mercoledì 30 luglio 2008

E' legittima l'inderogabilità assoluta dei minimi tariffari forensi?


La sentenza della Corte di Giustizia sull'inderogabilità dei minimi tariffari forensi - E' legittima l'inderogabilità assoluta dei minimi tariffari forensi?
C. Di Franco (Approfondimento 11/7/2007)
Sull'inderogabilità dei minimi tariffari forensi

di Clorinda Di Franco
(Corte di Giustizia U.E., Sez. Grande Sezione, 5 dicembre 2006, Cause riunite C - 94/04 e C - 202/04)


E' legittima l'inderogabilità assoluta dei minimi tariffari forensi?



Il caso.
Tre proprietari di terreni confinanti, oggetto di procedura espropriativa da parte del Comune, si sono rivolti ad un avvocato per conseguire il pagamento dell'indennità per l'occupazione d'urgenza dei loro terreni, non seguita da alcun decreto espropriativo. L'avvocato ha predisposto tre atti di citazione contro il Comune, iscrivendo a ruolo tre procedimenti distinti; per detta attività ha ricevuto la somma di lire 1.850.000, a titolo di anticipo per la gestione della causa. I proprietari hanno concluso una transazione con il Comune, componendo la lite senza l'intervento del legale. Questi ha emesso una parcella di lire 4.125.000, a copertura del proprio onorario, calcolato secondo la tariffa forense vigente, fissata con delibera del Consiglio nazionale forense in base a quanto previsto dalla legge 22 gennaio 1934, n. 36. Di fronte al rifiuto dei tre clienti di pagare la somma, il legale si rivolge al Tribunale di Torino, con esito sfavorevole. Quindi, adisce la Corte di appello, chiedendo in applicazione della tariffa forense il pagamento della somma contestata.La Corte, con decisione del 4 febbraio 2004, sospende il processo proponendo domanda di interpretazione pregiudiziale alla Corte di Giustizia, al fine di verificare la conformità comunitaria della legge 36/1934 sull'inderogabilità dei minimi tariffari forensi.Una controversia analoga, tra un cliente ed un avvocato, pende dinnanzi al Tribunale di Roma, investito dell'opposizione al decreto ingiuntivo ottenuto dal legale per il pagamento di un compenso, calcolato secondo le tariffe forensi vigenti, per delle prestazioni stragiudiziali eseguite in loro favore in materia di diritto di autore. Il cliente sostiene il carattere sproporzionato dell'onorario preteso rispetto all'attività svolta, che, data la natura stragiudiziale, non richiede necessariamente la qualifica legale.Il Tribunale di Roma, con decisione del 7 aprile 2004, solleva questione pregiudiziale dinnanzi alla Corte di Giustizia, in modo da verificare se l'applicazione della tariffa forense anche all'attività stragiudiziale sia compatibile con il diritto comunitario.La Corte di Giustizia, dispone la riunione per connessione dei due procedimenti e il 5 dicembre 2006 deposita la sentenza con cui risolve la questione interpretativa.
Sintesi della questione.

La Corte di Giustizia è chiamata a rispondere ai seguenti quesiti:

- I principi comunitari della libera prestazione dei servizi (art. 49 Trattato) e della concorrenza (artt. 81 e 82 trattato) si applicano all'offerta dei servizi legali?
- Possono le parti determinare liberamente il compenso per la prestazione professionale? Un eventuale accordo in tale senso è valido?
- E' legittima una normativa, come quella italiana, che prevede il calcolo degli onorari forensi secondo tariffe inderogabili nel minimo?
- E ?legittima la determinazione delle tariffe professionali sulla base di un progetto elaborato da un ordine professionale quale il Consiglio Nazionale Forense ?- E' compatibile con il diritto comunitario l'applicazione di dette tariffe anche alle prestazioni stragiudiziali, che possono essere rese anche da operatori diversi dagli avvocati?
La normativa.L'art. 57 del regio decreto legge 27 novembre 1933, n. 1578, convertito nella legge 22 gennaio 1934, n. 36, dispone: "I criteri per la determinazione degli onorari e delle indennità dovute agli avvocati ed ai procuratori in materia penale e stragiudiziale sono stabiliti ogni biennio con deliberazione del Consiglio nazionale forense. Nello stesso modo provvede il Consiglio nazionale forense per quanto concerne la determinazione degli onorari nei giudizi penali davanti alla Corte suprema di cassazione ed al Tribunale supremo militare. Le deliberazioni con le quali si stabiliscono i criteri di cui al comma precedente devono essere approvate dal Ministro per la grazia e giustizia ".L'art. 58 dispone: "I criteri di cui al precedente articolo, sono stabiliti con riferimento al valore delle controversie ed al grado dell'autorità chiamata a conoscerne, e, per i giudizi penali, anche alla durata di essi. Per ogni atto o serie di atti devono essere fissati i limiti di un massimo e di un minimo. Nelle materie stragiudiziali va tenuto conto dell'entità dell'affare".L'art. 59 recita: "La sentenza che porti condanna nelle spese deve contenerne la tassazione. A tal fine ciascun procuratore è obbligato a presentare, insieme con gli atti della causa, la nota delle spese, delle proprie competenze e dell'onorario dell'avvocato, secondo le norme del codice di procedura civile e del regolamento generale giudiziario. Qualora tale obbligo non venga adempiuto, con la sentenza si provvede alla tassazione delle spese nonché delle competenze di procuratore e dell'onorario di avvocato in base agli atti della causa. I procuratori inadempienti sono condannati con la stessa sentenza al pagamento a favore dell'erario dello Stato di una somma da lire duecento a lire cinquecento. Per quanto riguarda l'onorario di avvocato, alla nota delle spese può essere unito, all'atto della presentazione di essa ed in ogni caso non oltre dieci giorni dall'assegnazione della causa a sentenza, il parere del Consiglio dell'ordine degli avvocati e procuratori".Per l'art. 60:"La liquidazione degli onorari è fatta dall'autorità giudiziaria in base ai criteri stabiliti a termini dell'art. 57, tenuto conto della gravità e del numero delle questioni trattate. Per le cause di valore indeterminato o relative a materie non suscettibili di valutazione pecuniaria si ha riguardo alla natura e all'importanza della contestazione. Per determinare il valore della controversia si ha riguardo a ciò che ha formato oggetto di vera contestazione. L'autorità giudiziaria deve contenere la liquidazione entro i limiti del massimo e del minimo fissati a termini dell'articolo 58. Tuttavia nei casi di eccezionale importanza, in relazione alla specialità delle controversie, quando il pregio intrinseco dell'opera lo giustifichi, il Giudice può oltrepassare il limite massimo; è parimenti in sua facoltà, quando la causa risulti di facile trattazione, di attribuire l'onorario in misura inferiore al minimo. In questi casi la decisione del Giudice deve essere motivata. Le stesse norme si applicano nei giudizi arbitrali"L'art. 49 del Trattato CE dispone: "Nel quadro delle disposizioni seguenti, le restrizioni alla libera prestazione dei servizi all'interno della Comunità sono vietate nei confronti dei cittadini degli Stati membri stabiliti in un paese della Comunità che non sia quello del destinatario della prestazione. Il Consiglio, deliberando a maggioranza qualificata su proposta della Commissione, può estendere il beneficio delle disposizioni del presente capo ai prestatori di servizi, cittadini di un paese terzo e stabiliti all'interno della Comunità".Per l'art. 81 del Trattato:"Sono incompatibili con il mercato comune e vietati tutti gli accordi tra imprese, tutte le decisioni di associazioni di imprese e tutte le pratiche concordate che possano pregiudicare il commercio tra Stati membri e che abbiano per oggetto e per effetto di impedire, restringere o falsare il gioco della concorrenza all'interno del mercato comune ed in particolare quelli consistenti nel:a) fissare direttamente o indirettamente i prezzi d'acquisto o di vendita ovvero altre condizioni di transazione;b) limitare o controllare la produzione, gli sbocchi, lo sviluppo tecnico o gli investimenti;c) ripartire i mercati o le fonti di approvvigionamento;d) applicare, nei rapporti commerciali con gli altri contraenti, condizioni dissimili per prestazioniequivalenti, così da determinare per questi ultimi uno svantaggio nella concorrenza;e) subordinare la conclusione di contratti all'accettazione da parte degli altri contraenti di prestazioni supplementari, che, per loro natura o secondo gli usi commerciali, non abbiano alcun nesso con l'oggetto dei contratti stessi. Gli accordi o decisioni, vietati in virtù del presente articolo, sono nulli di pieno diritto."Per l' articolo 82:"È incompatibile con il mercato comune e vietato, nella misura in cui possa essere pregiudizievole al commercio tra Stati membri, lo sfruttamento abusivo da parte di una o più imprese di una posizione dominante sul mercato comune o su una parte sostanziale di questo.Tali pratiche abusive possono consistere in particolare:a) nell'imporre direttamente od indirettamente prezzi d'acquisto, di vendita od altre condizioni di transazione non eque;b) nel limitare la produzione, gli sbocchi o lo sviluppo tecnico, a danno dei consumatori;c) nell'applicare nei rapporti commerciali con gli altri contraenti condizioni dissimili per prestazioni equivalenti, determinando così per questi ultimi uno svantaggio per la concorrenza;d) nel subordinare la conclusione di contratti all'accettazione da parte degli altri contraenti di prestazioni supplementari, che, per loro natura o secondo gli usi commerciali, non abbiano alcun nesso con l'oggetto dei contratti stessi."
La risposta della Corte di Giustizia (sent. 26 ottobre, C 198/05)

La Corte di Giustizia, innanzi tutto, osserva che gli artt. 81 e 82 del Trattato, applicabili anche al mercato dei servizi legali, impongono agli Stati membri di non adottare provvedimenti idonei a falsare la concorrenza tra le imprese. Già, in altra occasione, la Corte ha affermato che viola il diritto comunitario lo Stato che, in qualsiasi modo, imponga o agevoli la conclusioni di accordi tra imprese in contrasto con l'art. 81 e 82 del Trattato, ovvero deleghi ad operatori privati il suo compito fondamentale di regolare l'economia mediante l'adozione di provvedimenti in grado di influire sul gioco della concorrenza tra le imprese (così ord, 17 febbraio 2005, causa C - 250/03, Mauri).
Ora, la legge italiana n. 33/1934 che, agli articoli 57 - 60, prevede la determinazione delle tariffe professionali forensi in base ad un progetto di massima redatto dal Consiglio nazionale forense, non si pone in contrasto con l'art. 81 sopra citato, in quanto detto sistema di determinazione non si traduce in una rinuncia da parte dello Stato all'esercizio di una sua prerogativa, a vantaggio dei privati. Il CNF agisce quale articolazione del potere pubblico e, in ogni caso, la tariffa per entrare in vigore necessita dell'approvazione da parte del Ministro della giustizia.
la Corte afferma che «non si può ritenere che lo Stato italiano abbia rinunciato ad esercitare il proprio potere delegando ad operatori privati la responsabilità di prendere decisioni di intervento nel settore economico, il che avrebbe portato a privare del suo carattere pubblico la normativa di cui trattasi nella causa principale».
Sulla base di queste considerazioni essa ritiene che «gli artt. 10, 81 e 82 CE non ostano all'adozione, da parte di uno Stato membro, di un provvedimento normativo che approvi, sulla base di un progetto elaborato da un ordine professionale forense quale il Consiglio Nazionale forense, una tariffa che fissi un limite minimo per gli onorari degli avvocati e a cui, in linea di principio, non sia possibile derogare né per le prestazioni riservate agli avvocati né per quelle, come le prestazioni di servizi stragiudiziali, che possono essere svolte anche da qualsiasi altro operatore economico non vincolato da tale tariffa».
Tuttavia, inderogabilità assoluta dei minimi tariffari può costituire una restrizione della libertà di prestazione dei servizi sancita dall'art. 49 del Trattato CE, che impone l'eliminazione di qualsiasi barriera alla prestazione dei servizi nell'ambito del territorio dell'Unione. Infatti, il divieto di derogare ai minimi tariffari può avere l'effetto concreto di rendere difficile l'accesso degli avvocati stranieri al mercato italiano dei servizi legali, in quanto vincolati in Italia al rispetto dei minimi tariffari; inoltre, limita la possibilità di scelta dei destinatari dell'offerta del servizio, che non possono avvalersi dell'opera di professionisti disposti ad accettare compensi inferiori a quella legali.
A giustificare il divieto in parola potrebbero essere invocati motivi di interesse pubblico, gli unici che, secondo la costante giurisprudenza comunitaria, consentono una deroga ai principi del Trattato U.E. (ex plurimis, Corte di Giustizia sent. 12 dicembre 1996, C - 3/95; idem, sent. 21 settembre 1999, C - 124/97).In proposito, ai giudici della Grande Sezione non sembra plausibile la tesi sostenuta dal Governo italiano per cui, in assenza di una norma che imponga i minimi tariffari, si avrebbe un'eccessiva competizione tra i professionisti, a scapito della qualità delle prestazioni professionali, con grave danno per gli utenti del servizio. Piuttosto, osserva la Corte, non è affatto dimostrato alcun nesso di causalità tra l'obbligatorietà dei minimi tariffari e l'elevato qualità del servizio fornito dagli avvocati. «In realtà, una relazione diretta di causa - effetto con la tutela dei clienti degli avvocati ed il buon funzionamento dell'amministrazione della giustizia varrebbe per i provvedimenti statali alternativi, come, in particolare, le norme di accesso alla professione forense, le regole disciplinari in grado di far rispettare la deontologia professionale e la disciplina in materia di responsabilità civile, grazie al mantenimento, assicurato da tali provvedimenti, di un livello elevato di qualità dei servizi fornito da tali professionisti».
Al riguardo, osservano i giudici comunitari che la tutela del consumatore e la buona amministrazione della giustizia sono obiettivi che possono rientrare tra i motivi di interesse pubblico in grado di giustificare una restrizione della libertà di prestazione dei servizi sancita dall'art. 49 del Trattato, sempre che «il provvedimento nazionale di cui si discute sia idoneo a garantire la realizzazione dell'obiettivo perseguito e non vada oltre quanto necessario per raggiungere l'obiettivo medesimo».
La Corte demanda al giudice del rinvio l'analisi necessaria al riguardo. Questi, in particolare, dovrà valutare se sussiste una relazione tra il livello degli onorari e la qualità delle prestazioni legali, tenendo conto delle peculiarità del mercato dei servizi legali italiano, caratterizzato da una massiccia presenza di avvocati, nonché dell'asimmetria informativa che configura di norma il rapporto tra avvocato e cliente - consumatore. Dovrà, altresì, verificare se gli obiettivi sopra menzionati della tutela del consumatore e della buona giustizia non possano essere utilmente realizzati con provvedimenti alternativi più efficaci, quali la fissazione di adeguate norme di organizzazione o di deontologia o di qualificazione. In conclusione, una normativa, come quella italiana «che vieti in maniera assoluta di derogare convenzionalmente agli onorari minimi determinati da una tariffa forense, per prestazioni che sono al tempo stesso di natura giudiziale e riservate agli avvocati costituisce una restrizione della libera prestazione dei servizi prevista dall'art. 49 CE.Gettato il sasso, la Corte ritira la mano nel momento in cui successivamente stabilisce però che: Spetta al giudice del rinvio verificare se tale normativa, alla luce delle sue concrete modalità di applicazione, risponda realmente agli obiettivi della tutela dei consumatori e della buona amministrazione della giustizia, che possono giustificarla, e se le restrizioni che essa impone non appaiano sproporzionate rispetto a tali obiettivi».
In definitiva, la sentenza non arriva ad una soluzione decisa ed univoca; le parole della Corte lasciano intuire che essa non condivide la scelta del legislatore italiano di imporre minimi tariffari inderogabili in senso assoluto perché contrassegnata da profili di illegittimità comunitaria, sebbene essa si mostri al riguardo molto cauta, demandando al giudice nazionale il riscontro della compatibilità comunitaria della normativa italiana.

tratto dal Altalex mese n. 1/2007 (http://www.altalexmese.it/)

E' legittima l'inderogabilità assoluta dei minimi tariffari forensi?


La sentenza della Corte di Giustizia sull'inderogabilità dei minimi tariffari forensi - E' legittima l'inderogabilità assoluta dei minimi tariffari forensi?
C. Di Franco (Approfondimento 11/7/2007)
Sull'inderogabilità dei minimi tariffari forensi

di Clorinda Di Franco
(Corte di Giustizia U.E., Sez. Grande Sezione, 5 dicembre 2006, Cause riunite C - 94/04 e C - 202/04)


E' legittima l'inderogabilità assoluta dei minimi tariffari forensi?



Il caso.
Tre proprietari di terreni confinanti, oggetto di procedura espropriativa da parte del Comune, si sono rivolti ad un avvocato per conseguire il pagamento dell'indennità per l'occupazione d'urgenza dei loro terreni, non seguita da alcun decreto espropriativo. L'avvocato ha predisposto tre atti di citazione contro il Comune, iscrivendo a ruolo tre procedimenti distinti; per detta attività ha ricevuto la somma di lire 1.850.000, a titolo di anticipo per la gestione della causa. I proprietari hanno concluso una transazione con il Comune, componendo la lite senza l'intervento del legale. Questi ha emesso una parcella di lire 4.125.000, a copertura del proprio onorario, calcolato secondo la tariffa forense vigente, fissata con delibera del Consiglio nazionale forense in base a quanto previsto dalla legge 22 gennaio 1934, n. 36. Di fronte al rifiuto dei tre clienti di pagare la somma, il legale si rivolge al Tribunale di Torino, con esito sfavorevole. Quindi, adisce la Corte di appello, chiedendo in applicazione della tariffa forense il pagamento della somma contestata.La Corte, con decisione del 4 febbraio 2004, sospende il processo proponendo domanda di interpretazione pregiudiziale alla Corte di Giustizia, al fine di verificare la conformità comunitaria della legge 36/1934 sull'inderogabilità dei minimi tariffari forensi.Una controversia analoga, tra un cliente ed un avvocato, pende dinnanzi al Tribunale di Roma, investito dell'opposizione al decreto ingiuntivo ottenuto dal legale per il pagamento di un compenso, calcolato secondo le tariffe forensi vigenti, per delle prestazioni stragiudiziali eseguite in loro favore in materia di diritto di autore. Il cliente sostiene il carattere sproporzionato dell'onorario preteso rispetto all'attività svolta, che, data la natura stragiudiziale, non richiede necessariamente la qualifica legale.Il Tribunale di Roma, con decisione del 7 aprile 2004, solleva questione pregiudiziale dinnanzi alla Corte di Giustizia, in modo da verificare se l'applicazione della tariffa forense anche all'attività stragiudiziale sia compatibile con il diritto comunitario.La Corte di Giustizia, dispone la riunione per connessione dei due procedimenti e il 5 dicembre 2006 deposita la sentenza con cui risolve la questione interpretativa.
Sintesi della questione.

La Corte di Giustizia è chiamata a rispondere ai seguenti quesiti:

- I principi comunitari della libera prestazione dei servizi (art. 49 Trattato) e della concorrenza (artt. 81 e 82 trattato) si applicano all'offerta dei servizi legali?
- Possono le parti determinare liberamente il compenso per la prestazione professionale? Un eventuale accordo in tale senso è valido?
- E' legittima una normativa, come quella italiana, che prevede il calcolo degli onorari forensi secondo tariffe inderogabili nel minimo?
- E ?legittima la determinazione delle tariffe professionali sulla base di un progetto elaborato da un ordine professionale quale il Consiglio Nazionale Forense ?- E' compatibile con il diritto comunitario l'applicazione di dette tariffe anche alle prestazioni stragiudiziali, che possono essere rese anche da operatori diversi dagli avvocati?
La normativa.L'art. 57 del regio decreto legge 27 novembre 1933, n. 1578, convertito nella legge 22 gennaio 1934, n. 36, dispone: "I criteri per la determinazione degli onorari e delle indennità dovute agli avvocati ed ai procuratori in materia penale e stragiudiziale sono stabiliti ogni biennio con deliberazione del Consiglio nazionale forense. Nello stesso modo provvede il Consiglio nazionale forense per quanto concerne la determinazione degli onorari nei giudizi penali davanti alla Corte suprema di cassazione ed al Tribunale supremo militare. Le deliberazioni con le quali si stabiliscono i criteri di cui al comma precedente devono essere approvate dal Ministro per la grazia e giustizia ".L'art. 58 dispone: "I criteri di cui al precedente articolo, sono stabiliti con riferimento al valore delle controversie ed al grado dell'autorità chiamata a conoscerne, e, per i giudizi penali, anche alla durata di essi. Per ogni atto o serie di atti devono essere fissati i limiti di un massimo e di un minimo. Nelle materie stragiudiziali va tenuto conto dell'entità dell'affare".L'art. 59 recita: "La sentenza che porti condanna nelle spese deve contenerne la tassazione. A tal fine ciascun procuratore è obbligato a presentare, insieme con gli atti della causa, la nota delle spese, delle proprie competenze e dell'onorario dell'avvocato, secondo le norme del codice di procedura civile e del regolamento generale giudiziario. Qualora tale obbligo non venga adempiuto, con la sentenza si provvede alla tassazione delle spese nonché delle competenze di procuratore e dell'onorario di avvocato in base agli atti della causa. I procuratori inadempienti sono condannati con la stessa sentenza al pagamento a favore dell'erario dello Stato di una somma da lire duecento a lire cinquecento. Per quanto riguarda l'onorario di avvocato, alla nota delle spese può essere unito, all'atto della presentazione di essa ed in ogni caso non oltre dieci giorni dall'assegnazione della causa a sentenza, il parere del Consiglio dell'ordine degli avvocati e procuratori".Per l'art. 60:"La liquidazione degli onorari è fatta dall'autorità giudiziaria in base ai criteri stabiliti a termini dell'art. 57, tenuto conto della gravità e del numero delle questioni trattate. Per le cause di valore indeterminato o relative a materie non suscettibili di valutazione pecuniaria si ha riguardo alla natura e all'importanza della contestazione. Per determinare il valore della controversia si ha riguardo a ciò che ha formato oggetto di vera contestazione. L'autorità giudiziaria deve contenere la liquidazione entro i limiti del massimo e del minimo fissati a termini dell'articolo 58. Tuttavia nei casi di eccezionale importanza, in relazione alla specialità delle controversie, quando il pregio intrinseco dell'opera lo giustifichi, il Giudice può oltrepassare il limite massimo; è parimenti in sua facoltà, quando la causa risulti di facile trattazione, di attribuire l'onorario in misura inferiore al minimo. In questi casi la decisione del Giudice deve essere motivata. Le stesse norme si applicano nei giudizi arbitrali"L'art. 49 del Trattato CE dispone: "Nel quadro delle disposizioni seguenti, le restrizioni alla libera prestazione dei servizi all'interno della Comunità sono vietate nei confronti dei cittadini degli Stati membri stabiliti in un paese della Comunità che non sia quello del destinatario della prestazione. Il Consiglio, deliberando a maggioranza qualificata su proposta della Commissione, può estendere il beneficio delle disposizioni del presente capo ai prestatori di servizi, cittadini di un paese terzo e stabiliti all'interno della Comunità".Per l'art. 81 del Trattato:"Sono incompatibili con il mercato comune e vietati tutti gli accordi tra imprese, tutte le decisioni di associazioni di imprese e tutte le pratiche concordate che possano pregiudicare il commercio tra Stati membri e che abbiano per oggetto e per effetto di impedire, restringere o falsare il gioco della concorrenza all'interno del mercato comune ed in particolare quelli consistenti nel:a) fissare direttamente o indirettamente i prezzi d'acquisto o di vendita ovvero altre condizioni di transazione;b) limitare o controllare la produzione, gli sbocchi, lo sviluppo tecnico o gli investimenti;c) ripartire i mercati o le fonti di approvvigionamento;d) applicare, nei rapporti commerciali con gli altri contraenti, condizioni dissimili per prestazioniequivalenti, così da determinare per questi ultimi uno svantaggio nella concorrenza;e) subordinare la conclusione di contratti all'accettazione da parte degli altri contraenti di prestazioni supplementari, che, per loro natura o secondo gli usi commerciali, non abbiano alcun nesso con l'oggetto dei contratti stessi. Gli accordi o decisioni, vietati in virtù del presente articolo, sono nulli di pieno diritto."Per l' articolo 82:"È incompatibile con il mercato comune e vietato, nella misura in cui possa essere pregiudizievole al commercio tra Stati membri, lo sfruttamento abusivo da parte di una o più imprese di una posizione dominante sul mercato comune o su una parte sostanziale di questo.Tali pratiche abusive possono consistere in particolare:a) nell'imporre direttamente od indirettamente prezzi d'acquisto, di vendita od altre condizioni di transazione non eque;b) nel limitare la produzione, gli sbocchi o lo sviluppo tecnico, a danno dei consumatori;c) nell'applicare nei rapporti commerciali con gli altri contraenti condizioni dissimili per prestazioni equivalenti, determinando così per questi ultimi uno svantaggio per la concorrenza;d) nel subordinare la conclusione di contratti all'accettazione da parte degli altri contraenti di prestazioni supplementari, che, per loro natura o secondo gli usi commerciali, non abbiano alcun nesso con l'oggetto dei contratti stessi."
La risposta della Corte di Giustizia (sent. 26 ottobre, C 198/05)

La Corte di Giustizia, innanzi tutto, osserva che gli artt. 81 e 82 del Trattato, applicabili anche al mercato dei servizi legali, impongono agli Stati membri di non adottare provvedimenti idonei a falsare la concorrenza tra le imprese. Già, in altra occasione, la Corte ha affermato che viola il diritto comunitario lo Stato che, in qualsiasi modo, imponga o agevoli la conclusioni di accordi tra imprese in contrasto con l'art. 81 e 82 del Trattato, ovvero deleghi ad operatori privati il suo compito fondamentale di regolare l'economia mediante l'adozione di provvedimenti in grado di influire sul gioco della concorrenza tra le imprese (così ord, 17 febbraio 2005, causa C - 250/03, Mauri).
Ora, la legge italiana n. 33/1934 che, agli articoli 57 - 60, prevede la determinazione delle tariffe professionali forensi in base ad un progetto di massima redatto dal Consiglio nazionale forense, non si pone in contrasto con l'art. 81 sopra citato, in quanto detto sistema di determinazione non si traduce in una rinuncia da parte dello Stato all'esercizio di una sua prerogativa, a vantaggio dei privati. Il CNF agisce quale articolazione del potere pubblico e, in ogni caso, la tariffa per entrare in vigore necessita dell'approvazione da parte del Ministro della giustizia.
la Corte afferma che «non si può ritenere che lo Stato italiano abbia rinunciato ad esercitare il proprio potere delegando ad operatori privati la responsabilità di prendere decisioni di intervento nel settore economico, il che avrebbe portato a privare del suo carattere pubblico la normativa di cui trattasi nella causa principale».
Sulla base di queste considerazioni essa ritiene che «gli artt. 10, 81 e 82 CE non ostano all'adozione, da parte di uno Stato membro, di un provvedimento normativo che approvi, sulla base di un progetto elaborato da un ordine professionale forense quale il Consiglio Nazionale forense, una tariffa che fissi un limite minimo per gli onorari degli avvocati e a cui, in linea di principio, non sia possibile derogare né per le prestazioni riservate agli avvocati né per quelle, come le prestazioni di servizi stragiudiziali, che possono essere svolte anche da qualsiasi altro operatore economico non vincolato da tale tariffa».
Tuttavia, inderogabilità assoluta dei minimi tariffari può costituire una restrizione della libertà di prestazione dei servizi sancita dall'art. 49 del Trattato CE, che impone l'eliminazione di qualsiasi barriera alla prestazione dei servizi nell'ambito del territorio dell'Unione. Infatti, il divieto di derogare ai minimi tariffari può avere l'effetto concreto di rendere difficile l'accesso degli avvocati stranieri al mercato italiano dei servizi legali, in quanto vincolati in Italia al rispetto dei minimi tariffari; inoltre, limita la possibilità di scelta dei destinatari dell'offerta del servizio, che non possono avvalersi dell'opera di professionisti disposti ad accettare compensi inferiori a quella legali.
A giustificare il divieto in parola potrebbero essere invocati motivi di interesse pubblico, gli unici che, secondo la costante giurisprudenza comunitaria, consentono una deroga ai principi del Trattato U.E. (ex plurimis, Corte di Giustizia sent. 12 dicembre 1996, C - 3/95; idem, sent. 21 settembre 1999, C - 124/97).In proposito, ai giudici della Grande Sezione non sembra plausibile la tesi sostenuta dal Governo italiano per cui, in assenza di una norma che imponga i minimi tariffari, si avrebbe un'eccessiva competizione tra i professionisti, a scapito della qualità delle prestazioni professionali, con grave danno per gli utenti del servizio. Piuttosto, osserva la Corte, non è affatto dimostrato alcun nesso di causalità tra l'obbligatorietà dei minimi tariffari e l'elevato qualità del servizio fornito dagli avvocati. «In realtà, una relazione diretta di causa - effetto con la tutela dei clienti degli avvocati ed il buon funzionamento dell'amministrazione della giustizia varrebbe per i provvedimenti statali alternativi, come, in particolare, le norme di accesso alla professione forense, le regole disciplinari in grado di far rispettare la deontologia professionale e la disciplina in materia di responsabilità civile, grazie al mantenimento, assicurato da tali provvedimenti, di un livello elevato di qualità dei servizi fornito da tali professionisti».
Al riguardo, osservano i giudici comunitari che la tutela del consumatore e la buona amministrazione della giustizia sono obiettivi che possono rientrare tra i motivi di interesse pubblico in grado di giustificare una restrizione della libertà di prestazione dei servizi sancita dall'art. 49 del Trattato, sempre che «il provvedimento nazionale di cui si discute sia idoneo a garantire la realizzazione dell'obiettivo perseguito e non vada oltre quanto necessario per raggiungere l'obiettivo medesimo».
La Corte demanda al giudice del rinvio l'analisi necessaria al riguardo. Questi, in particolare, dovrà valutare se sussiste una relazione tra il livello degli onorari e la qualità delle prestazioni legali, tenendo conto delle peculiarità del mercato dei servizi legali italiano, caratterizzato da una massiccia presenza di avvocati, nonché dell'asimmetria informativa che configura di norma il rapporto tra avvocato e cliente - consumatore. Dovrà, altresì, verificare se gli obiettivi sopra menzionati della tutela del consumatore e della buona giustizia non possano essere utilmente realizzati con provvedimenti alternativi più efficaci, quali la fissazione di adeguate norme di organizzazione o di deontologia o di qualificazione. In conclusione, una normativa, come quella italiana «che vieti in maniera assoluta di derogare convenzionalmente agli onorari minimi determinati da una tariffa forense, per prestazioni che sono al tempo stesso di natura giudiziale e riservate agli avvocati costituisce una restrizione della libera prestazione dei servizi prevista dall'art. 49 CE.Gettato il sasso, la Corte ritira la mano nel momento in cui successivamente stabilisce però che: Spetta al giudice del rinvio verificare se tale normativa, alla luce delle sue concrete modalità di applicazione, risponda realmente agli obiettivi della tutela dei consumatori e della buona amministrazione della giustizia, che possono giustificarla, e se le restrizioni che essa impone non appaiano sproporzionate rispetto a tali obiettivi».
In definitiva, la sentenza non arriva ad una soluzione decisa ed univoca; le parole della Corte lasciano intuire che essa non condivide la scelta del legislatore italiano di imporre minimi tariffari inderogabili in senso assoluto perché contrassegnata da profili di illegittimità comunitaria, sebbene essa si mostri al riguardo molto cauta, demandando al giudice nazionale il riscontro della compatibilità comunitaria della normativa italiana.

tratto dal Altalex mese n. 1/2007 (http://www.altalexmese.it/)

martedì 29 luglio 2008

Opposizione a sanzione amministrativa e obbligo di comunicazione ex art. 126 bis c.d.s.


Sanzione amministrativa, procedimento di opposizione, obbligo di comunicazione
Giudice di Pace Bari, sentenza 08.04.2008 (Alfredo Matranga)

Sanzione amministrativa: solo con la definizione del procedimento di opposizione alla contestazione principale scaturisce, in caso di rigetto, l’obbligo di eseguire la comunicazione prevista dall’art. 126/bis n. 2 C.d.S..
E’ questo il principio con cui il G.d.P. di Bari ha accolto il ricorso proposto da un automobilista sanzionato per non aver comunicato i dati del conducente del veicolo, ai sensi dell’art. 126/bis n. 2 C.d.S..
Per il Giudice adito, in virtù di quanto stabilito dall’art. 126/bis C.d.S., la contestazione si intende definita quando sia avvenuto il pagamento della sanzione amministrativa pecuniaria o siano conclusi i procedimenti dei ricorsi amministrativi e giurisdizionali ammessi ovvero siano decorsi i termini per la proposizione dei medesimi.
In particolare, per il G.d.P. di Bari, ciò comporta che solo con la definizione del procedimento di opposizione alla contestazione scaturisce, in caso di rigetto, l’obbligo di eseguire la comunicazione prevista dall’art. 126/bis n. 2 C.d.S..
Nel caso di specie, viceversa, il ricorrente aveva fornito la prova che avverso il verbale elevato dalla Polstrada di Bari era stato proposto ricorso e che il Giudice con provvedimento emesso il 28/3/07 aveva sospeso l’efficacia esecutiva del provvedimento impugnato. Peraltro, nelle more del giudizio, è stata anche fornita prova che il verbale di contestazione impugnato era stato posto nel nulla dal Giudice di Pace di Bisceglie con sentenza n. 652/07 con cui veniva accolta l’opposizione.
Pertanto, ha concluso il Giudice, essendo stato posto nel nulla il verbale presupposto, anche il verbale oggetto della odierna impugnazione va posta nel nulla; verbale che, tra l’altro, doveva in ogni caso essere considerato illegittimo essendo stato violato il disposto di cui all’art. 126/bis n. 2 C.d.S. che fa decorrere il termine di trenta giorni per la comunicazione solo dal momento della definizione dei procedimenti dei ricorsi amministrativi e giurisdizionali proposti avverso la contestazione.
(Altalex, 25 luglio 2008. Nota di Alfredo Matranga)

Giudice di Pace
Bari
Sentenza 8 aprile 2008
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
UFFICIO DEL GIUDICE DI PACE DI BARI

Il Giudice di Pace, avv. Giuseppe Salerno,
ha emesso la seguente
SENTENZA
nella causa civile iscritta al n. 12251/2007 del ruolo generale affari contenziosi, in data 22/10/07 e spedita alla pubblica udienza di discussione del 08/4/2008 avente come oggetto: opposizione a sanzione amministrativa e vertente
tra
…….., elettivamente domiciliato presso lo studio dell’avv. Roberto Casaluci che lo rappresenta e difende giusta procura a margine al ricorso
ricorrente
Contro
MINISTERO DEGLI INTERNI opposto
POLSTRADA BARI opposto
Conclusioni: le parti presenti concludevano come da verbale.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con ricorso depositato il 22/10/07 il sig. ……….. proponeva opposizione avverso il verbale di contestazione n. 1260001005580 elevato in data 12/7/07 dalla Polizia Stradale di Bari con cui veniva contestata la violazione di cui all’art. 126/bis, 2° comma, e 180/8 C.d.S. per non aver ottemperato all’invito di fornire le informazioni richieste.
Eccepiva il ricorrente la nullità del verbale atteso che avverso il verbale n. ATX000 1012943, dal quale derivava l’obbligo di comunicare le generalità del conducente, era stata proposta opposizione innanzi al Giudice di Pace di Bisceglie; in ogni caso assumeva il ricorrente aveva provveduto con raccomandata del 13/3/07 ad adempiere all’obbligo di cui all’art. 126/bis.
La Polizia Stradale di Bari provvedeva ad inviare la documentazione relativa all’accertamento e alla contestazione della violazione, non opponendosi alla archiviazione del verbale in quanto a seguito della opposizione del verbale presupposto il Giudice di Pace di Bisceglie aveva sospeso la efficacia.
All’udienza del 14/3/2008 il procuratore del ricorrente produceva copia della sentenza del Giudice di Pace di Bisceglie con cui era stata accolta l’opposizione proposta avverso il verbale n. ATX000 1012943 elevato dalla Polstrada di Bari.
All‘udienza dell’8/4/08 sulle conclusioni delle partì presenti la causa è stata decisa come da separato dispositivo letto in udienza.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Preliminarmente va dichiarata la contumacia del Ministero degli Interni.
Il ricorso è fondato e merita accoglimento.
In virtù di quanto stabilito dall’art. 126/bis C.d.S. la contestazione si intende definita quando sia avvenuto il pagamento della sanzione amministrativa pecuniaria o siano conclusi i procedimenti dei ricorsi amministrativi e giurisdizionali ammessi ovvero siano decorsi i termini per la proposizione dei medesimi.
Ciò comporta che solo con la definizione del procedimento di opposizione alla contestazione scaturisce, in caso di rigetto, l’obbligo di eseguire la comunicazione prevista dall’art. 2 del citato articolo.
Nel caso di specie il ricorrente ha fornito la prova che avverso il verbale ATX0001012943 elevato dalla Polstrada di Bari in data 9/12/2006 era stato proposto ricorso e che il Giudice con provvedimento emesso il 28/3/07 aveva sospeso l’efficacia esecutiva del provvedimento impugnato.
Nelle more del giudizio, inoltre è stata fornita prova che il verbale di contestazione impugnato era stato posto nel nulla dal Giudice di Pace di Bisceglie con sentenza n. 652/07 con cui veniva accolta l’opposizione.
Pertanto essendo stato posto nel nulla il verbale presupposto, anche il verbale oggetto della odierna impugnazione va posta nel nulla.
Tra l’altro tale verbale doveva in ogni caso essere considerato illegittimo essendo stato violato il disposto di cui all’art. 126/bis n. 2 che fa decorrere il termine di trenta giorni per la comunicazione solo dal momento della definizione dei procedimenti dei ricorsi amministrativi e giurisdizionali proposti avverso la contestazione.
Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.
- accoglie il ricorso e per l’effetto pone nel nulla il verbale di contestazione n. 1260001005580 elevato dalla Polizia Stradale di Bari in data 12/7/2007;
- condanna il Ministero degli Interni, nella persona del Ministro pro tempore, al pagamento delle spese di giudizio che liquida in complessivi € 250,00 oltre IVA, CNAP e rimborso spese generali.
Bari, lì 8/4/2008.

Opposizione a sanzione amministrativa e obbligo di comunicazione ex art. 126 bis c.d.s.


Sanzione amministrativa, procedimento di opposizione, obbligo di comunicazione
Giudice di Pace Bari, sentenza 08.04.2008 (Alfredo Matranga)

Sanzione amministrativa: solo con la definizione del procedimento di opposizione alla contestazione principale scaturisce, in caso di rigetto, l’obbligo di eseguire la comunicazione prevista dall’art. 126/bis n. 2 C.d.S..
E’ questo il principio con cui il G.d.P. di Bari ha accolto il ricorso proposto da un automobilista sanzionato per non aver comunicato i dati del conducente del veicolo, ai sensi dell’art. 126/bis n. 2 C.d.S..
Per il Giudice adito, in virtù di quanto stabilito dall’art. 126/bis C.d.S., la contestazione si intende definita quando sia avvenuto il pagamento della sanzione amministrativa pecuniaria o siano conclusi i procedimenti dei ricorsi amministrativi e giurisdizionali ammessi ovvero siano decorsi i termini per la proposizione dei medesimi.
In particolare, per il G.d.P. di Bari, ciò comporta che solo con la definizione del procedimento di opposizione alla contestazione scaturisce, in caso di rigetto, l’obbligo di eseguire la comunicazione prevista dall’art. 126/bis n. 2 C.d.S..
Nel caso di specie, viceversa, il ricorrente aveva fornito la prova che avverso il verbale elevato dalla Polstrada di Bari era stato proposto ricorso e che il Giudice con provvedimento emesso il 28/3/07 aveva sospeso l’efficacia esecutiva del provvedimento impugnato. Peraltro, nelle more del giudizio, è stata anche fornita prova che il verbale di contestazione impugnato era stato posto nel nulla dal Giudice di Pace di Bisceglie con sentenza n. 652/07 con cui veniva accolta l’opposizione.
Pertanto, ha concluso il Giudice, essendo stato posto nel nulla il verbale presupposto, anche il verbale oggetto della odierna impugnazione va posta nel nulla; verbale che, tra l’altro, doveva in ogni caso essere considerato illegittimo essendo stato violato il disposto di cui all’art. 126/bis n. 2 C.d.S. che fa decorrere il termine di trenta giorni per la comunicazione solo dal momento della definizione dei procedimenti dei ricorsi amministrativi e giurisdizionali proposti avverso la contestazione.
(Altalex, 25 luglio 2008. Nota di Alfredo Matranga)

Giudice di Pace
Bari
Sentenza 8 aprile 2008
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
UFFICIO DEL GIUDICE DI PACE DI BARI

Il Giudice di Pace, avv. Giuseppe Salerno,
ha emesso la seguente
SENTENZA
nella causa civile iscritta al n. 12251/2007 del ruolo generale affari contenziosi, in data 22/10/07 e spedita alla pubblica udienza di discussione del 08/4/2008 avente come oggetto: opposizione a sanzione amministrativa e vertente
tra
…….., elettivamente domiciliato presso lo studio dell’avv. Roberto Casaluci che lo rappresenta e difende giusta procura a margine al ricorso
ricorrente
Contro
MINISTERO DEGLI INTERNI opposto
POLSTRADA BARI opposto
Conclusioni: le parti presenti concludevano come da verbale.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con ricorso depositato il 22/10/07 il sig. ……….. proponeva opposizione avverso il verbale di contestazione n. 1260001005580 elevato in data 12/7/07 dalla Polizia Stradale di Bari con cui veniva contestata la violazione di cui all’art. 126/bis, 2° comma, e 180/8 C.d.S. per non aver ottemperato all’invito di fornire le informazioni richieste.
Eccepiva il ricorrente la nullità del verbale atteso che avverso il verbale n. ATX000 1012943, dal quale derivava l’obbligo di comunicare le generalità del conducente, era stata proposta opposizione innanzi al Giudice di Pace di Bisceglie; in ogni caso assumeva il ricorrente aveva provveduto con raccomandata del 13/3/07 ad adempiere all’obbligo di cui all’art. 126/bis.
La Polizia Stradale di Bari provvedeva ad inviare la documentazione relativa all’accertamento e alla contestazione della violazione, non opponendosi alla archiviazione del verbale in quanto a seguito della opposizione del verbale presupposto il Giudice di Pace di Bisceglie aveva sospeso la efficacia.
All’udienza del 14/3/2008 il procuratore del ricorrente produceva copia della sentenza del Giudice di Pace di Bisceglie con cui era stata accolta l’opposizione proposta avverso il verbale n. ATX000 1012943 elevato dalla Polstrada di Bari.
All‘udienza dell’8/4/08 sulle conclusioni delle partì presenti la causa è stata decisa come da separato dispositivo letto in udienza.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Preliminarmente va dichiarata la contumacia del Ministero degli Interni.
Il ricorso è fondato e merita accoglimento.
In virtù di quanto stabilito dall’art. 126/bis C.d.S. la contestazione si intende definita quando sia avvenuto il pagamento della sanzione amministrativa pecuniaria o siano conclusi i procedimenti dei ricorsi amministrativi e giurisdizionali ammessi ovvero siano decorsi i termini per la proposizione dei medesimi.
Ciò comporta che solo con la definizione del procedimento di opposizione alla contestazione scaturisce, in caso di rigetto, l’obbligo di eseguire la comunicazione prevista dall’art. 2 del citato articolo.
Nel caso di specie il ricorrente ha fornito la prova che avverso il verbale ATX0001012943 elevato dalla Polstrada di Bari in data 9/12/2006 era stato proposto ricorso e che il Giudice con provvedimento emesso il 28/3/07 aveva sospeso l’efficacia esecutiva del provvedimento impugnato.
Nelle more del giudizio, inoltre è stata fornita prova che il verbale di contestazione impugnato era stato posto nel nulla dal Giudice di Pace di Bisceglie con sentenza n. 652/07 con cui veniva accolta l’opposizione.
Pertanto essendo stato posto nel nulla il verbale presupposto, anche il verbale oggetto della odierna impugnazione va posta nel nulla.
Tra l’altro tale verbale doveva in ogni caso essere considerato illegittimo essendo stato violato il disposto di cui all’art. 126/bis n. 2 che fa decorrere il termine di trenta giorni per la comunicazione solo dal momento della definizione dei procedimenti dei ricorsi amministrativi e giurisdizionali proposti avverso la contestazione.
Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.
- accoglie il ricorso e per l’effetto pone nel nulla il verbale di contestazione n. 1260001005580 elevato dalla Polizia Stradale di Bari in data 12/7/2007;
- condanna il Ministero degli Interni, nella persona del Ministro pro tempore, al pagamento delle spese di giudizio che liquida in complessivi € 250,00 oltre IVA, CNAP e rimborso spese generali.
Bari, lì 8/4/2008.

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