fisica della persona, innerva un compendio invero assai ricco di situazioni e rapporti. Il danno biologico deve infatti essere comunque considerato “in relazione all’integralità dei suoi riflessi pregiudizievoli rispetto a tutte le attività, le situazioni e i rapporti in cui la persona esplica se stessa nella propria vita: non soltanto, quindi, con riferimento alla sfera produttiva, ma anche con riferimento alla sfera spirituale, culturale, affettiva, sociale, sportiva, e a ogni altro ambito e modo in cui il soggetto svolge la sua personalità e cioè a tutte le attività realizzatrici della persona umana” (cfr. Corte Cost. n. 356/1991, Corte Cost. n. 184/1986).
A tale riguardo, dunque, la valutazione medico-legale non può che avere ad oggetto il danno biologico sia nel suo aspetto statico, quale danno fisiologico (uniforme nei singoli casi in base alle tabelle di liquidazione adottate dai Tribunali), sia nei suoi aspetti dinamico-relazionali, quale insieme di conseguenze negative in concreto prodotte dalla lesione nella vita quotidiana della vittime (in modo differenziato caso per caso, secondo il prudente apprezzamento giudiziario).
La ricchezza dogmatica della figura di danno, l’esigenza di un accertamento medico legale e l’insostituibile strumento delle tabelle di liquidazione del danno alla persona, costituiscono elementi ineludibili che depongono univocamente nel senso del mantenimento di un’autonoma determinazione del danno biologico in capo alla vittima, pur dovendo tale figura ricondursi alla nozione di danno non patrimoniale nell’ambito di una logica “bipolare”, come affermata dalla recente giurisprudenza cui ci si è riferiti.
Diverso ragionamento può invece essere sviluppato con riferimento agli altri tipi di danno non patrimoniale, vale a dire per il danno morale soggettivo e per il danno derivante dalla lesioni di altri interessi di rango costituzionale inerenti alla persona.
A seguito delle richiamate sentenze Cass., 31 maggio 2003, nn. 8827 e 8828 e della Corte Cost. n. 233/2003, la giurisprudenza di merito, e fra questa quella del Tribunale di Firenze, ha evidenziato -come già posto limpidamente in luce dalle predette sentenze- che, lungi da qualsiasi operazione di duplicazione delle voci di danno, anche il danno esistenziale, ove ricorra, viene ad essere ricompreso nella più generale considerazione di un danno non patrimoniale, subito a seguito del prodursi di un fatto ingiusto di un terzo, lesivo di beni costituzionalmente protetti, senza alcuna ulteriore connotazione o qualificazione, se non a fini meramente descrittivi. Talché, in tal senso, lo strumento delle tabelle di risarcimento (anche del danno non patrimoniale oltre che “biologico”) predisposte in questo Tribunale, assolve proprio allo scopo di adeguare in concreto il risarcimento dovuto, fra i minimi ed i massimi tendenziali ivi previsti, avendo attinenza a tutte le ipotetiche e possibili voci di danno di cui finora si è discusso, “…ormai acquisito all’ordinamento positivo il riconoscimento della lata estensione di ‘danno non patrimoniale’ inteso come danno da lesione di valori inerenti alla persona e non più solo come ‘danno morale soggettivo’ (Cass. 31.5.2003 nn. 8827 e 8828).
I principi enunciati, da sempre costituenti la giurisprudenza sostanzialmente praticata da questo Tribunale di Firenze in materia, ha ricevuto da ultimo un significativo e definitivo avallo dalle Sezioni Unite del Supremo Collegio di legittimità, nel ritenere che “Il danno non patrimoniale è categoria generale non suscettibile di suddivisione in sottocategorie variamente etichettate. Non può, dunque, farsi riferimento ad una generica sottocategoria denominata "danno esistenziale", perché attraverso questa si finisce per portare anche il danno non patrimoniale nell'atipicità, sia pure attraverso l'individuazione della apparente tipica figura categoriale del danno esistenziale, in cui tuttavia confluiscono fattispecie non necessariamente previste dalla norma ai fini della risarcibilità di tale tipo di danno, mentre tale situazione non è voluta dal legislatore ordinario né è necessitata dall'interpretazione costituzionale dell'art. 2059 c.c., che rimane soddisfatta dalla tutela risarcitoria di specifici valori della persona presidiati da diritti inviolabili secondo Costituzione. Il pregiudizio non patrimoniale è risarcibile solo entro il limite segnato dalla ingiustizia costituzionalmente qualificata dell'evento di danno” (Cass. SS.UU. nr. 26972, 26973, 26974, 26975 del 11/11/2008).
Da tali sentenze, tuttavia, potrebbe ritenersi emergere un ulteriore e più intenso vincolo rivolto alla non duplicabilità (condivisibilissima e condivisa da questo Tribunale) delle voci risarcitorie, nel ritenere che “Determina … duplicazione di risarcimento la congiunta attribuzione del danno biologico e del danno morale …, sovente liquidato in percentuale (da un terzo alla metà) del primo. Esclusa la praticabilità di tale operazione, dovrà il giudice, qualora si avvalga delle note tabelle, procedere ad adeguata personalizzazione della liquidazione del danno biologico, valutando nella loro effettiva consistenza le sofferenze fisiche e psichiche patite dal soggetto leso, onde pervenire al ristoro del danno nella sua interezza. … Possono costituire solo "voci" del danno biologico nel suo aspetto dinamico, nel quale, per consolidata opinione, è ormai assorbito il c.d. danno alla vita di relazione, i pregiudizi di tipo esistenziale concernenti aspetti relazionali della vita, conseguenti a lesioni dell'integrità psicofisica, sicché darebbe luogo a duplicazione la loro distinta riparazione”.
Su tale specifico punto, da considerare non mero obiter dictum, bensì parte fondamentale delle pronunce de quo, “coperto” da ciò che è deducibile dal giudicato, valgano le seguenti considerazioni.
Rilevano le SSUU Civili, con le richiamate Sentt. n. 26972, 26973, 26974, 26975/2008, che il danno biologico, nel caso di lesione del diritto alla salute (art. 32 Cost.), ha avuto espresso riconoscimento normativo negli artt. 138 e 139 d.lgs. n. 209/2005, recante il Codice delle assicurazioni private (CAP), che individuano il danno biologico dandone una definizione suscettiva di generale applicazione, in quanto recepisce i risultati ormai definitivamente acquisiti di una lunga elaborazione dottrinale e giurisprudenziale.
L’ART. 138 del CAP offre quindi una definizione del danno biologico, apertamente richiamata dalle SSUU come parametro cui il giudice debba necessariamente riferirsi ed in tale accezione considerare, affermando che:
1. Con decreto del Presidente della Repubblica, previa deliberazione del Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro della salute, di concerto con il Ministro delle attività produttive, con il Ministro del lavoro e delle politiche sociali e con il Ministro della giustizia, si provvede alla predisposizione di una specifica tabella unica su tutto il territorio della Repubblica:a) delle menomazioni alla integrità psicofisica comprese tra dieci e cento punti;
b) del valore pecuniario da attribuire ad ogni singolo punto di invalidità comprensiva dei coefficienti di variazione corrispondenti all'età del soggetto leso.
2. La tabella unica nazionale è redatta secondo i seguenti principi e criteri:
a) agli effetti della tabella per danno biologico si intende la lesione temporanea o permanente all’integrità psico-fisica della persona suscettibile di accertamento medico-legale che esplica un’incidenza negativa sulle attività quotidiane e sugli aspetti dinamico-relazionali della vita del danneggiato, indipendentemente da eventuali ripercussioni sulla sua capacità di produrre reddito;
b) la tabella dei valori economici si fonda sul sistema a punto variabile in funzione dell’età e del grado di invalidità;c) il valore economico del punto è funzione crescente della percentuale di invalidità e l’incidenza della menomazione sugli aspetti dinamico-relazionali della vita del danneggiato cresce in modo più che proporzionale rispetto all’aumento percentuale assegnato ai postumi;
d) il valore economico del punto è funzione decrescente dell’età del soggetto, sulla base delle tavole di mortalità elaborate dall’ISTAT, al tasso di rivalutazione pari all’interesse legale;e) il danno biologico temporaneo inferiore al cento per cento è determinato in misura corrispondente alla percentuale di inabilità riconosciuta per ciascun giorno.
3. Qualora la menomazione accertata incida in maniera rilevante su specifici aspetti dinamico-relazionali personali, l’ammontare del danno determinato ai sensi della 102 tabella unica nazionale può essere aumentato dal giudice sino al trenta per cento, con equo e motivato apprezzamento delle condizioni soggettive del danneggiato.
4. Gli importi stabiliti nella tabella unica nazionale sono aggiornati annualmente, con decreto del Ministro delle attività produttive, in misura corrispondente alla variazione dell'indice nazionale dei prezzi al consumo per le famiglie di operai ed impiegati accertata dall'ISTAT.
La lesione all’integrità psico-fisica della persona, nei casi diversi dalle lesioni di lieve entità, deve tuttavia, secondo un criterio di regolarità statistica e di normalità, ritenersi suscettibile di esplicare in una estesissima molteplicità di casi, in modo frequente e comune, una determinata incidenza negativa sulle attività quotidiane e sugli aspetti dinamico-relazionali della vita del danneggiato, ostacolandone lo volgimento delle normali funzioni (per esempio, nei vari casi: difficoltà nei movimenti, nel sollevare pesi, nel sottoporsi in permanenza all’assunzione di un farmaco o di un trattamento).
Il criterio di risarcimento previsto dalla legge appare chiaro: il valore economico del punto varia con l’età ed il grado di invalidità del danneggiato (integrità psico-fisica) e sarà identico per chiunque a parità di lesione.
Tuttavia, mentre il valore economico del punto cresce proporzionalmente alla percentuale di invalidità (funzione crescente), se si riconosce una incidenza della menomazione sugli aspetti dinamico-relazionali della vita, lo stesso valore economico cresce in modo più che proporzionale rispetto all’aumento percentuale assegnato ai postumi, cioè al punto tabellare.
Dunque, tale crescita “in modo più che proporzionale” si risolve in un incremento ulteriore del valore economico del punto assegnato per la sola lesione permanente organica (integrità psico-fisica), ben riconoscibile ad attribuibile, per quanto rilevato, in modo frequente e comune, in un amplissima casistica secondo le indicazioni del CTU.
Sul punto la legge non sembra precludere, in sede di predisposizione della tabella unica nazionale, lo spazio anche per un ulteriore dettaglio tabellare che, con parametri prestabiliti di crescita del punto di invalidità permanente in modo più che proporzionale, soddisfi la correlativa esigenza ovunque si riscontrino, tenendo conto della loro entità, tali ripercussioni.
Sembra tuttavia più efficiente (e preferibile) lasciare tale aspetto dinamico, precipuamente ed eminentemente valutativo, al libero apprezzamento del giudice, che potrà e dovrà, ovunque ne verifichi i presupposti, aumentare (per es. con l’attribuzione di un ulteriore incremento in percentuale) il valore economico del punto tabellare.
Non è ancora disponibile una tabella unica nazionale, ma deve già attualmente ritenersi che non vi siano valide ragioni per escludere che la precisa indicazione del criterio risarcitorio legale non debba trovare applicazione anche utilizzando le tabelle di risarcimento del danno adottate nei singoli Tribunali.
Il criterio indicato dalla legge fino a questo punto, costituisce il procedimento per pervenire all’ammontare del danno biologico determinato ai sensi della tabella (non ancora nazionale).
L’art. 138 prevede infine che, se la menomazione accertata incide in maniera rilevante su specifici aspetti dinamico-relazionali personali, l’ammontare del danno determinato ai sensi della tabella può essere aumentato dal giudice sino al trenta per cento, con equo e motivato apprezzamento delle condizioni soggettive del danneggiato.
Dunque, rilevanza e specificità dell’incidenza della menomazione sugli aspetti dinamico-relazionali personali determinano (possono determinare) aumento dell’ammontare del danno determinato ai sensi della tabella.
In altre parole possono ben ritenersi, e conseguentemente interpretarsi le disposizioni di legge, due distinti profili:
in primo luogo, rilevanza e specificità costituiscono elementi significativamente diversi ed ulteriori rispetto alla mera incidenza negativa sulle attività quotidiane e sugli aspetti dinamico-relazionali della vita del danneggiato, riscontrabili in modo frequente e comune, con regolarità statistica in una estesissima molteplicità di casi, di cui al 2° comma dell’art. 138;
in secondo luogo, la diversa ed ulteriore indicazione di rilevanza e specificità contenuta nel 3° comma dell’art. 138 viene ad aggiungersi a quella relativa all’ammontare del danno determinato ai sensi della tabella, già considerata ed effettuata ai sensi del 2° comma.
La legge dunque, si crede debba essere interpretata nel senso che, lungi dal contemplare al 3° comma dell’art. 138 CPA un limite generale di aumento fino al 30% dell’ammontare del danno determinato ai sensi della tabella, ben può ritenersi prevedere un distinto ed ulteriore aumento, non tacciabile di alcuna duplicazione risarcitoria, per la rilevanza e specificità dell’incidenza della menomazione sugli aspetti dinamico-relazionali personali. Come si è detto, infatti, per quanto attiene alle normali conseguenze incidenti sulle attività quotidiane e sugli aspetti dinamico-relazionali della vita del danneggiato, l’aumento potrebbe essere addirittura ulteriormente “tabellato” a priori, incrementando “in modo più che proporzionale” i valori economici previsti dalla tabella unica nazionale, differenziandosi così dall’incremento previsto dal 3° comma dell’art. 138 CPA, che può essere aumentato solo dal giudice.
Le stesse SSUU, con la citata sentenza, hanno chiarito che la sofferenza morale soggettiva, il turbamento dell'animo, il dolore intimo sofferti, senza ulteriori connotazioni in termini di durata, integrano un unico pregiudizio non patrimoniale e, qualora costituiscano componente di più complesso pregiudizio non patrimoniale che affasci anche una lesione all’integrità psico-fisica della persona suscettibile di accertamento medico-legale, possono costituire solo "voci" del danno biologico nel suo aspetto dinamico, nel quale sono assorbiti i pregiudizi di tipo esistenziale concernenti aspetti relazionali della vita, dovendo il giudice, qualora si avvalga delle tabelle, procedere ad adeguata personalizzazione della liquidazione del danno biologico, valutando nella loro effettiva consistenza le sofferenze fisiche e psichiche patite dal soggetto leso, onde pervenire al ristoro del danno nella sua interezza.
Sofferenza morale soggettiva, turbamento dell'animo, dolore intimo sofferti, perdita del rapporto parentale, ecc, costituiscono "voci" del danno biologico nel suo aspetto dinamico e ben possono riconoscersi individuare ed identificarsi con la rilevanza e specificità dell’incidenza della menomazione sugli aspetti dinamico-relazionali personali, prevista dall’art. 138 3° comma CAP, necessitando di adeguata personalizzazione della liquidazione del danno biologico, onde pervenire all’integrale ristoro del danno, mediante distinto ed ulteriore aumento e con equo e motivato apprezzamento delle condizioni soggettive del danneggiato.
La legge prevede che tale ultimo ed esaustivo aumento possa essere effettuato dal giudice sino al trenta per cento dell’ammontare del danno determinato ai sensi della tabella unica nazionale, ponendo così un limite alla sua entità.
È tuttavia da rilevare che da una parte tale limite, per la sedes materiae in cui è inserita la previsione, riguardi esclusivamente le ipotesi di risarcimento del danno cagionato dalla circolazione stradale e non anche tutte le altre ipotesi di risarcimento del danno non patrimoniale sub speciem biologico; dall’altra che il limite dell’aumento fino al 30% sia intrinsecamente connesso alla redigenda tabella unica nazionale, che dovrà necessariamente fondarsi, anche per la complessità del procedimento di approvazione e per la pluralità di fonti e interessi in essa contemplati (deliberazione del Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro della salute, di concerto con il Ministro delle attività produttive, con il Ministro del lavoro e delle politiche sociali e con il Ministro della giustizia), su una logica comparativa, ponderata ed attuariale che delimiti i confini del paniere risarcitorio per la RCA, in mancanza del quale, il limite appare del tutto inattuale e non operativo, come pacificamente ritenuto finora dalla giurisprudenza.
Come dianzi già esposto, il Tribunale di Firenze, sul punto, aveva ritenuto, successivamente alle sentenze gemelle nn. 8827 e 8828 del 2003 e fino alle SSUU 26972, 26973, 26974, 26975/2008, per il pregiudizio non patrimoniale costituente componente di più complesso pregiudizio comprensivo anche di una lesione all’integrità psico-fisica della persona, di adottare la seguente regola: “Tendenzialmente fino ad 1/3 del biologico (temporaneo+permanente) ulteriormente diminuibile o aumentabile discrezionalmente, e quindi con equo e motivato apprezzamento”.
La tendenzialità “forte” ed accentuata del criterio sembra rispondere pienamente all’esigenza di esclusione di qualsiasi automatismo e duplicazione ed al contempo di garantire l’adeguata personalizzazione della liquidazione del danno biologico, valutando nella loro effettiva consistenza le sofferenze fisiche e psichiche patite dal soggetto leso, onde pervenire al ristoro del danno nella sua interezza.
In definitiva, dunque, il Tribunale, “sinotticamente” leggendo e interpretando i principi enunciati dalle richiamate recenti sentenze delle SS.UU. e l’art. 138 CAP, ritiene di dover procedere, per l’eventuale liquidazione del danno non patrimoniale costituente sofferenza morale soggettiva, turbamento dell'animo, dolore intimo sofferti, perdita del rapporto parentale, ecc, all’ulteriore aumento previsto dall’art. 138 comma 3° CAP, identificandosi tali pregiudizi nella incidenza rilevante su specifici aspetti dinamico-relazionali personali, adottando la regola in uso presso questo Tribunale, senza che ciò possa dirsi costituire duplicazione di alcuna voce già considerata nel procedimento di liquidazione del danno biologico, né da ciò derivando alcun automatismo.
Viene pertanto adottato il criterio di liquidazione equitativa basato sul punto di invalidità di cui alle tabelle ponderate in uso presso questo Tribunale, tendenzialmente aumentabile per consentire di rapportare la liquidazione al fatto concreto ed alle sue ridondanze sul modo di essere della persona in relazione all’ambiente in cui è inserito, alla sfera interrelazionale, alle utilità che ne riceveva, alla perdita di valori somato-estetici, ecc..
Nel caso di specie, tuttavia, il consulente d’Ufficio ha chiarito di avere già considerato e valutato interamente le suddette ridondanze sul modo di essere della persona, nella loro connotazione pluridimensionale di compromissioni a condizioni/funzioni individuali.
Il Tribunale, sul punto, si atterrà, condividendola, alla valutazione esplicitata dal CTU, onde evitare proprio l’ingiusta “duplicazione” di voci risarcitorie ormai universalmente deprecata.
Viene senz’altro riconosciuto il danno non patrimoniale, nell’ampia accezione sopra riferita. Peraltro deve considerarsi che l’attore ha indubbiamente subito una intensissima sofferenza morale, costituita da vedersi affetto da una patologia dall’esito ritenuto generalmente mortale, dal doversi sottrarre necessariamente al normale svolgimento della vita adeguato ad un ragazzo della sua età, dal vedersi successivamente affliggere da ulteriori patologie, tutte derivanti dall’esposizione ad agenti patogeni cui era stato sottoposto, dal vedere la propria vita ridotta ad un continuo ingresso in strutture sanitarie per far argine alle disfunzioni ed malessere organico che dalle malattie derivava. Tali sofferenze psichiche, tuttora in atto, meritano, secondo il prudente apprezzamento del Tribunale, adeguato ristoro, in una misura approssimata allo stesso danno biologico.
Sono inoltre dovute le spese mediche di genere vario, sostenute o da sostenere, in quanto documentate ovvero presumibili e notorie quali normali effetti dell'evento lesivo.
Parte attrice ha richiesto anche il risarcimento del danno patrimoniale futuro derivante dalla diminuzione della propria capacità lavorativa specifica.
Orbene, la ricostruzione del sistema risarcitorio nell’ambito del danno alla persona, operata dalla nota sentenza della Corte Costituzionale n. 184/1986, vede coincidere il danno “patrimoniale od economico” con il “lucro cessante da invalidità lavorativa in concreto incidente sulla capacità di guadagno del danneggiato” con una visione completamente antitetica ai redditi “figurati” o alle “presunte diminuzioni di guadagno” sui quali in precedenza si misurava la riduzione di una altrettanto “fittizia” capacità di lavoro.
XXXXXXXXXXXXX al tempo in cui contrasse la patologia (o meglio, la serie patologica) da cui è affetto, era militare di leva, talché non appare possibile individuare in concreto, in tale attività, il lavoro o professione produttiva di reddito cui agganciare la correlativa valutazione.
D’altra parte, la gravità delle conseguenze del danno subito affasciano non una particolare capacità di attendere un determinato lavoro o professione, bensì, indeterminatamente, qualsiasi lavoro o professione.
Il CTU ha in effetti, su tale punto, apertamente ammesso una incidenza dei postumi derivanti dalla esposizione ad uranio impoverito (e ad altri agenti nocivi) sul modo di essere della persona in relazione all’ambiente in cui è inserito, alla sfera interrelazionale, alle utilità che ne riceveva, alla perdita di valori somato-estetici, ecc..
Se tale era la domanda svolta da parte attrice, vale a dire comprensiva anche del riconoscimento del diritto al risarcimento per la perdita della capacità di produrre reddito, danno di tipo patrimoniale, e per tale viene senz’altro in questa sede qualificata, essa deve essere in questa parte rigettata, in quanto mancante proprio dell’indefettibile presupposto della concreta incidenza sulla capacità di guadagno del danneggiato.
Deve semmai rilevarsi che la riferita CTU medico legale, come già esaminato, indicava postumi permanenti che menomano l’integrità psicofisica del leso nella misura del 50 %. Il CTU, ha quindi sostanzialmente individuato in detta percentuale il danno conseguenza definitivamente subito da XXXXXXXXXXXXX, in ordine al quale, tenendo conto della sua entità, dell’età del danneggiato al tempo del fatto e delle sue correlative capacità di ripresa, il profilo di danno attinente alle conseguenze ulteriori, ridondanti invece in depauperamenti delle possibilità realizzative della persona, fra cui la perdita di capacità lavorativa generica, risulta essere stato già considerato in sede peritale. Tale chiarimento consente di ritenere, che nel caso de quo si sia effettivamente venuta a determinare una, anche ingente ed estesa, perdita nella sfera della salute dell’individuo: bene unico, non scomponibile e che semmai compendia, tra l’altro, anche la così detta capacità generica di lavoro. Cosicché, lungi dal riconoscere autonoma rilevanza alla capacità lavorativa generica, si è considerato, come evidenziato nel prospetto sotto riportato, assegnando il correlativo valore economico al punto tabellare, di ritenere intrinsecamente già considerati i riflessi che le menomazioni, in sintonia con quanto indicato dal CTU, hanno prodotto sulle attività realizzatrici dell’uomo, fra cui la (così ormai impropriamente detta) capacità generica di attendere ad un lavoro.
È dovuto il danno subito per la mancata tempestiva corresponsione dell’equivalente pecuniario del bene danneggiato, applicando quale criterio di riferimento quello degli interessi, ad un saggio annuo equitativamente determinato nella misura del 2,5 % (Cass. Sez. Un., sent. n° 1712 del 1995).
Ogni voce di danno finora esaminata viene riepilogata nella seguente tabella, in cui ogni correlativo valore monetario (rivalutato secondo tabella al gennaio 2007) sarà espresso in moneta attuale, così da rendere ingiusta e superflua qualsiasi ulteriore rivalutazione pecuniaria e dove si darà conto delle operazioni estimative e liquidatorie necessarie.
Per quanto sopra esposto, dovranno essere calcolati interessi sul capitale devalutato al giorno dell’insorgenza del processo patologico, da individuarsi con il termine finale della missione in Somalia (05/07/1993) al saggio equitativamente sopra determinato fino alla prolazione della presente sentenza, ammontare, quest’ultimo, che dovrà essere aggiunto alla somma dovuta per il capitale liquidato e non devalutato.
VOCI ED ELEMENTI DI DANNO
VALORI
Età all'epoca del fatto
21
Percentuale invalidità permanente
%
50
(Valore tabellare demoltiplicato per il coefficiente d'abbattimento per età)
€.5.419,82
0,91
Valore tabellare del punto

€.4.932,04
Valore punto ragguagliato

€.4.932,04
Liquidazione invalidità permanente

€.246.601,81
Inabilità temporanea totale
gg.
240
Inabilità temporanea parziale al 50%
gg.
365
Valore giorno assoluta

€.67,36
Valore giorno relativa

€.33,68
(temporanea totale e parziale)
€.16.166,40
€.12.293,20
Liquidazione inabilità temporanea
€.28.459,60
Danno biologico

€275.061,41
Danno non patrimoniale

€.250.000,00
Spese documentate o presumibili

€.20.000,00
Capitale

€.545.061,41
Le spese seguono la soccombenza, e si liquidano in dispositivo.
P.Q.M.
definitivamente pronunziando sulla domanda proposta da XXXXXXXXXXXXX con atto di citazione notificato il 26/06/2003 nei confronti del MINISTERO DELLA DIFESA, in persona del Ministro p.t., ogni diversa e contraria istanza, eccezione, richiesta disattesa così provvede:
CONDANNA
Il MINISTERO DELLA DIFESA al risarcimento del danno subito da XXXXXXXXXXXXX mediante il pagamento a quest’ultimo della somma di € 545.061,41, oltre interessi equitativamente determinati al 2,5% annuo su detta somma devalutata al 05/07/1993 fino alla prolazione della presente sentenza.
CONDANNA
Il MINISTERO DELLA DIFESA al pagamento delle spese processuali che si liquidano in complessivi € 23.170,00, di cui € 670,00 per spese, € 5.000,00 per diritti, € 15.000,00 per onorari ed € 2.500,00 per spese generali, oltre IVA e CAP sull'imponibile come per legge.
Sentenza immediatamente e provvisoriamente esecutiva ai sensi del D.L. 18 ottobre 1995 n° 432, convertito con modificazioni nella L. 20.12.1995 n° 534.
Così deciso in Firenze, 17/12/2008.
IL GIUDICE (Roberto Monteverde)

Decreto flussi: le istruzioni per le domande di nulla osta per il lavoro in somministrazione

Le agenzie per il lavoro possono fare domanda di nulla osta per l’ingresso di lavoratori non comunitari per motivi di lavoro in somministraz...